L'emergenza profughi
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L'emergenza profughi
L'emergenza profughi
di Susan Dabbous
MIGRAZIONE. Più di 4 milioni di iracheni dall'inizio della guerra hanno abbandonato le proprie case. La metà sono andati in Siria, finendo nel giro della prostituzione e del lavoro nero. Molti vivono in baraccopoli.
Ricevere un milione di iracheni piombati a Damasco nel giro di pochi anni (tra il 2003 e il 2005) non è stato né semplice né pratico. Ma la Siria ha accolto i suoi «fratelli» (così vengono chiamati dal governo) senza fare una piega. I confini (una linea fittizia nel deserto) sono stati aperti fin da subito, e sono rimasti tali fino al 2008. Due anni fa, infatti, il presidente Bachar al Assad si accorto di non avere i più i mezzi per sostenere l'arrivo continuo di migranti, giunti a due milioni e mezzo di persone (la Siria ha 18milioni di abitanti). La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata il boom di iscrizioni scolastiche di piccoli iracheni.
In Siria la scuola è obbligatoria e gratuita per tutti i bambini residenti nel territorio indipendentemente dalla loro nazionalità. Il problema è che il Paese di stampo socialista garantisce dei servizi minimi (sanità, educazione, prezzi calmierati per pane e latte) ma ha un'economia assolutamente debole. Il tasso di disoccupazione si aggira attorno al 20 per cento. L'afflusso di iracheni, quindi, non ha fatto che peggiorare la situazione innescando una guerra tra poveri. Nel mercato del lavoro nero, ad esempio, l'aumento dell'offerta di manodopera a basso costo, sia per i campi che per l'edilizia, ha portato la retribuzione giornaliera a 8-10 dollari.
Molte donne, e non solo quelle giovani, hanno iniziato a prostituirsi. La maggior parte si trovano nei quartieri centrali di Damasco e Aleppo (specie in quelli turistici). Il fenomeno è piuttosto discreto, e gli incontri avvengono sempre al chiuso, nei locali o nelle abitazioni private. Di fronte alla situazione divenuta insostenibile, due anni fa sono comparse improvvisamente norme per regolamentare gli ingressi: la richiesta del visto (inesistente fino a quel momento) e l'istituzione di una permesso di soggiorno per chi entra. In nome di una vecchia amicizia tra governi dello stesso partito (Baath) i cittadini di Iraq e Siria potevano muoversi nei reciproci territori senza alcun limite.
«Non è più così - afferma Maha Sidky, funzionaria irachena dell'Alto commisiario per i rifugiati dell'Onu -. A causa di questa politica restrittiva tante persone stanno tornando in Iraq. Nella capitale solo nell'ultimo anno hanno fatto ritorno 105mila persone». Da luglio 2008 a giugno 2010 sono rientrati nelle proprie case, dall'estero o da altri parti del Paese, 421mila cittadini. «Parte di questi hanno usufruito delle facilitazioni finanziarie previste dal governo iracheno per i rimpatri volontari, altri invece si ritrovano a vagare in condizioni disperate. Vivono in baracche abusive e spesso devono far fronte agli attacchi delle ammninistrazioni locali che li accusano di occupazione illegale di suolo pubblico. L'Onu in questi anni è riuscita ad abilitare oltre 2.500 abitazioni tra vecchie e nuove».
Un numero certo non elevato, se si pensa che solo gli sfollati interni in Iraq superano il milione e mezzo.
Fonte: https://www.facebook.com/pages/INFORMAZIONE-LIBERA/71253357381
di Susan Dabbous
MIGRAZIONE. Più di 4 milioni di iracheni dall'inizio della guerra hanno abbandonato le proprie case. La metà sono andati in Siria, finendo nel giro della prostituzione e del lavoro nero. Molti vivono in baraccopoli.
Ricevere un milione di iracheni piombati a Damasco nel giro di pochi anni (tra il 2003 e il 2005) non è stato né semplice né pratico. Ma la Siria ha accolto i suoi «fratelli» (così vengono chiamati dal governo) senza fare una piega. I confini (una linea fittizia nel deserto) sono stati aperti fin da subito, e sono rimasti tali fino al 2008. Due anni fa, infatti, il presidente Bachar al Assad si accorto di non avere i più i mezzi per sostenere l'arrivo continuo di migranti, giunti a due milioni e mezzo di persone (la Siria ha 18milioni di abitanti). La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata il boom di iscrizioni scolastiche di piccoli iracheni.
In Siria la scuola è obbligatoria e gratuita per tutti i bambini residenti nel territorio indipendentemente dalla loro nazionalità. Il problema è che il Paese di stampo socialista garantisce dei servizi minimi (sanità, educazione, prezzi calmierati per pane e latte) ma ha un'economia assolutamente debole. Il tasso di disoccupazione si aggira attorno al 20 per cento. L'afflusso di iracheni, quindi, non ha fatto che peggiorare la situazione innescando una guerra tra poveri. Nel mercato del lavoro nero, ad esempio, l'aumento dell'offerta di manodopera a basso costo, sia per i campi che per l'edilizia, ha portato la retribuzione giornaliera a 8-10 dollari.
Molte donne, e non solo quelle giovani, hanno iniziato a prostituirsi. La maggior parte si trovano nei quartieri centrali di Damasco e Aleppo (specie in quelli turistici). Il fenomeno è piuttosto discreto, e gli incontri avvengono sempre al chiuso, nei locali o nelle abitazioni private. Di fronte alla situazione divenuta insostenibile, due anni fa sono comparse improvvisamente norme per regolamentare gli ingressi: la richiesta del visto (inesistente fino a quel momento) e l'istituzione di una permesso di soggiorno per chi entra. In nome di una vecchia amicizia tra governi dello stesso partito (Baath) i cittadini di Iraq e Siria potevano muoversi nei reciproci territori senza alcun limite.
«Non è più così - afferma Maha Sidky, funzionaria irachena dell'Alto commisiario per i rifugiati dell'Onu -. A causa di questa politica restrittiva tante persone stanno tornando in Iraq. Nella capitale solo nell'ultimo anno hanno fatto ritorno 105mila persone». Da luglio 2008 a giugno 2010 sono rientrati nelle proprie case, dall'estero o da altri parti del Paese, 421mila cittadini. «Parte di questi hanno usufruito delle facilitazioni finanziarie previste dal governo iracheno per i rimpatri volontari, altri invece si ritrovano a vagare in condizioni disperate. Vivono in baracche abusive e spesso devono far fronte agli attacchi delle ammninistrazioni locali che li accusano di occupazione illegale di suolo pubblico. L'Onu in questi anni è riuscita ad abilitare oltre 2.500 abitazioni tra vecchie e nuove».
Un numero certo non elevato, se si pensa che solo gli sfollati interni in Iraq superano il milione e mezzo.
Fonte: https://www.facebook.com/pages/INFORMAZIONE-LIBERA/71253357381
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