Michael Jackson Who Is It
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Messaggio Da marina56 Lun Ott 17, 2011 9:14 pm

La vera storia di un racconto inventato
“Il mio Piccolo Grande Uomo Normale”



Cap 1
Mi devo raccontare una storia; la devo mettere per iscritto perché una cosa scritta dà il senso del compimento, e di questo senso ho bisogno adesso.
Questa è la storia di un incontro professionale; di una passione difficile da gestire; di un nascondiglio durato due anni, di una amicizia profonda che ne durò venti e un rimpianto che mi accompagnerà per la vita. È la storia della mia stella.

Mi chiamo Susanna Marie De Matteo; sono nata a Napoli il 29 agosto del 1965, e a quattro anni sapevo che da grande avrei fatto la ballerina.
Sono cresciuta in una famiglia che non rispecchiava proprio i canoni della tradizionale famiglia partenopea degli anni Sessanta.
Mio padre era Charlie De Matteo, un italo-afroamericano sassofonista nello “Stardust jazz quartet”, uno scanzonato gruppetto di musicisti sognatori, che per un paio di anni vide realizzato un flebile spiraglio di successo. Nel 1963 mise piede in Italia con il desiderio di conoscere davvero quella terra di cui suo padre parlava nostalgicamente e di cui ancora manteneva la pesante cadenza dialettale con tanto orgoglio. Stanco di pizza e mandolino, di questo paese volle vedere l’arte e decise che come prima tappa Roma sarebbe stata l’ideale. Ma la gita turistica terminò ben presto, quando si imbatté in una ragazzetta un po’ svampita e con l’aria trasognata in cui gli parve di veder racchiusa tutta insieme la bellezza dell’Italia. Lunghi capelli neri mossi, occhi blu notte con le venature grigie del marmo, e la pelle di un chiarore quasi accecante.
La parentesi italiana di Charlie De Matteo si chiamava Amelia. A vent’anni studiava a Napoli storia dell’arte ed avrebbe volute diventare una pittrice.
Amelia credette di trovare in quel bel ragazzotto mulatto dai lineamenti europei e con l’accento così deliziosamente straniero la sua America, in tutti i sensi. Scappò di casa spinta dalla voglia di emancipazione femminista, dal fascino del musicista straniero, ma soprattutto dal desiderio di liberarsi dalle catene retrograde della sua famiglia.
Nel 1963 nacque Riccardo; dopo due anni sono arrivata io, Susanna Marie, tentativo mal riuscito di riassumere in un nome Italia e America.
Charlie ed Amelia presero in affitto un basso nella periferia napoletana. Dopo tre anni di convivenza e due figli, nacquero i primi pesanti dissapori tra i due giovani sprovveduti che, spinti dalla passione, avevano fatto il passo più lungo della gamba, e poco più che ventenni dovettero rinunciare alla loro arte e ai loro sogni per portare avanti la baracca. Lui magazziniere, lei stiratrice in un atelier di abiti da donna nella Napoli bene. Alla frustrazione si aggiunsero le difficoltà economiche e a queste la fuga di mio padre in America…
Questo è quello che mi hanno raccontato. Quello che ricordo è invece la forza di mia madre che stanca morta dopo una giornata di lavoro, si metteva china sui libri, perché era in quei libri che leggeva il suo riscatto sociale. Ricordo due bambini cresciuti con affetto e sacrifici e a cui è stata insegnata l’onestà e il rispetto per la vita.
Tre anni dopo la partenza di Charlie Amelia incontrò un giovane avvocato, Roberto Savarese. Si sposarono dopo soli due mesi, e da quella unione nacquero due gemelli, Edoardo e Lorenzo. Amelia si laureò ed intraprese la carriera di insegnante.

Volevo ballare. La radio e il giradischi erano i miei giocattoli preferiti; ma i soldi scarseggiavano e mia madre inizialmente non poteva permettersi di pagarmi un corso di danza. Quando iniziò ad insegnare ed incontrò Roberto le cose si misero meglio, e così finalmente potetti indossare quelle prime scarpette con i nastri.
La sbarra, i pliè, le diagonali, le punte, il painoforte, Nurayev, la Fracci e Baryshnikov; era questa la danza che conobbi fino all’età di quindici anni. Poi venne la televisione, le musicassette, i cantanti stranieri e i video clip. Mi si spalancarono le porte di un altro mondo, senza tutù e chignon, un mondo in cui la danza era anche cantata, dove si ballava con i tacchi e un po’ scosciate…E poi c’erano i grandi musical, le compagnie di danza moderna, i provini. Anche io volevo far parte di quel mondo, e ci riuscì.
A diciotto anni feci il mio primo provino; entrai in una compagnia con cui per due anni girai il mondo grazie ad una grande produzione.
Era il 1987 e a 22 anni toccai terra americana.


Cap 2
Corsi e ricorsi storici direbbe qualcuno; quando la storia di una madre diventa per certi aspetti quella di una figlia. Come per mia madre anche io ebbi il mio pezzo di America.
A vent’anni hai la forza di abbattere ogni cosa, ma allo steso tempo ogni cosa ha la forza di abbatterti; talvolta però certi scossoni possono aprirti nuove grandi possibilità umane e professionali.
Brodway, State Teatre. Sala prove.
Era da un po’ che avevo l’impressione che Bob Stuart mi tenesse d’occhio. Era senza dubbio uno dei migliori direttori artistici in circolazione, ma era anche uno dei più lunatici e presuntuosi uomini del pianeta.
-Susie, ma che cavolo stai combinando!!! Datti una svegliata…andiamo…lo spettacolo è tra qualche giorno, te lo ricordo- disse Bob con la sua ben nota voce cavernosa, talvolta così profonda da farti rabbrividire. E pensare che fu proprio lui a scegliermi qualche mese prima, durante il casting a Roma.
-Perché ce l’ha con me questo- sussurravo tra me e me, terrorizzata al solo pensiero che potesse sentirmi e sbattermi fuori. Ma in realtà la risposta a quella domanda la conoscevo già.
Come già ho detto, Stuart era uno dei più noti coreografi e direttori di compagnia degli anni Ottanta, ma è per qualcos’altro che quell’uomo mi rimarrà impresso nella memoria.
Io, piccola terroncella italiana, svampita e con il desiderio di sbarcare il lunario, fino a quel giorno non sapevo nemmeno cosa significasse la parola compromesso; ma poi Bob Stuart volle spiegarmelo.
In poche parole mi chiese di andare a letto con lui in cambio del ruolo da protagonista nel musical su cui stava lavorando, e al mio –No!!!- secco e deciso, che mai avrei creduto di essere capace di pronunciare con tanta determinazione, senza scomporsi mi congedò con un –Bene! Ne terrò conto-.
Dopo due settimane fui sbattuta fuori dalla compagnia sostituendomi con una sgallettata che ci aveva visto lungo, e si era data a Stuart in cambio di quel posto.
-E che faccio adesso?- mi dicevo disperata tra lacrime e fazzolettini.
-Susie, che è successo? Quel porco ci ha riprovato? Dimmi la verità! Gli spacco la faccia stavolta, a costo di farmi licenziare- disse Kevin con occhi minacciosi ma buoni nascosti sotto al suo solito berretto rosso.

Kevin Bloomerg era il mio angelo custode. Un omone di colore sulla cinquantina, che da anni accompagnava Stuart nelle sue produzioni come tecnico delle luci. Lo conosceva bene Bob Stuart.
Quando quella sera, uscii sconvolta dal suo ufficio dopo che egli mi propose quella specie di scambio –come lo definì lui- per poco non gli spaccavo il naso con la porta, tanta fu la virulenza con cui la spalancai, con tanto di occhi sbarrati.
-Scusi…sono mortificata…non credevo…mi dispiace…e adesso…Mannagg a miseria!!!- dissi con voce accorata e aggiungendo al mio inglese anche una punta di dialetto napoletano, che accompagnava sempre le mie imprecazioni anche quando stavo lontano da casa.
Kevin stava accovacciato a terra con il naso sanguinante –Ma dove cavolo andavi con tutta quella fretta?!!! Le prove sono pure finite…prenditi un calmante ragazzina…così magari eviti di fare danni!
A quel punto scoppiai in lacrime e mi accasciai a terra
–Santo cielo!...Ti senti male?…Mio Dio…è il colmo, a momenti mi spaccavi il naso e tra i due quella che sviene sei tu…- Disse Kevin con un tono quasi comico; e in quella disperazione, malconcio com’era, riuscì a strapparmi un sorriso.
Da quel giorno diventammo grandi amici. A volte durante la pausa pranzo mi fermavo con lui a chiacchierare, e tra fili e riflettori mi raccontava di sua moglie e dei suoi cinque figli, delle sue aspirazioni giovanili. Gli parlai di me, dell’Italia, dei dipinti di mia madre e del sassofono di mio padre, l’unica cosa che lasciò a casa prima della fuga, e di certo non come ricordo ma solo per dimenticanza.
Divenne il mio confidente, l’unica persona sincera con cui potessi parlare in quell’ambiente di prime donne isteriche e pronte a tutto. Gli raccontai della proposta oscena di Bob Stuart, ed ebbi da lui la conferma del fatto che il mio non fosse stato un caso isolato, e che negli anni addietro alcune ragazze addirittura persero il posto in compagnia per questo motivo. Io divenni una di quelle.

-Susie, questo posto ti fa male, dannazione!!! Sono più le volte che piangi che quelle che sorridi da quando ti conosco…Allora racconta…- Si sedette accanto a me su quelle fredde scalette di ferro, quelle che di solito stanno dietro le quinte, e sui cui gradini a stento entrava il suo sederone.
-Avevi ragione…alla fine mi ha sbattuta fuori a calci nel sedere…e senza uno straccio di valida motivazione, ovviamente. E adesso…...che faccio adesso? Chiamo mia madre e le dico che forse la prossima volta è meglio se vado a letto con uno sconosciuto?...aiutami Kevin, che devo fare?…è ora dei tuoi consigli, quelli a bruciapelo e con il “cuore in mano”, come diciamo a Napoli, e che solo tu mi puoi dare.
Assunse la sua classica posa da oratore, tanto buffa, che tirava fuori nel momento in cui mi dispensava i suoi consigli paterni.
–Ascolta, forse ho qualcosa di interessante per te…Che ne pensi dei video clip?- Mi disse con sguardo interrogativo, quasi per sondare il terreno ed assicurarsi di poter centrare nel segno
–Belli, nuovi, mhmhm…nuovi, da provare- risposi con fare depresso
–Susie, e dai…io sto dicendo sul serio, che risposta è belli, nuovi, da provare, mica sto parlando dell’ultimo tipo di gelati in commercio…E su…- E riuscì di nuovo a strapparmi un sorriso. In questo è sempre stato un mago.
-Forse tu non ti rendi conto di quello che sto per proporti Susie. È la tua occasione per lavorare con un grande, con un giovane genio della musica…Mia figlia si strapperebbe i capelli se solo lo incontrasse…
-Kevin…guarda non lo so…forse è meglio che lascio perdere…che lascio la danza…l’America e me ne torno a Napoli. Ti ringrazio…Ma forse questo è un segno. La mia strada è un’altra, che ne so…farò la…la…la conducente di autobus…Guarda sono così demotivata che nemmeno…nemmeno se…,che ne so, Michael Jackson mi chiedesse di ballare con lui avrei il coraggio di mettere i piedi su un palco adesso…
-Ah…ok. Se la metti così…la mia proposta è proprio l’ultima cosa che cerchi
-Kevin ma che cerco, non lo so nemmeno io che cerco…Che cerco, Michael Jackson? Andiamo siamo realisti.
-Veramente ti sta cercando lui…
-Ok, credo che la botta che ti diedi qualche mese fa stia dando i suoi effetti ora. Kevin non ti offendere ma secondo me devi farti vedere da qualcuno…Deliri…
-Fidati, inizierai a delirare tu quando ti avrò spiegato tutto.


Ultima modifica di marina56 il Dom Dic 18, 2011 2:33 pm - modificato 1 volta.
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Messaggio Da marina56 Lun Ott 17, 2011 9:16 pm

Cap 3
Tutto era pronto, le coreografie erano state messe a punto. Il mondo doveva essere preparato ad un nuovo grande successo.
Michael Jackson era all’apice della sua fama. Erano gli anni in cui davvero aveva tutto; soldi, successo, grammy, bellezza e giovinezza; il tutto ovviamente contornato da critiche, illazioni, pettegolezzi da parrucchiere…Il prezzo che tocca pagare quando si diventa una delle più grandi star del panorama musicale di tutto il mondo!
Ma lui non voleva piegarsi a tutto questo, ed aveva ancora la forza di tentare di vivere una vita normale, o quanto meno fatta anche di svago oltre che di lavoro ossessionato.
Per quella sera volle essere spettatore e non mattatore da palcoscenico.
-Stasera ho voglia della poltrona di un teatro. Che ne dici Jim? Ti va di vedere uno spettacolo a Brodway stasera?
Come se poi avesse avuto possibilità di scelta. Jim Gellhorn era pagato per accompagnare Michael Jackson nelle sue uscite semi-pubbliche, per evitare che ad ogni passo venisse calpestato da una folla di fan assatanati. Faceva un po’ di tutto, guardia del corpo, collaboratore, gli teneva conti, organizzava l’agenda; ma in fondo era anche un buon amico, Mike si fidava di lui.
Si recarono allo State Teatre.
Ovviamente la sua presenza non passò inosservata. Vennero riservati a lui e al suo gruppo dei posti d’onore. Il tutto fu fatto all’ultimo momento; i membri della compagnia non vennero neanche informati della presenza di quell’illustre spettatore; Mike chiese esplicitamente agli organizzatori di non dire nulla loro…Per quella sera avrebbe voluto essere uno come tanti; del resto chi si esibisce non viene informato del nome e del cognome di ciascun membro del pubblico, e così fu.
Si apre il sipario…lo spettacolo comincia.
Non riusciva a rilassarsi; non poteva fare a meno di guardare tutto sottoponendolo alla sua deformazione professionale. Effettivamente i ballerini erano bravi. Buona la dinamica, la sincronicità, la ritmica…ma ad un certo punto si perse. Il suo sguardo divenne tutt’uno con le sinuose, eleganti e allo stesso tempo grintose movenze di una delle ballerine. Faceva una piccola particina da solista e per il resto faceva da corpo di ballo…ma che corpo…e che ballo. Magnetismo allo stato puro; faccia pulita, sguardo languido, totalmente assorta nella sua arte. Quella ragazza si offriva al pubblico come non aveva mai visto fare a nessuna…lei si che aveva lo spirito giusto…lei si che dava spettacolo. Ma chi era? Voleva incontrarla per farle i complimenti.

Cap 4
Quanto amo il teatro; ogni sua molecola è per me molecola di vita; il sipario pesante e polveroso, l’odore della pece per non scivolare, le quinte…
Prima di uno spettacolo seguo sempre un mio rituale particolare. Mi allontano nell’angolo più recondito del backstage e tra aste, riflettori, parti di scenografia e resti di costumi di scena trovo la mia dimensione. In religioso silenzio massaggio ogni minimo muscolo con accortezza e riscaldo il mio bene più prezioso, i piedi, con la perizia di un artigiano meticoloso. Per un danzatore il corpo è un tempio sacro e la sbarra il suo altare mistico.
Da bambina durante i saggi che preparavo nella scuola in cui ho studiato, in quei piccoli teatri della periferia di Napoli, mentre aspettavo di entrare in scena per esibirmi guardavo in alto verso il soffitto e mi perdevo in quel groviglio di fili e luci colorate. Immaginavo che su quelle alte impalcature camminassero degli spiritelli dispettosi che da lassù guardavano i ballerini in scena e decidevano se farli cadere o farli danzare. E allora poco prima di mettere i piedi sul palco alzavo gli occhi e pregavo intensamente gli spiritelli perché mi permettessero di eseguire bene i miei passi e di far commuovere mamma che era tra il pubblico.
Erano più di dieci anni che non facevo una cosa del genere, ma quella sera sentii forte il richiamo di quel dolce ricordo di infanzia ed allora sorridente ed un po’ sorpresa, prima di entrare in scena, gettai un’occhiata al cielo.
Gli spiritelli mi fecero danzare come non avevo mai fatto. Vivevo il mio corpo in tutta la sua energia, sentivo la forza, la pulsione, la delicatezza, la tensione, ma soprattutto mi stavo divertendo.
Terminata la serata, noi della compagnia venimmo avvisati del fatto che tra gli spettatori quella sera c’era Michael Jackson. A quel punto si scatenò il putiferio.
Per tutte le ragazze del corpo di ballo iniziò la caccia all’uomo. Volevano incontrarlo…anzi divorarlo direi. Autografo, foto, baci, abbracci e se ci fossero riuscite, anche qualcos’altro. Sapevo che in quel senso ci avrebbero provato tutte.
Nella compagnia non avevo nessuna amica. Tutte assatanate di successo a tutti i costi, pronte a vendersi all’ultimo degli impresari anche per un contratto misero. Sanguisughe, invidiose ed arrampicatrici sociali. Una buona parte di loro era italiana; quelle mi odiavano più di tutte, altro che spirito patriottico, e tutto a causa del fatto che nel casting di Roma Bob Stuart mi scelse per prima, subito, dopo una sola selezione. Ricordo che mi guardò e disse –Perfetta, stavo cercando proprio te…
In quei mesi sempre in giro a parte le chiacchierate con Kevin e le telefonate dall’Italia di Diana, la mia migliore amica da sempre, ero sola, non parlavo con nessuno. Preferivo stare per conto mio, piuttosto che girare a fare la grupie per i locali notturni di mezzo mondo con le altre.
Anche in quell’occasione mi tenni fuori dal mucchio; non mi andava di stare in mezzo a quelle arpie maliziose, e poi io, troppo poco maliziosa, apprezzavo Michael Jackson come artista, anche se effettivamente aveva un fascino fuori dal comune, ma comunque non avevo nessuna intenzione di buttarmi ai suoi piedi come una forsennata mostrandogli la mercanzia a buon prezzo. Avevo qualcosa che si chiamava dignità da rispettare…Ma che vuoi che ne capissero quelle altre.
E poi del resto in quella tale confusione che avrei potuto dirgli…”Salve Mr. Michael Jackson, sono una sua estimatrice dalla sorridente Italia…Volevo sincerarmi con lei per le sue straordinarie doti di cantante, ballerino, performer…ecc…ecc…” In effetti aveva tutto quell’uomo. Chissà se sapeva volare…Ah già…volare no, ma camminare sulla luna si…Era perfetto allora.
Lui di certo non aveva niente da dirmi…
E così quella sera dopo lo spettacolo andai in camerino, mi struccai, raccattai la mia roba e in quella confusione di fotografi, ragazzette urlanti e guardie del corpo, sgusciai fuori dal teatro e con il primo taxi presi la strada dell’albergo.
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Messaggio Da marina56 Lun Ott 17, 2011 9:16 pm

Cap 5
Finito lo spettacolo chiese ai suoi collaboratori di incontrare la compagnia; in realtà voleva conoscere lei e dirle quanto avesse apprezzato la sua capacità di tenere il palco e coinvolgere il pubblico.
Si recò con Jim e gli altri del suo staff nei camerini…
Una folla di fotografi gli bloccava ogni passaggio e la compagnia al gran completo, con tanto di regista, lo accolse calorosamente. Fu strapazzato dalle ragazze ancora con i costumi di scena, tra autografi, foto, sbaciucchiamenti. Tutti che gli dicevano quanto fosse straordinario. Ma in realtà in quel caos ci si era imbattuto non tanto per ricevere complimenti, ma per farne di cuore ad una ragazza…una di loro…ma nessuna di loro in effetti…
-Jim?...Hai capito chi sto cercando…?
-Si Mike…è la millesima volta che me lo dici…La ragazza mora con i capelli ricci lunghi…Ho capito
-Jim…
-Si Mike…
-Ma non c’è la mia ragazza mora con i capelli ricci lunghi che stavo cercando…-Stava per abbandonare le ricerche quando…
-Eccola!!!....Ehi…scusa! Santo cielo…Scusate…mi fate passare un attimo- tentava di farsi largo tra la gente-…anzi qualcuno chiami quella ragazza mor…
Nemmeno il tempo di finire la frase che S gli passò davanti a razzo, uscì dal teatro e si infilò in un taxi. Se l’era fatta scappare…


Cap 6
-Allora ragazzina ascoltami bene. Quello che sto per dirti potrebbe farti venire un infarto istantaneo. Sei pronta? -disse Kevin con una faccia seria e quasi preoccupato per la capacità di resistenza delle mie coronarie…
- Michael Jackson ti sta cercando…Anzi ti spiego meglio. Durante le prove dell’ultimo video che sta preparando, quello che ha a che fare con un film…una cosa del genere, non so bene di che si tratti, cmq una delle ballerine si è fratturata una caviglia. È fuori gioco. Sta cercando una sostituta e in fretta anche. Il suo staff si è rivolto a Bob Stuart, perché pare che Michael sia rimasto soddisfatto del vostro spettacolo che ha visto la settimana scorsa. Voci di corridoio dicono che però stia cercando una in particolare. Non so con sicurezza chi sia, ma il mio sesto senso mi dice che quella sei tu, del resto sul palco quelle quattro sciaquette te le mangi.
-Kevin andiamo….non diciamo sciocchezze… E poi figurati se quel porco di Stuart non ha già selezionato quelle da mandare al provino con Michael Jackson…e ovviamente io non sono una di quelle…OVVIAMENTE! Non facciamoci illusioni…
-Si, ma adesso tu non fai parte più della sua compagnia e sei libera di fare tutti i provini che vuoi…Fidati, so io chi contattare per trovarti un aggancio e poter partecipare al provino. Ho un caro amico che lavorerà come tecnico nel suo staff per il suo primo tour mondiale da solista, una cosa grossa…Fidati…a costo di scomodare anche il Padre Eterno ti farò andare a quella audizione…
Perplessa e rassegnata mi affidai a Kevin e ai suoi sapienti consigli…Del resto che avevo da perdere. Dal quel giorno sarei stata disoccupata.

Los Angeles, 28 agosto 1987.
Notte in bianco…totalmente in bianco. Avevo preso sonno all’alba e per di più la sveglia non aveva suonato…
-Dannazioneeee….!!!! Tutte a meeeee!!!! –Urlavo disperatamente mentre mi lavavo i denti, mi infilavo i pantaloni e mi preparavo la borsa…Tutto contemporaneamente…
Arrivai a destinazione.
Ero in ritardo di mezz’ora. Che stupida. Mi ero giocata anche questa possibilità.
-E chi lo dice a Kevin?- Pensavo tormentandomi le unghie. Ero dispiaciuta più per lui che per me; sapevo che aveva fatto i salti mortali per fare in modo che potessi esserci anche io quella mattina e come una deficiente avevo buttato all’aria tutti i suoi sacrifici.
Fuori a quella porta presi il coraggio a quattro mani; non avevo altra scelta, entrai…
Dall’ ingresso non si vedeva la scrivania dietro cui era seduto Michael e gli assistenti alla coreografia. Si vedeva solo un gruppetto di ragazze, tra le quali le solite facce note, come mi aspettavo. Alla porta una tizia bruttina, occhialuta e piena di fogli in mano mi disse con una vocina a mitraglietta che dovevo compilare un modulo con i miei dati. Mi indicò un piccolo tavolino poco lontano su cui mi sarei potuta appoggiare per scrivere.
Feci per avvicinarmi al tavolino quando lo vidi con la coda dell’occhio, e con la penna in una mano e il foglio nell’altra mi impalai a guardarlo come una stupida. Camicia rossa, capelli legati. Era lui. Occhi grandi…sorriso appuntito come quello di un joker…una fossetta accennata che gli segnava il mento…quel collo erto che usciva procace dalla camicia…quelle dita lunghe che tamburellavano impazienti sulla scrivania…quelle…
-Oh Susà!!! Ma la vuoi finire!!! Gli squilibri ormonali oggi non sono ammessi…e un po’ di professionalità e che diamine! Prima ti metti a criticare le tue colleghe e poi te lo spogli con gli occhi…E che miseria…non lo vedi che sei ridicola!?- una voce risuonava impetuosa e severa nella mia mente e mi diceva di farla finita di fissarlo come un’idiota. Ma a quanto pare i risultati furono scarsi.
Mike sembrava insofferente, non riusciva a stare fermo un attimo. Prima metteva le braccia conserte, poi la mano sotto il mento, poi muoveva gambe e piedi come per accennare dei passi. Ad un tratto con la mano destra si toccò leggermente il lobo dell’orecchio sinistro; ruotò la testa verso di me e quegli occhi bruni mi tramortirono come una fucilata.
Con uno scatto brusco tese il braccio nella mia direzione cambiando espressione; sentii una voce… e pensai…-Kevin…ecco l’infarto!!
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Messaggio Da marina56 Lun Ott 17, 2011 9:17 pm

Cap 7
–Perfetta, stavo cercando proprio te!
-NO!!!...anche lui…ma che è un’epidemia –Dissi fra me e me in una frazione di secondo
-Dico a te…ehi…la ragazza con il foglio in mano… -disse mentre agitava la mano destra come per risvegliarmi da quello stato di incoscienza in cui mi trovavo. Tutte le persone in quella stanza mi guardarono contemporaneamente, allibite.
Al suono di quelle parole mi girai istintivamente indietro, non c’era nessuno. Quando mi rivoltai sussurrai a mezza voce –Ma chi io??
-Si tu, tu. Finalmente ti ho trovata e questa volta non mi scappi da sotto il naso…
-Ma io veramente non ho neanche ballato Mr. Jackson…non saprei…c..c..cosa…
-Scusami ma tu sei qui per il provino?
-Si
-Allora considera come se lo avessi già fatto. Tutte le altre…mi dispiace, ma potete andare…Siete state grandi…ma io cercavo proprio lei…scusate ancora. Comunque lasciate lo stesso i vostri dati al mio collaboratore, potrei ricontattarvi per qualche altro lavoro. Grazie ancora per le belle esibizioni…Ciao a tutte.
Nel giro di un istante si innalzò un vocio di fondo in cui ebbi modo di riconoscere chiaramente la parola “raccomandata” che usciva dalla bocca di tutte le altre ragazze presenti.
Ero sconvolta…-Cavolo, ma Kevin conosce proprio gente in alto- fu l’unica spiegazione che seppi darmi al momento…Non ci stavo capendo un tubo.

-Jim fai uscire tutti per favore, io e lei abbiamo da lavorare…grazie- Disse sorridente.
Jim annuì; fece cenno agli altri presenti di abbandonare la sala prove. Tutti andarono via.
Io e lui in quella stanza.
-Ciao, è un piacere incontrarti; sono Michael Jackson- disse con tono colloquiale come fosse l’ultimo degli sconosciuti che mi si presenta ad una festa; mi tese la mano.
Rimasi esitante a due metri da lui, c’era qualcosa che mi teneva le scarpe incollate al pavimento. Poi, come svegliata di soprassalto da uno stato di trans –Ah si…scusi…cioè salve mi chiamo Susie…Anzi… veramente no…
In quel momento devo essergli sembrata una cretina, perché con sguardo interrogativo e un mezzo sorrisetto malizioso disse –Non ti chiami Susie…? È un peccato perché lo trovo un nome delizioso…è così musicale…Susie, Susie, Susie…bello no? –Guardava in alto mentre ripeteva quel nome quasi estasiato…In realtà non avevo mai trovato Susie così entusiasmante…fino al quel momento…
-In realtà mi chiamo Susanna Marie… De Matteo; sono italiana
-Che bello…beata te. Comunque mica è un problema se ti chiamo Susie?…mi piace davvero non sto scherzando…-Mi disse con un sorriso disarmante che mi tolse dieci anni di salute –Di dove sei per la precisione?
-Napoli…
-O santo cielo che poesia…Totò…Hai mai visto quel film in cui fa la parte del burattino, Pinocchio?...Come si intitolava…mhmhm- disse mordendosi il labbro in un modo così sensuale da far uscire fuori dai gangheri anche una suora di clausura e stringendo leggermente gli occhi come per cercare di scavare qualche ricordo recondito nella memoria.
-Mhmhm…”Totò a colori” se non sbaglio…non ne sono sicura però…-sorrisi quasi timorosa.
-Giusto!...brava proprio quello…bello. Comunque torniamo a noi…
Mi stavo iniziando ad ambientare. Questa piacevole digressione partenopea mi aveva messo a mio agio. Mi tolsi la borsa dalla spalla e la poggiai a terra. La salivazione era ripresa; potevo parlare adesso.
-Ma lei mi conosce Mr. Jackson?
-Diamoci del tu…In fondo non credo di essere tanto più vecchio di te. Quanti anni hai?
-Ventuno…Anzi…no, che dico…ventidue…domani ventidue…
-Wow domani è il tuo compleanno? Dove lo festeggerai?
-Eh più che dove, forse il problema sarebbe con chi…Qui non conosco nessuno, sono nuova di queste parti…- risposi imbarazzata e sorpresa dal suo modo di fare così informale. Fino a quel momento lo avevo immaginato un tipo tutto sulle sue con la puzza sotto al naso.
-Io sono di queste parti quindi da oggi puoi aggiungermi alla lista dei tuoi conoscenti, se non ti dispiace. Guarda a questa cosa del compleanno credo si possa rimediare, lo festeggi da me…Ti va? La mia casa è grande abbastanza direi…E poi adoro le feste…
-Eccone un altro!- pensai -Pure lui che ci prova, nooo!!!…Che delusione, credevo fosse una persona seria…Certo che ambiente di merda questo, più si alza il livello e peggio è…
–No guardi…guar..da, ti ringrazio ma non mi sembra il caso- dissi evidentemente a disagio.
-Scusami, penserai che sono un cafone. È comprensibile che tu non voglia festeggiare il tuo compleanno a casa di uno che hai appena conosciuto. Però nulla vieta che uno appena conosciuto possa invitarti a festeggiare il suo di compleanno…Siamo nati lo stesso giorno…
Dopo la mia prima esperienza fallimentare con le avances, quella situazione mi stava mettendo in grave difficoltà. Ero sulla difensiva…Ma poi ho razionalizzato e mi sono detta –Ma ti pare che Michael Jackson non ha l’occasione e le conoscenze per portarsi a letto una gnoccolona di top model. Tra tante bellissime donne che incontra nel suo lavoro, figurati se si pregiudica la faccia e la reputazione con una tal dei tali qualsiasi che viene dall’Italia e che non è nessuno.
E poi quel ragazzo aveva gli occhi buoni, sinceri…puliti.
Il mio viso divenne di mille colori; avevo le orecchie in fiamme…-Va bene, allora se la metti così…accetto l’invito.
-Ok allora perfetto, ci divertiremo vedrai…Ah un’ultima cosa…
-Si
-Vorrei vederti ballare…Sia chiaro, sei stata presa, ma ti ho visto l’altra sera a teatro. È da quella sera che ho voglia di vederti ballare…
Erano le 11:30 del mattino del 28 agosto 1987. quel giorno per la prima volta danzai con tutta la mia passione…Quel giorno per la prima volta danzai per la mia più grande passione.

Cap 8
Mi disse che alle otto una macchina sarebbe passata a prendermi al mio albergo. Ero pronta già da un’ ora. Ero agitatissima perché stava succedendo tutto così velocemente.
Quella mattina chiamai Kevin. Lo feci saltare giù dal letto; erano le sette quando squillò il suo telefono.
-Mamma mia…mi alzo…mi alzo…Ma chi è che a quest’ora già rompe i cogli…-borbottava mentre aveva già la cornetta all’orecchio.
-Mi ha presa!!!! Ti rendi conto!!!! Sei un grande, non c’è che dire…Ti adoro…Ma come hai fatto!!!!!!- Gli urlai direttamente nell’orecchio.
-Abbassa la voceeee…non sto…cap…non ho capito niente…
-Kevin! Mi ha presa nel corpo di ballo…si… per il video; ha detto sei perfetta, non mi scappi…che ne so…un sacco di cose…Poi il compleanno a casa sua…
Ci misi un po’ per formulare una frase di senso compiuto. Una volta calmati i bollenti spiriti, gli raccontai tutto per filo e per segno. A conclusione della telefonata Kevin saltellava come un ragazzino dall’altra parte della cornetta mentre ripeteva alla moglie –Meggie, oggi si festeggia!!!

Uno dei momenti più difficili della serata fu scegliere cosa mettermi. Come si veste una che è stata invitata al compleanno di Michael Jackson, da Michael Jackson in persona. Dopo la doccia aprii la valigia alla ricerca di qualcosa di decente. Che cavolo, avevo l’impressione di aver portato solo stracci, ma del resto come avrei fatto a prevedere un invito del genere…Minigonna…?Nooo troppo sfacciata; pantalone? Nooo… troppo poco femminile. Alla fine trovai qualcosa. Sfoggiai il vestitino più carino che avevo, era un regalo di Diana. Un tubino verde pino senza spalline; indossai delle ballerine basse proprio per rimanere sempre in tema; un po’ di trucco, la mia chioma vaporosa al naturale contenuta in una fascia che richiamava il colore del vestito. Ero pronta!
Mi spruzzai al volo un po’ di profumo; anche quello era un regalo della mia migliore amica, proprio quello che usava lei; Diana mi mancava tantissimo. Prima di partire mi accompagnò all’aereoporto insieme a mamma e a Roberto.
-Tesoro mio questo è per te- mi disse con le lacrime agli occhi- così potrai sentirmi vicina anche se sei dall’altro capo del mondo.
Era verissimo! Se fossi stata in Italia lei sarebbe stata sicuramente presente in questa fase di preparazione pre-uscita, in questo modo in un certo senso lo era.
Alle otto in punto arrivò lui; anzi l’autista.
Altro che festa di compleanno. Io che ero abituata a bicchieri di plastica, Fanta e patatine San Carlo non ci stavo capendo nulla. In realtà quella sera, oltre al suo compleanno Mike e il suo staff si preparavano a festeggiare a scopo propiziatorio l’imminente uscita del suo prossimo disco, prevista per il 31 agosto. Quella sera c’erano una quarantina di persone e io mi sentivo quella più fuori luogo di tutte.

-Susieee…che bello vederti! Sei uno splendoreee…!!!- mi accolse Mike prendendomi per mano e facendomi fare una giravolta. Sinceramente non mi aspettavo un benvenuto del genere, immaginavo quelle cose del tipo ti invito però sono troppo vip per darti retta. Ogni giorno dovevo ricredermi su qualcosa riguardo a quell’uomo.
-Vieni ti presento qualcuno- disse cingendomi le spalle con un braccio ed accompagnandomi verso il centro di quel grande giardino con piscina dove c’erano gli altri invitati.
Fece un cenno ad una ragazza poco distante; era vicino al buffet con un bicchiere in mano ed una tartina in bocca…
-Ecco mia sorella…sempre la solita…Janet vieni qui, voglio presentarti una persona!- esclamò con voce squillante.- è di un anno più piccola di te, devi conoscerla è un personaggio…-disse con un gran sorriso.
Dopo poco mi sia avvicinò questa ragazza tutta pimpante e con un vestito dai toni sgargianti.
-Ciao! Sono Janet, piacere di conoscerti- mi disse con un tono simpatico e alla mano.
Si vedeva da un chilometro che era sua sorella, stesso sorrisone, stessi occhi grandi ed espressivi. Al primo impatto ebbi l’impressione che fosse una ragazza solare e frizzante e successivamente me ne diede la conferma.
-Spero che mio fratello non ti abbia già annoiato con i suoi discorsi…talvolta è un po’ pesante…
- E tu sei logorroica…-rispose Mike dandole scherzosamente una leggera spinta- vado a prendermi qualcosa da bere, a dopo…Ah… Janet… ti raccomando…
-Tranquillo, tranquillo non la rompo mica…vai vai…
Parlammo fitto fitto per più di mezz’ora. Mi sentivo a mio agio con lei, sarà che siamo coetanee, sarà che è un tipo spigliato, sta di fatto che parlammo di tutto. Mi raccontò un po’ di lei della sua carriera artistica. Anche se in Italia non era molto conosciuta, da quella conversazione ebbi modo di scoprire che anche lei come il fratello aveva intrapreso presto la carriera musicale e fino ad allora già aveva inciso quattro dischi; inoltre aveva avuto anche alcune esperienze come attrice. Mi parlò del suo matrimonio all’età di diciotto anni a Las Vegas, del fatto che dovette tenere tutto nascosto…Insomma la ragazza si era data da fare parecchio pur essendo così giovane; doveva essere un vizio di famiglia.
-Ma non starete mica complottando alle mie spalle…?- intervenne Mike dopo un bel po’ che ci vedeva confabulare- siete state tutto il tempo in disparte…ma che vi dite?
-Cose di donne, non puoi capire…- gli rispose Janet buffamente- No…a parte gli scherzi…- proseguì rivolgendomi un sorrisetto malizioso- stavo pensando a quanto deve essere importante questa Susie per averle organizz…
Non le diede nemmeno il tempo di completare la frase che Mike prontamente le tappò la bocca con una mano – Ehm…devi sapere che talvolta mia sorella parla un pochino troppo…- disse rivolgendole un’occhiataccia eloquente che sembrava dire “Sei sempre la solita”.
- A questo punto…direi che forse è meglio che tolgo il disturbo…mi vado a fare un giretto. Vi lascio soli…-rispose Janet una volta liberatasi da quella specie di bavaglio, mentre indietreggiando con le spalle alzate e le mani avanti in segno di resa gli sussurrava- Scusa, scusa, scusa…
Bene eravamo soli, anzi…male. Mi sentivo tremendamente a disagio in quel momento perché non sapevo cosa dirgli e quella situazione mi suonava un tantino strana.
- La macchina è arrivata in orario?- disse Mike rompendo il ghiaccio.
-Si si grazie Michael, ma non dovevi, mi sarei arrangiata io…
-Ma non dirlo nemmeno per scherzo…figurati se ti facevo venire a piedi…oggi poi che è il tuo compleanno…Ah a proposito –alzando leggermente il tono della voce e rivolgendosi agli altri invitati disse –ragazzi un momento di attenzione…vi presento il terzo motivo per cui festeggiare stasera…Susie!!!
A quel punto volevo sprofondare.- Ma questo sta proprio fuori…- Pensai tra me e me sgranando gli occhi. Mi stavo vergognando come una ladra.
Ad un certo punto iniziò ad intonare “Buon compleanno” e gli altri lo seguirono a ruota; si abbassarono le luci ed entrò una torta enorme con la forma dell’Italia, con su scritto…PER FARTI SENTIRE A CASA TANTI AUGURI LITTLE SUSIE. Tutti applaudirono calorosamente e io stavo rischiando un altro infarto, il secondo nel giro di due giorni.
Questo è solo un assaggio di quello che Mike è stato per me nel corso di questi anni. Come quella torta si rivelò grande, dolce ed inaspettato. Dal quel giorno le nostre vite si incrociarono…
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Messaggio Da marina56 Lun Ott 17, 2011 9:19 pm

Cap 9

Lavorare con lui…che esperienza gratificante! Vedere all’opera un genio ti lascia grandi insegnamenti. Ero una spugna, cercavo di apprendere da lui ogni cosa. Perfezionista, professionale, ma anche umile e aperto ai consigli dei suoi collaboratori. Ma ricordo soprattutto che se avevi qualcosa da dirgli ti stava ad ascoltare; non tutte le star hanno questo tipo di comportamento.
Furono settimane di duro lavoro quelle, ma ricompensate con tanta soddisfazione. Del resto quello che girammo fu uno dei video clip che ha fatto la storia della musica mondiale. Ed io c’ero.
Mi trovavo bene con il suo staff…belle persone…dei lavoratori, tutti grandi professionisti. Ebbi modo di fare amicizia con qualcuno di loro, il che fu per me un gran sollievo perché ebbi la dimostrazione che rispetto alla mia precedente esperienza lavorativa, non ero io ad essere asociale, ma erano le altre ad essere stronze.
Fu in quei giorni che vissi un altro momento indimenticabile.
Backstage. Durante una pausa, mentre stavo per allontanarmi dal set per andare a bere un sorso d’acqua inciampai sui fili delle luci. Mi feci un volo acrobatico e un bel bernoccolo. Caddi ai piedi di Steven, uno dei ballerini, il belloccio del gruppo. Mi venne in soccorso e con il suo solito tono da piacione buffoncello mi disse –Susie…anche tu sei caduta ai miei piedi…ma che ci faccio io alle donne…- Mi sollevò da terra e fece finta di strapparmi un bacio.
Mike osservò la scena e si avvicinò a noi con tono ironico e passo quasi caricaturale. Sembrava non essere ancora uscito dal personaggio del video. Provai una strana sensazione; avevo come l’impressione che nessuno di noi in realtà avesse mai smesso di interpretare quella scena.
-Alle altre puoi fare quello che ti pare –disse- ma giù le mani da lei- e aggiunse assumendo una delle sue deliziose pose plastiche…-Susie, are you ok?- Tutti scoppiarono in una risata fragorosa.

Con un po’ di trucco mi coprirono il bernoccolo. Finimmo di girare.
-Ok ragazzi, per oggi può bastare! Siete stati grandi! A domani…Dormite e non fate le ore piccole, non vi voglio come zombie…di quelli ne ho abbastanza…-disse Mike salutandoci.
Applauso di rito e tutti nei camerini.
Mi stavo cambiando quando bussarono e senza neanche attendere l’avanti si aprì la porta. Era lui. A quel punto mi coprii alla meglio e nell’imbarazzo reciproco –Vieni, vieni, scusami…ma…stavo quasi per finire –gli dissi- Hai bisogno di qualcosa?
-No, scusami tu…ero solo passato…ok ritorno dopo…
-No, no, ho fatto. Sono coperta –sorrisi-…Non è che poi qui ci sia tutta sta abbondanza da coprire.
Ridemmo entrambi.
-Ma dai, lo sai che no è vero…Dici così solo perché vuoi farti fare i complimenti
Si, avevo voglia di un suo complimento.
-Non vorrei essere stato troppo sfacciato prima; spero di non averti messa in imbarazzo
-Figurati, ti pare. Stavamo ridendo tutti. Avevo capito che stavi scherzando…
L’aria iniziò a diventare pesante. C’era qualcosa che non andava. Lessi sul suo volto uno strano disagio; divenne scuro in viso. Aggrottò le sopraciglia e disse –Si…ecco appunto…ero venuto proprio per dirti…cheee…era uno scherzo…insomma…solo uno scherzo.
Mi girò le spalle e se ne andò lasciando la porta aperta, quasi come se avesse sentito il desiderio irrefrenabile di scappare.
Nei due giorni di prove successivi ci salutammo appena; mi capitò un paio di volte di incrociarlo nel backstage e sistematicamente cercava di evitarmi, era imbronciato. Tentai di ignorarlo, per quanto fosse possibile che una persona con quel carisma potesse passare inosservata, ma da ragazza ero una tipetta tosta e non mi andava di essere trattata in quel modo solo perché lui era una star e io una ballerina di fila. Allora decisi di affrontarlo faccia a faccia e anche in quell’occasione ebbe modo di sorprendermi.

Cap 10
Mike era così. Un po’ criptico. Alle volte avrei tanto desiderato entrare nella sua testa per capirci qualcosa di più. Insomma, che gli avevo fatto?
Nel giro di pochi giorni era successo di tutto. Lui, uno dei più grandi cantanti del momento vuole me; mi cerca, mi trova; mi accoglie in casa sua come se fossi stata una di famiglia e poi per un nonnulla mi tiene il muso. Non ce la facevo più a tollerare quella situazione. Mi sentivo in imbarazzo. Non sapevo più come rapportarmi a lui.
Quel giorno presi coraggio. O la va o la spacca mi dissi.
Il disco era appena uscito e già aveva ricevuto una valanga di critiche. Mike era nervoso e un po’ preoccupato. Il tour stava per partire, non voleva deludere le aspettative di nessuno, soprattutto quando poi quel nessuno era il mondo intero.
Cercai di ritracciarlo tramite Jim, il suo collaboratore.
-Guarda non so se posso passartelo…qua c’è un po’ di caos. Tra mezz’ora abbiamo la conferenza stampa…insomma puoi immaginare come sta…
-Si, si certo capisco. Allora cia…
-Susie…Susie? Ci sei? –stavo per attaccare quando lui prese la cornetta del telefono e la staccò dall’orecchio di Jim- Sono io…sto venendo a prenderti. Oggi vieni con me.
Mike era anche così; se voleva una cosa se la prendeva e basta, talvolta senza nemmeno preoccuparsi di chiederti se ti andava o meno di farla. Ma ciò che più mi lasciava sconcertata era che quello che sembrava volere ero io, e non appena me ne dava un minimo segnale, anche se prima titubante, poi mi lasciavo travolgere da lui. Che mi stava succedendo?
Quando entrai in macchina mi accolse con un sguardo agitato; masticava nervosamente una gomma.
-Allora, a cosa devo questo invito?- gli dissi con fare ironico come per cogliere l’occasione per chiarirmi con lui.
-Te la senti di accompagnarmi alla conferenza stampa?
-Più che altro non so se sono la persona adatta…Che devo fare? Non ho mai partecipato ad una cosa del genere…
-Niente; non devi fare niente…anzi forse una cosa si…Stammi vicino…
I suoi occhi si fecero quasi imploranti e questa cosa mi destabilizzò profondamente. –Quanto deve essere solo quest’uomo per chiedere ad una come me, che fondamentalmente sono un’estranea, di sostenerlo in un momento difficile- pensai tra me e me mentre cercavo di evitare quello sguardo così troppo penetrante.
Bene –mi dissi- vuole che gli stia vicino…Ma in che veste?…Chi sono io per lui? E lui.. che cosa sta significando per me? Mi tormentavo di domande.
Avevo il cuore in gola.
La limousine su cui viaggiavamo imboccò una strada letteralmente invasa da giornalisti, fotografi e fan piangenti con striscioni. In quel momento capì davvero che la vita da star non era tutta rose e fiori come può sembrare dall’esterno. Hai ricchezza, agio, fama; ma forse ti manca qualcosa di importante…La serenità. Anche quando sei agitato, preoccupato, quando hai paura, non puoi darlo a vedere. Insomma tutti si aspettano da te grandi sorrisi e strette di mano, quando in realtà in quel momento vorresti sferrare cazzotti alla cieca, oppure startene rintanato in casa per fatti tuoi.
Guardò fuori dal finestrino e si mise una mano intorno alle tempie, quasi come per evitare che la testa gli scoppiasse. In quel momento non avrei voluto essere al suo posto.
La macchina accostò e prima di aprire lo sportello si rivolse a me, mi strinse forte la mano che tenevo appoggiata sul sedile e mi disse –Fammi un in bocca lupo!
Quel contatto fu una delle risposte alle mie domande.

Superata la ressa di persone riuscimmo ad entrare nella sala adibita per la conferenza stampa, dove giornalisti muniti di block notes, registratori e microfoni erano acquattati come un branco di iene inferocite pronte ad agguantare la loro preda. Venni sballottata a destra e a manca, a stento riuscivo e seguirli. Prima di prendere posto mi tirò leggermente per la maglietta, l’unico modo per cercare di recuperarci in quel caos infernale, si avvicinò e mi sussurrò all’orecchio veloce come un razzo, quasi come se avesse paura che gli altri lo sentissero, o forse che io lo sentissi- Non ti allontanare, rimani dove posso riuscire a vederti…
A quel punto restai da sola tra quella gente, io, la maglia ancora stropicciata da quelle mani, la scia del suo profumo e le ultime parole che mi rivolse
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Messaggio Da marina56 Lun Ott 17, 2011 9:20 pm

Cap 11
Il lupo era crepato.
La conferenza stampa era andata come previsto. Le solite domande insidiose; i soliti riferimenti alla vita privata, ai pettegolezzi. Mike odiava tutto questo, perché a volte la sua arte sembrava quasi passare inosservata rispetto alle stramberie che giravano sul suo conto. Questa cosa lo faceva andare in bestia e allo stesso tempo lo mortificava.
Durante tutta l’intervista me ne ero stata in disparte, in un angolino. Talvolta i nostri occhi sembravano incollarsi come due magneti. In quegli occhi vedevo voglia di fuga…e forse iniziavo a leggerci anche qualcos’altro. Cercai di regalargli i sorrisi più rasserenanti che potessi esprimere…Non sapevo cosa altro fare…Anzi forse in quel momento non sapevo proprio niente.
Ero avvolta in un limbo tiepido. Sentivo le orecchie ovattate. A tratti ebbi l’impressione che tutta quella folla chiassosa fosse sparita…Che intorno a noi ci fossimo solo noi. Noi due.

-Finalmente il calvario è finito…- disse Mike emettendo un respiro profondo
-Te la sei cavata benissimo!!! Sei stato grande!!…- esclamò Jim con voce entusiasta mentre di fretta ci dirigevamo verso la macchina.
Silenziosa, senza proferire parola, li seguivo. In quel caos nessuno di loro si era ancora accorto della mia presenza. Quando ad un tratto –Oh cavolo Jim…dov’è?...Se ne è andata?...ti prego non dirmi che è andata via…
-Ma chi? –rispose Jim confuso
-Susanna!
Era la prima volta che pronunciava il mio nome per intero e per giunta con un tono serio e accorato che non conoscevo. Del resto di lui non conoscevo ancora nulla. Sembrava agitato e preoccupato come un papà che aveva smarrito la figlia piccola in un parco giochi. Ricordo che con gli anni questo suo senso di protezione nei miei confronti è rimasto immutato. Forse perché ero lontana da casa, ero sola in un paese che non era il mio, forse perché lui è stato una delle poche cose belle che la vita mi ha riservato. Pareva sentirsi responsabile nei miei confronti.
-Sono qua…!- esclamai quasi divertita dalla sua reazione.
-Ma che fai ti nascondi? –disse voltandosi di scatto- Mi hai fatto preoccupare. Credevo di averti persa…
Allungò il braccio verso di me. Gli tesi la mano e le nostre dita si intrecciarono. Avrei voluto che il mondo si fosse fermato in quell’istante. Una morsa allo stomaco mi prese d’improvviso.
Ecco…un’altra risposta…quella definitiva.

-Ti va di mangiare qualcosa?- mi disse mentre prendevamo la strada del ritorno
-Mhmhm…veramente ho lo stomaco un po’ chiuso- risposi. Quanto era vero!
-Ok dai, prendo lo stesso due hamburger…L’appetito vien mangiando…
- Ah no guarda…di quelle schifezze ne ho abbastanza. Da quando ho messo piede in America sto per trasformarmi in un Big Mc. Ascolta, mi bastano pasta, pomodorini e un po’ di basilico…fidati ti faccio “arricreà”!
E con un’espressione ingenua e smarrita mi disse -Pasta, pomodori e basilico posso procurarmeli…Ma mi sono perso un passaggio…”Arricreà”?
Scoppiammo a ridere come dei pazzi. Ecco di nuovo comparire quel sorriso. Era tornato.
Quella sera cenammo in pigiama. Me ne diede uno dei suoi, era rosso a righe, di seta leggerissima e profumata.
–Indossalo..- mi disse sorridente –è un’usanza di casa mia…diciamo così. Sono convinto che per divertirsi e rilassarsi bisogna stare comodi.
Mangiammo seduti a terra mentre giocavamo al monopoly. Poi guardammo un film…”Neverending story”…Niente di più appropriato.
Erano le due e mezzo di notte e poco prima della fine crollò addormentato. Sentii la sua testa poggiarsi appesantita sulla mia spalla; il calore del suo respiro accarezzarmi delicatamente l’incavo del collo.
Ero pietrificata! Avevo le mani congelate.
Il cuore batteva all’impazzata come un tamburo. Avevo l’impressione che il suo suono rimbombasse nell’intera stanza…-come fa a non sentirlo e svegliarsi…-pensai…
Erano circa le tre. Tutte quelle emozioni mi avevano tramortita…ero esausta.
Quel mattino fui svegliata dall’odore del caffè e dallo scroscio della doccia; il risveglio più bello della mia vita.
Mi guardai intorno con la testa ancora appoggiata al bracciolo del divano; ero confusa. Poi realizzai. Non avevo sognato!...Era successo davvero!…-Un attimo- pensai- che è successo?
Niente; non era successo niente avevamo dormito e pure tanto. Erano le dodici.
La porta del bagno era semiaperta. Bussai.
-Posso?
-Vieni, vieni. Ho finito.
Entrai con discrezione. Aveva appena finito la doccia.
Mi accolse un vapore denso e caldo, poi comparve lui, regalandomi una dolce e audace agonia.
Un asciugamano candido gli cingeva la vita poco sotto l’ombelico dal taglio rotondo; i capelli bagnati gli coprivano parte del viso, cadevano pesanti, corvini, ondulati come di loro natura. Gettai uno sguardo ai suoi piedi; ho sempre avuto una certa fissazione quasi feticista per i piedi. Il mio primo maestro di danza diceva sempre che nei piedi dei ballerini c’è conoscenza…Nei piedi di Michael Jackson c’era l’apoteosi del sapere. Erano belli, affusolati, alla greca, di quelli con il secondo dito leggermente più lungo del primo.
Ero imbarazzata, timorosa, estasiata, felice, eccitata…
-Scusami – dissi mentre paonazza in viso indietreggiavo per uscire
-Figurati entra, adesso siamo pari no? Buongiorno…-sorrise e mi venne in mente l’episodio del camerino. In effetti aveva ragione, eravamo pari. Poi si avvicinò baciandomi la fronte.
Si rivolse allo specchio frizionandosi i capelli con l’asciugamano. Da dietro quelle spalle mi parvero le ampie spianate di una montagna, così protettive, così forti, così consapevoli. Non sembrava minimamente in imbarazzo; era come se fosse una cosa naturalissima che io entrassi nel suo bagno quando era praticamente semi nudo.
Mi sentivo le farfalle nello stomaco…10, 100, 1000 farfalle.
Io quell’uomo lo volevo…lo desideravo…e con l’incoscienza dei vent’anni seguii il mio istinto.
Mi avvicinai a lui e gli stinsi le braccia intorno alla vita. Lo abbracciai nel modo più dolce e passionale…Sentivo la sua pelle ancora umida e profumatissima sfiorarmi le guance, ma quello che sentivo non era l’odore del bagnoschiuma ma profumo di lui, profumo di uomo. I nostri sguardi si incrociarono nel riflesso dello specchio e ci guardammo per qualche secondo di eterno. Non una parola…gli occhi parlavano da sé. Si girò, sicuro ed esitante allo stesso tempo. Le sue mani grandi tra la nuca e il collo mi provocarono un brivido che mi percorse spietato e delicatamente…quasi come se avesse paura di rompermi…quasi come se io fossi di cristallo, mi baciò con passione.
L’uno nell’altra ci amammo…con ardore…con rispetto…con garbo…con vigore…Quella mattina ci amammo per la prima volta; io e lui come fossimo una cosa sola.


Cap 12
Era sera inoltrata quando rincasai, eravamo stati insieme tutto il giorno tra chiacchiere e amore. In quelle lunghe ore di spensieratezza ci raccontammo per la prima volta come non ci era mai capitato di fare. Gli parlai di me e della storia della mia famiglia, mi aprii a lui come non avevo fatto mai con nessun uomo al mondo. Fu il primo anche in questo…Eh si perché per me quel giorno fu il giorno delle prime volte. Anche se difficile da credere al giorno d’oggi, io a ventidue anni appena compiuti non avevo fatto mai l’amore con nessun ragazzo. Erano altri tempi, era gli anni ottanta e io ero una ragazza di provincia, inoltre il mio vissuto familiare mi aveva fatto sviluppare una certa ostilità nei confronti dell’altro [CENSORED] e un modo di rapportarmi ai ragazzi un po’ scostante e a volte mascolino, per cui anche se di corteggiatori ammetto di averne sempre avuti, lasciavo loro poche speranze.
Non gli dissi che per me era il primo in assoluto, ma senza dubbio i miei tremori e i miei pudori, anche i più apparentemente banali come ad esempio non scoprirmi mai il seno o evitare talvolta il suo sguardo così sicuro e così coinvolgente, gli lasciarono intendere tutto. Fu dolcissimo, premuroso, delicato, protettivo.
Quando mi trovai sola nella mia stanza d’albergo dopo aver vissuto quell’esplosione di esperienze, dovevo parlarne con qualcuno, avevo bisogno di un consiglio, di un appoggio, o semplicemente di qualcuno pronto ad ascoltarmi. Diana era la persona adatta.
Non ricordo esattamente cosa mi disse durante quella telefonata, ricordo solo che dopo quasi due o tre minuti infiniti di silenzio tirò un urlò pazzesco che mi fece saltare un timpano.
-Maròòòòòòò Susàààààà…….!!!!!!!!!!!!!!!? Ma che stai dicendo?!?!? Finalmenteeeeee…..
Finalmente? Eh si, forse aveva ragione, ma non perché fossi riuscita a portarmi a letto Michael Jackson, ma perché avevo superato la mia omofobia in generale. Quanto meno non lo avevo preso a sberle come in passato mi era capitato con qualche povero sfortunato. Volle sapere tutti i particolari, aimè anche i più imbarazzanti; su questi argomenti si divertiva come una matta a mettermi in imbarazzo. Confesso che non fu facile dare delle risposte alle sue domande, più che altro perché esigeva quasi spiegazioni tecniche che non sarei mai stata capace di darle soprattutto perché non avevo fino ad allora nessuna altra esperienza per fare un confronto. A me andava bene tutto quello che era successo così come era successo. La chiacchierata fu lunga, ma dopo qualche sforzo riuscì a farla entrare nell’ottica in cui Mike era un ragazzo di ventotto anni che come tutti i ragazzi di ventotto anni aveva due braccia, due gambe, due occhi, una bocca, un…e uno solo…e basta. Tutto era normale e tutto era al suo posto. Lei lo immaginava come un super eroe venuto dal futuro dai poteri paranormali; mi dispiacque quasi deludere le sue aspettative, ma la verità era quella e non c’era niente di più straordinario.
-Dai Susà… mi vuoi far credere che fare l’amore con lui e stato come farlo con…che ne so…con… Gino il figlio del salumiere? Ma jà…non ci credo proprio.- mi disse lei incredula.
-Se sei innamorata di Gino il figlio del salumiere si, può essere la stessa cosa. Insomma Mike è un ragazzo normale.…nel senso…ha le sue debolezze…i suoi pregi, i suoi difetti…
-Ok mi fido…Basta che sei felice tesò, per il resto mi va bene tutto, anche il presidente della Repubblica…
-Nooooooo…Cossiga noooooo!!!
Tra preoccupazioni, confessioni e consigli, quella telefonata si concluse con una delle nostre risate, quelle che solo due amiche come noi si sapevano fare. Anche quella volta la mia adorata Diana aveva condiviso con me questo momento a decine di ore di aereo di distanza.
Quella sera mi addormentai felice come non mi capitava da anni.
La mattina dopo mi chiamò mia madre. Quando le risposi al telefono quasi mi sentii in colpa per non averle telefonato la sera prima. Il mio primo pensiero non fu lei, ma non perché non le volessi bene o non la pensassi, ma perché certe cose alla mamma non le potevo dire, ero riservata. Il nostro rapporto era un po’ così, io scappavo, partivo, tornavo, dando per scontato che lei ci fosse sempre, e lei infatti c’era sempre stata in ogni momento di bisogno, sempre pronta a confortarmi e coccolarmi come quando ero bambina. Era una madre attenta, presente, affettuosa, premurosa, era la madre migliore del mondo. E io la davo per scontato.
Non la sentivo dalla mattina del mio compleanno. Dovevo dirle tutto; doveva sapere che la mia vita era cambiata nel giro di qualche giorno; doveva sapere che le favole esistono davvero e che sogni possono realizzarsi.
-Mamma?
-Susanna! Tesoro di mamma…! Ma che fine hai fatto? È da una settimana che sei sparita. Ma perché mi fai stare sempre in pensiero?
La sua voce…La sua voce aveva qualcosa di strano. Era flebile ed affaticata.
-Mamma ma non ti senti bene? Tutto ok? Dimmi la verità!- le chiesi preoccupata. Qualcosa non andava pensai, ma forse era solo il senso di colpa della sera prima.
-Tutto apposto…è stanchezza. Ma piuttosto tu, che hai combinato?
-Mamma sono innamorata…
Le raccontai tutto, le mie sensazioni; i miei dubbi, tutto. Le parole uscivano come un fiume in piena. Ero al settimo cielo.
Le parlai del tour che stava per partire; avrei accompagnato Mike in questa avventura in giro per il mondo, un avventura grande quanto 15 nazioni e lunga 123 concerti.
Mia madre ascoltò in silenzio prima di intervenire. Aspettò che tutte le mie parole si esaurissero.
Quello che mi disse non era esattamente quello che mi aspettavo. Nonostante tutte le batoste che avesse preso nella sua vita, in fondo la ricordavo una sognatrice, un’ inguaribile romantica…
-Susanna…fai attenzione. Non fare il passo più lungo della gamba. Non commettere i miei stessi errori. Quello non è un ragazzo come gli altri, non è il “guagliuncello” del quartiere…Quello là sta in alto…
-No mamma, ti giuro, non è come credi. Non è come lo descrivono i giornali e le televisioni. È uno vero, uno genuino che desidera cose semplici…che…
-Amore mio, fai quello che ti dice il cuore. Però ricorda, non buttare mai via i tuoi progetti, non annullare i tuoi desideri per assecondare le sue esigenze a tutti i costi…Rimani te stessa e tieni i piedi per terra.
Quelle parole pronunciate quasi con afflizione e affanno mi destarono qualche preoccupazione e placarono i miei impulsi da adolescente. La sentivo diversa. Non la sentivo lei.
Preoccupazioni da mamma pensai.
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Messaggio Da marina56 Lun Ott 17, 2011 9:21 pm

Cap 13
Gennaio 1989.
Allo Sports Arena di Los Angeles si concluse un’impresa titanica che in totale contava quasi quattro milioni e mezzo di spettatori in tutto il mondo. Mai nessun artista prima d’ora aveva toccato cifre del genere.
Furono mesi grandi; in tutti i sensi. Grande fu il lavoro, grande la fatica, grande il divertimento, grande la passione…Lui fu un GRANDE!
Prima dell’inizio di ogni concerto avevamo un piccolo rituale. Niente in bocca al lupo o cose del genere. Mi dava un bacio sulla fronte e io gli dicevo –Divertiti!.
Mi rispondeva con un occhiolino e correva via dal suo pubblico, dai suoi fan, dalla sua ragione di vita. Una volta in aereo mentre ci spostavamo da un continente all’altro, mi disse che quello che riceveva dal suo pubblico era assai più prezioso di ciò che offriva.
-Del resto offro loro solo musica- disse con un tono che faceva trasparire quasi un velo di senso di colpa- loro invece danno senso alla mia arte…e io vivo anche grazie alla mia arte…
-E a me invece?- esclamai con una vocina infantile, come una bimba che invidia la sorellina con la bambola più bella della sua-…a me che mi dai?
-A te do l’uomo, non l’artista…Attenzione però…-disse sorridendo come fosse un avvertimento- l’uomo è molto più noioso…
L’uomo e l’artista, scinderli era quasi un’impresa epica. Ma non perché nella quotidianità fosse come quando si esibiva, anzi sulla scena della vita reale non era quel mostro da palcoscenico sicuro e perfetto che appariva al pubblico, era un uomo con le sue debolezze, ma allo stesso tempo era lo stesso uomo che migliaia di donne in tutto il mondo desiderava. Accettare in maniera matura e professionale questa cosa non fu facile, lo devo ammettere, perché in fondo ero solo una ragazzetta sprovveduta nata con la danza nel sangue; e se questo era sufficiente a rendermi una ballerina del corpo di ballo di Michael Jackson non sempre lo era a rendermi la donna di Michael Jackson. Durante il tour assistetti a centinaia di bagni di folla che lo vedevano risucchiato da mani e braccia strepitanti, e la prima volta che accadde fu una esperienza quasi agghiacciante. Ricordo che prima di conoscerlo, in tv avevano mandato talvolta delle immagini come quelle, ma ciò che vidi in Giappone fu il delirio.
Eravamo appena arrivati e già una nidiata di ragazze svenevoli era appostata sotto il nostro albergo. Viaggiavo su di un’altra macchina che seguiva quella su cui invece si trovavano lui e i suoi collaboratori. Lo vidi scendere con quel sorriso che faceva accapponare la pelle e dopo qualche secondo era già sepolto sotto quella bufera di ormoni impazziti con gli occhi a mandorla. Le guardie del corpo dovettero intervenire energicamente per cercare di sottrarre Mike da quelle mani, tanto voraci da strappargli addirittura la camicia. Io ero distante ed osservavo quella scena come una spettatrice incredula. Mi feci spazio in quella folla intrufolandomi in mezzo a ragazze che piangevano disperatamente, che svenivano, che si strappavano i capelli, una gli lanciò addirittura un paio di slip…cose folli. Tutto ciò mi fece riflettere-Che c’entro io in tutto questo? Come potrò accettare di dover dividere l’uomo che amo con il resto del mondo? Sarà mai mio veramente?
Intanto cercavo di avvicinarmi all’ingresso dell’albergo; ero quasi vicina a lui ma ad ogni passo venivo trascinata dietro da spintoni e gomitate. Fu allora che capì quanto potesse essere difficile stare con un uomo come Michael Jackson.
Durante quei mesi decidemmo di non voler rendere ancora pubblica la nostra storia, quasi come se sentissimo il dovere di proteggerla dal resto del mondo. Non volevamo che venisse inghiottita dai tabloid e dai paparazzi.
Ci amavamo perché stare insieme sembrava la cosa più naturale del mondo. Noi due eravamo il nostro rifugio segreto, lontano dallo stress del lavoro, dei viaggi, delle pretese di tutti.
Avevamo sviluppato un’abilità a sgattaiolare via dalla confusione e da occhi indiscreti; quanto più era difficile e rischioso, tanto più ci provavamo gusto.
Quando ci capitava di provare in presenza degli altri qualche coreografia in cui dovevamo avere un contatto erano cavoli amari. Era una fatica dover contenere ogni minimo sfioramento, anche una sola occhiata ci faceva scattare la scintilla; tuttavia questo a livello scenico offriva uno spettacolo pazzesco.
Durante la tappa newyorkese del tour avevo la febbre a trentotto e mezzo, non riuscivo a stare in piedi per cui pensammo di sostituirmi in uno dei pezzi, quello che prevedeva che io camminassi sul palco ancheggiando con una minigonna inguinale e che lui mi seguisse. Tutto era stato organizzato per l’occasione, quando poco primo dell’inizio dello spettacolo Mike annunciò un cambio di programma. Venne a bussarmi in camerino.
-Signorina stasera passeggi con me…- mi disse sbucando da dietro la porta.
-Si vede che stai stressato, non ti ricordi più le cose. Già abbiamo provveduto alla sostituzione, non ti preoccupare filerà tutto liscio come sempre.
-No Susie, non esiste! Io quel pezzo lo voglio fare con te, insomma ha senso solo se lo faccio con te, è più vero, viene meglio…Dai…
-Mike ma è lo stesso su. Ho la testa in fiamme. Meglio che mi riposo quei cinque minuti, è per il bene dello spettacolo. Non lo faccio certo per pigrizia, ho un febbrone. E poi Tracy va benissimo lo hai detto anche tu ieri.
-Si ma poi ci ho ripensato. Tu sei tu…Ho deciso...sono il capo no?- mi disse divertito facendomi un occhiolino.
-Ma dai che cambia, anche lei è una professionista e poi non mi sembra corretto nei suoi confronti dato che è già stata avvisata.
-Non farla tanto lunga dai, non se la prenderà. Io voglio te su quel palco, quindi vedi tu come vuoi metterla. E poi ti dimostrerò che non sarà la stessa cosa…vedrai…
Non mi diede il tempo di rispondere. Andò via di corsa. Ma infondo ero tranquillissima, credevo di sapere cosa mi aspettasse e invece mi sbagliavo. Quell’uomo mi sorprese per l’ennesima volta. Ammetto che accompagnarlo in quel brano mi divertiva da matti, per cui messo piede sul palco ogni decimo di febbre era svanito. Tutto stava andando come il previsto, ci avvicinavamo, ci allontanavamo, mi sfiorava, mi strusciavo come da copione, ma quella volta mi prese alla sprovvista con una bella improvvisata che fece scalpore; mi stampo un bacio sulle labbra. L’episodio fece imbestialire il suo manager, il quale si irritò molto poiché non era stato avvisato di questo cambio di programma che comunque avrebbe inciso parecchio sull’immagine pubblica di Mike, che fino ad allora non aveva mai baciato nessuna su un palco. Ci fu anche una leggera discussione tra i due, che Mike troncò subito dicendo che quella era solo una cosa per fare scena, niente di più. Confesso che ci rimasi un pochino male, ma incassai il colpo e ci passai su, non mi andava di creargli altri problemi.
Tuttavia l’accaduto fece insospettire i membri dello staff, i cui pettegolezzi vennero alimentati anche da un altro episodio avvenuto sempre in quei mesi.
Mike di natura era un tipo passionale e alle volte anche un po’ gelosetto, ma detestava quando glielo facevo notare e cercava in ogni modo di non darlo a vedere, pur lanciandomi continue frecciatine ogni qualvolta con un mio comportamento toccavo questo nervo scoperto. A me questa cosa non dispiaceva affatto, noi italiani siamo “carnali” come si dice dalle mie parti, ma adoravo stuzzicarlo su quest’argomento.
Una sera durante il tour terminammo tardissimo le prove. Generalmente eravamo abituati a vederci non appena finivamo di lavorare, quando ognuno tornava in albergo nella propria stanza, ma quella volta lui mi disse che era stanchissimo ed aveva bisogno di farsi una dormita. Non obiettai ovviamente, Mike si dava da fare tutto il giorno ed era comprensibile che la sera fosse stanco morto. Tuttavia io mi sentivo ancora in forma, avevo voglia di fare un giretto, del resto ci trovavamo a Melbourne e l’Australia era da sempre stata il sogno della mia vita, non potevo trovarmi lì e rimanere in albergo. Ricevetti un gentile invito da uno dei ragazzi del corpo di ballo, Fritz, era viennese, un giovanotto dolce e dai modi gentili che stimavo tanto come ballerino; mi stava simpatico, ma niente di che, figurarsi…Comunque quella sera andammo in un locale a bere qualcosa e a svagarci un po’ e tra un bicchiere ed una parola si fece tardissimo; erano le tre e mezza quando rientrammo in albergo. La mia camera si trovava sullo stesso piano di quella di Mike, cosa che capitava raramente; i membri dello staff venivano sistemati sempre su di un altro piano o in un’altra zona dell’albergo, ma per me venne fatta un eccezione, il che già fece insospettire parecchi. Per non dare troppo nell’occhio Mike fece in modo che anche la costumista venisse messa nella stanza accanto alla mia.
Una volta rientrati, Fritz si offrì di accompagnarmi fino alla mia stanza e rimanemmo lì fuori seduti a terra a chiacchierare per un altro po’. Fin qui niente di strano se non fosse stato per il fatto che eravamo completamente ubriachi e stavamo facendo un [CENSORED] bestiale. Tra risate incontrollate, spintoni e scemenze varie svegliammo l’intero piano, anzi in realtà svegliammo una delle due uniche persone che dormivano su quel piano, quella sbagliata. Dopo circa una mezz’ora di baccano una porta si spalancò impetuosa.
-Ma che diamine sta succedendo qua fuori?!?!- era Mike che evidentemente alterato si era scaraventato come una furia nel corridoio. Non è mai stato un tipo particolarmente collerico, tuttavia quelli furono per lui mesi molto faticosi e stressanti sia a livello fisico che psicologico, era teso come una corda di violino e sentiva proprio il bisogno di dormire, cosa che di per sé non gli riusciva mai facile. Ci guardò sorpreso con gli occhi sgranati.
-Bene…a quanto pare mentre io cerco disperatamente di prendere sonno dopo una giornata piena come quella di oggi, c’è qualcuno che ha la forza, il tempo e la “compagnia” per andarsi a divertire…Bravi, bravi, non c’è che dire!- Pronunciò quelle parole con tono amaro e deluso e rientrò nella sua stanza sbattendo la porta. Mi sentivo un lurido vermicello strisciante. Insomma sapevo quanto fosse stanco e teso in quel periodo, sapevo che aveva difficoltà a dormire e come una stupida mi sono messa fuori alla sua stanza con quel tipo a fare la scema. Ero terribilmente mortificata. Andai a letto tutta stordita; mi aspettava una mattinata di mal di testa atroce, ma prima di coricarmi mi ripromisi che il giorno seguente gli avrei chiesto scusa. Come sempre Mike era un uomo imprevedibile e la mattina dopo me ne diede l’ennesima prova. Dopo quello che era successo la sera mi sarei aspettata un musone lungo e tanta indifferenza e invece…
Erano le sei e mezza.
-Bum! Bum! Bum! Bum!-un rumore assordante mi fece sobbalzare dal letto.
-Ma chi è a quest’oraaa! Ma vi pare il modo di bussare ad una porta alle sei di mattina!?!?- urlai totalmente rincoglionita, nel tentativo di fermare la stanza che girava e mentre con difficoltà cercavo di alzarmi.
Aprii la porta con uno scatto nervoso.
-Ben svegliata cara!...che visetto disteso che hai, si vede che hai riposato bene stanotte…- mi disse Mike con tono ironico ed una faccia da schiaffi, poggiato allo stipite della porta.
Rimasi per un attimo imbambolata senza dire una parola, del resto avevo intenzione di scusarmi con lui, ero io che stavo in torto, ma quel suo atteggiamento mi fece irritare.
-Allora ti sei divertita con il bamboccio di ieri sera?...Ah… complimenti vedo e sento che ti sei data pure all’alcool, puzzi come una bottiglia di Martini!- sbottò con tono acido.
Mi stavo innervosendo, adesso stava calcando un po’ troppo la mano.
-Non ti pare che la stai facendo un pochino lunga Mike?...sembri un siciliano degli anni ’50…datti una calmata…- gli risposi con aria di sufficienza mentre mi spostavo per farlo entrare. Ci mancava solo che facesse una ennesima scenata nel corridoio.
-Che avete fatto?Dove siete andati?Ti ha baciata?...dimmelo se ti ha baciata, lo devo sapere…Anzi non me lo dire…non mi interessa…- disse ansiosamente tappandosi le orecchie.
-Ma sei impazzito!!!- sbarrai gli occhi e alzai la voce- Oh ma per chi mi hai preso??? Ma che credi che vado con il primo tizio che mi capita davanti…Ma guarda te se per andarmi a prendere una birra devo passare pure per una poco di buono...
Gli diedi le spalle, mi aveva offesa. Già mi sentivo mortificata, però da qua ad essere presa per una mignotta solo per una uscita di qualche ora mi pareva troppo.
-Ma che credi, che questa per me è una vacanza? Anche io sono stressata, anche io ho bisogno di svagarmi un po’, anche io sono giovane Michael…E che diamine a volte sembri mio nonno…
Quella fu la parola chiave. Ci guardammo negli occhi con l’espressione di chi non ha più voglia di litigare e scoppiammo a ridere come due bambini. In effetti non è che la parola nonno facesse così ridere, ma quella frase aveva spezzato l’atmosfera di tensione e poi avevamo entrambi voglia di fare pace. A modo nostro.
-Vieni qui su…-Mi disse avvicinando la mia testa al suo petto- per oggi basta litigare…Scusa se ho esagerato, ma quando ti ho visto con quello a ridere e scherzare mi sembravi davvero felice. Ho avuto paura Susie, perché so che starmi vicino è difficile, so che non potrò darti quella quotidianità di cui hai bisogno; ho paura di dirti quello che provo veramente, ho paura di dirti che io ormai sento che…si …insomma si…lo sento forte dentro Susie…
Rimasi in silenzio, immobile; non volevo che una mia parola o un mio gesto potesse suggerirgli quello che volevo lui dicesse spontaneamente. Lo guardai solo, esitante, in attesa di sentirgli pronunciare quella frase…
-…che Ti Amo…come mai nessuno al mondo…come mai nella mia vita…come…
Era arrivato il momento, non avevo bisogno di sentire altro. Poggiai l’indice sulle sue labbra per dare tregua a quell’affanno di cuori e parole. Un bacio concluse quel dolce tormento.

Cap 14

Insomma tra litigi e riappacificazioni non fu facile gestire la nostra storia in quella situazione, ma anche quello faceva parte del gioco e lo sapevamo fin dall’inizio. A volte sembravamo due ragazzini quindicenni che si sbaciucchiano di nascosto dai genitori…Di questo avevamo bisogno; lui più di me.
Era bambino quando iniziò a solcare i primi palchi; non visse infanzia, né gioco, né adolescenza.
-Sei la mia giovinezza spensierata- mi disse una sera nella penombra della mia camera d’albergo- tu sei quello che avrei sempre desiderato e che mi è stato strappato…Sei la mia piccola ragazza normale…
Quando mi chiamava così mi abbracciava forte forte quasi da farmi mancare il respiro…
-Te ne andrai Susie…?- mi chiedeva come timoroso di sentire la risposta- te ne andrai via da me?
-No Mike…
-Voglio che tu mi dica che è per sempre…Susie…
-Sarà per sempre…Te lo giuro…- ci credevo davvero, ci ho sempre creduto.
Adorava venirmi a svegliare la mattina, anche perché sono una dormigliona e quindi ho sempre bisogno di essere buttata giù dal letto. Una volta mi portò anche la colazione in camera; non me lo aspettavo.
-Sorpresa!!!- disse allegro quando aprii la porta ancora assonnata.
Presi il vassoio e ci andammo a sedere sul letto e mentre sorseggiavo il succo d’arancia che mi aveva portato si mise alle mi spalle.
-Che fai Mike?- gli chiesi ingenuamente.
-Schhhhh…-mi sussurrò all’orecchio come per invitarmi al silenzio.
Spostò i miei capelli su di un lato e delicatamente iniziò a baciarmi il collo.
-Che intenzioni hai Mike?- gli dissi meno ingenuamente.
-Schhhh…
Prese dalla tasca un foulard e mi coprì gli occhi. Poco dopo senti qualcosa di leggermente freddo cingermi il collo.
-Ecco, adesso puoi guardare…-mi disse compiaciuto.
Un ciondolo stupendo… Un cuore incorniciato di diamanti luccicantissimi. Dietro c’era inciso qualcosa, lo girai…”Per sempre…29 agosto 1987” .
-Ma perché Mike?…-gli chiesi sorpresa. Non avevo mai posseduto un gioiello così prezioso né tantomeno nessuno mi aveva mai fatto un regalo con così tanto amore.
-Perché te lo meriti…Perché sei tu…- mi rispose placido.
Ci tenne a spiegarmi il significato di quella data. Non era semplicemente il giorno del nostro compleanno. Mi disse che quella in realtà era la data che segnava il momento in cui aveva capito di aver trovato una persona speciale. Ricordai quella torta a forma di Italia, il mio imbarazzo, il batticuore…per me quel giorno aveva avuto lo stesso medesimo significato. Lo ribattezzammo il “Nostro Anniversario Di Vita”.
Lo accompagnai verso la porta, ma sembrava non volesse andare via.
-Dai Mike fammi preparare, è tardi…
Sorrise a mezza bocca. Faceva finta di opporre resistenza…e poi…faceva quegli occhi…lo sapeva che quegli occhi…
-La smetti…su…non fare lo scemo è tardissimooo…-facevo finta si respingerlo, tanto lo sapevo come andava a finire; non vedevo l’ora che andasse a finire…
-Dai…solo cinque minuti…- mi disse ironicamente con le mani congiunte come per pregarmi-…e poi lo merito anche io un regalo no?
-Ma sono ancora in pigiama…
Con un leggero colpo spinse la porta ancora socchiusa, mi prese in braccio…
-Facciamo prima…-disse.
Mi lanciò sul letto facendo quasi rimbalzare il materasso.
-Addirittura tutto questo ardore…?- gli dissi maliziosa mentre lentamente si avvicinava con uno sguardo che lasciava poco all’immaginazione.
-Signorina, ma qualcuno te lo ha mai detto che sono un cattivone?- rispose con voce impostata e un sorriso eloquente.
-Beh negli ultimi mesi in giro non si parla d’altro- gli feci spiritosa e allusiva- ma sai com’è, se non vedo non credo…
Lentamente indietreggiavo, mi piaceva questo gioco di sguardi e di movimenti e sapevo che lui adorava rincorrermi per poi farmi cedere alle nostre voglie.
-Piccola non mi istigare…potrei essere pericoloso…
Scesi dall’altro capo del letto mentre lui si avvicinava lento lento.
-Uuuhhh che paura…e che mi faresti…?-lo stuzzicavo e lui si faceva stuzzicare.
Con un abbraccio sicuro e deciso mi cinse le spalle da dietro, ero un fremito.
-Potrei cominciare col mangiarti…a partire da qui…
morse leggermente il lobo dell’orecchio…
-…per poi passare qui…
e sentii i suoi denti sfiorarmi umidi e avidi il collo…
-…e ancora qui…
poi la spalla…
Quel dolce divorarmi mi procurò un solletico irresistibile e tra risate e pelle d’oca mi piegai a terra. Distesa supina con i gomiti poggiati sulla moquette lo tenevo di fronte, bello e maestoso come un Apollo musagete. Con delicatezza mi sfilò il pantalone del pigiama. In effetti aveva ragione, facevamo prima. Avevo le gambe nude e l’emozione mi fece rabbrividire quasi al punto di tremare. Mi sfiorò leggermente la coscia ed ebbi come l’istinto di serrare le ginocchia, forse ancora per qualche ingenuo residuo di pudicizia, forse perché mi piaceva l’idea di opporre una maliziosa resistenza, o forse perché quella volta mi andava di vederlo un po’ “cattivo”. Ma poi mi bastò cogliere nelle sue mani l’ardore con cui si aprì la camicia e leggere nel suo sguardo il desiderio fisico di noi, che mi concessi estasiata a quella sublime invasione.
Il resto fu amore.

Il ritorno a casa fu trionfante.
Nel giro di pochi mesi lo accompagnai a decine di premiazioni. Voleva che fossi sempre presente. Diceva che quei premi erano anche un po’ miei perché in quei due anni gli avevo donato la serenità, la sicurezza, il rispetto e la sollecitudine che gli avevano permesso di fare un buon lavoro. Sinceramente non ricordavo di aver fatto tutto questo; era così naturale per me darmi a lui con tutta me stessa. Non desideravo nessun premio, nessun riconoscimento; la sua felicità era per me la più grande ricompensa.
Ma quelli non furono solo anni di successo.
Il tour fu stressantissimo. Talvolta si sentiva abbattuto per qualche critica di troppo; fuori forma; fisicamente stremato.
Il suo perfezionismo era alle volte deleterio più che migliorativo. Quando era troppo sotto pressione perdeva di lucidità, vedeva tutto storto, e in quei momenti cercavo di stargli vicino come potevo. Spesso e volentieri discutevamo perché talvolta era irascibile, mi rispondeva sgarbatamente nonostante i miei sforzi di comprenderlo. Ma non mi lasciavo piegare, piuttosto lo lasciavo sbraitare da solo e me ne andavo. Su questo ero intransigente,non mi facevo mettere i piedi intesta da nessuno, almeno allora.
Mantieni i piedi per terra…rimani sempre te stessa…
Le parole di mia madre in quei momenti mi risuonavano nella mente, sentenziose.
Ma nonostante tutto quell’uomo trovava sempre il modo di farsi perdonare e non necessariamente con cose eclatanti e regali costosi, sebbene per quelle cose fosse sempre stato portato, ma anche con la semplicità, con la sincerità. Sapeva chiedere scusa e quando lo faceva gli dicevo- Ecco! È tornato il mio piccolo grande uomo normale…
Quella frase dopo ogni litigio era il segno che pace era stata fatta e allora ci lasciavamo prendere dalle coccole. In quelle occasioni ricordo che amava molto accarezzarmi i capelli e massaggiarmi delicatamente le tempie e così appoggiandomi a lui lasciavo che mi sfiorasse con le sue lunghe dita affusolate, che in maniera sapiente mi intrecciavano capelli e pensieri.
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Messaggio Da marina56 Lun Ott 17, 2011 9:22 pm

Cap 15
-Mike è tutto pronto…gli invitati saranno qui tra meno di un’ora-disse Jim, sommerso sotto una valanga di fogli, inviti, agende e quant’altro
Mike aveva organizzato una cena con tutti i membri dello staff per festeggiare il successo.
Quella sera c’erano tutti, ma proprio tutti.
Con i suoi collaboratori mi trovavo bene, ma era con le collaboratrici e seguito che avevo qualche problemino. Anche io ero un tipo geloso ma a differenza sua lo riconoscevo e di certo non mi facevo problemi a mostrarlo in pubblico. Quella sera gliene diedi la dimostrazione.
Per amore suo e perché in fondo all’inizio mi stava bene anche a me, avevo rinunciato a vivere la nostra storia alla luce del sole. Fu uno sforzo sovraumano. Non ero abituata a questo tipo di cose.
Ma adesso che il tour era finito e che potevamo prenderci un momento di relax, non vedevo più ragione alcuna di tenere nascosto il nostro amore. Due anni di latitanza erano sufficienti.
Era costantemente circondato da galline in calore che cercavano di portarselo a letto con una costanza e una devozione quasi ammirevole. E lui, senza essere mai andato oltre, glielo devo riconoscere, aveva quei modi per sua natura gentili, galanti e disponibili che facevano credere ad ogni donna che lei fosse quella della sua vita. Questa cosa mi irritava maledettamente.
Rachel, una bionda tettona alta un metro e cinquanta, con dei grandi occhi a palla color nocciola e un viso squadrato, era l’addetta alle pubbliche relazioni…non c’è che dire quel ruolo le calzava a pennello. Adorava Mike e lo idolatrava come un Dio in terra. Talvolta rasentava il ridicolo. Pendeva dalle sue labbra e annuiva come una rincretinita ad ogni sua parola; insomma se lo sarebbe mangiato.
Sebbene cercassimo di non dare nell’occhio ormai i membri dello staff si erano accorti di me e Mike, delle nostre improvvise sparizioni. Rachel fu la prima. E quanto più se ne rendeva conto, tanto più faceva la cretina. Mi odiava e mi sfidava. Fino ad allora c’ero stata alle sue provocazioni, la cosa quasi mi divertita, ma ora basta. Più di una volta avevamo discusso del caso “Rachel la tettona” come la chiamavo io, forse anche con una puntina di invidia dato che io da ballerina non sono mai stata prosperosissima. Appena aprivo l’argomento lui mi prendeva in giro fino allo sfinimento. –Ah e sarei io il siciliano degli anni cinquanta?...-mi diceva ironico- lasciala stare e fidati di me. Ma in realtà io di lui mi fidavo, era lei che mi preoccupava. Poi però alla fine la mettevamo sul ridere e tutto finiva lì. Ma quella volta, un po’ perché avevo accumulato lo stress di tutti quei mesi di viaggi, un po’ perché nella mia testa ogni tanto frullavano idee nefaste riguardo il mio non essere all’altezza di stare con lui, sta di fatto che raggiunsi il massimo livello di saturazione. Ero una bomba ad orologeria.
Ovviamente quella sera, a tavola, Rachel si piazzò tra me e lui. C’era da aspettarselo.
All’inizio la lasciai fare, non volevo fare innervosire Mike con le mie battutine taglienti che di solito accompagnavano ogni occasione di incontro con lei. I miei propositi quella sera erano dei migliori ma poi iniziò ad esagerare un po’ troppo per i miei gusti…E la mano sulla spalla, e l’occhietto languido, e gli sfiora il viso con una carezza, e gli mette una mano fra i capelli…
Che cosa???!!!E no eh; ti stai allargando bella…-pensai tormentandomi le unghie.
Mike era visibilmente imbarazzato per via dell’eccessiva vicinanza di quella scollatura con latteria annessa che Rachel sapientemente gli sventolava sotto il naso; cercava il mio sguardo come per dire “Vedi, sta facendo tutto lei…”, sguardo che puntualmente evitavo facendogli cogliere tutto il mo fastidio.
–Mike ti passo il pane? Mike ti prendo questo? Mike ti prendo quello. Mike stasera sei più bello del solito. Mike…- Quella vocina stridula la odiavo. E basta!!!!La cosa stava diventando di cattivo gusto, dovevo darci un taglio.
Vuoi la guerra?...E guerra avrai, brutta stronzetta…- dissi tra me e me inviperita.
I miei occhi emanavano fiamme. Mike sapeva quanto fossi teatrale in ogni mia manifestazione emotiva, sia positiva che negativa e mi conosceva quando ero arrabbiata. Ed in quel momento arrabbiata era un eufemismo.
Rachel indossava un vestitino di lana color panna, piuttosto scollato, che non lasciava nulla all’immaginazione.
Rosso e panna sono un bell’abbinamento- pensai maligna. Feci per allungarmi e versarmi del vino quando…”del tutto inavvertitamente” le rovesciai l’intera bottiglia addosso.
Mike sbarrò gli occhi. Immaginava che nella mia testolina stesse frullando vendetta, ma non credeva che arrivassi a tanto. Non davanti a tutti.
-Uh quanto mi dispiace...-le dissi con un sarcasmo senza pari
Lei mi lanciò un’occhiataccia.
-Vado in cucina a prendere qualcosa per asciugare a terra…
Mi alzai soddisfatta.
Mike mi seguì a ruota.
-Ma ti sei rimbecillita?- mi disse alterato e sbattendo la porta alle sue spalle.
Senza neanche voltarmi, mentre frugavo nei cassetti in cerca di uno strofinaccio –Ce l’hai con me?- dissi…
-La smetti di fare la stupida? Lo so bene che lo hai fatto apposta. Ma ti pare il modo di affrontare le cose questo? Sembri una ragazzina…-disse con aria di sufficienza.
La pressione mi stava salendo alle stelle. Mi girai di scatto.
-Bene “Mr. Ho Vinto Tutti I Grammy Di Questa Terra” , adesso la ragazzina sai che fa? Va di là e dice all’intera tavolata in convivio che è stanca di nascondersi e che da due anni sta con un uomo che quasi sembra vergognarsi di dire che la ama e che stanno insieme. Sempre se la ama ancora…-esclamai tagliente.
-Ah …addirittura stiamo a questo punto. Ma lo sai che tu non hai capito proprio un bel niente? Se non me la sento di rendere la cosa pubblica a mezzo mondo, perché lo sai che non si tratta di chiacchiere di quartiere ma di giornali, paparazzate e schifezze del genere su scala mondiale, lo sai vero? È perché volevo proteggerci, volevo che il nostro rapporto rimanesse una oasi incontaminata…lontana da tutti…dove…
-Terra chiama Michael, terra chiama Michael…!!!- dissi con ironia ed una puntina di acidità- Ma dove credi di vivere? Mike non puoi nasconderti in eterno; non puoi scappare dalla realtà solo perché ti fa paura. La vita va affrontata, cazzo! E poi stiamo parlando di AMORE!- dissi con voce sospirante spalancando le braccia- Il sentimento più antico e bello dell’universo. Ma perché nascondere la propria felicità…perché non…
-Perché la cattiveria e l’invidia distruggono ogni cosa…
-Mike ma non siamo in un film dove i buoni combattono contro i cattivi e alla fine il bene trionfa. Questa è vita vera…la vita vera è fatta anche di questo; non è chiudendoti in un mondo finto, nascosto dove tutto sembra perfetto che là fuori cambieranno le cose. Le persone che parleranno male di te ci saranno sempre; è lo show biz Mike, è il prezzo che devi pagare per essere l’uomo più famoso al mondo degli ultimi venti anni…Facevi l’impiegato se non ti andava di stare sulla bocca di tutti, non la pop star…
-Ma non capisci che la gente non ha rispetto; è ingorda di pettegolezzi…di…
-Ma perché vedi sempre o tutto bianco o tutto nero? Il mondo è fatto di sfumature e tra quelle sfumature ci sono le persone che ti amano e che ti vogliono bene. Non costringerle alla segregazione…permetti a queste persone di amarti alla luce del sole. Permettimi di amarti alla luce del sole…
La discussione stava degenerando. Dopo circa tre quarti d’ora di lite accesa abbassammo i toni, ma l’amarezza rimaneva…
-Dai, Susie, ne parliamo con calma più tardi…quando se ne vanno via tutti…non è il momento…dai…-disse aprendo leggermente la porta della cucina come per invitarmi a tornare a tavola. –Eccolo, sta scappando di nuovo…- pensai.
-Tutti…tutti…tutti…!!!! Ne ho abbastanza…E noi?…noi invece?…Sai che ti dico, stasera stai con “tutti”…io me ne vado, scusami ma non sono dello spirito giusto.
Veloce come un razzo attraversai la sala da pranzo, gli sguardi degli invitati mi seguirono perplessi; presi la borsa e il soprabito e me ne andai.
Quello fu solo l’inizio degli anni più difficili della mia vita.

Cap 16
Mi sentivo uno schifo e la mia testa era un frullatore impazzito di pensieri ambivalenti.
Ma perché ogni volta che litighiamo così mi sento in colpa? perché alla fine di ogni discussione lui si trasforma, e dopo aver alzato un po’ la voce diventa quel bimbo triste dagli occhi smarriti? perché mi sento così male? Sono io la vera causa dei suoi problemi, sono una sciacquetta egocentrica che non capisce un cazzo. Lo voglio tutto per me, voglio che dica al mondo che mi ama, voglio essere al centro dei suoi pensieri, voglio voglio, voglio….Sono una schifosa egoista. Ma forse no…forse lo amo così tanto che sento il bisogno di dirlo all’universo, forse lo sento così mio che il solo pensiero che qualcuno me lo possa strappare via mi uccide. Forse vorrei solo poterlo amare senza restrizioni, poter uscire con lui la sera, mangiare un gelato al parco, fare acquisti a Natale, portarlo in Italia a conoscere la mia famiglia. Forse non sono capace di rapportarmi a lui e al suo essere uno e mille allo stesso tempo, sicuro e deciso nel lavoro, poliedrico e comunicatore sul palco, ardente e puerile in amore, timido, riservato e timoroso con il resto del mondo. Come possono tutte queste cose concentrarsi in un’unica persona. Forse per me è troppo speciale. Forse, forse, forse…Forse ho preteso troppo dalla vita. Ma la realtà è che quando ti innamori di quel sorriso pulito, di quegli occhi figli della terra, dell’odore speziato dei suoi capelli, quando conosci a memoria ogni centimetro del suo corpo, quando impari dove soffre di più il solletico e come si lava i denti, quando ti diverti a preparargli la cena e piegargli le camicie, è allora che capisci veramente che se anche non ci fossero stati riflettori, concerti mondiali, premi e miliardi di dollari, quel sorriso, quegli occhi, quei capelli, quel corpo…sarebbero esistiti lo stesso e tu quel ragazzo lo avresti amato comunque.
Quanto più cercavo di razionalizzare la questione tanto più mi sentivo male; era come se dopo una lenta agonia arrivassi a comprendere che forse non potevamo stare insieme e che in realtà io quell’uomo non lo avevo mai capito E saliva ancora di più il senso di colpa e lo sdegno verso me stessa e l’incapacità di apprezzare che io, Susanna De Matteo, ero la ragazza più fortunata dell’intero pianeta perché stavo con Michael Jackson, la più grande star di tutti i tempi. Ma ecco, ancora una volta mi stavo sbagliando. L’unica cosa che proprio non potevo rimproverarmi della nostra relazione era il fatto di averlo trattato ed idolatrato per il suo essere il re indiscusso della musica; lui con me voleva sentirsi vero, reale, con i suoi pregi e i suoi difetti e con le difficoltà che lo stare insieme poteva comportare. E forse era proprio quel realismo a portarmelo via e a sbattermi in faccia che una come me infondo con uno come lui non ci poteva stare, in una lotta titanica tra ciò che lui rappresentava per il mondo intero e le esigenze di una piccola ragazza normale.
Stavo male, mi rigiravo freneticamente nel letto- quell’uomo mi ha così assorbito da trasmettermi anche la sua insonnia- pensai. Intorno a me aleggiava un’aria soffocante. Sentivo le pareti della stanza restringersi ed espandersi freneticamente. Ero avvolta in uno stato di ansia tale da farmi accelerare il battito cardiaco. Non immaginavo che Mike fosse capace di suscitare in me reazioni psicosomatiche di tale incidenza. Dopo circa due ore Morfeo si abbatté pesante e tormentato sulle mie palpebre.
-Mamma mamma voglio una coperta…
Era buio e mia madre teneva per mano me bambina mentre camminavamo nei vicoli del centro storico di Napoli. Le strade erano deserte e si sentiva solo il rumore dei nostri passi. Era inverno però indossavamo degli abiti leggeri per cui sentivo molto freddo.
-Non ce l’ho, mi dispiace. Ormai non è più compito mio occuparmi di te. D’ora in poi non farò altro che accompagnarti silenziosa.
-Ma come mamma? Ho bisogno di te, non sono ancora pronta…
-Non è colpa mia gioia di mamma, è il morbo che lo vuole…
Ad un tratto un braccio sbuca dal buio di un cancello. La tira, la strattona. Cerco di afferrarla, faccio resistenza, ma non sono abbastanza forte. Quella morsa la tira violenta verso le inferriate, le fa sbattere la testa, le fa male.
-Mamma non ce la faccio…mammaaaaaa…aiutatemiiiii vi pregoooooo!!!!!!
-E’ il morbo tesoro mio…è il morbo che lo vuole…è il morbo che lo vuole…è il morbo che lo vuole…
Squillò il telefono. Alzai violentemente la testa dal cuscino. Ero in un bagno di sudore. Per fortuna era un incubo. Era passato. Non esisteva. Ma allora perché mi sentivo ancora soffocare? Perché le braccia mi facevano così male? Perché avevo il terrore di aver perso qualcosa?
Al quarto, quinto squillò realizzai che dovevo rispondere.
-Susanna?
Riconoscevo quella cadenza. Cadenza di casa mia…Era Riccardo, mio fratello.
-Riccà? Che è stato?-...Mi preoccupai…Iniziai ad agitarmi; qualcosa mi diceva che…qualcosa…
-Mamma...mamm…Mamma è morta Susà!
Mamma è morta.
Mamma è morta.
Mamma è morta….
…è il morbo che lo vuole…
…è il morbo che lo vuole…
…è il morbo che lo vuole…
La cornetta mi cadde dalle mani. Respiravo affannosamente. Mi dondolavo in maniera compulsiva, la testa mi pulsava…
Come dopo un terremoto, una valanga, uno tsunami. Solo macerie…così mi sentivo dentro.
Il dolore più grande della mia vita.
Piansi al punto da strapparmi gli occhi; urlai di sofferenza perdendo completamente la voce…non ero più niente.
Chiamai Mike e gli dissi che l’indomani sarei partita con il primo volo per l’Italia per dare l’ultimo eterno saluto alla donna più importante della mia intera vita.
All’aereoporto riconobbi Jim. Accanto a lui appoggiato alla macchina e nascosto da occhiali scuri, berretto e sciarpa fin sotto gli occhi c’era lui. Si era imbacuccato per passare inosservato. Tanto era gennaio, faceva un freddo cane, nessuno ci avrebbe fatto caso. Per l’ennesima volta si era nascosto. Ma sapevo, quella volta avevo davvero capito…
Quel suo nascondersi aveva il sapore di rispetto, non voleva che anche il mio dolore, il dolore più grande che una figlia possa provare, diventasse una questione di gossip.
Gli corsi incontro gettando le valigie per l’aria. Mi accolse in un abbraccio amorevole. Si tolse gli occhiali, mi guardò intensamente e scoppiammo in lacrime.
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Messaggio Da marina56 Lun Ott 17, 2011 9:23 pm

Cap 17
Dopo la morte di mia madre rimasi in Italia per circa due anni. Avevo bisogno di stare a casa, con la mia famiglia. Eravamo tutti devastati dal dolore ed avevamo bisogno del reciproco conforto per poter andare avanti ed imparare a convivere con la sua ingombrante assenza. Non fu facile.
Un cancro al seno in poco tempo me la portò via a quarantasei anni. Ero tormentata dai sensi di colpa perché sentivo che nel momento del bisogno non le ero stata vicina, non ero stata presente per sostenerla nelle sue sofferenze. Un’egoista presa dalla carriera, dai viaggi…; questo fui e non me lo perdonerò mai.
Solo la nascita di mio nipote Giulio, un mese dopo il lutto, ci regalò un po’ di serenità. Giulio era un regalo di mamma dal cielo. Lo sapevamo tutti.
In quei due anni io e Mike non perdemmo mai i contatti, ma quelle incomprensioni rimaste sospese, la lontananza, la sua vita che continuava a correre a velocità tripla rispetto alla mia, fecero il resto.
Nonostante tutto rimanemmo dei punti fermi e dei pilastri irremovibili l’uno per l’altra. L’affetto reciproco era intenso, forte, insormontabile, anche se forse all’epoca ci sembrò non essere più amore di coppia ma profondo legame fraterno. In realtà ci sentivamo sporadicamente, ma quando accadeva le nostre conversazioni diventavano vere e proprie spremute d’anima; la sua sola voce era per me una terapia rigenerante.
Era il 26 novembre 1991. Lo chiamai non appena seppi del’uscita in Italia del suo ultimo capolavoro discografico. Fu allora che mi propose ti tornare in America per lavorare con lui per la preparazione del prossimo tour. All’inizio fui titubante; cercò di convincermi dicendo che mi avrebbe fatto bene riprendere a lavorare e che mia madre avrebbe voluto vedermi felice. Ma sono certa che non mi fece quell’offerta solo per risollevarmi il morale; stimava profondamente il mio lavoro quanto io stimavo il suo e la nostra non fu solo una stupenda amicizia, ma anche una preziosa e continua occasione di arricchimento professionale.
Non gli diedi subito una risposta, avevo bisogno di rifletterci su. Nei parlai con la mia famiglia e tutti ne furono entusiasti, a quel punto decisi di accettare perchè quella poteva essere una stupenda occasione per ricominciare a lavorare e forse anche per riprendere la nostra storia da dove l’avevamo lasciata. Ma in realtà avevo un po’ paura di me stessa e delle mie reazioni di fronte ad una situazione così troppo simile a quel passato in cui io e Mike eravamo più che semplici amici; qualcosa mi diceva che le cose erano cambiate ma lo stesso ci sperai fino alla fine. Perché c’eravamo lasciati? Mah…una risposta concreta non l’avevo neanche io e quel difficile momento familiare fece passare i miei perché in secondo piano, mi sentivo quasi in colpa ogni qual volta nella mia mente aleggiava veloce qualche interrogativo malefico del tipo “Ma secondo te state ancora insieme?”. Mi mancava il coraggio di affrontare l’argomento, per lui fu lo stesso e alla fine lasciammo che quel che era rimasto del nostro amore venisse inesorabilmente inghiottito dall’implicito.
Ora che mi apprestavo a rimettere piede in terra americana mi tremavano letteralmente le gambe e questa cosa mi destabilizzava.
Quelli che seguirono furono per noi anni di grandi cambiamenti; eravamo cresciuti, probabilmente eravamo diversi rispetto a quando ci conoscemmo, o molto più probabilmente queste furono le uniche giustificazioni che seppi darmi dinanzi al fatto che lui non mi guardava più con gli occhi di prima.
Prima che partissi mi chiamò dicendomi che avrebbe fatto trovare una limousine in aereoporto al mio arrivo e che per il resto si sarebbe occupato di tutto lui. Quelle parole mi lasciarono perplessa, speranzosa ed emozionata.
Le porte scorrevoli si aprirono al passaggio del mio carrello con i bagagli e non appena vidi l’auto mi prese un fuoco alla bocca dello stomaco. Mi sentivo una ragazzina stupida…
Perché prendere una limousine se poi dentro quella macchina dovevo starci solo io? Nessuno c’era lì ad attendermi a parte l’autista, che per quanto fosse una persona simpatica non era proprio colui che desideravo incontrare; venni accolta da un bigliettino solitario poggiato sul sedile che diceva “Anche se non ci sarò per alcuni giorni, vieni a stare da me. Quando torno vorrei trovarti a casa…Bentornata, Michael”. Ci rimasi male. Speravo in un ritorno trionfante, lui che mi accoglieva con amore, noi due pronti ad essere quelli di una volta come se quei due anni non fossero passati. Mi sbagliavo di grosso.
L’attesa del suo ritorno fu un misto di strazio, gioia e confusione. Insomma cosa eravamo adesso? Come avrei dovuto salutarlo? Un bacio, un abbraccio, un ? Mi sembrava di vivere una situazione surreale, e il nostro incontro non fece che alimentare la mia confusione.
Sapevo che sarebbe rientrato nel pomeriggio. Andai a fare shopping per acquistare qualcosa di carino tanto per rendermi presentabile. Infondo non ero poi così diversa da come mi aveva lasciata a parte un paio di chiletti in più e i capelli un tantino più corti, ma avevo tanta voglia di piacergli. Ebbene si, le cose erano davvero cambiate, qualche anno prima non mi sarei fatta questo tipo di problemi perché ero certa di piacergli sempre.
Erano le diciassette e trenta, tra meno di mezz’ora sarebbe ritornato. Durante quell’attesa fantasticai su come potesse essere il nostro incontro dopo tanto tempo…
… una cenetta intima a lume di candela…
…lui che mi bacia…
…io che mi perdo nelle sue braccia avvolgenti…
…noi che…
Un vocio insistente mi distolse bruscamente da quel mondo sognante. Un brulichio di persone e di passi smuoveva il selciato; mi avvicinai alla finestra e guardai fuori. Tre macchine avevano appena parcheggiato nel viale mentre scendevano una, due, tre, quattro, cinque…ma quanta gente ci sta?- pensai mentre nella mia mente si sbiadiva lento il quadretto idilliaco che mi ero costruita. E lui…? Dov’è lui..?
Eccolo!...
Fu l’ultimo a scendere e lentamente si avvicinò all’ingresso intrattenendosi ogni tanto a scambiare qualche parola con uno di quei dieci tizi che l accompagnavano.
Giacca scura, cappello, pantaloni attillati…
Quella camminata…
Lo avrei riconosciuto tra un milione di persone. Lo prendevo spesso in giro per quel suo particolare modo di oscillare a destra e a sinistra quando incedeva sicuro.
Le mani iniziarono a sudare.
Salivazione azzerata.
Il cuore…va bè quello me lo ero giocato da un pezzo.
Dopo tutta quell’attesa non vedevo l’ora di riabbracciarlo.
Mi scaraventai alla porta. Aprii.
Spalancai l’uscio con un sorriso che mi circumnavigava il viso e venni accolta da una serie di occhi sconosciuti che risposero con cordiali buona sera, salve, e quant’altro a quell’ apoteosi di denti con fossetta sulla guancia annessa. Non li guardai nemmeno; mi feci largo tra loro per raggiungere Mike poco distante che di spalle stava parlando con una persona.
Mi avvicinai lentamente così che non si accorgesse di me, e arrivata dietro di lui gli coprii con le mani gli occhi.
Interruppe bruscamente la sua conversazione.
Mi tastò mani e polsi.
-Finalmente sei tornata!-esclamò, e voltandosi mi abbracciò calorosamente baciandomi una guancia.
Mi cinse le spalle con il suo braccio ed entrammo in casa con tutto quel seguito di persone che non avevo ancora ben identificato.
Quella sera non ci fu nessuna cenetta romantica o chiacchierata in intimità, tutt’altro. Come bentornato mi aspettava una vera e propria riunione di lavoro. Eh si perché tutti quei signori non erano altro che gli organizzatori e parte dello staff che lo avrebbe accompagnato nel tour che lo aspettava, anzi che ci aspettava.
Arrivati in casa procedette con le presentazioni.
-Ragazzi questa è Susie…una mia carissima amica italiana. È stata via per un po’ ma adesso è tornata per darci una mano con il tour…Susie per me è fondamentale, è stata il mio portafortuna e quindi non poteva non accompagnarmi anche in questa avventura e sono certo che anche voi tutti vi troverete benissimo a lavorare con lei- Non mi diede il tempo di dire una parole, fece tutto da solo, era un fiume in piena. Devo dire che però mi sponsorizzò in maniera ineccepibile.
- E’ una grande ballerina con un curriculum fenomenale; viene dalla danza classica, balletto russo, brodway, poi ha già lavorato con me…insomma sta ragazza è un talento e ci tenevo a presentarvela.
Uno di quei signori intervenne.
- Quindi Mike vuoi farci credere che oltre ad essere così bella è anche brava?- esclamò in modo ironico tra le risatine dei presenti.
Mike si girò verso di me; con una mano si strofinò il mento inclinando un po’ la testa, guardandomi come fossi un quadro appeso alla parete, di quelli che hai in casa da tanto tempo ma che non ti soffermi mai ad osservare.
-Eh si…è bella Susie, lo so che è bella…lo avevo quasi dimenticato…
Buttò lì quella frase con una leggerezza che mi lasciò inebetita. Il Mike che ricordavo io non avrebbe mai fatto certi espliciti apprezzamenti su di me in pubblico, non si sarebbe mai esposto così tanto; arrossendo avrebbe glissato su quella considerazione per evitare di dare nell’occhio, per proteggere quello che c’era tra di noi da sospetti e pettegolezzi. Ma quella naturalezza la diceva lunga sul fatto che ormai non c’era più niente da proteggere e tenere nascosto, o meglio non c’era più niente.
Rimasi senza fiato. Chiunque al mio posto sarebbe stata al settimo cielo, io invece mi sentivo sprofondare.
In quel momento compresi la realtà dei fatti. Tutto era cambiato. La sua “piccola ragazza normale”, la sua “giovinezza spensierata” ormai era solo una “carissima amica italiana” di cui aveva dimenticato la bellezza, mentre io, povera illusa, di lui ricordavo ancora tutto.



CAP 18
Non per questo ci allontanammo, anzi. Mi feci forza e cercai di affrontare quell’ennesima batosta. Se l’unico modo per stargli vicino era essere una sua carissima amica lo avrei fatto, era il male minore. Non avevo scelta dal momento che il pensiero di stargli lontana mi procurava una sofferenza che in quel momento non mi sentivo di sopportare, e così mio malgrado decisi di indossare quei panni che a lungo mi calzarono stretti.
I primi anni furono i più duri ma allo stesso tempo anche i più felici, perché compresi che la mia vicinanza lo faceva stare bene e a quel punto fui anche pronta a sacrificare il mio amore.
L’ingenuità e la spensieratezza con cui mi confidava i suoi pensieri più intimi mi lasciavano esterrefatta. Quello era davvero un bambino vestito da uomo, senza malizia, senza cattiveria. Ingenuo e spietato come solo i bambini sanno essere. E per questo lo odiavo e lo adoravo.
-Tu per me sei più di un’amica Susie- mi disse una sera facendomi balzare il cuore in gola-…Si ti può sembrare strano quello che sto per dirti, ma io lo penso sul serio…-continuò ridacchiando.
Non capivo dove volesse arrivare…
-…Tu per me non sei nemmeno una sorella Susie…
E più andava avanti meno capivo…
-…tu sei un vero amicO...- sbarrai gli occhi-… si Susie hai capito bene…cioè io con te posso parlare di tutto tutto, pure di cose che ad una amica donna non diresti mai…Per questo sei speciale, specialissima. Sei bella e materna come solo una donna sa essere, ma sei anche genuina, spontanea e a volte un po’ scurrile come uno scaricatore di porto…
A quel punto misi da parte le mie pretese romantiche da donzella svenevole e non riuscii a trattenermi dal ridere.
- Mike mi stai elegantemente dicendo che sono una “terrona” come si dice da me…
-Eh…non lo so come si dice da te…ma se si dice così allora tu sei la mia “terrona”!
Il tempo e gli altri uomini mi aiutarono a sopportare meglio questo nuovo ruolo nella sua vita; riuscì a conoscere di lui cose che non pensavo esistessero, e se questo era il prezzo da pagare per scoprire le parti più belle e profonde di quel tesoro di persona che era Michael Jackson, non mi pento di averlo pagato.
Quelli forse furono i nostri anni più veri, nel senso che non vivevamo più tutta quella pressione mediatica su di noi, lui era più sereno.
Almeno fino al 1993.
Quello fu l’inizio del suo calvario. Una via crucis giudiziaria durata anni, che lo vide accusato di aver commesso nefandezze che mai la sua mente sarebbe stata in grado di partorire.
Processi, arresti, accuse, e ancora processi. Quello che accadde in quel periodo, aimè è storia pubblica, ma quello che ci fu realmente dietro il caos mediatico è per me storia di vita.
Gli stetti vicino senza riserve, a differenza di tanti che si predicavano amici e che gli voltarono le spalle, e a differenza di tanti altri feci tutto lontano dai riflettori, dalle interviste, dalla televisione. Lo rispettai, come lui mi aveva sempre rispettata anche quando stavamo insieme, anche quando non ero abbastanza matura per comprendere i suoi bisogni, forse per mio egoismo, o forse perché lo amavo troppo.
Passavamo nottate intere a parlare. Aveva bisogno di sfogarsi, di urlare, di piangere; e quanto ha urlato, quanto ha pianto. Cercavo di tirarlo su di morale, di farlo sorridere. Volevo dimostrargli che poteva ancora essere felice e che chi lo amava davvero non lo avrebbe mai abbandonato.
Il giorno del nostro compleanno del ’94 gli preparai una sorpresa.
Non si sentiva dell’umore adatto per fare festeggiamenti, ma quel giorno non poteva passare inosservato…Era o non era il “Nostro Anniversario Di Vita”?
Avevo le chiavi di casa sua e con la complicità di Jim feci in modo che stesse via per un paio d’ore, giusto il tempo di organizzarmi. Niente mega festa eclatante; niente striscioni, né centinaia di invitati, caviale e champagne. Il menu della serata prevedeva: trionfo di vecchi ricordi su una cascata di spaghetti al pomodoro fresco con contorno di pigiama e monopoly, ed infine per dessert cassetta di “Neverending story”.
Quando arrivò era tutto pronto. Fuori la porta di ingresso attaccai un post-it con su scritto a matita ”Per sempre…29 agosto 1987”.
Quella sera ci divertimmo da pazzi, ne avevamo entrambi un grande bisogno. Ci mettemmo a ballare nel salotto sfidandoci a colpi di passi di danza. Quando facevamo queste gare eravamo capaci di passare delle ore a ballare senza mai fermarci. Ognuno di noi a turno faceva dei passi, i più belli e virtuosistici che riuscisse a fare, cercando di battere la performance dell’avversario. Devo dire che sono sempre stata un tipo ambizioso…sfidare Michael Jackson…beh non è proprio una cosetta semplice semplice. Ci divertivamo un mondo ma poi in realtà ci impegnavamo sul serio; e pensare che da serate come quella sono nati alcuni dei suoi passi più belli, gli stessi che hanno fatto impazzire di gioia intere generazioni e che hanno fatto la storia dell’intrattenimento musicale di tutti i tempi. A volte non potevo trattenermi dal fermarmi a guardarlo. Lui, nello spazio compreso tra due divani, con indosso solo un pigiama ed un paio di calzini rigorosamente bianchi ai piedi, era capace di regalarmi dolorosi ed eccitanti momenti di spettacolo, pura estasi anche con un solo movimento della testa. Quando si accorgeva del mio sguardo insistente e rapito dalla genialità che quel corpo era capace di creare, si fermava.
-Susieee…così no…mi imbarazzi, lo sai- mi diceva con quella voce che suonava come una nenia e che mi faceva dimenticare la sua vera età- …riprendo solo se ti muovi anche tu…altrimentiii…niente.
E allora si piantava davanti a me con le braccia conserte in attesa che muovessi un piede o un braccio. Ricominciavo a ballare mentre nella mia mente cercavo di escogitare il modo per poterlo guardare di nuovo senza che se ne accorgesse.
In momenti come quelli ho dubitato che quell’uomo fosse di questo pianeta, che esistesse davvero e che Dio mi avesse fatto il dono di stargli vicino in quel preciso istante.
Facevamo delle specie di “gemellaggi” tra la mia danza e la sua; ognuno doveva insegnare uno dei suoi passi all’altro. Imparò le posizioni principali della danza classica e addirittura i port de bras. Guardarlo mentre cercava di tenere in piedi in quinta posizione mi fece per una settimana. Modestamente posso dire che per il moonwalk sono sempre stata portata. La prima volta che gli mostrai come lo avevo imparato dopo averglielo visto fare centinaia e centinaia di volte in prova e in scena, mi disse ridendo
-Ragazza non ti azzardare a farlo in pubblico. Vorrai mica rubarmi il mestiere? Io con il moonwalk ci campo…
Quella sera parlammo del passato, delle stupidaggini che facevamo insieme, delle nostre risate, di quando uscimmo entrambi travestiti da clown in giro per Los Angeles. Ricordo che lui ha sempre amato questo tipo di cose, sia perché gli permettevano di andare in giro senza essere riconosciuto sia perché in realtà si divertiva come un matto. Spesso lo aiutavo a truccarsi nelle maniere più assurde, con ombretti e pennelli sono sempre stata brava ed essendo cresciuta in teatro amavo il trucco di scena e conoscevo le astuzie del mestiere. Di solito lo aiutavo solo a prepararsi, ma quella volta mi convinse ad accompagnarlo bardata in maniera a dir poco ridicola.
-E dai…ma perché ti devi sempre far pregare….Solo stavolta…su!Ti metti una cosetta semplice non tanto vistosa- mi disse prendendo in mano con una faccetta ironica un orrendo vestito lungo con pailette fuxia ed un grande fiore arancione al centro. Mi sono sempre chiesta dove andasse a pescare quei cosi.
-Mike lo sai che non mi va…Ma poi chi cavolo mi deve riconoscere fammi capire?
-Scusa io sono vestito da pagliaccio e tu avresti il coraggio di far uscire il dolce sig. pagliaccio senza la sua bella mogliettina? Sei proprio crudele!
-Ooooooooookkkkkk…Però, abbi pazienza, se devo conciarmi in quel modo lo voglio fare con le mie mani…
-Ma non ci penso nemmeno…!!!Mi vuoi togliere la parte più bella…?Da qua sta roba…me la vedo io- mi rispose ridacchiando.
Mi riempì la testa di codini e fiocchi, mi disegnò con il rossetto due labbroni enormi e sugli occhi si sbizzarrì con i colori più sgargianti. Ah ovviamente non poteva mancare il naso rosso. Ebbene si abbiamo avuto il coraggio di uscire in quel modo e aimè non fu l’unica volta.
Me ne combinava di tutti i colori, ma le volte peggiori erano quelle in cui dava inizio alla battaglia con l’acqua. Lì non ce ne era per nessuno. Facevamo delle squadre con amici e parenti che frequentavano casa sua, ovviamente io stavo sempre in quella avversaria e ci scontravamo con pistole, palloncini e secchi. Non di rado capitava che mi accogliesse in casa facendomi dei “gavettoni di benvenuto” come li chiamava lui, e per questo lasciavo spesso da lui un paio di jeans e una t-shirt di ricambio perché sistematicamente mi capitava di trascorrere i miei pomeriggi bagnata fradicia.
Insomma, dopo la rispolverata di bei momenti eravamo stremati di chiacchiere e proprio come i vecchi tempi crollammo tramortiti sul divano. Poco prima che il sonno quella notte ci coprisse con la sua coperta, mi guardò esausto ma tranquillo e mi disse - Susie…Dio ha deciso che tu sia il mio angelo…
Almeno per quella sera evitai che prendesse delle porcherie per dormire.
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Messaggio Da marina56 Lun Ott 17, 2011 9:24 pm

CAP 19
Ben presto mi toccò fare i conti con il fatto che purtroppo io non potevo rimanere l’unica donna della sua vita.
Sopravvissi quasi indenne per anni alle costanti dicerie sulle sue presunte storie con tipe ricche e famose, ma il suo primo matrimonio fu una mazzata tra capo e collo.
Era il maggio del 1994; mi trovavo in Italia per un breve soggiorno di una settimana in occasione del compleanno del mio nipotino quando ricevetti quella telefonata. Era Mike che a bruciapelo mi disse che il giorno seguente si sarebbe sposato. Per poco non mi venne un infarto.
Sposato? E me lo dice il giorno prima? Non sapevo cosa pensare. Adesso le cose si facevano complicate; per quanto io gli potessi stare vicino una moglie è una moglie, dovevo accettarlo.
Quelli furono anni pesantissimi per lui, che resero il suo carattere ancora più difficile e il suo comportamento ancora più imprevedibile infatti ci allontanammo e ci riavvicinammo parecchie volte in quel periodo. Alle volte mi faceva incazzare come una bestia, ma poi mi trattenevo dal fare delle discussioni perché sapevo che cosa stava passando e volevo solo essergli d’aiuto e non di intralcio nella sua vita. Trascorse dei periodi di totale isolamento, voleva stare lontano da tutto e da tutti, con la mortificazione come sola compagnia.
Non condivisi parecchie sue scelte di quel periodo, tra cui quella del matrimonio che mi sembrò azzardata, frettolosa e quasi dettata obbligatoriamente dal fatto che poiché lei era la figlia di un defunto mito della musica doveva per forza stare insieme a lui che era un mito della musica vivente. Se non c’è amore non ci si deve sposare e sono convinta che non si amassero. Conoscevo sulla mia pelle il Mike innamorato e sono certa che non fosse quello.
Ma come può una che ha divorziato da qualche mese dopo un matrimonio in cui sono nati anche dei figli, risposarsi così. In questo sono all’antica e sono meridionale in tutto e per tutto, certe cose non le ho mai concepite e Mike sapeva come la pensavo sull’argomento. Era questo il reale motivo per cui non mi disse niente del matrimonio fino al giorno prima.
Lei poi non la tolleravo proprio. Questo fu un altro motivo.
Bella quanto antipatica; finta, anaffettiva e costruita. Così la etichettai in occasione di una nostra discussione accesa, proprio il giorno in cui Mike me la presentò. Come inizio della nostra conoscenza non fu dei migliori.
Pranzammo insieme e a tavola si aprì tutta una questione riguardo le proprie origini e le tradizioni del mio paese. La signorina “sono nata nella bambagia” storse il naso un paio di volte di fronte a delle mie considerazioni, il che mi fece scoppiare come una pentola a pressione. Alzai i tacchi e me ne andai. Mike mi seguì e tentò di convincermi a tornare a tavola, per la qual cosa ebbe anche da ridire con lei. Mi scusai per la mia impulsività che lui conosceva così tanto bene. Lo salutai con un “ci sentiamo”, ma non avrei mai immaginato che mi avrebbe chiamata per darmi quella notizia.
Ebbene, io a quel matrimonio non andai, non ce la potevo fare ad assistere a quella scena.
In quel periodo, nel rispetto di Mike e del suo rapporto con quella donna, tentai di non essere mai eccessivamente invadente e cercai di starmene per conto mio, lontano da lui ma soprattutto lontano da lei, innanzitutto perché non volevo dare ulteriore adito a voci che giravano tra alcuni membri della sua famiglia secondo cui io lo plagiavo e lo raggiravo a mio piacimento, e poi perché non mi andava di pressarlo. Infondo ormai ero solo una cara amica e sulle sue scelte sentimentali non potevo mettere bocca. Ma a questo provvide la madre.
Lei e Janet erano le uniche persone della famiglia di Mike con le quali avevo dei rapporti più stretti e confidenziali.
Una sera io e Katherine assistemmo ad una discussione telefonica tra Mike e la neo-sposa. Non comprendemmo il motivo della litigata, tuttavia lui apparve particolarmente infastidito e chiuse la comunicazione sbuffando ed imprecando.
-Lo dicevo io che quella donna non me la conta giusta…Non va bene per te Mike, non ce la vedo proprio…-intervenne la madre con tono rassegnato al termine della telefonata.
-Mamma per favore…e finiscila con questa storia! Mi stressi ancora di più di quanto non lo sia già…
-Dai Mike, non la prendere a male…tua madre sta solo dicendo la sua, non rispondere così…Ognuno è libero di pensarla come vuole. Io in merito mi avvalgo della facoltà di non rispondere…-intervenni cercando di placare gli animi.
-Ecco i rinforziii! …Lo so, lo so bene come la pensi…non c’è bisogno che aggiungi altro e che contribuisca anche tu a farmi incazzare…-mi rispose lui infastidito.
-Questa ragazza parla bene Mike. Ha sempre la parola giusta al momento giusto, lei si che ha il senso della famiglia, delle cose di casa... Ma dico io, ma perché non ti sei sposato lei, ormai sono anni che vi conoscete e che vi volete bene, state sempre insieme, lavorate insieme. Mi facevate pure un nipotino ed eravamo tutti più contenti.
A quel punto divenni rossa come un peperone e calò il silenzio nella stanza. Io e Mike ci guardammo in un lungo momento di complicità e sorridemmo imbarazzati.
Dovevo uscire da quella impasse e come mio solito non trovai modo migliore per farlo che incasinare ancora di più la situazione. Tentai di metterla sull’ironico.
- Katherine, sa qual è la questione? Suo figlio non mi vuole perché dice che sono uno scaricatore di porto…
-Dice questo? – rispose lei non cogliendo il mio tentativo di fare una battuta- Maleducato, irriverente. Questo ti ho insegnato?...Susie…ascolta i consigli di una che ne sa più di te; lascialo stare quello lì, non capisce niente. Si vede che non ci sono più gli uomini di un tempo. Ma non vede che sei bella come un fiore?
Sorrisi e guardai Mike facendogli una linguaccia. Lui mi ricambiò allo stesso modo.


CAP 20
Nel 1995 conobbi il più grande errore della mia vita, Patrick Clifford.
Era un pezzo grosso della finanza, proprietario di una grande azienda cosmetica londinese che mi venne presentato in occasione di un ricevimento organizzato dall’etichetta discografica di Mike alla luce della campagna promozionale del suo prossimo disco.
Aveva venti anni più di me; era un tipo spigliato, sicuro di sé, sempre con la battuta pronta. Un bell’uomo, di quelli che migliorano con l’età. Mi invaghì del suo fascino maturo, della sua sicurezza, mi trasmetteva protezione. Era quel qualcosa che credevo mi servisse per colmare il vuoto che sentivo dentro.
Il mio ritorno in America fino a quel momento era stato un continuo dare, dare, dare. Una punizione che mi ero inferta per non aver saputo apprezzare al momento opportuno le cose belle che la vita mi aveva regalato, quelle cose che si chiamavano mamma e Mike. Gli sono stata accanto combattendo ogni giorno contro quella maschera che mi era stata imposta di indossare, che Mike mi aveva imposto; quella dell’amica sincera sempre pronta a dargli dei consigli che fossero quanto più possibile disinteressati, pronta ad ascoltare con il sorriso sulle labbra persino i suoi apprezzamenti maschili su qualche donna che gli interessava, quella che in mondovisione aveva dovuto assistere ad un bacio, che per quanto potesse essere stato programmato o quant’altro era sempre un bacio, e quelle labbra di certo non erano più le mie.
Mike era una parte di me, gli avrei dato tutto e gli davo tutto, ma decisi che continuare a rincorrerlo non mi sarebbe servito a niente. Mi voleva bene si, questo me lo ha sempre ripetuto, ma evidentemente non mi amava. Ormai non ero più una ragazzina, dovevo imparare ad accettare la realtà dei fatti, era ora che mi costruissi una vita mia, lontana dal ricordo di quello che eravamo.
Patrick Clifford sembrò essere la soluzione ai miei problemi.
Mi aggiravo curiosa in quella enorme sala per ricevimenti. C’era gente famosa, donne bellissime, manager, produttori, star della musica, della moda, del cinema. Erano anni ormai che frequentavo quell’ambiente ma non mi ci ero ancora abituata. Mi sentivo sempre inadatta, fuori luogo, ma non perché fossi insicura di me, ma perché la realtà in cui ero cresciuta era così tanto diversa da quella in cui mi trovavo. Anche se indossavo gioielli, abiti firmati, scarpe costose, dentro rimanevo sempre una ragazzetta di quartiere, e questa cosa non la rinnegavo anzi la adoravo.
Nelle pubbliche relazioni me la cavavo sufficientemente bene, ma di certo non erano il mio pezzo forte. Sono un libro aperto e se qualcuno non mi va a genio me lo si legge in faccia. Per evitare di fare danni, quella sera mi limitai ad osservare gli invitati e a passeggiare solitaria.
-Mi meraviglio che nessuno si sia accorto che una bellissima donna si aggira tutta sola stasera. È senza cavaliere madame?- Una voce profonda mi fece bloccare d’improvviso.
Un uomo alto, di bell’aspetto, sulla cinquantina. Capelli brizzolati, occhi glaciali che facevano quasi paura; era sua quella voce.
-Salve signorina, se non la disturbo mi piacerebbe scambiare qualche parola con lei, mi chiamo Patrick- aggiunse quell’uomo con un sorriso accattivante.
-Diamoci del tu…mi chiamo Susanna…sono un’amica di Michael- sorrisi.
-Piacere di conoscerti Susanna…questo nome mi sa di Italia, ma i tuoi tratti somatici mi dicono invece…
- Eh…diciamo che la storia è complessa- lo interruppi- Mia madre era italiana e mio padre per metà italiano e per metà afro-americano…
- A quanto pare il mix è riuscito alla perfezione direi…sei bellissima, complimenti.
Se solo dieci anni prima qualcuno mi avesse detto quelle stesse cose, con quel tono e con quella sfacciataggine si sarebbe preso un cazzotto in faccia, ma quell’uomo aveva qualcosa di magnetico e la sua sicurezza non mi infastidiva per nulla. Mi lasciai lusingare.
Dopo circa un quarto d’ora di chiacchiere varie fummo interrotti bruscamente.
Tra la folla sbucò Mike, che senza neanche badare al fatto che stessi parlando con quell’uomo entrò nel discorso.
- Ehi Susie allora…? Dimmi un po’…che ne pensi? Come sta andando?...
Gli lanciai uno sguardo perplesso e un po’ infastidito che fece intendere il mio imbarazzo per quell’interruzione fuori luogo. Per la prima volta quella sera mi stavo divertendo, da sola. Per la prima volta dopo tanto tempo ebbi la sensazione di essere uscita dall’ombra e di essere apprezzata; in quel momento la spavalderia e la sicurezza con cui quell’uomo mi riempiva di complimenti parvero risollevare un po’ la mia autostima, ormai da qualche anno mortificata da un amore non più corrisposto. Insomma sentivo di meritarli quegli apprezzamenti e volevo prendermeli tutti. Poi Mike intervenne, e di nuovo indossai inesorabilmente quell’ombra.
-Allora ti chiami Susie…ma perché questo nomignolo? Non si addice ad una donna elegante come te…Susanna è molto meglio non trovi?- disse Patrick sorridendo
- No…non trova. Susie è stupendo e poi vale solo per gli amici…- ribatté Mike, con un tono acido che mi fece sobbalzare. Insomma, ma che diavolo di risposta era quella. Ormai da un po’ mi sembrava di non capirlo più.
-Converrà con me Mr. Jackson che non è il nome ad essere stupendo, bensì colei che lo porta…-rispose Patrick sfiorandomi delicatamente il dorso della mano con le labbra.
-Si si, convengo, convengo…-rispose Mike infastidito.
Quella situazione stava diventando ridicola e pesante, dovevo fare qualcosa.
-Da oggi chiamami pure Susie, Patrick.- aggiunsi, mentre cercando di non farmi vedere tirai un pizzicotto a Mike dietro il braccio- Patrick, comunque ti presento ufficialmente Michael Jackson.
-Eh si si lo conosco bene, insomma chi non lo conosce ormai, la sua fama lo precede- disse Patrick con un tono pungente porgendogli la mano- Sono Patrick Clifford.
-… io invece non ho la più pallida idea di chi tu sia, comunque piacere…-rispose Mike-…allora Susie stavamo dicendo…-riprese il discorso come se nulla fosse stato.
Rimasi disgustata dalla sgarberia con cui si rivolse a quell’uomo. Non si era mai comportato così con nessuno da quando lo conoscevo. Non era quello il suo modo di fare, anzi era sempre stato cordiale e gentile con chiunque. Ma che gli stava succedendo? Ero mortificata ed imbarazzata per la figuraccia pessima che mi aveva fatto fare. A quel punto decisi che bisognava mettere le cose in chiaro.
-Scusa Patrick, ti lascio un secondo. Ci vediamo dopo- gli dissi sorridente cercando di porre fine a quella situazione imbarazzante. La fuga talvolta è la soluzione migliore.
A quel punto mi girai verso Mike e gli lanciai un’occhiata di fuoco. Lo presi per un braccio e me lo tirai in disparte.
-Ma dico, TI SEI BEVUTO IL CERVELLO!!! Ma ti sei reso conto dell’enorme figura di merda che mi hai fatto fare con quello là?
-Ma chi col nonnetto? Dai…non dirmi che ti piace quello che non ci credo…”Susanna è stupendo, sei stupenda…” ma dai, sembra un damerino -disse ridendo mentre scimmiottava la voce di Patrick.
-Non ci trovo niente da ridere Mike. Scusami se non gironzolo tutto il tempo intorno a te, se c’è qualcuno che mi apprezza e se cerco di farmi una vita mia…-risposi tagliente
-Ehi, ehi, datti una calmata! Stavo scherzando. Fai quello che ti pare, esci con chi ti pare, sposatelo pure a me non interessa…
-No grazie, non sono come qualcuno di tua conoscenza che si sposa con il primo che trova…E comunque l’ho capito sai che ormai non ti interessa più niente…non c’è bisogno che tu me lo ribadisca…
-Ma perché mi fraintendi sempre… Non intendevo dire che non me ne frega nulla di te…Ormai sei una donna adulta e della tua vita puoi fare quello che vuoi. Questo intendevo. Ma ho capito che non è serata…. Però io ero venuto in pace…Pace?
Pronunciò quelle parole con una dolcezza ed un’innocenza senza fine. Aprì le braccia e mi sorrise. Non riuscii a resistere. Niente guerra quella sera.
-Pace…-risposi sbuffando con voce rassegnata.
Ci allontanammo e prima che fosse troppo lontano per sentirlo, mi disse
-Susie…occhio, quello non mi piace!
E poi sottovoce quasi mimando il labiale aggiunse-...Ah…lo so che sei stupenda!...
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Messaggio Da marina56 Lun Ott 17, 2011 9:25 pm

CAP 21
Iniziai a frequentare Patrick, dopo qualche mese andai a vivere da lui e allora compresi realmente con chi avevo a che fare. Nella quotidianità non era la persona che mostrava di essere in pubblico. Una volta messo piede in casa sua finirono le gentilezze, le galanterie e i complimenti; mi trattava come una sguattera ed approfittava di me in ogni senso. Era violento e collerico, una bestia travestita da signore. I sospetti di Mike erano fondati, c’aveva visto lungo.
Quell’uomo aveva sviluppato su di me un potere inimmaginabile. Era in grado di plasmarmi a suo piacimento. Ero la sua bambola, il suo giocattolo. Per l’ennesima volta venivo eclissata da una personalità ingombrante.
Mi annullò e io mi feci annullare, ero troppo vulnerabile per reagire. Mi illuse inizialmente con un barlume di considerazione, regali, esagerazioni. Ma non era di quello che avevo bisogno per sentirmi viva e apprezzata. Sminuiva il mio lavoro; non venne mai ad uno spettacolo.
Per lui esistevano solo gli affari, il resto era pura nullità. Io ero quel resto.
Mi stavo spegnendo lentamente, ma il bisogno di avere qualcuno accanto e forse anche l’infantile desiderio di ripicca nei confronti di Mike mi spingevano ad andare avanti.
Lui non approvò mai la nostra relazione e l’ostilità accesa che manifestava nei confronti di Patrick mi rendeva confusa. Inizialmente non comprendevo il perché del suo atteggiamento e prima di imparare a conoscere Patrick per quello che era veramente, lo considerai come una sua presa di posizione, come un tentativo di sabotare i miei sofferti sforzi di vivere un’altra relazione, come un capriccio. Del resto avevo tutto il diritto di ricominciare con un altro uomo vista la sua telenovela sentimentale di quel periodo. Aveva rifiutato ciò che avevamo costruito insieme e allora non poteva pretendere che io rimanessi per sempre la sua dama di compagnia e consulente di vita.
Ma dietro quei residui di orgoglio giovanile risiedeva sempre sommessa ma insistente la speranza che stesse facendo tutto quello solo per amore.
Discussi spesso con lui in quel periodo nel tentativo di strappare dalla sua bocca e dal suo cuore quelle parole che avrei voluto sentire, e che sarebbero bastate a cancellare tutti i dispiaceri e a ricominciare da dove avevamo lasciato. Ma perché si preoccupava della mia vita, delle mie amicizie, si interessava a quello che facevo, a come stava la mia famiglia?
-Solo per affetto… ma anche perché mi sento responsabile delle tue mancanze come figlia quando tua madre si ammalò. E’ colpa mia se quando stava male eri lontana da casa; è colpa del mio lavoro e del fatto che ti ho coinvolta in tutto questo…Se non mi avessi mai conosciuto forse avresti sofferto di meno e per molte meno cose…-mi disse una volta, in una delle nostre lunghe chiacchierate notturne. Quella risposta fu come sale sulle ferite.
Avrei potuto odiarlo, detestarlo o quanto meno allontanarlo definitivamente dalla mia vita. Sarebbe potuto essere un comodo capro espiatorio su cui scaricare tutte le frustrazioni e le colpe che mi perseguitavano in quegli anni.
Era sua la colpa se non ero stata vicina a mia madre.
Era solo sua la colpa se la nostra storia era finita.
Era lui che non andava bene.
Ma poi, passati i momenti di delirio persecutorio, comprendevo la realtà dei fatti ed imparavo ad accettare che per la morte di una madre si soffre sempre e comunque e che se non avessi mai incontrato Mike…beh non sarei diventata la persona che sono oggi.
La dedizione con cui mi stette accanto nei mesi che seguirono mi aiutò a capire che per quanto lunatico, imprevedibile, difficile, e destabilizzante quell’uomo potesse essere, era lui il mio angelo custode.


CAP 22
Patrick beveva. E quando beveva picchiava, picchiava duro. Non dimenticherò mai l’umiliazione che provavo dopo ogni schiaffo, la paura di denunciarlo e di morirci sotto quelle botte.
Mike ovviamente fu il primo ad accorgersene. Una volta aveva assistito ad un mio litigio con Patrick ed era rimasto sconcertato dalla violenza verbale e fisica con cui si scagliava contro di me. Addirittura dovette far intervenire due sue guardie del corpo per togliermelo di dosso. Da allora mi chiese espressamente di evitare che lo incontrasse a casa mia. Odiava quell’uomo e non accettava che mi trattasse in quel modo, lui che quando stavamo insieme non si era mai nemmeno lontanamente azzardato a mettermi una mano addosso.
Una mattina eravamo in sala prove. Avevo un occhio nero e per nasconderlo tenni su gli occhiali scuri tutto il tempo.
Mike adorava gli occhiali, ne aveva centinaia di modelli diversi. Quella mattina ne portavo un paio uguale agli ultimi che aveva comprato.
-Ma che fai, adesso mi copi?...-mi disse ridendo- fammi vedere un po’ come mi stanno, quasi non me lo ricordo più. Quelli che ho preso io hanno ancora l’etichetta, non li ho mai messi.
Si avvicinò e mentre stava per sfilarmeli dagli occhi gli bloccai i polsi con una stretta violenta.
-Ohi…- mi guardò aggrottando le sopracciglia- …guarda che non me li rubo mica…Nervosetta oggi?
Me li tolse comunque. Anzi glielo feci fare, avevo bisogno che vedesse, che sapesse. Avevo bisogno di aiuto.
-Susie ma che hai fatto?- sbarrò gli occhi-…anzi non lo voglio nemmeno sentire…perché già lo so che è stato lui…Ne ho abbastanza, io chiamo la polizia…
Era partito in quarta. Avevo paura. Cercai di fermarlo.
-Mike ti prego, lascia stare…non…
-Lascia stare!!!...ma tu sei fuori…Ma che intenzioni hai Susie? Eh? Fammi capire? Ti vuoi fare ammazzare?...Ma dove è andata a finire quella ragazza intraprendente, piena di sogni, che si faceva rispettare? Quella con quel caratterino bello tosto che non aveva peli sulla lingua? Quella che quando aveva vent’anni prese l’iniziativa più bella e che con il sorriso sulle labbra era pronta ad affrontare ogni avventura, anche se questo significava seguire un lunatico come me intorno al mondo. Quella ragazza non la vedo più Susie; quel [CENSORED] o me la sta portando via e dal momento che lei è una delle cose più preziose che la vita mi abbia regalato, non glielo posso permettere.
Scoppiai in lacrime, le più amare, le più dolorose. Non potevo, non potevo lasciarlo fare, anche se era per il mio bene.
-Mike ti scongiuro…no…
-Ma perché dannazione!!!!- mi urlò in faccia con una irruenza che non conoscevo
-…non adesso…non in questo momento…Non per i prossimi nove mesi…
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Messaggio Da marina56 Lun Ott 17, 2011 9:27 pm

CAP 23
Si, ero incinta, ma dell’uomo più sbagliato che mi potesse capitare.
Quando gli comunicai la notizia, Patrick mi accolse con una freddezza senza pari mista a fastidio. Aveva già due figli con la precedente compagna da cui aveva da poco divorziato e il pensiero di un altro moccioso tra i piedi di certo non lo faceva saltare di gioia, queste furono le sue testuali parole. Aggiunse inoltre che se proprio ci tenevo potevo tenerlo, non avrebbe voluto averlo sulla coscienza, già aveva troppi problemi. Il suo era un lavoro di responsabilità, in cui ci rimetteva quotidianamente la reputazione e i soldi, ma erano questi ultimi ad avere la priorità assoluta, anche e soprattutto su di me.
Mike…lui si che sarebbe stato un buon padre. Il giorno in cui apprese la notizia, lo stesso giorno in cui lo vidi arrabbiarsi urlare ed imprecare come mai mi era capitato, non appena gli dissi che aspettavo un bambino la sua espressione cambiò di colpo, in maniera quasi spaventosa. Mi strinse in un abbraccio caldo alzandomi letteralmente da terra. Mi fece volteggiare in quella sala come in un giro di valzer e poi con la sua solita premura e quel pizzico di ingenuità che lo contraddistingueva si fermò ad un tratto e mi disse –oh Dio ma mica ti senti male?...non so…hai la nausea?...le doglie…?
-Le doglie???- gli risposi sorridendo- Mike sono incinta da un mese solo, non sto mica per partorire?
-Ah giusto…le voglie, le voglie intendevo…
Ridemmo insieme come quando eravamo dei ragazzi spensierati e senza problemi e il mio cuore si fece caldo. Almeno per quel giorno avrei sorriso un po’.
Lungo quei primi cinque mesi di gravidanza fu lui che mi stette vicino, con l’affetto che solo un padre, un marito, un fidanzato, un fratello ti sanno trasmettere. In quel momento era tutte queste cose insieme.
Il giorno della prima ecografia, ovviamente, fu lui ad accompagnarmi. Patrick mi disse che aveva da fare e che alla fine era una sciocchezza che non necessitava di “assistenza”. Assistenza, così intendeva lui l’accompagnare la propria compagna a fare la prima ecografia, per vedere anche solo un puntino di quello che sarebbe stato il figlio che avevano concepito insieme.
Per fare quella ecografia la clinica venne messa letteralmente sotto sequestro, per evitare paparazzate e titoli di giornale grandi come case che urlavano MICHAEL JACKSON TRADISCE LA MOGLIE E FA UN FIGLIO CON UN’ALTRA!!!!
Mentre ero sul lettino Mike mi stringeva la mano fortissimo. Era agitato e paradossalmente io cercavo di tranquillizzare lui.
Non appena sul monitor comparve l’immagine di quel minuscolo esserino, Mike scoppiò in lacrime; in quel momento più che mai avrei desiderato che quel figlio fosse stato suo.
Continuai a lavorare intensamente fino al terzo mese, poi nausea e continui mancamenti mi convinsero a staccare la spina per qualche settimana.
Una mattina bussarono alla mia porta. Da un camioncino con su la scritta dei grandi magazzini scesero due fattorini con in mano una serie di scatoloni.
- Salve, chi desidera?- chiesi una volta aperta la porta
- Ehm…cerco la signorina…ehm…Susie- mi rispose uno dei due tizi seminascosto dietro lo scatolo che portava in braccio. Riconobbi quella voce all’istante.
- Mike?...ma sei tu?- domandai titubante
- Perché si vede tanto?- rispose il “fattorino” con aria preoccupata
Era lui in uno dei suoi famigerati travestimenti. Ben riuscito senz’altro, la tuta e il berretto erano da manuale, ma quella voce lo tradì…lo avrei riconosciuto anche se avesse parlato come Paperino.
Lo feci subito entrare in casa per timore che qualcuno del vicinato si potesse accorgere della sua presenza, ma prima volle assicurarsi che “quello”, come diceva lui, non fosse in casa. Non aveva piacere ad incontrarlo.
L’altro ragazzo che lo accompagnava provvide a scaricare una decina di pacchi ed aspettò fuori.
- Mike, non mi dire che tutta sta roba è per me?
- Ehm…spiacente, ma non è per te…- mi rispose sorridendo
- Ah…ecco…
- E’ per il mio nipotino che dorme nella tua pancia! Sono o non sono lo zio Mike?
- Certo che lo sei…- gli gettai le braccia al collo.
Iniziai ad aprire gli scatoloni. Culla, carrozzina, seggiolino per auto, girello, tutine di tutti i tipi e giocattoli a volontà. Ed ero solo al terzo mese.
- Mike ma è un mare di roba! Ma perché ti prendi tutto questo fastidio? Come se poi tu di cose da fare non ne avessi già abbastanza…
- Ma smettila…mi offendi se dici così. Io sono troppo felice, devo pur manifestare questa gioia in qualche modo no?
Aveva gli occhi che gli brillavano. Era tanto che non lo vedevo così. Come è strana la vita, un uomo che fino ad allora non aveva figli, li desiderava tanto, e uno che stava per averlo non se ne fregava un cavolo.
- Mike…comunque colgo l’occasione per comunicarti che ho deciso quale sarà il nome del mio bambino…
- No no aspetta, non me lo dire…Te ne voglio proporre qualcuno io. Allora…Terence, che ne dici?
- Mhmhmh…nooo
- …Eduard?
- …nooo
- Jason?
- Nooo…
- Ah ecco…ho trovato…senti questo…è una bomba!
- Spara…!
- “Muffin”!!!
- Muffin?- lo guardai perplessa- ma come il dolce?
- Siiii!!!-rispose lui contentissimo
- Ma daaaaiiii…non posso chiamare mio figlio come un dolce…
- Ma perché no? Rifletti, il nome è perfetto. Io già me lo immagino questo bimbo, bello tondo, paffutello, con la carnagione mulatta come la tua, con un sorrisone dolce dolce e con quell’odore buono che solo i bimbi hanno. Tondo, dolce e buono proprio come un muffin!
- Io invece avevo pensato a qualcosa di diverso, però sai la persona a cui appartiene questo nome non mi convince. E’ un tipo con caratterino un po’ particolare, che fa sempre scherzi, che ha la brutta abitudine di masticare la gomma a bocca aperta e che spesso arriva tardi agli appuntamenti…Però questa persona è speciale per il semplice fatto che mi vuole bene, perchè ha saputo regalarmi ricordi indimenticabili e mi è stato vicino quando avevo bisogno di aiuto…e in questo momento…è seduto di fronte a me…
Mi venne incontro e mi strinse forte a se. Era tanto che non mi abbracciava con quel calore.
- La vuoi smettere di farmi commuovere…
- Ti fa piacere se lo chiamo Michael?
- Mi fa piacere? Di più…mi fa strapiacere! Ma “quello” è d’accordo? Lo sai che non gli sto tanto simpatico…
- Eh veramente ancora non glielo ho detto…Comunque nel caso in cui faccia storie ho già in mente una alternativa. Al massimo il bimbo lo chiamo Michele, il tuo nome in italiano. Mi invento la scusa che è il nome di un mio zio speciale e il gioco è fatto. Del resto per questo bimbo tu sarai senz’altro uno zio speciale…e poi…lo chiamerò sempre Mike come faccio con te…
Squillò il telefono. Era Patrick che stava per tornare dall’ufficio per pranzo e voleva trovare sul tavolo il pollo fritto. Il solo pensiero di dover cucinare, in quel momento mi fece di nuovo salire la nausea.
- Mike, sta arrivando Patrick…
- Ah…allora scappo, voglio evitare brutti incontri. Questa giornata è iniziata bene e non voglio guastarmela.
Prima di andare mi sbaciucchiò un po’ la pancia, come faceva sempre da quando seppe che ero incinta
- Ciao Muffin…zio Mike se ne va…Non mi strapazzare troppo la mamma…
Mi fece un occhiolino e la porta si chiuse alle sue spalle.

CAP 24
Quel bambino purtroppo non venne mai alla luce. O meglio, gli fu impedito dal suo stesso padre.
Quella sera rincasai tardissimo. Alle volte rimanevo da Mike a dormire, soprattutto quando Patrick era fuori per lavoro e non mi andava di rimanere da sola in casa, in particolare da quando ero in attesa. A casa sua mi sentivo a mio agio; avevo la mia stanza, il mio spazzolino, il mio pigiama rosso a righe…anzi a dire il vero il suo pigiama rosso a righe, ma ormai me ne ero impossessata.
Quella sera tra una chiacchiera e l’altra si fecero le undici…
-Cavolo è tardissimo…meglio che torni a casa altrimenti chi lo sente quello. Non gli ho lasciato nemmeno niente per cena…
Mike mi rispose con la sua solita espressione, quell’espressione infastidita e allo stesso tempo preoccupata che faceva ogni volta che parlavo di Patrick.
-Perché non rimani ancora un po’?- chiese
-Lo sai, dipendesse da me…ma vorrei evitare…
-Si si hai ragione, scusa. Allora ti accompagno io a casa…- mi disse con il suo tono premuroso
-Lascia stare- risposi- ho la macchina…
Mi seguì fino alla porta…
-Guarda che conosco l’uscita…- sorrisi
Aveva degli occhi strani. Cercò di trattenermi il più possibile con discorsi buttati lì a caso. Voleva che rimanessi.
-Mike che hai?- gli chiesi preoccupata
-No niente…ho una strana sensazione…non so…
- Ma ti senti male?
-No no, sto benone. Volevo solo dirti che io sono qua…quando vuoi…Per te ci sono sempre Susie, ok?
-Lo so, lo so- risposi accarezzandogli il viso.
Stavo per uscire quando lui mi trattenne con la mano.
-Ma tu mi vuoi bene sempre Susie? Anche se noi…insomma…noi non siamo più…non facciamo più quelle cose che…
Quando parlava così sembrava un ragazzino impacciato alle prime armi.
- Che intendi dire, non capisco…
- …Insomma quelle cose che fanno due innamorati. Noi abbiamo…quando eravamo più giovani…siamo stati insieme…ci siamo amati intendo…Però anche se adesso non siamo più quelli di prima io ti voglio sempre bene Susie
-Anche io te ne voglio…
Mi diede un bacio sulla fronte e mi avviai verso la macchina.
-Aspetto fino a quando non esci dal cancello…
Faceva sempre così; rimaneva sulla soglia fin quando il cancello automatico non si chiudeva. Ma quella volta lo fece con sofferenza, quasi straziato.
Gli feci un con la mano e andai.


-Ma dove cavolo ti eri cacciata, brutta imbecille!!!
Il solito buonasera di Patrick non si era fatto attendere nemmeno quella volta. Non appena entrai in casa mi si avventò contro come una furia. Era ubriaco fradicio e chi sa cos’altro si era fatto. Sentivo la sua puzza dalle scale.
-Invece di stare a perder tempo da quel depresso del tuo amichetto, potresti anche degnarti di prepararmi qualcosa da mangiare visto che torno la sera stanco morto e stressato dal lavoro. Io che lavoro…-mi fece con voce impastata.
A stento si capiva quello che diceva, ma i suoi discorsi li conoscevo a memoria ormai. Sosteneva che io in casa fossi inutile, che quello che si spaccava la schiena a lavoro era lui, che andavo in giro a fare la poco di buono con l’amichetto famoso. Ballare…e che era un mestiere?...
In silenzio incassavo, incassavo, incassavo.
La voce di Mike in un orecchio…denuncialo, denuncialo…
La voce di mia madre nell’altro…non rinunciare mai a te stessa…
-Bastaaaaaaaaa!!!- urlai in lacrime sbattendo per l’aria tutto ciò che avevo davanti- non ne posso più di te, del modo in cui mi tratti, delle tue botte…
Nemmeno il tempo di completare la frase che me ne diede un assaggio.
Mi strattonò tirandomi su per in collo della maglietta e mi strappò via la catenina che portavo al collo , quel regalo che Mike mi fece nel lontano ’88 e che da allora praticamente non tolsi quasi mai, con una violenza tale da strozzarmi. Mi colpì con un pugno in pieno viso che mi fece sobbalzare all’indietro per due metri. Caddi pesantemente con il fianco sullo spigolo del tavolo. Urlai di dolore e mi accasciai a terra sotto gli occhi di quell’animale offuscati da fumi dell’alcool.
Mi trascinai sul pavimento fino al bagno e mi chiusi dentro, avevo paura che ritornasse con altre botte. Ebbi la lucidità di prendere il telefono.
Ero in un lago di sangue.
Chiamai Mike. Gli raccontai quello che era successo, tra lacrime, urla e spasmi di dolore…
Dopo dieci minuti era arrivato a casa mia mobilitando ambulanza e polizia.
Da quel giorno Patrick fu messo dentro e io per alcuni mesi andai a vivere da Mike.
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Messaggio Da marina56 Lun Ott 17, 2011 9:29 pm

Cap 25
Quelli che seguirono furono per me anni di intensa sofferenza fisica e psicologica.
L’aborto comportò una serie di complicazioni, interventi, visite continue. Mike si interessò di tutto e fece in modo che potessi essere curata dai migliori medici del mondo. Gliene sarò grata per sempre, ma purtroppo nulla si poté fare.
Era con me in clinica quando il ginecologo che mi aveva operata mi disse quella frase…quella frase che per mesi ed anni ha tormentato le mie notti insonni.
-Signorina De Matteo, mi dispiace davvero tanto, ma abbiamo fatto il possibile. L’intervento è stato molto complesso e difficoltoso, ma purtroppo i nostri tentativi sono stati vani. Non potrà più avere figli…
In quel letto d’ospedale piansi quasi per tutto il periodo di degenza.
Mike veniva a trovarmi spessissimo e mi portava sempre le caramelle, quelle gommose con la forma degli animali, sapeva bene che erano le mie preferite.
Uno di quei giorni mi ero allontanata per fare degli accertamenti al piano inferiore rispetto a quello in cui si trovava il mio reparto; mentre l’infermiera mi riaccompagnava in camera sulla sedia a rotelle, nel corridoio ebbi la sensazione di avvertire il suo profumo intenso, di solito ne usava uno leggermente speziato e molto gradevole. Entrai nella stanza e la trovai piena zeppa di palloncini ad elio a forma di cuore che pendevano dal soffitto, con su scritto MIKE TI VUOLE BENE; sul letto c’era poggiato un bellissimo mazzo di fiori, margherite, i miei preferiti, con un bigliettino che diceva: “Starò via un paio di giorni per lavoro per questo non potrò passare a trovarti, ma ti prometto che non appena i fiori appassiranno e i palloncini cadranno dal soffitto, sarò lì pronto per riportarti a casa. Ti voglio bene “Little Susie”. Con amore, Michael.”
Come è varia la natura…Un uomo mi aveva strappato il bene più prezioso che Dio possa regalare ad una donna, diventare madre, ed un altro uomo aveva saputo regalarmi la forza di sopravvivere a quel dolore. Mike, in quel periodo anche per lui di grande difficoltà in quanto doveva avere a che fare con le accuse di mezzo mondo mentre intanto il suo matrimonio era instabile come un funambolo alle prime armi, seppe starmi vicino a modo suo. Furono momenti di grande supporto reciproco; sapevamo di poter contare l’uno sull’altra e questo ci bastava a stare almeno un po’ meglio. Era sorprendente la capacità che aveva di aiutare gli altri, ma nello stesso tempo era sconvolgente la difficoltà che incontrava ad aiutare se stesso nei momenti di sofferenza.
Anche per questo credo che in lui predominasse quella sua spiccata sincronia di pensiero con i bambini. Come i bambini sentiva di dover essere sostenuto ed aiutato da parte di chi lo amava; come i bambini si regalava a te solo per il piacere di farlo; come i bambini sapeva essere sadico e spietato scegliendo però se stesso come bersaglio dei suoi impulsi. Non prendeva a fiondate le code di povere lucertole spaurite, ma in un cero senso le sovraumane aspettative che aveva erano la sua fionda e la sua autostima la povera lucertola. E intanto il mondo intero assisteva come un sadico spettatore a quel gioco di vita. E proprio come i bambini era fragile, ancora, a quasi quaranta anni, lui che bambino non era mai stato davvero.
Era il giugno del 1995 quando uscì il suo nuovo disco, l’ esplosivo ritorno dopo le accuse infamanti che gli erano state rivolte. Era ancora nel fiore degli anni e nelle vene gli ribolliva impetuoso quel sangue che si chiama spettacolo.
Come da rito comprai subito il cd, odiavo farmelo regalare da lui, e come da rito sulla copertina attendevo dedica ed autografo.
Anche in occasione dell’uscita del disco precedente ovviamente si era ripetuto il medesimo rituale, acquisto, autografo e dedica. Quando mi presentai da lui per farmelo firmare mi disse
- Susie daiii…Uffa! Ma te lo volevo regalare io stavolta!...Basta non te lo firmo, mi rifiuto, così impari…Ma poi ne hai tremila di firme mie, ma che ne devi fare?
- Sig. Michael Jackson – risposi parlando un inglese pedestre marcatamente napoletano per prenderlo in giro- ma sono venuta da Napoli fino qui per avere un vostro autografo e voi così mi trattate? Siete proprio uno “scornacchiato”!...
- Scema…te ne approfitti perché non ho capito niente di quello che hai detto, da qua sto coso che te lo firmo…- rispose sorridente- …e poi dici che il pagliaccio sono io. Tu hai sbagliato mestiere, invece di fare la ballerina dovevi fare l’attrice…
- Ma tu non capisci Mike- gli dissi recuperando un accento decente che avevo conquistato dopo tanti anni americani- tu sei tu, lo so, l’amico di sempre con cui ho dormito, mangiato, litigato, scherzato, che mi ha visto con i capelli arruffati e brutti di prima mattina e anche in tenute casalinghe quasi imbarazzanti, ma comunque sei uno dei miei cantanti preferiti, non l’unico eh…ma te ne devi fare una ragione. Io voglio il tuo autografo!
- Ok…allora facciamo un patto. Io ti restituisco il tuo cd con l’autografo, se anche tu mi fai un autografo su uno dei miei cd…
- Ma che c’entra…dai…
- Ok allora niente autografo…
- E che devo scrivere?
- Il tuo nome, semplice…
- Va bè dai, scrivo solo Susie…
- No perché, io mica ti scrivo Mike. Devi scrivere Susanna Marie De Matteo!
- Addirittura?!...Se proprio insisti…
- Ecco…prendi questo…ti becchi il più “cattivo”!
Mi diede il cd, guarda caso proprio quello dietro cui si nascondevano i nostri ricordi più preziosi, e sopra ci scrissi “Al mio più fedele fan…Con affetto Susanna Marie De Matteo!!!”

Diedi un’occhiata ai titoli delle canzoni e uno mi saltò agli occhi. Il testo raccontava di una bambina che era stata uccisa, una bimba sola a cui era stata strappata la vita,la canzone si intitolava “Little Susie”; quelle parole raccontavano bene l’angoscia che avevo vissuto in quel periodo, quando fragile come una bambina mi era stata strappata la vita, anzi la possibilità di dare la vita, per sempre.
Non volle mai raccontarmi che cosa davvero l’avesse ispirato, diceva si trattasse di evento di cronaca che aveva letto da qualche parte; sapevo che non era così, ma gli feci credere che mi ero bevuta la storia della cronaca. Chissà, forse temeva che potessi prendermela, che mi potessi arrabbiare perché magari aveva parlato “pubblicamente” di un mio dolore, o forse più semplicemente non ero io che lo avevo ispirato. Ma ci volli credere lo stesso, quella canzone fu per me una grandissima dimostrazione del suo affetto e della sua intima condivisione della mia sofferenza. Per questo non potevo arrabbiarmi, potevo solo volergli più bene


Cap 26
Dal dolore per aver perso così giovane la gioia di diventare mamma, imparai che il mondo è pieno di bambini bisognosi di affetto. E così che il mio amore materno rimasto sospeso, trovò finalmente il suo senso nell’aiutare i bambini in difficoltà.
Chi più dell’uomo che è entrato nel Guinness dei primati per il numero illimitato di iniziative benefiche portate avanti, poteva essermi di aiuto? E così anche per questo, come per tantissime altre cose importanti della mia vita, quell’uomo era Michael Jackson.
Iniziai ad interessarmi alle sue attività umanitarie con un coinvolgimento nuovo. Ho sempre saputo che era un gran benefattore, ma iniziai ad entrare davvero dentro il suo lavoro filantropico. Mi informai nel dettaglio di cosa si occupavano le associazioni umanitarie da lui fondate e in che cosa venivano investiti i soldi che dava in beneficenza. Iniziai a proporgli delle cose, presi delle iniziative e gli chiesi di potermi occupare personalmente di alcune attività svolte a suo nome. Mi diede campo libero, mi lasciò fare, donandomi la possibilità di guardare di nuovo al futuro con occhi speranzosi. Avevo nuovi obiettivi, nuovi progetti, e intanto lo aiutavo, lo incoraggiavo in un dare e ricevere che fu per me come manna dal cielo.
In quegli anni visitai le realtà più povere del mondo, dove la fame, le malattie, le guerre e l’ignoranza sono gli assassini di milioni e milioni di piccoli innocenti. Dinanzi a dolori così grandi imparai a tollerare anche le mie sventure e ad apprezzare davvero ciò che Dio mi ha donato. Ho visitato villaggi fatiscenti, orfanotrofi abbandonati a se stessi, quartieri malfamati dove poter raggiungere l’adolescenza sani e salvi è quasi un miracolo e dove non c’è spiraglio di futuro, e a partire da quelle esperienze decisi che se non avevo potuto fare nulla per salvare il mio bambino, potevo quantomeno tentare di aiutare i bambini degli altri.
Poi arrivò il famoso “Mal D’Africa”, lì ho lasciato una pezzo del mio cuore e una parte di quel paese e di quel popolo continuerà a seguirmi ovunque io vada, e le iniziative che nel mio piccolo ho intrapreso autonomamente tramite una associazione a tutela delle donne maltrattate. Di Patrick purtroppo non ne esiste solo uno.
La nascita dei figli di Mike fu per me di grande aiuto perché sublimò in parte il mio desiderio di maternità. Me li lasciava accudire e coccolare, mi piaceva prendermene cura e tutt’ora conservo con loro un rapporto meraviglioso. Li amo profondamente e adoro la loro capacità di esprimere i sentimenti; questo è il più grande insegnamento che il padre ha trasmesso loro.

-Fatemi largoooo!!!!Tutti via dalla cucina, mi serve campo libero!!!- esclamai trionfante a gran voce con le buste della spesa in mano alle persone di servizio addette alla cucina. Lo sapevano bene che quando a casa di Mike c’ero io, per cena si mangiava italiano. Questa cosa faceva piacere a tutti, ai cuochi per primi che si prendevano la serata libera, ma anche a Mike perché quando c’ero io i bimbi mangiavano meglio e senza fare capricci e infondo anche lui apprezzava i miei manicaretti sebbene non fosse mai stato un gran mangione.
Quella sera lasagne con ragù di carne e cotolette alla milanese. Dopo mangiato, giusto per digerire facemmo tutti un po’ di movimento, lotta con i cuscini per la precisione, a cui seguì nascondino e acchiapparello.
Alle undici e mezza i bambini erano stremati e anche noi a dire il vero, stare dietro a quelle piccole pesti a volte era un’impresa, ma la più dolce del mondo. Si addormentarono sul divano, tutti e tre addosso a noi; dopo un po’ decidemmo di portarli a letto, e così il papà prese in braccio la sua bella principessa e io mi trascinai il principino grande mentre quello piccolo mi teneva stretta aggrappato come un koala.
Li mettemmo a dormire e tornammo in salotto per bere un goccio di vino e tirare le somme della nostra vita.
-Mike, un giorno vorrei poter adottare un bambino…
-Perché aspettare, adottami subito…-rispose sorridente aprendo le braccia
-Dai fai il serio- dissi dandogli una leggera spinta con la spalla- dico davvero…Secondo te sarei una buona madre?
-Tu? Saresti la miglior madre per ogni bambino e la moglie perfetta per ogni marito…
-Si, come no? Infatti non sono più una ragazzina ma di mariti nemmeno l’ombra. Caro mio, il problema vero siete voi uomini. Non vi sta mai bene niente, non si sa quello che volete dalla vita…
-Hai ragione sai…a volte non siamo capaci di amare chi ci sta vicino come meriterebbe di essere amato. Secondo me il trucco sta nel non smettere mai di cercare l’anima gemella. Non mi dire che ti sei già arresa ragazza?
Mi porse quella domanda con una malizia che da anni ormai non leggevo sul suo viso e che fece ribollire in me l’impulso irrefrenabile di prenderlo per il collo della camicia, di sbatterlo a terra e di farci l’amore più disperato urlandogli TUUUUU!!!!!! TU MALEDETTOOO SEI L’UOMO CHE VOGLIOOOOO!!!!!!
Tutto questo accadde solo nella mia testa, nel mio cuore e nella mia pancia. Nelle fantasie ero una impavida spaccona pronta a tutto, ma nella realtà ero una cacasotto. Quante volte mi perdevo nei miei pensieri vaneggiando su cosa avrei potuto rispondergli in una situazione come quella, ma poi sistematicamente ogni qual volta si presentava una circostanza simile, erigevo intorno a me architettoniche muraglie cinesi che mi impedivano di proferire una parola grammaticalmente sensata. Avevo paura di me, di lui ed ancor più ero terrorizzata dal “noi”; lui era stato la mia più grande passione, ma anche la mia più crudele tortura, un po’ di tremarella era ammissibile.
Di nuovo vidi nella fuga la più semplice soluzione per sgusciare via furtiva da quel discorso pericoloso. E pensare che in passato lo avevo criticato perché scappava dinanzi ai problemi, complimentoni Susanna, bella coerenza!
-Mike, mi faresti un massaggino ai piedi? Sono stanca morta…
-Nooo…i tuoi piedi sono brutti…
-Ma la finisciii…- gli risposi lanciandogli un cuscino del divano-...saranno belli i tuoi…
-Puoi dirlo forte cara, i miei sono dei gran bei piedini…
-Non è vero sono orrendi…
-Ma guarda che bugiarda…Ma se hai sempre adorato i miei piedi…
-E dai su, quante storie…un massaggino piccolo piccolo…
-okkkkkk, ma solo perchè stasera hai cucinato e ti sei data da fare con i bambini…
Mi distesi allungando le gambe su di lui. Al primo contatto delle sue mani non riuscì a trattenermi dal sorridere per il solletico, ma poi persi completamente il senso di quello che mi circondava.
Se non sbaglio la medicina cinese sostiene che ad ogni punto della pianta del piede corrisponde un punto preciso del resto del corpo. Ebbene, non ho idea di che punto abbiano sfiorato quelle dita, ma di certo era un pulsante per raggiungere il paradiso; ogni tanto le sue mani arrivavano ad accarezzarmi la caviglia, il polpaccio, ed ogni centimetro in più che saliva era un brivido dritto fino alla cima dei capelli.
-Grazie Susie…-mi disse a voce bassa
-Per la cena? Figurati, lo sai che adoro cucinare…
-Ma non intendo solo per stasera…Grazie di tutto, grazie di te, grazie di essere entrata nella mia vita il giorno in cui ti vidi sul quel palco a Brodway…
Bum bum, bum bum, bum bum….
Il cuore mi batteva più forte…
- Susie?
-Dimmi Mike…
-Ti andrebbe di danzare per me?
-Mike, ballo sempre per te, sono anni che lavoriamo insieme…-gli risposi quasi sorpresa della sua richiesta.
Facevo finta di non capire, ma…
-No Susie, per me, per me soltanto…qui…adesso…senza riflettori, senza pubblico…Voglio essere io il tuo pubblico, come quella notte a Brodway…
…avevo capito tutto.
Pronunciò quelle parole con un tono diverso, nuovo, più profondo, più intenso; sembrava volere qualcosa, qualcuno.
Mi alzai di fronte a lui e gli presi le mani.
- Sono io invece che voglio ballare con te…- gli risposi con una voce che non riconoscevo mia. Anche io volevo qualcosa, qualcuno; avevo la sensazione che finalmente ci eravamo ritrovati senza esserci mai persi veramente.
Ci stringemmo forte muovendoci delicatamente come se fossimo spinti da una leggerissima brezza. Poi ci fermammo, girava tutto; sarà stato il vino…saremo stati noi…Le nostre fronti si poggiarono l’una all’altra e dolcemente sentivo il suo respiro alternarsi al mio secondo una ritmica perfetta, era quella la nostra musica in quel momento. Eravamo di nuovo vicini come un tempo, emozionati come un tempo, desiderosi come un tempo. Chiudemmo gli occhi e in un istante mi attraversò l’eccitamento della prima volta in cui fu dentro di me in ogni senso, avvolti in quel vapore quasi metafisico, mentre sotto le mani avvertivo la consistenza dei nostri corpi e l’odore dei suoi capelli. Mi fissò con quegli occhi, gli stessi di più di dieci anni fa, le sue mani grandi sui miei fianchi, io tremante come quella prima volta…e ad un tratto…
…dalla stanza accanto…
…. una vocina assonnata esclamò- Papàà, Susiee…veniteeee…ho fatto pipì a lettooo!.
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Messaggio Da marina56 Lun Ott 17, 2011 9:29 pm

Cap 27
“Ho bisogno di parlarti.”
Premetti il tasto di invio e quell’sms intraprese il suo viaggio accompagnato dalla terribile paura di commettere l’ennesimo errore madornale.
Non potevo far finta di nulla; la sera prima tra di noi stava succedendo qualcosa, non potevo mettere a tacere il mio cuore per la milionesima volta solo per il timore di perdere il controllo della situazione. Del resto a cosa mi era servito tutto quel controllo fino a quel momento? A nulla, se non ad affinare le mie doti di professionista bugiarda, verso me stessa e verso di lui. Allora decisi di lasciare spazio all’istinto con la consapevolezza che avrei potuto pagarla cara, ma ormai avevo già fatto. Nemmeno il tempo di rimproverarmi a dovere che “Tin tin, tin tin, tin tin” il mio cellulare prese a squillare.
Un messaggio.
Feci un respiro profondo e digitai il tasto per procedere alla lettura.
“Sarò lì tra un’ora al massimo. Lascia aperta la porta sul retro, entrerò da lì per evitare la strada principale. Mike”
Ok calmiamoci. Lui ha detto che vuole venire qui, tra un’ora. Mhmhm quindi ho ancora un’ora prima di morire…- mi ripetevo ad alta voce come una psicotica, andando avanti e indietro per la stanza- …respira Susie, respira…E’ sciocchezza, ma perché oggi ti stai facendo tanti problemi? Non è la prima volta che viene a casa tua no?
Si, effettivamente non era la prima volta che mi veniva a trovare, ma la tempestività di quella sua risposta mi lasciò perplessa. Insomma, perché tanta fretta di vedermi. In un’altra circostanza mi avrebbe semplicemente telefonato dicendomi -Ciao Susie, volevi parlarmi?- E invece adesso avevo il sentore che di lì a poco sarebbe successo qualcosa di incontrollabile.
Si, volevo finalmente dirgli la verità e confessargli dopo anni quello che sentivo nei suoi confronti, senza riserve e senza censure, ma avevo una fottutissima paura.
Decisi di smetterla di consumare il parquet con quella insensata passeggiata, e pensai mi piazzarmi immobile dietro le tende della finestra ad attendere il suo arrivo. Dalla psicosi passai alla catatonia. Di male in peggio.
Trascorsi due lunghissime ore di tormento dietro a quel vetro, come le mogli affrante che attendevano il ritorno dei mariti dal fronte.
Ormai ci avevo rinunciato; non sarebbe venuto. Avevo sbagliato di nuovo, ci ero ricascata come una deficiente.
Chiamalo Susie! cerca di capire perché ti sta facendo aspettare…- una voce mi martellava insistentemente il cervello.
Presi il telefono per fare il suo numero, ma poi all’ultima cifra rinunciai. Sentivo di non dover forzare la sorte. Quello era un segno. Evidentemente il destino aveva deciso così; non era quello il momento della verità e chi sa se mai sarebbe arrivato.
Mi alzai dalla postazione di guardia, avevo bisogno di una camomilla per ammortizzare l’agitazione che quell’attesa mi aveva procurato.
Ero di spalle alla porta intenta ad affondare quella bustina su e giù nella tazza. Così mi sentivo in quel momento, non appena sembravo riemergere dalla confusione, qualcosa mi affondava giù inesorabilmente. Su e giù, su e giù, su…
-Eccomi!...Scusa il ritardo, ma è successo un casino…- Mi voltai di scatto presa da un infarto-…Siamo rimasti bloccati nel traffico perché mi hanno beccato i paparazzi…Che palle, non posso vivere in pace un solo giorno… Poi in più il cellulare si è scaricato e non ho potuto…
Ero così immersa nell’affondare i miei pensieri in quella camomilla che avevo dimenticato completamente di aver lasciato la porta speranzosamente aperta.
-Mio Dio Mike! Mi hai spaventato a morte!
-Oh scusami Susie...Ma sono entrato di corsa per non farmi vedere, volevo evitare che il tuo giardino fosse disseminato di fotografi…
-Figurati, tranquillo…ma quelli?
Teneva tra le mani un fascio di rose rosse.
-Eh si questi li ho portati per te…così…un pensiero…
Ci scambiammo uno sguardo interrogativo. Avevo come la sensazione che nessuno di noi due avesse la più pallida idea di cosa ci facesse lì in quel momento.
Non sapevo più dove mi trovavo né che ora fosse; sentivo solo che stavo per esplodere come un vulcano in eruzione.
-Mike senti, io…io ti devo dire una cosa…C’ho pensato e ripensato mille volte, forse sbaglierò, ma non ce la faccio più a vivere con questa…
Mi mise con irruenza una mano dinanzi alla bocca
-Zitta…non voglio sentire più niente…troppe parole…
Quel mazzo di fiori fece un volo di dieci metri seguito a ruota dai nostri vestiti. Le sue mani divennero frenetiche; mi sciolse i capelli che portavo raccolti sulla nuca; mi sbottonò la camicetta facendone saltare alcuni bottoni. Cucina, salotto, corridoio; parete per parete percorremmo le stanze trascinandoci senza mai staccarci le mani di dosso in una passionale visita guidata del mio appartamento. Facemmo un amore strano, in cui alla danza incosciente dei nostri corpi si alternavano lunghi attimi di consapevolezza durante i quali, occhi negli occhi, ci fissavamo stupiti come per dirci “Mio Dio, ci sta accadendo davvero!!!”. Con baci, morsi, graffi, carezze, ripercorremmo in quella apoteosi di odori, umori e sensazioni celestiali quello che noi due eravamo stati in quegli anni, tutto e il contrario di tutto!
Ci accadde altre volte nei mesi a seguire, a casa mia, a casa sua, approfittando quando i bambini non c’erano ed uscivano con la tata per fare shopping. Vivevo con lui l’intensità di quei momenti, felice, appagata; ma quando ero sola avvertivo dentro di me qualcosa di stranamente spiacevole.
Era tutto diverso. Ma non perché avessimo perso l’intimità di un tempo, per me tutto l’amore era bello se era fatto con lui, ma le dinamiche in cui avvenivano i nostri incontri si addicevano poco alle esigenze di una donna che come me aveva raggiunto i quarantuno anni suonati, sebbene mi difendessi ancora molto bene.
Ci stavamo nascondendo di nuovo. E nuovamente, come in passato, questa cosa mi metteva in crisi.

Stavo dando una mano ad organizzare i preparativi per la festa di compleanno della sua bambina. Palloncini, festoni, regali, i bambini intenti a pasticciare una torta; mi guardavo intorno e sentivo che noi e quei ragazzi saremmo potuti essere una famiglia e che avrei voluto tanto poter essere vicina a Mike e aiutarlo a crescere i suoi figli. Quel pensiero dolce mi riscaldò il cuore e spontaneamente mi avvicinai a lui che intanto provava invano ad appendere uno striscione di buon compleanno alla porta.
-Tesoro…lascia perdere…i festoni a quanto pare non rientrano nel tuo repertorio. Dai a me, ci provo io…- gli dissi con naturalezza sfiorandogli le labbra con un bacio leggero. Ero felice della spontaneità di quel mio gesto e del “Tesoro” che mi uscì dalla bocca. Non lo avevo MAI chiamato in quel modo, neanche quando eravamo ragazzi. Nemmeno il tempo di compiacermi che mi fece pentire di tutto.
-Susie! Ma che fai?! Ci sono i ragazzi, lo sai che mi dà fastidio su…- mi disse acido e perentorio scansandomi.
Quel gesto, quelle parole. Una pugnalata dritta al cuore.
Uscii fuori da quella stanza e me ne andai in giardino con tutta l’umiliazione che mi aveva gettato addosso.
Cercò di fermarmi; poi mi seguì.
-Scusa. Non volevo trattarti così davanti ai bambini…
-Davanti ai bambini!!! Tu non dovevi trattarmi così E BASTA!!!! Ma perché Mike…perché fai così? Perché mi confondi, mi allontani, ti riavvicini? Mi fai sentire una stupida…una ragazzina idiota…
-… Non la prendere male… cerca di capirmi. Adesso le cose non sono più semplici come un tempo; sono un padre, ho delle responsabilità…Non posso lasciarmi andare così senza tenere presente le conseguenze che ogni mia leggerezza potrebbe avere sui miei figli…
-Leggerezzaaa!!! Io per te sarei solo una leggerezza!? Ma come ti permetti di parlarmi così! Chi ti credi di essereeee?! Ti prendi la mia vita, ne fai quello che ti pare…Ne ho abbastanza!!!. Ma perché ti ho permesso di giocare con il mio cuore? MALEDETTO IL GIORNO IN CUI TI HO INCONTRATO!!!!…Ho sbagliato tutto…tutto e adesso SONO STANCA DI ESSERE TRATTATA COME LA TUA PUTTANA!!!- gli urlai piangendo.
-Mio Dio Susie…noooooo- rispose tappandosi convulsamente le orecchie- non voglio sentireeee, non voglio sentireee. Non puoi pensare questo di me, non puoi…
-Lasciami in pace Michael! Lasciami in pace per sempre! Non ti voglio più vedere!
Dinanzi a tutta l’afflizione e il disprezzo con cui gli sputai in faccia quelle parole, si gettò ai miei piedi implorandomi di perdonarlo e accompagnando le mie lacrime di disperazione con le sue di mortificazione.
-Sono io la causa di tutti i tuoi problemi, non vedi? Non faccio altro che procurarti sofferenza…Non sono più quello di un tempo, gli anni non fanno altro che portarmi acciacchi, solitudine e diffidenza…però ti prego Susie, non mi lasciare anche tu, non mi abbandonare ti prego…ti prego…

Era l’aprile del 2006. Andai via da Los Angeles e per un anno fui irrintracciabile.
Mi sentivo ferita, usata, umiliata. Avevo bisogno di recuperare il rispetto di me stessa e il lavoro fu la mia terapia.

Cap 28

Intanto cercavo di compensare la mia frustrazione di amante disillusa con le gratificazioni di donna in carriera. Il lavoro mi aveva assorbito totalmente. Ormai da qualche tempo ero la direttrice di una giovane compagnia di danza, che con sangue e sudore si stava facendo largo nell’ambiente teatrale. Ero tornata dietro quei sipari polverosi che da bambina mi avevano fatto tanto sognare.
Prove, spettacoli, casting, tournee, viaggi, mondo, burocrazia, scartoffie…come sarebbe bello poter fare spettacolo muniti solo di talento, passione e buona volontà. Ma la realtà è diversa e adesso che mi trovavo alla guida di un esercito di corpi danzanti e speranzosi, me ne stavo rendendo conto più che mai.
Dal giugno 2006 al novembre 2007 lavorai intensamente ad uno spettacolo che portammo in giro per parte dell’Europa, in Canada e negli Stati Uniti con un discreto riscontro di pubblico.
Quello che proposi su quei palchi fu per me una grande sfida in quanto rappresentò un momento di svolta, significativo sia a livello personale che professionale.
Abbandonai videoclip, concerti e show strabilianti a livello mediatico, per intraprendere un percorso di profonda riflessione interiore mediato da quell’arte sotto la cui ala protettrice ero cresciuta. Mi riavvicinai alla danza contemporanea, il cui studio avevo da sempre coltivato attraverso gli insegnamenti di maestri che ne hanno segnato la storia, ma che accantonai per dare spazio ad un tipo di intrattenimento che fu comunque professionalmente formativo ma anche economicamente più remunerativo.
Avevo investito tanto in quel progetto teatrale, così stridente con il resto del mio curriculum personale, ma volevo dimostrare a me stessa che avrei potuto farcela anche da sola, con le mie sole forze. Senza l’aiuto di quell’amico speciale dal nome così ingombrante.
Ci ero riuscita. Avevo dimostrato esperienza, competenza ed umiltà sufficienti per fare di quel progetto così tanto ambizioso per una compagnia appena nata, una esperienza gratificante.
I risvolti che tutto ciò ebbe sulla mia autostima furono notevoli. Ma non perché adesso mi sentissi wonder woman, ma semplicemente perché dopo anni difficili vedevo anche per me uno spiraglio di sole. Aleggiava ancora qualche nuvola nella quotidianità del mio cielo, quella nuvola che si chiamava amore, ma gli impegni e le mie nuove responsabilità distolsero l’ attenzione dalla mia parte romantica concedendo al mio cuore un po’ di meritato e camuffato riposo.
Tutto questo rientrava nella mastodontica costruzione di belle convinzioni che avevo sapientemente eretto in quei mesi, allo scopo di salvaguardare quel che restava della mia salute mentale.
Un bel castello alto, fatto di carte.
Era la prima statunitense dello spettacolo. Quella mattina venni contattata da un noto giornalista, Francis Pedata, che si occupava di una famosa rivista di arte e spettacolo. Mi chiese un’intervista per sapere un po’ di più di questo progetto teatrale che aveva avuto così tanto successo a livello internazionale, riaccendendo l’interesse per la cultura teatrale anche da parte di un pubblico che ormai era schiavo dei social network e dei reality spazzatura, e non solo in America.
Quella telefonata mi lusingò parecchio, anche se già in quel periodo avevo fatto esperienze di quel tipo e nella tappa italiana della tournee mi venne anche dedicato un patriottico interesse televisivo.
Ero curiosa di incontrarlo e nel primo pomeriggio fissai un appuntamento nell’ albergo in cui alloggiavo con la compagnia.

-Signorina De Matteo, c’è un ospite per lei. L’ho fatto accomodare nella piccola sala congressi, per una questione di riservatezza sa com’è…- mi disse la receptionist chiamandomi dal telefono interno.
-Ah…la ringrazio, ma non si doveva disturbare così…la hall andava benissimo…Scendo in un lampo!
Riagganciai subito. Ero molto emozionata per quell’incontro; stimavo tanto Pedata come giornalista e seguivo molto la sua rivista. Apprezzavo il suo modo di scrivere e la competenza con cui affrontava gli argomenti. Non credevo fosse così conosciuto, ma evidentemente essendo una firma famosa della carta stampata godeva di un po’ di notorietà pubblica. Mi spiegai così la leggera agitazione che avvertivo nella voce dell’addetta alla reception e la riservatezza di cui si era preoccupata.
Mi diedi una sistemata alla svelta e andai.
Scesi nella hall, e chiesi alla signorina con cui avevo parlato al telefono dove si trovasse la sala congressi. C’era un atmosfera strana lì intorno. Avevano serrato le porte dell’ingresso e tirato giù le tende.
-Posso accompagnarla Signorina De Matteo?- mi fece la ragazza dell’albergo
-Ma guardi non si preoccupi…basta che mi dice dove devo…
-No, la prego. Ci terrei molto…-mi interruppe- l’accompagno più che volentieri…
Rimasi colpita dalla richiesta, ma pensai che l’albergo dovesse essere frequentato da persone facoltose per cui il personale era istruito a dovere su come comportarsi. Era l’unica spiegazione sensata che riuscì a darmi dinanzi a tanta insistenza.
Arrivammo dinanzi alla porta antipanico della sala congressi. Fuori, due omaccioni erano piantati come pilastri. Non credevo che Francis Pedata avesse addirittura bisogno delle guardie del corpo…
Prima di entrare la receptionist
-Le potrei chiedere un favore immenso?…
-Mi dica…-le risposi
Mi porse un block notes ed una penna, aveva le mani sudate e la salivazione a zero…
-E’ per una mia amica…Anna…Voglio farle in anticipo il regalo di Natale…
Mi fece un occhiolino ed andò via, lasciandomi con fogli,penna, e la convinzione che il personale di quell’albergo lavorasse un po’ troppo; quella ragazza aveva un evidente bisogno di una vacanza.

Porta o non porta, non appena entrai nella stanza venni presa dal panico più disarmante.
La fortezza delle mie belle rassicurazioni stava per essere attaccata, e contrariamente a quanto avrei creduto fin a quel momento, non avevo la più pallida intenzione di oppormi all’invasione.
Erano passati 19 mesi esatti.
-Michael….
-Susie…
Mi aveva trovata.
Era venuto a riprendermi.
Finalmente.
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Messaggio Da marina56 Lun Ott 17, 2011 9:30 pm

Cap 29

Al mio ingresso si alzò di scatto.
Rimasi distante vicino alla porta, come pronta a scappare o forse più probabilmente come in attesa che lui si avvicinasse a me.
-Che…che…ci fai qui Mike?- sillabai
-Non rispondevi alle mie telefonate né ai miei messaggi…Venirti a cercare era l’unico modo che avevo per chiederti scusa davvero…
-Ma guarda…io adesso…
-No Susie, ti scongiuro. Almeno stavolta ascolta quello che ho da dirti. Sto soffrendo, sto soffrendo come un cane, perché ho perso l’unica cosa preziosa che non si può comprare con il denaro. Ho perso un cuore pulito come il tuo che ha saputo confortarmi nei momenti di sofferenza e farmi sorridere nella gioia. Che mi sarebbe stato accanto anche se non fossi stato un personaggio stravagante ma semplicemente un uomo difficile. Che mi ha fatto capire cosa significa avere vicino l’affetto di una donna vera come te, che sa sorridere alla vita, che sa sollevarsi dopo le cadute e che sa conquistarsi le sue soddisfazioni senza diventare schiava del proprio stesso talento. Che ha il coraggio di vivere le proprie emozioni anche se questo significa rischiare tutto e che mi ha insegnato che a quaranta anni, quando sembra che la vita ti abbia ormai sepolto sotto la seduzione degli eccessi, si può ancora imparare ad apprezzare le cose semplici che fanno di una vita qualsiasi la tua vita speciale.
Io non sono neanche un briciolo di quello che sei tu Susie. Sono un uomo solo a metà e ho bisogno di averti vicino per sentirmi intero.
Il mio castello era stato attaccato.
Capii che paradossalmente odiarlo non mi impediva di volergli un bene immenso. Come facevo a dimenticare quello che aveva fatto per me in tutti quegli anni.
Dovevo ammetterlo, quell’uomo avrebbe potuto farmi qualsiasi torto ma io non avrei mai smesso di essere la sua piccola Susie per il resto della mia vita. Chiamatela scarsa autostima, chiamatela sottomissione, chiamatela disperazione. Io lo chiamo semplicemente amore.
Il silenzio e un tremore diffuso furono le uniche risposte che seppi dare a quell’immensità che aveva sfondato dentro di me.
Aprì le braccia e con la voce impastata di commozione mi disse
-Ti scongiuro Susie…non negarmi questo abbraccio…
Gli corsi incontro, e quando il calore di quel contatto mi cinse d’assedio, anche l’ultima carta del mio castello di illusioni era stata abbattuta.
Da quel momento decisi di viverlo giorno per giorno, senza aspettative, senza progetti; solo lui, così com’era, senza avere altre pretese. Ma non gli concessi nient’altro che i miei consigli, il mio sostegno, i miei sorrisi, la mia amicizia. Non avrebbe avuto nulla di più fin quando non avesse fatto pace con se stesso, con il suo cuore e con il suo cervello, e avesse imparato a crescere. Almeno ci provai, ma quegli sforzi non furono altro che becere vigliaccate nascoste dietro a continui viaggi di lavoro. Partivo, tornavo, ripartivo, lo evitavo ma poi come una droga mi facevo penosamente della gioia che provavo e che leggevo nei suoi occhi di bambino ogni qual volta mi rifacevo viva dopo tanto tempo.
Cominciai a perdere d’occhio la sua quotidianità, le persone che frequentava. Ma non me ne feci un problema, era un uomo adulto, non doveva avere bisogno di me come balia, e poi recuperare i miei spazi mi aiutava a disintossicarmi da lui.
Del resto Mike non era il “guaiuncello del quartiere”, come diceva qualcuno, e i suoi ritmi di vita non erano proprio come quelli dei comuni mortali, erano i ritmi di vita di Michael Jackson e stargli dietro significava rinunciare totalmente a se stessi per essere la sua ombra silenziosa o il suo chiacchierone grillo parlante. Non avevo ancora raggiunto questo livello di nichilismo, per cui mi concessi ancora degli spazi di dignitosa realizzazione personale.
Tuttavia la nostra reciproca incostanza nel sentirci si alternava a periodi di totale e sacra devozione dell’uno verso l’altra. Per noi non c’erano vie di mezzo, tutto era portato all’estremo; noi eravamo estremi. O vicini vicini o lontani lontani. Ma Mike era per me come le piramidi in Egitto, non devi averle accanto per sapere che sono delle meraviglie mondiali.
Questo era il modo speciale di essere noi…era il nostro modo speciale.

Era parecchio che non ci vedevamo, la compagnia e l’associazione assorbivano totalmente le mie giornate, in più ero stata in Italia in occasione delle feste di Natale; al mio ritorno volle sorprendermi con una rinfrescata di imprevedibilità, tanto per non venire meno al solito canone vicini vicini, lontani lontani. Questa volta fece le cose veramente in grande, nel suo estremo modo speciale.
Ero appena scesa dall’aereo, presi il palmare e controllai la posta elettronica. Con mia sorpresa trovai un messaggio di Mike. “Susie devo parlarti di una cosa importante che ti riguarda. Appena leggi questa mail chiamami.”
Doveva essere qualcosa di urgente per cui presi un taxi e mi diressi direttamente a casa sua.
Mi aprì la domestica.
-Ah…salve Susie, come sta?
La guardai perplessa. Tina era una donna di poche, anzi pochissime parole. Erano anni che lavorava da Mike e da quando la conoscevo non mi aveva mai rivolto la parola. Quella improvvisa loquacità mi spaventò quasi.
-Ciao Tina…Eh tutto bene, sono un pochino stanca per il viaggio, la tratta Italia-America sembra allungarsi con gli anni…vengo direttamente dall’aereoporto. Mike è in casa?
-Ehmhmhmh…il sig. Jackson? Eh si…ehm anzi veramente non tanto. Cioè è impegnato, è nello studio sta lavorando…- mi rispose ambigua ed esitante.
Intanto entrai in casa, poggiai a terra la valigia, mi tolsi il cappotto. Lì mi sentivo a casa, ero a mio agio. Tra me e Mike non sono mai esistiti formalismi, quella era come casa mia.
Avanzai nel lungo corridoio diretta verso lo studio, mentre Tina come un cane da guardia mi seguiva nervosa e a passo frenetico borbottando una serie imprecisata di scuse.
La mail di Mike mi dava la sicurezza che mi aveva cercata e che doveva parlarmi. Ero impaziente di sapere cosa avesse da dirmi con tanta urgenza, per cui una volta di fronte alla porta del suo studio bussai convenzionalmente e senza attendere la risposta entrai spedita.
-Susie!...non ti aspettavo ancora… - mi accolse Mike con gli occhi sbarrati, evidentemente sorpreso dal vedermi “già” lì
-Oh Mike scusami tanto…credevo fossi solo…Ehm mi scusi anche lei…- dissi mortificata rivolgendomi al signore seduto dall’altro lato della scrivania. Un uomo di colore, stempiato e con i capelli lievemente spruzzati di bianco, che a testa bassa e senza rivolgermi la parola accennò solo un leggero gesto di saluto con la mano.
- Eeee…senti, aspettami in salotto. Devo sistemare una questione e ti raggiungo…
Chiusi la porta bruscamente ed attesi in soggiorno, trascinandomi per tutto il corridoio l’imbarazzo per la mia sbadataggine che con gli anni non si arrendeva a smussare i suoi angoli.
Il viaggio stavolta mi aveva massacrato; ormai erano anni che vivevo in America e solo in occasione delle feste tornavo a Napoli perché sentivo l’esigenza di stare vicino ai miei fratelli e alla mia famiglia, ma poi ripartivo sempre. Oltre al lavoro e agli affetti che qui avevo costruito c’era qualche altra cosa che mi richiamava oltreoceano come fosse una calamita. Chi mi stava vicino lo sapeva, Mike lo sapeva.
- Ehi…eccoti qua. Temevo te ne fossi andata…-disse Mike, che in compagnia del suo ospite mi raggiunse in salotto.
-Scusami se sono entrata così, ma ho letto la tua mail, ero in aereoporto, mi sono precipitata. Credevo fosse urgente…
-Si…in effetti lo è Susie…volevo appunto…
-Va bè ma forse è meglio che ne parliamo un’altra volta che dici? magari avete ancora da fare?- gli risposi facendogli un cenno verso quell’uomo che senza aprire bocca si era messo anche lui a sedere di fianco a Mike senza manifestare l’intenzione di andare via.
Era stranissimo. La sua presenza mi inquietava. Teneva tra le mani un cappello che nervosamente stropicciava, lo sguardo basso, il piede che martellava il pavimento, sembrava agitato.
- Eh no Susie…il signore è qui per lo stesso motivo per cui ti ho chiamata…Però prima…di…
- Ah si giusto…non ci siamo nemmeno presentati, che sbadata, non ne combino una giusta oggi…- dissi sorridente porgendogli la mano-… Mi chiamo Susanna De Matteo, piacere di conoscerla…
Un discografico, un regista, un attore, un manager, un musicista…Pensai subito ad una offerta di lavoro, ad un ingaggio per la mia nuova compagnia, ad una proposta interessante.
Niente di tutto questo.
Nulla di ciò che avevo immaginato corrispondeva alla reale identità di quella persona; ah si, forse solo una cosa, che era un musicista. O meglio lo era stato.
Quasi esitante mi strinse la mano, come riluttante a rinunciare al tormento di quel povero cappello. Si alzò leggermente per tendermi il braccio. Sollevò finalmente lo sguardo e quegli occhi da soli bastarono ad aggiungere quel frammento che mancava nel mosaico della mia vita, quel frammento con la cui assenza ero cresciuta…quel frammento che si chiamava papà.

CAP 30
Il caso lo aveva rimesso sulla mia strada e il rimorso di coscienza lo aveva spinto a cercarmi. Charlie De Matteo dopo quaranta anni si era rifatto vivo.
Prima ancora che si presentasse avevo capito chiaramente chi avevo di fronte. Non ricordavo il suo aspetto, ma non ebbi difficoltà a riconoscerlo dato che era la fotocopia invecchiata di mio fratello Riccardo.
Fui molto dura e scettica riguardo al suo ritorno. Evidentemente voleva qualcosa da me. Soldi, di sicuro. Ma ancora di più mi insospettì ed infastidì il fatto che Mike fosse stato coinvolto in tutta quella storia. Che c’entrava lui? Ecco un altro modo per spillargli denaro, pensai. Una trovata dei giornali e delle televisioni per fare scalpore. Una di quelle belle schifezze montate ad arte che il mondo del gossip sapeva così ben costruire ogni qual volta si parlava di Michael Jackson. Lo conoscevo da anni ed indirettamente avevo partecipato allo stress mediatico a cui era da sempre sottoposto. Sapevo bene quanto questa cosa lo facesse stare male psicologicamente, e il pensiero che io potessi essere stata un tramite per la sua sofferenza in quel momento mi mortificò e mi fece imbestialire allo stesso tempo.
-Ciao Susanna…sono…Charlie…tuo padre…
-…Mio proprio niente direi…un padre ce l’ho, si chiama Roberto. Un altro non mi serve, soprattutto adesso che ho superato i quaranta…- risposi dura, ritirando istintivamente la mano- Guarda io no so nemmeno come rivolgermi a te..a lei…non lo so e non mi interessa. Le suggerisco solo di vergognarsi, oltre che per il passato anche per il presente. Usare me come mezzo per raggiungere i miei amici…che schifo. Guardi io non me la bevo la storia del padre degenere che vuole recuperare il rapporto con la figlia. Concludiamo subito questa pagliacciata. Che vuoi? Soldi, scoop, titoli di giornali, interviste strepitose…? Uhhh già mi immagino il titolo scottante…”La vita dell’amica di Michael Jackson”…spiacente, ma stronzate del genere sono già state fatte!…Ma che so…potrei suggerirle…”Mia figlia: l’amica di Michael Jackson”…le piace questo?
-Susie! Basta! Fammi spiegare!- intervenne Mike alzando la voce e spingendomi giù le spalle per mettermi a sedere- Capisco tutto quello che puoi provare in questo momento. Ma prima devi sapere come sono andate le cose. Niente giornali, niente televisioni. Non è stato il sig. De Matteo a cercare me, sono stato io a cercare lui…
- Questo non migliora di certo la sua posizione; dimostra che è qui solo perché lo hai chiamato e non perché è interessato ad incontrarmi…
-No Susanna, non è questa la verità…lasciami spiegare…- disse Charlie
-E perché Mike? Che bisogno c’era di fare tutto questo…-continuai senza prestare una minima considerazione a ciò che quell’uomo stava dicendo. Era come se in quella stanza non ci fosse. Non esisteva. La mente era annebbiata dal risentimento.
-Susanna…ti ho cercata a lungo, ma non sono mai riuscito a mettermi in contatto con te. Quando ho ricevuto la telefonata del sig. Jackson pensavo fosse uno scherzo, non volevo crederci. Lui è stato solo un gancio, un tramite più diretto a te e allora ho pensato di approfittare della sua offerta d’aiuto dopo anni di ricerche alla cieca senza alcun risultato. Credimi…
-Non è di lui che ho bisogno Mike, non è lui che mi renderà felice…è un’altra la cosa che mi renderebbe felice…ma ormai sono anni che ci ho rinunciato…- dissi quella frase abbassando progressivamente il tono della voce come per evitare che potesse comprendere il significato e senza neanche rivolgere lo sguardo a colui che con tanta afflizione stava pronunciando quelle parole.
- Ma Susie…è tuo padre cavolo…Dagli un’altra possibilità! Ascolta quello che ha da dirti…
- Susanna ero un ragazzino, irresponsabile…- sussurrò
-…lei si faccia gli affari suoi!...- risposi imperativa guardandolo dritto negli occhi.
- No Susie…così non mi piace. Se hai intenzione di parlare in questi toni io non ci sto, non così, non in casa mia…
- Ma che speravi di ottenere Mike? Ma come posso perdonare un uomo che ci ha lasciati nella povertà più totale…che ha lasciato una ragazza con due bambini piccoli…ma come…
-Che cosa otterresti continuando a portargli rancore. Sei schiava dell’odio che provi nei suoi confronti e dall’odio non ne viene mai niente di buono, Susie…provaci! dagli un’altra possibilità!
-Ma perché mi hai fatto questo Mike?- gli risposi con la voce rotta dal pianto
-Perché dove c’è famiglia c’è felicità, e dove c’è felicità voglio che ci sia tu Susie…per questo…solo per questo…Credevo di aiutarti…

Quella discussione finì così, sospesa. Chiamai un taxi e me ne andai. Non avevo la forza di parlare, di discutere e non me la sentivo ancora di perdonare.
Ero stata dura con Charlie e me ne ero pentita non appena chiusi la porta di quella casa. Ormai era una persona anziana, che senso aveva trattarlo in quel modo. Non ne avrei ottenuto nulla. E poi infondo non potevo biasimare Mike per quello che aveva fatto, era stato un gesto in buona fede, ma soprattutto spinto dal fatto che ormai conosceva bene la storia della mia famiglia. Io stessa gli avevo parlato spesso di Charlie. Lo insultavo, lo criticavo, lo maledicevo, ma poi alla fine ne parlavo sempre. Dove sarà adesso? Ha un'altra famiglia? Chissà se ho una sorella? Mi penserà?
Sentivo che anche se ci avessi messo un po’ di tempo una possibilità a quell’uomo gliela avrei data. Qualcosa mi diceva che dovevo provarci e che dovevo mettere da parte l’orgoglio; infondo dovevo ammetterlo, erano anni che aspettavo di incontrarlo, sebbene non avessi mai trovato il coraggio di cercarlo.
Ancora una volta come per la storia di Patrick, del bambino che avevo perso, delle opere umanitarie che tanto mi avevano segnato, anche in quell’occasione Mike fu per me l’uomo della svolta, il mio terremoto.
Dovevo riflettere, ero confusa. Dovevo mettere ordine nel caos che il ritorno di Charlie aveva scatenato dentro di me, e che Mike dal canto suo contribuiva ad aumentare.
Quella sera ricevetti un suo sms che diceva “Non rinunciare… “ . Allora mi aveva sentito, aveva capito che solo lui poteva essere la mia gioia. Lo avrei aspettato, chi volevo prendere in giro, il mio cuore non mi dava possibilità di scelta.
A tormento si aggiunse tormento. Dovevo o non dovevo dare a mio padre un’altra possibilità? E poi…Perché Mike aveva fatto questo per me? Quali erano le sue vere intenzioni? Ed ecco che si ripresentavano le vecchie domande, a cui inesorabili seguivano sempre le mie solite vecchie risposte. Forse per amicizia, forse per altruismo, forse per vigliaccheria; un valido modo per sopperire al mio bisogno d’amore, per tenere il mio cuore occupato, per riparare al dolore che mi aveva provocato. Un modo come un altro per avvertire di meno il senso di colpa per non sentirsi ancora pronto a volermi quel bene speciale che io volevo a lui. Quello di una volta. Come un ragazzino alla prima cotta che non trova il coraggio di dire certe cose. Lui era così, l’eterno bambino.
Anche in quel caso avrei tanto desiderato che la risposta fosse stata un’altra. Avrei voluto che avesse fatto quella cosa per amore. Ma amore vero.
Rimarginare ferite vecchie e profonde che toccavano così da vicino la mia infanzia non fu una cosa da poco, e tutt’ora con Charlie vivo un rapporto in costruzione. Niente di ciò che ho perso negli anni potrà essere realmente recuperato, ma quanto meno ho scoperto di avere altri due fratelli ed una sorella con al seguito tre deliziosi nipotini e vivrò senza il rimpianto di non aver fatto nulla per completare i pezzi mancanti della mia esistenza.
E tutto questo per merito di Mike, probabilmente l’unica persona a possedere nella sua collezione di dischi un vinile degli “Sturdust jazz quartet
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Messaggio Da marina56 Lun Ott 17, 2011 9:31 pm

Cap 32
Destinazione Londra.
Il giorno della partenza fu un disastro; ero così agitata che prima di uscire di casa inciampai, mi versai il caffè addosso e persi le chiavi. Arrivai tardissimo.
-Scusa, scusa, scusa, scusa….- iniziai a dire mentre stavo ancora salendo le scalette dell’aereo- sono imperdonabile…
-De Matteo ti abbiamo aspettato solo perché Michael ce lo ha chiesto con insistenza. Non capisco perché ti ritenga così indispensabile, in fondo non sei mica sua moglie…anche se si vede da un miglio che ti piacerebbe…-mi accolse acidulo Thomas Machina
-Di fatti le scuse non erano per te…Mike mi dispiace, è successo di tutto oggi…Siamo ancora in tempo no?
-Ciao Susie, si si tranquilla…- rispose Mike dandomi un bacio sulla guancia.
Era evidentemente agitato.
-Come mi trovi?
-Sincera sincera?
-Sincera, sincera…
-Troppo teso ragazzo…Dai su…, questo è un momento importante per te, cerca di viverlo serenamente…prenditi il meglio. I tuoi fan saranno lì ad aspettarti impazienti di vedere il loro grande idolo…Non vorrai mica farti trovare in questo stato?
-…lo so , lo so…del resto è soprattutto per loro che faccio tutto questo…
-Certo caro Michael che la tua amica in quanto a consigli va a avanti a botta di banalità…Direi che potresti tranquillamente farne a meno…-intervenne Machina sogghignando.
Mi avvicinai a lui e “per sbaglio” gli infilai il tacco dodici delle mie belle scarpe nuove dritto dritto nel suo piede-…Machina…vedi di stare al posto tuo e di non rompere le scatole oggi…I tuoi interventi hanno la piacevolezza di un dente cariato…
-Ragazzi…e per favoreee…-rispose Mike infastidito-…Susie, almeno tu, ti prego…Così non mi sei per niente d’aiuto però…
-Michael lascia stare, la signorina forse oggi ha le sue cose… Mi metto per conto mio a leggere il giornale così non urto la sua suscettibilità…
Feci finta di non sentire per evitare di buttarlo elegantemente a calci nel sedere fuori da quell’aereo.
Mike aveva ragione, ero lì per un motivo. Aveva bisogno del mio sostegno e non della mia irascibilità.
Durante tutto il viaggio cercai di farlo distrarre parlando di tutto tranne di quello che gli aspettava nei mesi seguenti; avremmo avuto tempo di discutere tranquillamente anche di quello in un momento migliore e senza quel parassita di Thomas Machina tra i piedi.
Ridemmo, scherzammo, a tratti mi parve più tranquillo. Insieme trovavamo sempre il modo di stare bene.
-Mike, ti va di fare un gioco?
-Che gioco si può fare in un aereo?
-In Italia lo chiamiamo tipo “Nomi, cose, città…” un cosa del genere…Quello delle parole con una certa lettera…
-Ah si ho capito, facciamolo facciamolo…
Iniziammo aggiungendo un po’ di regole nuove, tipo categorie di nomi assurde come acronimi, nomi di politici, stilisti, parolacce, e cose disgustose. In più io avevo la possibilità di usare anche parolacce in italiano, a patto che però gliene spiegassi il significato.
Era uscita la s, e tra le parolacce ne misi una in italiano che di certo non conosceva e che mi avrebbe assegnato di sicuro il punto, “sparacazzate”.
-Susie…non imbrogliare…secondo me sto sparacose… che hai scritto tu non esiste…
-No Mike, ti giuro, esiste. Io la uso spesso…
-Allora voglio sapere che significa altrimenti niente punto…
- …diciamo che “sparacazzate” non è una offesa generica, è più che altro un tipo di persona…
-…e che persona è questo tipo di persona?
-Dunque….mhmhmhm…fammici pensare….uno, uno che spara cavolate e si sente un genio, uno come…come Thomas Machina…
Iniziammo a ridere mentre il tipo si sentì chiamato in causa.
Alzò la testa dal giornale che stava leggendo e disse
-De Matteo hai fatto il mio nome? Che onore…E a cosa devo cotanta gentilezza?
-Niente di che. Stavo spiegando a Mike il significato di una parola in italiano, e per fargliela capire ho preso te come esempio. Ne sei il prototipo più chiaro direi…
-Addirittura…Posso sapere di che si tratta?
-Certo, come no…Allora diciamo che è una specie di mestiere...Mhmhmh….in un certo senso si avvicina a quello di cui ti occupi tu…Tecnicamente si dice “sparacazzate “….
Intanto Mike cercava di trattenersi per non scoppiare a ridergli in faccia.
-Bene…Quindi mi stai dicendo che qualora mi capitasse di trovarmi in Italia per lavoro potrei presentarmi come spara…”spara cazzate”?
-Senza dubbio, ne hai tutte le caratteristiche…- risposi io mantenendo non so come un viso serissimo.
-…Wow…grazie, così mi do un tocco di professionalità in più…Comunque devo impararlo l’italiano, è una lingua affascinante…
A quel punto mi nascosi dietro la mia borsa e mi tappai la bocca per evitare che la mia risata fragorosa potesse venire fuori e rovinare quella bella scenetta. Machina tutto compiaciuto che si dava dello sparacazzate, mentre Mike ridendo sotto i baffi mi ripeteva –…L’attrice, l’attrice…dovevi fare l’attrice…
Trascorsero così quelle ore di viaggio, eravamo giunti a destinazione.
Una macchina dai vetri scuri lo attendeva. Io lo avrei raggiunto dopo con il resto dello staff per evitare di essergli di ulteriore impiccio. Già immaginavo la folla ansimante che lo aspettava, ci mancava solo che si fosse dovuto preoccupare che io venissi schiacciata dalla gente.
-Mike, allora ci vediamo dopo lì…-gli dissi avviandomi verso l’altra macchina che avevano predisposto per noi.
Non rispose.
Mi si avvicinò e le dita della sua mano si intrecciarono alle mie trascinandomi fluidamente dietro il suo braccio
-… ho bisogno di te…adesso…- mi disse con una voce che non lasciava spazio a repliche.
Non avrei mai replicato.
Con fatica l’auto si fece largo nella calca. Prima di scendere ad affrontare quella folla, mi strinse forte a sé e disse – Fammi un in bocca al lupo!
Quello che accadde alla conferenza stampa è stato ampiamente raccontato, immortalato e stravolto dai giornali e dalle televisioni di tutto il mondo.

Dopo qualche tempo iniziarono le prove del tour.
Eccolo, era tornato!
-Ma quanto ama il suo lavoro quest’uomo…- pensavo mentre lo vedevo indaffaratissimo e talvolta visibilmente affaticato tra basi, coreografie, effetti di luci e tutto quello strabiliante palcoscenico che lo circondava.
Il giorno delle selezioni dei ballerini volle che io fossi presente.
-Mi serve un tuo consiglio- mi disse- so che con te posso fare una scelta migliore…
Sapevo che stimava le mie capacità di coreografa ed adoravo la chimica e la complicità che scattava tra noi quando lavoravamo insieme. Ovviamente lo aiutai nelle selezioni.
Mi riconobbi negli occhi speranzosi di quei ragazzi; in loro rividi me all’inizio della mia carriera.
-Quante generazioni ha fatto ballare…- pensai commossa mentre prendevamo posto davanti al palco.
Si spensero le luci in sala e la musica partì.
Seduto su quella poltrona era elettrico. Come quando lo vidi la prima volta il giorno del mio pseudo-provino, il 28 agosto ’87, non riusciva a stare fermo…ballava…ballava sempre, con qualsiasi musica. Faceva scattare la testa e le spalle con un ritmo tutto suo, quel ritmo che ha fatto storia.
-Lei, lei lei!!!...lei è perfetta!! -disse indicando ripetutamente la ragazza in prima fila.
Alta, mora, capelli mossi e lunghi, leggermente scura di carnagione. Mi ricordava qualcuno.
Si rivolse verso di me e dolcissimo mi strinse le guance tra le sue mani dicendo - Come vedi i miei gusti rimangono sempre gli stessi…
Ci abbracciammo a lungo. Mi guardò felice con gli occhi lucidi.
Era stanco, stressato, preoccupato, ma leggevo ancora nel suo sguardo la voglia di regalare qualcosa di bello al mondo, uno spettacolo epico, strabiliante, sfarzoso, sorprendente. Il saluto ai suoi fan non poteva che immaginarlo così.
Emily Dickinson diceva che la fama è come un’ape, ha un ronzio, ha un pungiglione, ma ha anche le ali per volare, e sapevo che in quello spettacolo Mike avrebbe volato alto…meravigliosamente, come ha sempre fatto.
Con un ampio gesto panoramico del braccio indirizzò la mia attenzione sul quel palco, le luci, gli amplificatori, gli strumenti.
-Vedi Susie, questa è la musica per le migliaia di ragazze e ragazzi che mi hanno seguito in questi anni con tanto affetto. Alcuni di questi saranno ormai già uomini e donne adulti, altri forse, chissà, sono ancora dei ragazzini…ma tutta la musica di quel palco sarà per loro…
Prese le mie mani e se le portò al petto. Il suo cuore come il ritmo di una follia di tamburo.
Tirò giù gli occhiali scuri come per timore che dentro quegli occhi si leggesse troppo sfacciatamente ciò che gli frullava nella mente o forse solo per nascondere l’imbarazzo, ma il rossore sulle sue guance lo tradì-…e la senti questa Susie?...questa è la mia musica solo per te. Non è mai stata di nessun altra…Quanto sono stato stupido Susie…Come ho fatto a non capire che la felicità non l’avrei trovata cercandola lontano…La felicità è sempre stata seduta al mio fianco, dove sei seduta tu adesso.
Abbassai lo sguardo incapace di reggere la trepidazione di quella sua voce senza età mentre, accarezzandomi il viso, allontanava dalla mia fronte qualche ricciolo ribelle.
-Ma dimmi…è tardi Susie?...è troppo tardi per noi…?
-…Non è mai troppo tardi per noi Mike…non lo è mai stato…- gli risposi.
Mi diede un caldo bacio sulla fronte e avvicinandosi al mio viso come per annullare ogni altra cosa dal suo campo visivo mi disse a voce lieve - Allora ragazza tieniti pronta… perchè quando tutto questo sarà finito ti giuro che ci sarà tempo solo per noi e per quello che in questi anni abbiamo lasciato sospeso…tutto il tempo che vogliamo…
Non mi restava che aspettare.

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Messaggio Da marina56 Dom Dic 18, 2011 2:33 pm

Cap 33
Tra pacchi, scatoloni e carta da imballaggio non ci stavamo capendo più niente. La compagnia mi teneva sempre lontana da casa per mesi, ma adesso era arrivato il momento di cominciare sto benedetto trasloco.

Quella villa era uno spettacolo dell’architettura, ma per me era troppo. I miei tentativi di rifiutare quel regalo furono vani, ormai Mike aveva deciso così .
-Susie…non voglio sentire storie…Non è carino rifiutare un regalo- mi disse facendo tintinnare le chiavi della casa davanti ad un mega sorrisone dei suoi.
-Guarda Mike, questo posto è uno spettacolo…Ma…ma girati un po’ intorno…che ci faccio io con tutto questo spazio? Lo sai che non ci sono abituata, e poi vivere da sola in un posto così grande mi mette un’angoscia senza limite- gli risposi mentre con il naso verso il soffitto mi sorprendevo dell’immensità di quelle stanze.
-Ma pensi solo a te?...che egoista…-aggiunse fingendo degli occhietti imbronciati- …e io e bambini dove ci mettiamo? Ragazza, la famiglia si allarga, ne siamo in cinque fattene una ragione…
Non potevo credere alle mie orecchie.
-…ripetimelo Mike…ripetimelo, ripetimelo, ripetimelo all’infinito…- dissi mentre saltandogli al collo piansi un’alluvione di gioia.
-Voglio che tu diventi la mia famiglia Susie…Tu lo vuoi?
-Non ho mai smesso di sperarlo tesoro mio, mai, mai, mai, mai…
Ci abbracciammo di nuovo e poi cercai di tornare sulla Terra.
-Mike ma con i bambini? Come facciamo? Loro non sanno nulla, non hanno mai saputo nulla, e poi in questo periodo tu devi lavorare come un matto, non ci vedremo per non so quanti mesi…Come facciamo?
-Si si, c’avevo pensato. Magari cerchiamo di fare una cosa graduale, piano, piano. Non perché i bambini non ti vogliano bene, lo sai che ti adorano, però sai com’è…Per loro ci sono sempre stato solo io, vedermi con una compagna accanto all’improvviso, sotto lo stesso tetto tutti e cinque…Non vorrei che per loro fosse una cosa un po’ traumatica…Poi in effetti mi aspetta un periodo di fuoco. Starò via tanto e già so che per quanto voglia fare i salti mortali li vedrò pochissimo, quindi far vivere loro quest’altro cambiamento improvviso, così subito, forse non è il caso…Che dici?
-Hai pienamente ragione. Tanto che fretta abbiamo? Facciamo così, in questi mesi mi occuperò io di tutto, di sistemare la casa, arredarla, ecc ecc, tu intanto hai un certo tour da fare. Quando poi avrai concluso con i concerti e le varie cose faremo questo passo con più tranquillità, per allora sarà tutto pronto e non mancherà nulla. Adesso sarebbe uno strapazzo per noi e per i ragazzi…
-Ma penserai proprio a tutto tutto?
-Si, non ti preoccupare, a tutto tutto…
-…e…anche…alle nostre fedi Susie?
Tutto ciò che riguardava la nostra storia era stato inusuale, anche la sua proposta di matrimonio.
-…si Mike…anche alle nostre fedi…

Erano passati quasi tre mesi da quando avevamo preso quella casa, ma fino a giugno nessuno dei due ci aveva più messo piede, io sempre in giro con la compagnia e lui assolutamente impegnato con le prove, ma era arrivato il momento di darmi una mossa approfittando di graditissimi rinforzi venuti dall’Italia.
Finalmente dopo ventidue anni che vivevo in America Diana era venuta a trovarmi. Si sarebbe fermata per un paio di mesi, e quindi approfittai delle sue braccine per farmi dare una mano.
Era da ore che spacchettavamo e spolveravamo di tutto; mangiammo qualcosa alla svelta e poi tra una chiacchiera e l’altra mi addormentai sperimentando le poltrone reclinabili che avevo appena acquistato per il salotto nuovo.
Il campanello.
Sobbalzai.
Guardai l’orologio con gli occhi semiaperti…non riuscivo a vedere che ora fosse perché l’orologio mi parve essere senza lancette…Il sonno e la mia cocciutaggine a non voler mettere gli occhiali da vista mi facevano brutti scherzi.
Aprii la porta.
-Ohi…Mike…!?...Ma che ci fai qua.? Entra dentro…ti vedranno!
Era solo, non era travestito, né tantomeno indossava mascherine, cappelli o cose del genere.
- No…stai tranquilla non può vedermi nessuno…
-Eh si come no… dai non sparare cavolate…ed entra- lo tirai per un braccio.
-Allora? Come mai qui? Hai bisogno di qualcosa?
-Si, sono venuto per lasciarti delle parole…
Parlava piano, forse non voleva svegliare Diana che dormiva.
Solo a quel punto realizzai che in casa c’era anche Diana, l’amica per me più importante di tutta la mia vita che per ironia della sorte non aveva mai, e dico mai, conosciuto di persona l’uomo per me più importante. E adesso, in quel giorno, ad un’ora imprecisata, si trovavamo nella stessa stanza.
Era il momento dello storico incontro. Dopo vent’anni era ora.
-Mike…Mike…aspetta aspetta. Prima che vai avanti devi conoscere Diana. È arrivata ieri, te la presento finalmente…
Mi avvicinai per svegliarla, quando lui mi bloccò delicatamente.
-Shhhhhhhh- mi fece con l’indice poggiato sulle labbra- ci saranno delle parole solo per lei, ma non adesso…Ho fame Susie…
-Ah…vedo che ho in frigo. Che ti va?
-Hai dei muffin Susie?
Sorrisi leggermente a quella richiesta per via del dolce ricordo che mi suscitava.
-No Mike…non credo proprio…- gli dissi mentre cercavo di pescare qualcosa nella credenza- Posso controllare, ma sai non ho fatto ancora la spe…Ah…sei fortunato! Li ho trovati…deve averli portati Diana perché non credevo…mah…comunque tieni, prendi pure.
Mangiò lentamente e in silenzio. Composto, seduto al tavolo della cucina. Nemmeno io dissi nulla, rimasi in piedi a guardarlo.
Quella visita, quella richiesta, tutto avvenne lentamente e con una ritualità quasi mistica che mi tolse ogni parola.
Una volta che ebbe finito si avviò verso la porta.
-Ehi Mike, ma vai via così…?- esclamai confusa
- …Lo so ma…credevo di avere più tempo, però prima di andare via ti lascio tre cose Susie. Il ricordo di una promessa preziosa, una coperta per quando la tua paura sarà fredda e il mio Ti Amo Per Sempre…
Avvicinò delicatamente il mio viso al suo e lasciò sulle mie labbra il sapore di quel muffin.
Non ebbi la forza di parlare anche se dentro di me a quel ti amo sussurrato rispondeva un Ti Amo gridato; ma adesso che sapevo che il Mio Mike innamorato era tornato non avevo più nulla da temere, perché io, la Sua piccola Susie innamorata, non ero mai andata via.
Ero così felice che quella sola notte non mi sarebbe mai bastata, ma ormai avremmo avuto tante altre notti in cui gli avrei potuto raccontare la mia gioia.
Aprì la porta e prima di uscire si voltò di nuovo e mi disse
- Susie…i miei bambini…ti raccomando…

La mia testa si appesantì di lato e con uno scatto brusco aprii gli occhi.
-Uè, che c’è? non riesci a dormire nemmeno tu? Stai da un’ora che ti giri e ti rigiri su sta poltrona. Forse non è poi così comoda come pensavi- disse Diana sorridendo mentre, seduta sul divano di fronte a me, leggeva un libro- neppure io riesco a dormire, sto jet lag m’accir. Tu del resto non sei una grande compagnia, mentre parlavi ti sei appapagnata come una vecchietta…
-Dià ma che stai dicendo? Se non mi alzavo io, mo l’aprivi quella porta. E quel povero Mike a voglia di stare là fuori…
Diana si avvicinò e mi pose una mano sulla fronte.
-Eppure non scotti… Susà ma ti sei presa qualche cosa? Dimmi la verità, mica ti droghi e non me lo dici? Mi fai dispiacere assai se è così…
-Ma la vuoi smettere! Mi stai facendo incazzare! Ho fatto bene a non svegliarti; Mike è venuto qua e non te l’ho nemmeno presentato. La prossima volta impari…aspetta altri vent’anni mo! - alzai la voce.
Diana con sguardo serio e con voce tranquilla cercò di calmarmi. Ad un tratto ero diventata una furia. Mi agitavo, ero sudata e paonazza in viso.
-Susanna calmati…- mi disse accarezzandomi i capelli- mi stai facendo preoccupare. Forse hai fatto un brutto sogno? Io sono stata sveglia a leggere fino ad adesso, tu dormivi, e qua non è venuto nessuno.
-Ah no?...ma che ti pensi che mi sono rincretinita? Vieni con me in cucina…ti faccio vedere chi delle due sta male…
La trascinai nell’altra stanza e sul tavolo c’era un pacco di muffin aperto.
-Ecco! Hai visto? Mike è venuto qua, è stato dieci minuti. Ha detto che aveva fame e che voleva un muffin. L’ha mangiato…
-Susà vieni un attimo per favore…- mi interruppe Diana turbata, mentre frugava dentro la scatola delle merendine- ci sta qualcosa qua dentro…
-Embè che sarà mai. Forse è una di quelle sorprese per i bambini…sai quelle…
- Ah si…E da quando in qua nelle merendine ci mettono gioielli di brillanti?
Le strappai quello scatolino dalle mani. Prima ancora di vederne il contenuto il cuore mi esplose nel petto.
Conoscevo quello scatolino.
Lo aprii e ciò che vidi al suo interno mi lasciò inebetita.
Dentro c’era il mio ciondolo, anzi il nostro ciondolo. Quello con la data che Mike mi aveva regalato tanti anni prima. Ma era impossibile, insomma erano passati quattordici anni da quando mi era stato strappato via dal collo con violenza durante quella notte infernale e da allora non lo avevo più ritrovato.
Lo voltai, e dietro c’era quella scritta eterna come il “Per sempre” che vi era inciso, eterna come…
…come “il ricordo di una promessa preziosa” che qualcuno mi aveva lasciato insieme ad un bacio dal sapore dolce, in un tempo sospeso senza lancette.
Stavo per svenire.
A quel punto Diana mi sostenne e mi accompagnò sul divano. Mi addormentai distesa con la testa sulle sue gambe, mentre lei in compagnia del fuso orario sballato leggeva il suo libro.
Mi alzai tardi quella mattina e cercai di fare piano per non svegliarla, quella poverina non aveva dormito tutta la notte. Le tolsi il libro che ancora teneva in una mano, ed involontariamente lo feci cadere a terra.
Dalle pagine ne uscì una busta; pensai che fosse un segnalibro, ma sembrava una piccola lettera.
Mi incuriosii e la aprii. Tanto tra me e lei non c’erano segreti, non se la sarebbe presa.
Dietro c’era una scritta che diceva “Per Diana” ; era in inglese il che mi parve strano perché lei l’inglese lo parlavo poco.
Quella scrittura non mi era nuova…
Per leggerla dovetti sedermi, stavo per svenire di nuovo.

Diana,
il Destino ha voluto che noi due, totali sconosciuti, separati da mondi ed oceani, condividessimo un tesoro prezioso dalle sembianze di donna, quel tesoro di nome Susanna.
La vita non mi ha concesso di godere ancora della meraviglia del suo amore, ma a te che l’accompagnerai negli anni a venire, lascio un’eredità d’anima.
Sii per lei i miei occhi, il mio calore ed i miei abbracci;. stalle vicino nei momenti difficili e gioisci con lei nei momenti di felicità, mentre io vi seguirò senza infastidire il percorso delle vostre vite e vivrò ancora nel tuo affetto, nelle tue carezze e nelle tue parole.
Come Susanna ha scelto te per esserle amica nella vita, io ti scelgo come tramite oltre la vita, perché è attraverso di te le insegnerò ad udire con gli occhi e a leggere ciò che scriverà ancora per lei il mio amore silenzioso. Sarò lontano, ma mai così tanto da impedire al mio cuore di raggiungerla ovunque.
Diana, le nostre mani non si sono mai strette per presentarsi e me ne dispiace, speravo di avere più tempo anche per questo, tuttavia da oggi mi auguro che saranno le nostre anime a stringersi, in questo patto eterno…
Ti sorrido dall’alto,
Michael.

Il tempo artefatto del sogno aveva ceduto il posto alle lancette della realtà.
Erano all’incirca le dodici e un quarto del 25 giugno 2009, e al mio angelo stavano per spuntare le ali.
Eh si…era volato via, prima ancora che il suo spettacolo potesse avere inizio.




Cap 34
E adesso? Cosa mi succede adesso?
Chiudo gli occhi.
La tua voce.
Susie…stasera cinese?...Susie ti piacciono queste scarpe?....Susie andiamo in giro?...Susie sono impegnato, ma ti prometto che dopo ti chiamo…Susie quando torni a Napoli a Natale mi prendi i pastori del presepe?...Susie mi serve una mano…Susie hai bisogno di aiuto?...Susie chiama quando arrivi a casa…
La mia voce.
Mike non fare il musone…Mike smettila con l’acqua…Mike mi manchi tanto…Mike fatti sentire…
Mike ti ho preso un regalo…Mike facciamo una torta…Mike guarda questo pezzo…Mike stai benissimo così, lascia stare…Mike lavoraci un po’ su ed è perfetto…Mike non fare quelle facce…Mike te l’ho mai detto che sei un testone?....Mike abbracciami un pochino…Mike passo a prendere i bambini…Mike…
E adesso?
Senza cene, senza scarpe, senza uscite, senza presepe, senza telefonate, senza aiuto, senza attesa, senza rimproveri, senza consigli, senza regali, senza proposte, senza linguacce, senza abbracci, senza te…Michael, senza te per il resto dei miei giorni. Cosa può esserci dopo?
Non lo so.
Si può morire forse?
Si, si può.
Allora che faccio? Ti seguo?
...E tu che farai? So che mi rimprovereresti. Ma io sono testarda lo sai, potrei non darti ascolto.
Però tu mi hai aperto gli occhi al futuro, tu mi hai suggerito un obiettivo, tu sei la mia speranza, tu mi hai lasciato quelle parole. Tu per me sei vita Mike.
A questo punto vuol dire che è arrivato il momento giusto. Il mio momento giusto.
Alle celebrazioni pubbliche ero assente, agli annunci ufficiali ero assente…Ed eccomi qui nella mia commemorazione personale per ricordare il tuo sorriso appassionato, i tuoi occhi struggenti, le tue mani accoglienti, il tuo profumo intenso, il tuo cuore grande; non per rendere onore al re della musica, ma al “Mio Piccolo Grande Uomo Normale”.
Mi hai insegnato ad amare e a combattere per ciò in cui credo. Mi hai insegnato che i figli non sono di chi li fa ma di chi li cresce e che per cambiare il mondo bisogna partire da se stessi prendendo un piccolo posto per renderlo un posto migliore. E adesso in questa casa semivuota con addosso il tuo pigiama rosso a righe, mentre sullo schermo della tv scorrono le immagini di un ragazzino che vola in groppa ad un drago bianco, penso a noi e alla nostra storia infinita.
Quanta gioia, quanto dolore, quante lacrime e quanti baci si nascondono e si intrecciano tra le righe di questa specie di diario che ho scritto ricordando con sofferenza e sorrisi quello che siamo stati; mi pare quasi assurdo pensare che questa carta sia adesso in parte depositaria della nostra vita Mike, ma ne sentivo il bisogno. Non per buttarmi tutto alle spalle, non per cancellare ed andare avanti, bensì per rendere il tuo ricordo eterno anche dopo di me, quando il destino deciderà che è arrivato il mio tempo per raggiungerti.
Custodirò queste pagine come un dono prezioso che lascerò in dote a mio figlio, si Mike come vorrei che tu adesso potessi sentirmi dire questa frase, a mio figlio, quel bambino che adotterò perché tu mi hai aperto la strada della speranza, così che in futuro possa sapere che quando era piccino piccino la sua mamma decise di amarlo anche se non aveva potuto vivere la gioia di portarlo in grembo, e tutto questo per merito di un angelo chiamato Michael volato in cielo troppo presto perché potesse imparare a conoscerlo.
Solo in questo modo sento di poterti dare il mio saluto eterno, con la consapevolezza di esserti stata amica nel modo migliore in cui avrei potuto esserlo, ma con il rimpianto di non aver avuto il tempo di gridare al tuo sussurro il mio Ti Amo lungo vent’anni; ma adesso, in questo giorno, nel “Nostro Anniversario Di Vita”…ti giuro che anche il mio sarà Per Sempre.

Con tutto l’amore che posso,
la tua piccola Susie.
29 agosto 2009.


FINE.....................
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