Ricordi sbiaditi (terminata)
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Ricordi sbiaditi (terminata)
Capitolo 1
Vedeva la sua immagine riflessa nello specchio, la luce era spenta ma i raggi di luna che riuscivano timidamente ad entrare facevano risaltare i contorni del suo viso nel buio della stanza.
Portò le mani al volto, con estrema delicatezza, come se avesse paura di farsi del male lei stessa pogiandole su quei lividi ancora caldi.
Le lacrime si erano ormai seccate sulle sue guance e ne rimanevano solo i segni del trucco che si era sciolto a contatto con quelle goccioline che cadevano freneticamente dagli occhi.
Poteva sentire in lontananza, distrattamente, un dolce coro di canti natalizi e le risate dei bambini ormai pronti per andare a letto ad aspettare l’arrivo di Babbo Natale.
Fu così che trascorse il suo ultimo Natale in quella casa. Fu così che decise finalmente di andar via e prendere in mano la sua vita.
***
-Uffa! Frank ma devo proprio farlo questo servizio? Stamattina ho davvero troppo sonno, le prove ieri sembravano infinite…-
-Si Mike lo devi fare.- rispose Frank dando l’impressione di non aspettarsi una reazione in proposito.
-Preferirei di gran lunga starmene a casa, a pensare alle mie cose o anche semplicemente a non fare nulla, una volta tanto.- replicò Michael cercando di catalizzare il suo sguardo su qualcosa di indefinito fuori la finestra.
-Ma che hai stamattina?-
Per fortuna in quel momento un ometto di circa due anni si precipitò nella stanza.
-Papaààààààààààààà-
Il piccolo Prince emise un urlo simile più a quello di Tarzan piuttosto che a quello di un bambino.
Il sorriso di Michael esplose facendo illuminare tutto ciò che lo circondava, allungò subito le braccia verso di lui e lo portò a sé con un gesto veloce ma delicato. Diede un bacio sulla sua fronte e poi gli accarezzò la guancia con il dorso della mano. Ormai gli impegni di lavoro sembravano solo un brutto ricordo.
-Prince papà è di cattivo umore oggi- disse Frank- Ma è vero che deve andare a fare il sevizio? -continuò.
Prince ci pensò su un attimo, guardò l’uomo che lo aveva interpellato, poi si girò verso Michael, portò un dito alla bocca e disse:-papà se non vuole andare, resta qui con me.-
Michael sorrise e strinse il piccolo contro il suo petto sistemandogli una ciocca di capelli biondi che gli era andata dispettosamente davanti gli occhi.
Dopo avergli dato un ultimo bacio lo rimise a terra.
- E va bene, facciamo questo servizio, vado a prepararmi.-
Si girò verso Prince- hei piccolo, papà torna presto, ok?-
Il piccolo annuì e aggiunse: -Ti voglio bene!
-Io di più.- rispose Michael.
Andare su un set fotografico era come venir catapultati su un altro pianeta, Michael ormai ne era abituato, ma ogni volta era stupito dalla misteriosa magia che aleggiava intorno a macchine fotografiche, luci, fili e macchinari di ogni genere. Quegli oggetti freddi all’apparenza erano in realtà in grado di creare immagini meravigliose, capaci di fermare non solo il tempo ma anche di imprigionare dentro di esse i sentimenti, un semplice sorriso, uno sguardo, una lacrima, ogni forma d’arte lo affascinava moltissimo.
Giunti a destinazione si ritrovò immerso in tutte quelle cose di cui non conosceva neanche il nome. Insomma, dovevano averne uno, ma ricordarli tutti sarebbe stato quasi impossibile, la sua arte è la musica, è lei che conosce affondo, più di quanto abbia mai conosciuto persino se stesso.
Il suo sguardo all’improvviso fu attirato da qualcosa che si muoveva.
Socchiuse leggermente gli occhi cercando di mettere a fuoco e vedere meglio i contorni di quella misteriosa figura.
Si avvicinò. Ma proprio non capiva cosa fosse.
Capitolo 2
Ad un certo punto vide un ciuffo di capelli neri spuntare da dietro di una di quelle macchine, almeno ora sapeva che si trattava di una persona, aveva già iniziato ad immaginare un avvistamento alieno e a dir la verità rimase anche un po’ deluso di sapere che così non era. La cosa però si fece decisamente più interessante quando a quella ciocca nera arruffata si unì una mano dalle dita lunghe e affusolate, con le unghie laccate di un rosso molto scuro, tendente al viola.
Incuriosito decise di avvicinarsi ancora un po’.
-Ma…brutto idiota, ti levi da lì!!!-
Michael si guardò attorno.
-Si ce l‘ho con te.- una voce squillante lo stava rimproverando -Allora che vogliamo fare ti levi o…-
La figura misteriosa tolse lo sguardo dalla macchina e i suoi occhi si incrociarono con quelli divertiti di Michael.
-Oddio!- disse lei portandosi una mano sulla fronte.
Porca miseria, la mia prima vera occasione per poter diventare finalmente una fotografa conosciuta almeno da più di cinque persone adesso sarà anche l’ultima.
-Non sei un idiota, cioè…non sapevo fossi tu…-
Tu? Poteva dargli del tu? Che ne so almeno il lei o del voi, vostra grazia. No beh forse quello è un po’ troppo.
-Signor Jackson mi dispiace di- si interruppe- si insomma…-
Niente da fare ormai era andata, non riusciva più a fare una frase che avesse anche solo lontanamente un senso logico.
Michael era rimasto lì in piedi davanti a lei senza dire nulla e si stava divertendo troppo.
-Non ti preoccupare, non è successo niente.- la rassicurò.
E poi, non chiamarmi signor Jackson, Michael va benissimo.
-Ok allora beh piacere- disse allungando la mano- io sono Nicole Jones.
Lui le porse educatamente la sua e aggiunse -Ah, la fotografa?-
- Si proprio io- rispose timidamente.
Frank che non vedeva l’ora di tornarsene a casa si precipitò da loro non appena li aveva visti.
- Vedo che hai conosciuto già la fotografa, tutto bene?- chiese. - sai dicono abbia un caratteraccio.-
Cosa? Ma come cavolo ti permetti, chi ti conosce. Caratteraccio? Io? Le mani di Nicole iniziarono a tremare, Frank non sapeva minimamente con chi aveva a che fare.
Sentì come un’improvvisa voglia di dare finalmente un senso alle lezioni di karate che il padre da piccola le costringeva a frequentare. Pensò anche che forse quel grosso riflettore infilato nella sua testa sarebbe stato sicuramente più utile.
Si potrebbe pensare che Nicole fosse un tantino irascibile, ma si sa gli artisti sono così, un po’ folli. Lei sotto quel punto di vista lo era decisamente, forse troppo.
-Ma no figurati è molto simpatica.- per fortuna ci pensò Michael a mantenere la situazione sotto controllo. Aveva notato il suo sguardo e non lasciava presagire nulla di buono per il povero Frank.
Si voltò verso di lei e senza pensarci più di tanto le fece un occhiolino.
Nicole sorrise e abbassò lo sguardo, tirando un lungo sospiro di sollievo.
Aveva già dato dell’idiota a Michael Jackson, non voleva picchiare anche il suo manager.
-Bene allora cominciamo.- disse Frank battendo le mani e strofinandole l’una contro l’altra.
Mentre la truccatrice tamponava con una spugnetta la fronte di Michael, Niki preparava i suoi “attrezzi del mestiere”.
- Tom ti prego mi sistemi queste luci, sono un disastro.
L’addetto alle luci si precipitò sul posto.
- Va bene così?- le chiese.
- No è uno schifo!- sentenziò Nicole.
- E adesso?
Niki fece un respiro profondo e rispose- Tom mi prendi in giro vero?-
-Che palle che è questa!- disse Tom a bassa voce, ma non abbastanza.
- Hai detto qualcosa?- chiese
- No niente, va meglio così?- Tom cercò di far finta di niente e spostare subito l’argomento su qualcos’altro.
-Si si può andare, grazie!- disse infine lei.
Passarono circa 10 minuti, era tutto pronto ormai, ma Michael ancora non si vedeva, si mise così a fantasticare un po’, avvicinò l’occhio alla macchinetta, riducendo il campo visivo a quel rettangolino.
Le foglie verdi delle piantine che decoravano il dietro del set viste da così vicino sembravano tutt’altro, forse la pelle fredda di un rana appena uscita da uno stagno o chissà magari era la nuca di un qualche alieno venuto dallo spazio.
Di certo la fantasia neanche a lei mancava.
Continuò a muoversi con la macchinetta finchè non incontrò qualcosa che la incuriosì.
Non capiva bene cosa fosse, ma tanto poteva essere qualsiasi cosa volesse. Lo zoom ormai era al massimo, si rese conto che forse un senso in quella cosa c’era.
Quella macchia nera aveva proprio l’aria di una camicia…e quello era decisamente un collo. Avrò beccato il solito addetto alle luci- pensò.
Interessante…andiamo un po’ più giù, no no meglio su…la mascella, il mento, le labbra. Aspetta un attimo. Mi ricorda qualcuno, forse sarà Tom.
Salì ancora più su. No, non era Tom, decisamente no. E allora chi era?
Forse il ragazzo che le portava il caffè, come si chiama? Paul o forse Marck. Era carino, forse si trattava di lui.
Quando arrivò all’altezza degli occhi ebbe un sussulto e tolse subito lo sguardo dalla macchinetta, si guardò distrattamente attorno, provò a fare finta di niente, era una professionista lei. Si sistemò nervosamente la maglietta e tossì.
Il profondo di quegli occhi, la luce che avevano era come se riuscisse a vedere la sua anima e sembrava qualcosa di veramente meraviglioso. Quella strana sensazione che le avevano dato, sembrava fossero pieni di gioia e di malinconia allo stesso tempo.
-Nicole che dici iniziamo. - disse Frank impaziente.
-Certo, scusa Michael non ti avevo visto, stavo preparando la macchinetta.
-Non c’è problema ti capisco, anche io devo essere sicuro che tutto sia apposto prima di salire sul palco.- rispose Michael sistemandosi sul set con una naturalezza incredibile.
Lo affermò con così tanta convinzione che Nicole non poteva far altro che annuire e sorridere a quelle parole. Solo un vero professionista poteva capire.
- Diamo inizio alle danze.-
Era tutto pronto ormai, non c’era altro da fare che seguire l’istinto, lasciarsi andare e il resto sarebbe venuto da sé. Michael non la conosceva ma sentiva di potersi fidare, sembrava saper bene cosa fare e gli piaceva la sua determinazione.
Per tutto il tempo non riuscì neanche una volta ad avvicinarsi ancora così tanto a quegli occhi o meglio non poteva, quasi non voleva.
Voleva conoscerli meglio prima di poterli fermare in uno scatto senza toglierne la magia e il mistero.
Come Modigliani che aveva visto nella sua Jean qualcosa di unico, di speciale e le promise che avrebbe dipinto i suoi occhi solo quando avesse conosciuto a pieno la sua anima.
Per Nicole era così, amava creare storie su persone che nemmeno conosceva, ognuno in fondo ha una sua storia.
Le era capitato già diverse volte in passato. Ricordava ancora molto dettagliatamente i lineamenti di una piccola bambina che aveva dovuto fotografare per una campagna contro il cancro. I suoi occhi raccontavano la sua storia e l’immensa voglia di voler scoprire il futuro con la stessa contrastante intensità che non poteva far altro che rimanerne affascinata.
Certo era solo una bambina poteva vederla quando voleva e aveva avuto infatti il modo di poter trascorrere con lei diverso tempo, di parlarle.
Non sarebbe stato lo stesso con Michael, una volta finito il lavoro ovviamente non sarebbe andata a trovarlo a casa sua. Allontanò così l’idea di poter entrare affondo in quegli occhi.
Si accordarono per la settimana successiva, avrebbero scelto insieme gli scatti migliori...
Capitolo 3
rese tre biscotti dalla scatola, quelli con le gocce di cioccolato, tre, non uno di meno non uno di più.
Salì sul suo suv, le rimanevano solo due rate da pagare e poi poteva ufficialmente tirarsela.
Dopo aver insultato almeno la metà degli automobilisti di Los Angeles e minacciato una decina di poveri bambini in bicicletta, arrivò in ufficio.
Si guardò nello specchietto dell’auto, ripassò velocemente il rossetto, un’ultima sistematina al vestito e scese.
Le decoltè nere facevano rumore sull’asfalto risaltando ogni singolo passo, e i suoi capelli neri sulla schiena sembravano come danzare seguendo il ritmo. Il vestito che aveva messo le rendeva difficile avere un‘ampia falcata, ma per il modo in cui le stava valeva sicuramente la pena soffrire un pochino. Del resto vestiva sempre così, vi verrà in mente la solita domanda: andrà anche a fare la spesa vestita in quel modo?
si. la risposta è si, anzi assolutamente si. Mai e poi mai avrebbe rinunciato ad uno dei suoi vestiti, neanche a quello che giaceva infondo all'armadio da anni con ancora attaccato in bella vista il suo cartellino con tanto di prezzo.
Appena uscì dall’ascensore sentì un cellulare squillare.
-Pronto Debbie.- era l’inconfondibile voce di Michael. - come sta Paris, tutto bene? Ah meno male. Ok. Ci sentiamo dopo. Ciao.
- Ciao Michael come va?- chiese Nicole.
-Bene grazie e tu?
-Non mi lamento.- Rispose.
Michael sfoderò uno dei suoi sorrisi migliori.
-Che c’è?-
-Sai sono papà da tre giorni, cioè per la seconda volta.
-Oh mio Dio! Congratulazioni, si dice così in certi casi? Che bello e come si chiama?
Nicole gli si buttò addosso e lo abbracciò, lui timidamente rispose all’abbraccio.
-Si chiama Paris e per secondo nome Katherine, come mia madre-
-Ma che carina- Queste si che sono belle notizie.
- Adoro quando sorride. Adoro quando qualsiasi bambino sorride. Nei loro sorrisi spensierati, mostrano il divino che è in tutti noi.- disse quasi commuovendosi.
Nicole non potè fare a meno di notarlo, i suoi occhi che l’avevano colpita così tanto adesso emanavano una luce diversa erano pieni d’amore, di gioia era così incredibile. Non aveva mai visto nessuno parlare del proprio figlio in quel modo, ne tanto meno aveva mai pensato che un padre potesse parlare in quel modo. Il suo non l’avrebbe mai fatto. Sentì il cuore battere forte, sembrava si fosse spostato direttamente in gola, gli occhi si inumidirono- Michael per favore così mi fai piangere.-
-Oh no scusa non volevo, mi sono lasciato trasportare.
-Ma no figurati è bellissimo, non ho mai sentito nessuno parlare così.
Michael sorrise e l’abbracciò quando vide che davvero stava per mettersi a piangere. Con una mano le accarezzava la schiena e la stringeva forte per consolarla, per calmare quelle emozioni che le aveva inconsapevolmente provocato. Sapeva che era dovuto sicuramente ad un qualche ricordo che le sue parole avevo fatto riafforare nella mente di lei, ma si sentiva in colpa lo stesso.
Dopo qualche secondo, fece un sospiro profondo e staccò la testa dalla spalla di Michael- Va meglio, grazie Michael, mi sento una sciocca.-
-E perché mai dovresti essere una sciocca?
-Ma mi metto a piangere per niente, tanto normale non sono.
Michael sorrise.- Se hai avuto una reazione simile avrai sicuramente un buon motivo, non si piange mai per niente.
Ok. Da dove è uscito? Viene forse da qualche universo parallelo dove gli uomini capiscono tutto e hanno sempre la cosa giusta da dire?
-Wow Michael oggi mi stai sorprendendo davvero.
I due si misero a ridere. -Ecco vedi, quando ridi sei molto più bella.
-Stai attento con i complimenti!
-Michaeeeeeeeeel- la voce di Frank arrivò come un secchio di acqua fredda. -Michael vieni a scegliere le foto.
-Ehm…mi scusi...le deve scegliere con me, sa comè…-ribattè Nicole.
-No non lo so, comè?
Oddio questo proprio non lo sopporto, pensa forse che me la sia dimenticata la frase dell’altra volta? Giuro che almeno un livido anche piccolo piccolo…
-Senza la fotografa qui nessuno sceglie niente.
Frank scoppiò a ridere. Non si fermava più. Più che un livido qui ci vorrebbe un esorcista.
-Frank sei impazzito forse?- chiese Michael guardandolo con aria piuttosto seria.
-Dai Michael scegli queste benedette foto e andiamocene, non possiamo stare qui tre ore.
-Frank staremo qui per tutto il tempo che sarà necessario, se vuoi puoi andartene.-
Il manager smise di ridere e iniziò a grattarsi nervosamente la testa.
Michael allungò una mano verso Nicole e le fece segno di seguirlo.
Lei gli passò davanti e lo prese per un braccio guidandolo.
- Vieni seguimi.- gli disse.
Vedeva la sua immagine riflessa nello specchio, la luce era spenta ma i raggi di luna che riuscivano timidamente ad entrare facevano risaltare i contorni del suo viso nel buio della stanza.
Portò le mani al volto, con estrema delicatezza, come se avesse paura di farsi del male lei stessa pogiandole su quei lividi ancora caldi.
Le lacrime si erano ormai seccate sulle sue guance e ne rimanevano solo i segni del trucco che si era sciolto a contatto con quelle goccioline che cadevano freneticamente dagli occhi.
Poteva sentire in lontananza, distrattamente, un dolce coro di canti natalizi e le risate dei bambini ormai pronti per andare a letto ad aspettare l’arrivo di Babbo Natale.
Fu così che trascorse il suo ultimo Natale in quella casa. Fu così che decise finalmente di andar via e prendere in mano la sua vita.
***
-Uffa! Frank ma devo proprio farlo questo servizio? Stamattina ho davvero troppo sonno, le prove ieri sembravano infinite…-
-Si Mike lo devi fare.- rispose Frank dando l’impressione di non aspettarsi una reazione in proposito.
-Preferirei di gran lunga starmene a casa, a pensare alle mie cose o anche semplicemente a non fare nulla, una volta tanto.- replicò Michael cercando di catalizzare il suo sguardo su qualcosa di indefinito fuori la finestra.
-Ma che hai stamattina?-
Per fortuna in quel momento un ometto di circa due anni si precipitò nella stanza.
-Papaààààààààààààà-
Il piccolo Prince emise un urlo simile più a quello di Tarzan piuttosto che a quello di un bambino.
Il sorriso di Michael esplose facendo illuminare tutto ciò che lo circondava, allungò subito le braccia verso di lui e lo portò a sé con un gesto veloce ma delicato. Diede un bacio sulla sua fronte e poi gli accarezzò la guancia con il dorso della mano. Ormai gli impegni di lavoro sembravano solo un brutto ricordo.
-Prince papà è di cattivo umore oggi- disse Frank- Ma è vero che deve andare a fare il sevizio? -continuò.
Prince ci pensò su un attimo, guardò l’uomo che lo aveva interpellato, poi si girò verso Michael, portò un dito alla bocca e disse:-papà se non vuole andare, resta qui con me.-
Michael sorrise e strinse il piccolo contro il suo petto sistemandogli una ciocca di capelli biondi che gli era andata dispettosamente davanti gli occhi.
Dopo avergli dato un ultimo bacio lo rimise a terra.
- E va bene, facciamo questo servizio, vado a prepararmi.-
Si girò verso Prince- hei piccolo, papà torna presto, ok?-
Il piccolo annuì e aggiunse: -Ti voglio bene!
-Io di più.- rispose Michael.
Andare su un set fotografico era come venir catapultati su un altro pianeta, Michael ormai ne era abituato, ma ogni volta era stupito dalla misteriosa magia che aleggiava intorno a macchine fotografiche, luci, fili e macchinari di ogni genere. Quegli oggetti freddi all’apparenza erano in realtà in grado di creare immagini meravigliose, capaci di fermare non solo il tempo ma anche di imprigionare dentro di esse i sentimenti, un semplice sorriso, uno sguardo, una lacrima, ogni forma d’arte lo affascinava moltissimo.
Giunti a destinazione si ritrovò immerso in tutte quelle cose di cui non conosceva neanche il nome. Insomma, dovevano averne uno, ma ricordarli tutti sarebbe stato quasi impossibile, la sua arte è la musica, è lei che conosce affondo, più di quanto abbia mai conosciuto persino se stesso.
Il suo sguardo all’improvviso fu attirato da qualcosa che si muoveva.
Socchiuse leggermente gli occhi cercando di mettere a fuoco e vedere meglio i contorni di quella misteriosa figura.
Si avvicinò. Ma proprio non capiva cosa fosse.
Capitolo 2
Ad un certo punto vide un ciuffo di capelli neri spuntare da dietro di una di quelle macchine, almeno ora sapeva che si trattava di una persona, aveva già iniziato ad immaginare un avvistamento alieno e a dir la verità rimase anche un po’ deluso di sapere che così non era. La cosa però si fece decisamente più interessante quando a quella ciocca nera arruffata si unì una mano dalle dita lunghe e affusolate, con le unghie laccate di un rosso molto scuro, tendente al viola.
Incuriosito decise di avvicinarsi ancora un po’.
-Ma…brutto idiota, ti levi da lì!!!-
Michael si guardò attorno.
-Si ce l‘ho con te.- una voce squillante lo stava rimproverando -Allora che vogliamo fare ti levi o…-
La figura misteriosa tolse lo sguardo dalla macchina e i suoi occhi si incrociarono con quelli divertiti di Michael.
-Oddio!- disse lei portandosi una mano sulla fronte.
Porca miseria, la mia prima vera occasione per poter diventare finalmente una fotografa conosciuta almeno da più di cinque persone adesso sarà anche l’ultima.
-Non sei un idiota, cioè…non sapevo fossi tu…-
Tu? Poteva dargli del tu? Che ne so almeno il lei o del voi, vostra grazia. No beh forse quello è un po’ troppo.
-Signor Jackson mi dispiace di- si interruppe- si insomma…-
Niente da fare ormai era andata, non riusciva più a fare una frase che avesse anche solo lontanamente un senso logico.
Michael era rimasto lì in piedi davanti a lei senza dire nulla e si stava divertendo troppo.
-Non ti preoccupare, non è successo niente.- la rassicurò.
E poi, non chiamarmi signor Jackson, Michael va benissimo.
-Ok allora beh piacere- disse allungando la mano- io sono Nicole Jones.
Lui le porse educatamente la sua e aggiunse -Ah, la fotografa?-
- Si proprio io- rispose timidamente.
Frank che non vedeva l’ora di tornarsene a casa si precipitò da loro non appena li aveva visti.
- Vedo che hai conosciuto già la fotografa, tutto bene?- chiese. - sai dicono abbia un caratteraccio.-
Cosa? Ma come cavolo ti permetti, chi ti conosce. Caratteraccio? Io? Le mani di Nicole iniziarono a tremare, Frank non sapeva minimamente con chi aveva a che fare.
Sentì come un’improvvisa voglia di dare finalmente un senso alle lezioni di karate che il padre da piccola le costringeva a frequentare. Pensò anche che forse quel grosso riflettore infilato nella sua testa sarebbe stato sicuramente più utile.
Si potrebbe pensare che Nicole fosse un tantino irascibile, ma si sa gli artisti sono così, un po’ folli. Lei sotto quel punto di vista lo era decisamente, forse troppo.
-Ma no figurati è molto simpatica.- per fortuna ci pensò Michael a mantenere la situazione sotto controllo. Aveva notato il suo sguardo e non lasciava presagire nulla di buono per il povero Frank.
Si voltò verso di lei e senza pensarci più di tanto le fece un occhiolino.
Nicole sorrise e abbassò lo sguardo, tirando un lungo sospiro di sollievo.
Aveva già dato dell’idiota a Michael Jackson, non voleva picchiare anche il suo manager.
-Bene allora cominciamo.- disse Frank battendo le mani e strofinandole l’una contro l’altra.
Mentre la truccatrice tamponava con una spugnetta la fronte di Michael, Niki preparava i suoi “attrezzi del mestiere”.
- Tom ti prego mi sistemi queste luci, sono un disastro.
L’addetto alle luci si precipitò sul posto.
- Va bene così?- le chiese.
- No è uno schifo!- sentenziò Nicole.
- E adesso?
Niki fece un respiro profondo e rispose- Tom mi prendi in giro vero?-
-Che palle che è questa!- disse Tom a bassa voce, ma non abbastanza.
- Hai detto qualcosa?- chiese
- No niente, va meglio così?- Tom cercò di far finta di niente e spostare subito l’argomento su qualcos’altro.
-Si si può andare, grazie!- disse infine lei.
Passarono circa 10 minuti, era tutto pronto ormai, ma Michael ancora non si vedeva, si mise così a fantasticare un po’, avvicinò l’occhio alla macchinetta, riducendo il campo visivo a quel rettangolino.
Le foglie verdi delle piantine che decoravano il dietro del set viste da così vicino sembravano tutt’altro, forse la pelle fredda di un rana appena uscita da uno stagno o chissà magari era la nuca di un qualche alieno venuto dallo spazio.
Di certo la fantasia neanche a lei mancava.
Continuò a muoversi con la macchinetta finchè non incontrò qualcosa che la incuriosì.
Non capiva bene cosa fosse, ma tanto poteva essere qualsiasi cosa volesse. Lo zoom ormai era al massimo, si rese conto che forse un senso in quella cosa c’era.
Quella macchia nera aveva proprio l’aria di una camicia…e quello era decisamente un collo. Avrò beccato il solito addetto alle luci- pensò.
Interessante…andiamo un po’ più giù, no no meglio su…la mascella, il mento, le labbra. Aspetta un attimo. Mi ricorda qualcuno, forse sarà Tom.
Salì ancora più su. No, non era Tom, decisamente no. E allora chi era?
Forse il ragazzo che le portava il caffè, come si chiama? Paul o forse Marck. Era carino, forse si trattava di lui.
Quando arrivò all’altezza degli occhi ebbe un sussulto e tolse subito lo sguardo dalla macchinetta, si guardò distrattamente attorno, provò a fare finta di niente, era una professionista lei. Si sistemò nervosamente la maglietta e tossì.
Il profondo di quegli occhi, la luce che avevano era come se riuscisse a vedere la sua anima e sembrava qualcosa di veramente meraviglioso. Quella strana sensazione che le avevano dato, sembrava fossero pieni di gioia e di malinconia allo stesso tempo.
-Nicole che dici iniziamo. - disse Frank impaziente.
-Certo, scusa Michael non ti avevo visto, stavo preparando la macchinetta.
-Non c’è problema ti capisco, anche io devo essere sicuro che tutto sia apposto prima di salire sul palco.- rispose Michael sistemandosi sul set con una naturalezza incredibile.
Lo affermò con così tanta convinzione che Nicole non poteva far altro che annuire e sorridere a quelle parole. Solo un vero professionista poteva capire.
- Diamo inizio alle danze.-
Era tutto pronto ormai, non c’era altro da fare che seguire l’istinto, lasciarsi andare e il resto sarebbe venuto da sé. Michael non la conosceva ma sentiva di potersi fidare, sembrava saper bene cosa fare e gli piaceva la sua determinazione.
Per tutto il tempo non riuscì neanche una volta ad avvicinarsi ancora così tanto a quegli occhi o meglio non poteva, quasi non voleva.
Voleva conoscerli meglio prima di poterli fermare in uno scatto senza toglierne la magia e il mistero.
Come Modigliani che aveva visto nella sua Jean qualcosa di unico, di speciale e le promise che avrebbe dipinto i suoi occhi solo quando avesse conosciuto a pieno la sua anima.
Per Nicole era così, amava creare storie su persone che nemmeno conosceva, ognuno in fondo ha una sua storia.
Le era capitato già diverse volte in passato. Ricordava ancora molto dettagliatamente i lineamenti di una piccola bambina che aveva dovuto fotografare per una campagna contro il cancro. I suoi occhi raccontavano la sua storia e l’immensa voglia di voler scoprire il futuro con la stessa contrastante intensità che non poteva far altro che rimanerne affascinata.
Certo era solo una bambina poteva vederla quando voleva e aveva avuto infatti il modo di poter trascorrere con lei diverso tempo, di parlarle.
Non sarebbe stato lo stesso con Michael, una volta finito il lavoro ovviamente non sarebbe andata a trovarlo a casa sua. Allontanò così l’idea di poter entrare affondo in quegli occhi.
Si accordarono per la settimana successiva, avrebbero scelto insieme gli scatti migliori...
Capitolo 3
rese tre biscotti dalla scatola, quelli con le gocce di cioccolato, tre, non uno di meno non uno di più.
Salì sul suo suv, le rimanevano solo due rate da pagare e poi poteva ufficialmente tirarsela.
Dopo aver insultato almeno la metà degli automobilisti di Los Angeles e minacciato una decina di poveri bambini in bicicletta, arrivò in ufficio.
Si guardò nello specchietto dell’auto, ripassò velocemente il rossetto, un’ultima sistematina al vestito e scese.
Le decoltè nere facevano rumore sull’asfalto risaltando ogni singolo passo, e i suoi capelli neri sulla schiena sembravano come danzare seguendo il ritmo. Il vestito che aveva messo le rendeva difficile avere un‘ampia falcata, ma per il modo in cui le stava valeva sicuramente la pena soffrire un pochino. Del resto vestiva sempre così, vi verrà in mente la solita domanda: andrà anche a fare la spesa vestita in quel modo?
si. la risposta è si, anzi assolutamente si. Mai e poi mai avrebbe rinunciato ad uno dei suoi vestiti, neanche a quello che giaceva infondo all'armadio da anni con ancora attaccato in bella vista il suo cartellino con tanto di prezzo.
Appena uscì dall’ascensore sentì un cellulare squillare.
-Pronto Debbie.- era l’inconfondibile voce di Michael. - come sta Paris, tutto bene? Ah meno male. Ok. Ci sentiamo dopo. Ciao.
- Ciao Michael come va?- chiese Nicole.
-Bene grazie e tu?
-Non mi lamento.- Rispose.
Michael sfoderò uno dei suoi sorrisi migliori.
-Che c’è?-
-Sai sono papà da tre giorni, cioè per la seconda volta.
-Oh mio Dio! Congratulazioni, si dice così in certi casi? Che bello e come si chiama?
Nicole gli si buttò addosso e lo abbracciò, lui timidamente rispose all’abbraccio.
-Si chiama Paris e per secondo nome Katherine, come mia madre-
-Ma che carina- Queste si che sono belle notizie.
- Adoro quando sorride. Adoro quando qualsiasi bambino sorride. Nei loro sorrisi spensierati, mostrano il divino che è in tutti noi.- disse quasi commuovendosi.
Nicole non potè fare a meno di notarlo, i suoi occhi che l’avevano colpita così tanto adesso emanavano una luce diversa erano pieni d’amore, di gioia era così incredibile. Non aveva mai visto nessuno parlare del proprio figlio in quel modo, ne tanto meno aveva mai pensato che un padre potesse parlare in quel modo. Il suo non l’avrebbe mai fatto. Sentì il cuore battere forte, sembrava si fosse spostato direttamente in gola, gli occhi si inumidirono- Michael per favore così mi fai piangere.-
-Oh no scusa non volevo, mi sono lasciato trasportare.
-Ma no figurati è bellissimo, non ho mai sentito nessuno parlare così.
Michael sorrise e l’abbracciò quando vide che davvero stava per mettersi a piangere. Con una mano le accarezzava la schiena e la stringeva forte per consolarla, per calmare quelle emozioni che le aveva inconsapevolmente provocato. Sapeva che era dovuto sicuramente ad un qualche ricordo che le sue parole avevo fatto riafforare nella mente di lei, ma si sentiva in colpa lo stesso.
Dopo qualche secondo, fece un sospiro profondo e staccò la testa dalla spalla di Michael- Va meglio, grazie Michael, mi sento una sciocca.-
-E perché mai dovresti essere una sciocca?
-Ma mi metto a piangere per niente, tanto normale non sono.
Michael sorrise.- Se hai avuto una reazione simile avrai sicuramente un buon motivo, non si piange mai per niente.
Ok. Da dove è uscito? Viene forse da qualche universo parallelo dove gli uomini capiscono tutto e hanno sempre la cosa giusta da dire?
-Wow Michael oggi mi stai sorprendendo davvero.
I due si misero a ridere. -Ecco vedi, quando ridi sei molto più bella.
-Stai attento con i complimenti!
-Michaeeeeeeeeel- la voce di Frank arrivò come un secchio di acqua fredda. -Michael vieni a scegliere le foto.
-Ehm…mi scusi...le deve scegliere con me, sa comè…-ribattè Nicole.
-No non lo so, comè?
Oddio questo proprio non lo sopporto, pensa forse che me la sia dimenticata la frase dell’altra volta? Giuro che almeno un livido anche piccolo piccolo…
-Senza la fotografa qui nessuno sceglie niente.
Frank scoppiò a ridere. Non si fermava più. Più che un livido qui ci vorrebbe un esorcista.
-Frank sei impazzito forse?- chiese Michael guardandolo con aria piuttosto seria.
-Dai Michael scegli queste benedette foto e andiamocene, non possiamo stare qui tre ore.
-Frank staremo qui per tutto il tempo che sarà necessario, se vuoi puoi andartene.-
Il manager smise di ridere e iniziò a grattarsi nervosamente la testa.
Michael allungò una mano verso Nicole e le fece segno di seguirlo.
Lei gli passò davanti e lo prese per un braccio guidandolo.
- Vieni seguimi.- gli disse.
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Re: Ricordi sbiaditi (terminata)
Capitolo 4
Entrarono nell’ufficio di Nicole, tutto profumava di vaniglia. I quadri appesi alle pareti erano dei suoi vecchi disegni e rallegravano con malinconia il bianco accecante e piuttosto banale dell’ufficio. Sulla scrivania c’era un portadolci in cristallo pieno di caramelle di ogni tipo, Michael ne prese subito una fragola.
-Dove la butto? disse riferendosi alla carta che avvolgeva la caramella.
-Dai pure a me.
Nicole si avvicinò alla finestra, sembrava stesse pensando mentre continuava a fare rumore con la carta trasparente della caramella rigirandola tra le mani. Dopo un breve silenzio esordì: -Ho un’idea!
-Dimmi- disse Michael incuriosito.
-Per scegliere le foto ci vorranno al massimo 15 minuti le ho già viste e sono convinta che quelle che ho scelto ti piaceranno.-Però…
Nicole si fermò e il suo volto assunse una strana espressione divertita.-però visto che il nostro Frank è così ansioso di andarsene- continuò- perché non gli facciamo un bello scherzetto…-
A quelle parole Michael non potè trattenere una ristata.
-Quale scherzo?-
- Usciamo dall’uscita d’emergenza e lasciamolo qui tre o quattro ore ad aspettare, noi possiamo fare quello ci va, tu puoi anche tornartene a casa e magari passare del tempo con la piccola Paris, io potrei fare un po’ di shopping, è sempre l’ora dello shopping.-
Michael ci pensò su un attimo.
-Si arrabbierà moltissimo. Mi piace!. Però c’è una cosa che vorrei cambiare nel piano.
Nicole incuriosita chiese -Che cosa?
- Vieni a casa con me. Finiremo lì, con calma tutti gli ultimi dettagli e ti farò conoscere la mia Paris e anche Prince ovviamente, gli piacerai di sicuro.-
-Perché no. Allora vieni seguimi, non facciamoci sentire.-
-Nicole sai una cosa? È la seconda volta che ti vedo ed è la seconda volta che mi fai divertire troppo.-
-Dobbiamo vederci più spesso allora.-
Divenne subito rossa in viso, ma da dove l’aveva tirata fuori quella frase…
Quando sembrava che ormai non potesse andare peggio di così per le sue guance che imploravano un po’ d’aria, Michael disse- Magari, dopo mi darai il tuo numero allora.-
Niente da fare già fantasticava persa nell’inconfondibile mondo dei sogni dove amava rifugiarsi spesso. Il modo in cui le si rivolgeva, quello che diceva, era rassicurante, emanava un senso di protezione sembrava quasi un fratello maggiore. Era una sensazione nuova, del tutto inaspettata, ma decisamente piacevole.
***
Arrivarono a casa, durante il tragitto le aveva accennato qualcosa su Debbie, le aveva detto che aveva una sua casa e che le cose non andavano bene tra loro. Ma la cosa più importante erano i bambini e la loro serenità.
"Once Upon a Time" erano le parole che si leggevano davanti all’ingresso della villa. Non male come inizio…
Il resto beh non ci sarebbero parole sufficienti per descriverlo e soprattutto non ci sarebbe il tempo per raccontare ogni meraviglia contenuta in quella casa enorme.
Tra i quadri abbastanza monotematici che lasciavano trasparire un qualche sprazzo di megalomania, ma del resto era casa sua, quale soggetto migliore per i suoi quadri se non il proprietario stesso? C’era qualcosa di magico ed accogliente.
Un fiocco rosa e dei palloncini mostravano chiaramente che una piccola bimba era appena nata in quella casa e questo rendeva se possibile l’atmosfera ancora più ricca di magia.
Michael si diresse verso la porta di una stanza e ne uscì tenendo tra le braccia un piccolo fagotto tutto rosa.
-Oddio Michael è bellissima,posso farvi una foto?
-Ma certo!
Passarono il tempo chiacchierando. Non aveva mai visto una famiglia così unita e in armonia, forse il confronto che poteva fare lei non era proprio dei migliori, la sua famiglia era un vero disastro, ma se avesse potuto in qualche modo cambiarla avrebbe fatto carte false per averne una come quella che aveva davanti agli occhi.
Suo padre tornava spesso ubriaco dal lavoro e non aveva nessuno apparte lui ma lui praticamente era nessuno. Non c’era quasi mai a casa e ogni volta che era di cattivo umore se la prendeva con l’unica presente, lei.
Resistette per oltre 19 anni in quella condizione, praticamente per quasi vent’anni esisteva, ma non viveva veramente. Fino alla vigilia di Natale, l’ultima che passò in quella casa e l’ultimo giorno in cui vide suo padre.
Le era venuta un’irrefrenabile voglia di scappare, di andare via e lasciare tutto alle spalle, ricominciare una nuova vita o meglio incominciare a vivere finalmente, quando aveva visto il suo riflesso nello specchio della camera da letto. Aveva gli occhi gonfi dalle lacrime, il viso arrossato e a tratti violaceo, fu proprio allora che capì che meritava di meglio. Fece le valige ed arrivò a Los Angeles. Dopo il corso di fotografia che durò circa tre anni e tutte le specializzazioni, gli stage, le cose sembravano andare per il verso giusto. La carriera iniziava senza dubbio a decollare e niente avrebbe potuto renderla più felice, i sogni a volte diventano realtà.
-Allora io vado, domani devo lavorare.- disse Nicole avvicinandosi alla porta per uscire.
-Ok. È stato un piacere averti qui. E grazie ancora per lo splendido lavoro che hai fatto, sei veramente molto brava.-
-Grazie sei troppo gentile Michael.-
-Ah aspetta.- le mise una mano sulla spalla e aggiunse- Devi darmi il tuo numero, credevi che me lo fossi dimenticato eh.-
Capitolo 5
Nicole si svegliò all‘improvviso. Il rumore assordante della sveglia la fece sobbalzare sull’enorme letto su cui si era addormentata.
Sotto un mucchio di vestiti e coperte uscì un suono simile ad un lamento.
-Michael che cavolo ti vuoi svegliare.-
-uhmmmm- fu tutto ciò che Michael riuscì a dire.
-Ha fatto proprio bene Debbie a chiedere il divorzio.
Cosa devo fare per farti alzare da quel letto?-
Nicole iniziava a perdere la pazienza, lui non rispondeva nemmeno alle provocazioni assonnato com‘era. Nel frattempo cercava di ritrovare i vestiti che erano finiti chissà dove sul pavimento. Con una mano cercava nella tasca dei pantaloni qualche forcina che potesse tenere a bada quella massa informe di capelli che si ritrovava al mattino. È incredibile come quei piccoli oggetti misteriosi potessero sparire in circostanze inspiegabili. Praticamente passava la vita a comprare forcine.
-Dov’è finita la camicia…-
Finalmente due piedi coperti da dei calzini bianchi poggiarono sul pavimento, seguiti dalla figura piuttosto barcollante di Michael che portava una mano verso la bocca per nascondere uno sbadiglio.
-Cercavi questa?-
Michael si girò con la camicia di Nicole tra le mani.
-Aaaaaaaaaaaaaah girati, non vedi che sono mezza nuda.-
Michael si girò immediatamente e il suo viso diventò rosso per l’imbarazzo. Adesso era decisamente sveglio.
-Scusa-
-Ci siamo addormentati insieme?-
-Credo proprio di si.- rispose lui.
-Non mi ricordo niente. Buio totale.-
-…niente?- chiese Michael.
-No assolutamente niente.-
Mentre chiudeva l’ultimo bottone della camicia aggiunse- ma quanto ho bevuto ieri sera?-
-Abbastanza per non ricordarti niente.- rispose Michael.
Avevano festeggiato l’uscita sul giornale “Vogue” di un articolo che parlava della nuova sorprendente fotografa Nicole Jones. Aveva già lavorato con Madonna, Brad e Angelina, Robbie Williams e ovviamente Michael Jackson.
Diciamo che si era fatta prendere un po’ la mano dall’euforia, anche se sarebbe meglio dire il gomito…
Erano andati in un locale che Michael aveva prenotato esclusivamente per lei, essendo stato il suo primo cliente “importante” significava molto per lei averlo lì e a lui piacevano le cose in grande, soprattutto se si trattava della sua fotografa preferita nonché ufficiale migliore amica ormai.
***
Era tutto il giorno che ci pensava, era convinta che alla festa fosse successo qualcosa, ma che cosa non riusciva proprio a capirlo.
Ormai erano ore che rimuginava e rovistava tra i ricordi in cerca di un indizio che la potesse aiutare a capire.
Aveva messo il vestito lungo, quello rosso, aveva speso quasi tutti i risparmi per comprarlo, erano arrivati verso le dieci e un quarto, Michael aveva messo una camicia nera di seta con dei ricami, c’erano tutti i suoi amici, c’era anche Sophie.
mmm Sophie…
Michael stava davvero bene ieri sera, i capelli ricci gli stanno benissimo e il ricciolo sulla fronte…Sophie…
Aveva un gran mal di testa.
Gli effetti collaterali della sbronza iniziavano a farsi sentire, la testa stava per scoppiare.
Perché mi viene in mente sempre Sophie? È una mia amica come tante altre…aspetta un attimo, ah si ora ricordo, abbiamo litigato.
Mi ricordo perfettamente le belle parole che mi ha detto, stronza poi mi è rimasto impresso particolarmente.
Ma perché abbiamo litigato era la mia festa, come si è permessa di insultare la festeggiata…
Proprio non ricordava.
Poteva chiamarla e chiederglielo.
Si come no, così l’avrebbe insultata un altro po’.
Cercò un’aspirina tra l’infinità di oggetti contenuti nella sua borsa, ne prese una e la mandò giù con un sorso d’acqua.
Michael!- disse ad alta voce.
Ma certo c’era anche lui saprà sicuramente cosa è successo.
Ora lo chiamo.
Prese il cellulare e iniziò a comporre il suo numero mentre il telefono squillava un flash le attraversò la mente.
-Oh cazzo Michael…-
Spense subito il cellulare e lo mise apposto nella borsa.
All’improvviso i ricordi iniziarono ad affiorare, confusi, sovrapposti ma sapeva dove l’avrebbero presto riportata.
Capitolo 6
Ma certo- disse nuovamente pensando ad alta voce e strofinandosi gli occhi come per cancellare quella scena ormai impressa nella sua mente.
Durante la festa aveva visto Michael e Sophie baciarsi sul divano del locale. Ora ricordava. O quasi…perché aveva litigato con Sophie?
-Oddio no. Dimmi che non l’ho fatto davvero.-
Parlava da sola, completamente in balia delle emozioni, provava un incredibile senso di vergogna misto ad incredulità.
A poco a poco i ricordi si fecero più chiari e iniziarono a formare un ricordo annebbiato che sarebbe stato meglio aver cancellato. E invece era lì, le si presentava con potenza davanti agli occhi ancora gonfi.
Michael aveva baciato Sophie e lei era corsa lì tirandole i capelli e picchiandola violentemente. Ricordava solo che poi si ritrovò tra le braccia di Michael che cercava di calmarla. Forse Frank aveva avuto ragione quando le disse di avere un caratteraccio.
-Al diavolo Frank adesso-
L’aveva picchiata proprio per bene quella Sophie…
Ma poi che era successo? Buio totale. Peggio di un’interrogazione in matematica.
Almeno l’aspirina cominciava a fare effetto.
Decise di non pensarci tanto era tutto inutile, un piccolo progresso c’era stato, per ora era sufficiente, in fondo aveva quasi paura di scoprire ciò che era accaduto la sera precedente era sicuramente meglio così.
Quando beveva troppo aveva la strana abitudine non solo di diventare violenta e picchiare chiunque le passasse sotto, ma diventava stranamente affettuosa con tutti. Senza ombra di dubbio quella sarebbe stata la sua ultima sbronza o almeno così si promise, non voleva combinare altri guai.
-Meglio concentrarsi sul lavoro.- si disse cercando di convincersi delle sue stesse parole.
Michael si era svegliato ormai da un pò e aveva fatto un giro nell’immenso giardino di Neverland, in autunno era tutto più bello, le foglie degli alberi si tingevano di rosso e di giallo, l’aria era frizzante e il vento che tirava era leggermente freddo a contatto con la pelle riusciva infatti a provocare un brivido lungo tutta la schiena. Poi adorava quando il respiro caldo che usciva dalla sua bocca diventava visibile come fumo bianco nell’aria.
Quella mattina però sembrava non far caso a tutte quelle cose. Aveva l’aria preoccupata, triste e gironzolava senza una meta ormai da mezz’ora.
I piccoli erano andati al parco con la tata ed era rimasto solo, con i suoi pensieri che sembravano ormai catalizzati verso una sola persona.
Lui ricordava benissimo ciò che era accaduto la notte prima anzi quella notte non l’avrebbe dimenticata per molto tempo.
Ricordava il bacio scherzoso che gli diede Sophie, nemmeno la conosceva quella ragazza. Pareva piuttosto allegra, Nicole non era l’unica a darci dentro con i drink alle feste. Ricordava la reazione di Nicole, ciò che si erano detti e ciò che non avevano avuto bisogno di spiegarsi a parole. Sentiva ancora quella vibrante sensazione addosso.
Fece un lungo sospiro, non voleva pensarci, non ora, ne avrebbe parlato con Nicole la sera stessa, tanto sarebbe andata da lui come faceva tutte le sere da sei mesi. Parlavano, parlavano tantissimo e di qualsiasi cosa.
Si divertivano, soprattutto ridevano ed era quella la parte che a Michael piaceva di più dei loro incontri e poi lo sapeva, quando Nicole ride diventa ancora più bella. Quando lei gli raccontava della sua passione per l’arte rimaneva quasi incantato era come assistere ad una magia arcana antica millenni e tutto gli si presentava ingenuamente davanti attraverso le parole che Nicole riusciva ad usare. Gli raccontava dei suoi tanti sacrifici e delle ore passate a studiare mentre l’unica cosa che avrebbe voluto fare era starsene con le sue amiche, come tutte le ragazze della sua età. Trovava qualcosa di familiare in quei racconti, sentiva di poter condividere con lei cose che non avrebbe detto mai nessuno. Sapeva far ridere, far riflettere e far sognare con la stessa intensità quasi disarmante, si assomigliavano più di quanto loro stessi avrebbero mai potuto immaginare.
Aveva sentito il cellulare squillare poche volte e si era accorto che era lei a chiamare, ma non aveva fatto in tempo a rispondere. Provò a richiamarla ma Nicole aveva spento il telefonino e rispondeva sempre la segreteria, a quel punto decise di rinunciare. Avrebbe proseguito la sua passeggiata continuando a ripercorrere con i ricordi la notte precedente e cercando di carpirne ogni minimo dettaglio. Li avrebbe poi custoditi gelosamente, anche in silenzio se lei non avesse ricordato.
Entrarono nell’ufficio di Nicole, tutto profumava di vaniglia. I quadri appesi alle pareti erano dei suoi vecchi disegni e rallegravano con malinconia il bianco accecante e piuttosto banale dell’ufficio. Sulla scrivania c’era un portadolci in cristallo pieno di caramelle di ogni tipo, Michael ne prese subito una fragola.
-Dove la butto? disse riferendosi alla carta che avvolgeva la caramella.
-Dai pure a me.
Nicole si avvicinò alla finestra, sembrava stesse pensando mentre continuava a fare rumore con la carta trasparente della caramella rigirandola tra le mani. Dopo un breve silenzio esordì: -Ho un’idea!
-Dimmi- disse Michael incuriosito.
-Per scegliere le foto ci vorranno al massimo 15 minuti le ho già viste e sono convinta che quelle che ho scelto ti piaceranno.-Però…
Nicole si fermò e il suo volto assunse una strana espressione divertita.-però visto che il nostro Frank è così ansioso di andarsene- continuò- perché non gli facciamo un bello scherzetto…-
A quelle parole Michael non potè trattenere una ristata.
-Quale scherzo?-
- Usciamo dall’uscita d’emergenza e lasciamolo qui tre o quattro ore ad aspettare, noi possiamo fare quello ci va, tu puoi anche tornartene a casa e magari passare del tempo con la piccola Paris, io potrei fare un po’ di shopping, è sempre l’ora dello shopping.-
Michael ci pensò su un attimo.
-Si arrabbierà moltissimo. Mi piace!. Però c’è una cosa che vorrei cambiare nel piano.
Nicole incuriosita chiese -Che cosa?
- Vieni a casa con me. Finiremo lì, con calma tutti gli ultimi dettagli e ti farò conoscere la mia Paris e anche Prince ovviamente, gli piacerai di sicuro.-
-Perché no. Allora vieni seguimi, non facciamoci sentire.-
-Nicole sai una cosa? È la seconda volta che ti vedo ed è la seconda volta che mi fai divertire troppo.-
-Dobbiamo vederci più spesso allora.-
Divenne subito rossa in viso, ma da dove l’aveva tirata fuori quella frase…
Quando sembrava che ormai non potesse andare peggio di così per le sue guance che imploravano un po’ d’aria, Michael disse- Magari, dopo mi darai il tuo numero allora.-
Niente da fare già fantasticava persa nell’inconfondibile mondo dei sogni dove amava rifugiarsi spesso. Il modo in cui le si rivolgeva, quello che diceva, era rassicurante, emanava un senso di protezione sembrava quasi un fratello maggiore. Era una sensazione nuova, del tutto inaspettata, ma decisamente piacevole.
***
Arrivarono a casa, durante il tragitto le aveva accennato qualcosa su Debbie, le aveva detto che aveva una sua casa e che le cose non andavano bene tra loro. Ma la cosa più importante erano i bambini e la loro serenità.
"Once Upon a Time" erano le parole che si leggevano davanti all’ingresso della villa. Non male come inizio…
Il resto beh non ci sarebbero parole sufficienti per descriverlo e soprattutto non ci sarebbe il tempo per raccontare ogni meraviglia contenuta in quella casa enorme.
Tra i quadri abbastanza monotematici che lasciavano trasparire un qualche sprazzo di megalomania, ma del resto era casa sua, quale soggetto migliore per i suoi quadri se non il proprietario stesso? C’era qualcosa di magico ed accogliente.
Un fiocco rosa e dei palloncini mostravano chiaramente che una piccola bimba era appena nata in quella casa e questo rendeva se possibile l’atmosfera ancora più ricca di magia.
Michael si diresse verso la porta di una stanza e ne uscì tenendo tra le braccia un piccolo fagotto tutto rosa.
-Oddio Michael è bellissima,posso farvi una foto?
-Ma certo!
Passarono il tempo chiacchierando. Non aveva mai visto una famiglia così unita e in armonia, forse il confronto che poteva fare lei non era proprio dei migliori, la sua famiglia era un vero disastro, ma se avesse potuto in qualche modo cambiarla avrebbe fatto carte false per averne una come quella che aveva davanti agli occhi.
Suo padre tornava spesso ubriaco dal lavoro e non aveva nessuno apparte lui ma lui praticamente era nessuno. Non c’era quasi mai a casa e ogni volta che era di cattivo umore se la prendeva con l’unica presente, lei.
Resistette per oltre 19 anni in quella condizione, praticamente per quasi vent’anni esisteva, ma non viveva veramente. Fino alla vigilia di Natale, l’ultima che passò in quella casa e l’ultimo giorno in cui vide suo padre.
Le era venuta un’irrefrenabile voglia di scappare, di andare via e lasciare tutto alle spalle, ricominciare una nuova vita o meglio incominciare a vivere finalmente, quando aveva visto il suo riflesso nello specchio della camera da letto. Aveva gli occhi gonfi dalle lacrime, il viso arrossato e a tratti violaceo, fu proprio allora che capì che meritava di meglio. Fece le valige ed arrivò a Los Angeles. Dopo il corso di fotografia che durò circa tre anni e tutte le specializzazioni, gli stage, le cose sembravano andare per il verso giusto. La carriera iniziava senza dubbio a decollare e niente avrebbe potuto renderla più felice, i sogni a volte diventano realtà.
-Allora io vado, domani devo lavorare.- disse Nicole avvicinandosi alla porta per uscire.
-Ok. È stato un piacere averti qui. E grazie ancora per lo splendido lavoro che hai fatto, sei veramente molto brava.-
-Grazie sei troppo gentile Michael.-
-Ah aspetta.- le mise una mano sulla spalla e aggiunse- Devi darmi il tuo numero, credevi che me lo fossi dimenticato eh.-
Capitolo 5
Nicole si svegliò all‘improvviso. Il rumore assordante della sveglia la fece sobbalzare sull’enorme letto su cui si era addormentata.
Sotto un mucchio di vestiti e coperte uscì un suono simile ad un lamento.
-Michael che cavolo ti vuoi svegliare.-
-uhmmmm- fu tutto ciò che Michael riuscì a dire.
-Ha fatto proprio bene Debbie a chiedere il divorzio.
Cosa devo fare per farti alzare da quel letto?-
Nicole iniziava a perdere la pazienza, lui non rispondeva nemmeno alle provocazioni assonnato com‘era. Nel frattempo cercava di ritrovare i vestiti che erano finiti chissà dove sul pavimento. Con una mano cercava nella tasca dei pantaloni qualche forcina che potesse tenere a bada quella massa informe di capelli che si ritrovava al mattino. È incredibile come quei piccoli oggetti misteriosi potessero sparire in circostanze inspiegabili. Praticamente passava la vita a comprare forcine.
-Dov’è finita la camicia…-
Finalmente due piedi coperti da dei calzini bianchi poggiarono sul pavimento, seguiti dalla figura piuttosto barcollante di Michael che portava una mano verso la bocca per nascondere uno sbadiglio.
-Cercavi questa?-
Michael si girò con la camicia di Nicole tra le mani.
-Aaaaaaaaaaaaaah girati, non vedi che sono mezza nuda.-
Michael si girò immediatamente e il suo viso diventò rosso per l’imbarazzo. Adesso era decisamente sveglio.
-Scusa-
-Ci siamo addormentati insieme?-
-Credo proprio di si.- rispose lui.
-Non mi ricordo niente. Buio totale.-
-…niente?- chiese Michael.
-No assolutamente niente.-
Mentre chiudeva l’ultimo bottone della camicia aggiunse- ma quanto ho bevuto ieri sera?-
-Abbastanza per non ricordarti niente.- rispose Michael.
Avevano festeggiato l’uscita sul giornale “Vogue” di un articolo che parlava della nuova sorprendente fotografa Nicole Jones. Aveva già lavorato con Madonna, Brad e Angelina, Robbie Williams e ovviamente Michael Jackson.
Diciamo che si era fatta prendere un po’ la mano dall’euforia, anche se sarebbe meglio dire il gomito…
Erano andati in un locale che Michael aveva prenotato esclusivamente per lei, essendo stato il suo primo cliente “importante” significava molto per lei averlo lì e a lui piacevano le cose in grande, soprattutto se si trattava della sua fotografa preferita nonché ufficiale migliore amica ormai.
***
Era tutto il giorno che ci pensava, era convinta che alla festa fosse successo qualcosa, ma che cosa non riusciva proprio a capirlo.
Ormai erano ore che rimuginava e rovistava tra i ricordi in cerca di un indizio che la potesse aiutare a capire.
Aveva messo il vestito lungo, quello rosso, aveva speso quasi tutti i risparmi per comprarlo, erano arrivati verso le dieci e un quarto, Michael aveva messo una camicia nera di seta con dei ricami, c’erano tutti i suoi amici, c’era anche Sophie.
mmm Sophie…
Michael stava davvero bene ieri sera, i capelli ricci gli stanno benissimo e il ricciolo sulla fronte…Sophie…
Aveva un gran mal di testa.
Gli effetti collaterali della sbronza iniziavano a farsi sentire, la testa stava per scoppiare.
Perché mi viene in mente sempre Sophie? È una mia amica come tante altre…aspetta un attimo, ah si ora ricordo, abbiamo litigato.
Mi ricordo perfettamente le belle parole che mi ha detto, stronza poi mi è rimasto impresso particolarmente.
Ma perché abbiamo litigato era la mia festa, come si è permessa di insultare la festeggiata…
Proprio non ricordava.
Poteva chiamarla e chiederglielo.
Si come no, così l’avrebbe insultata un altro po’.
Cercò un’aspirina tra l’infinità di oggetti contenuti nella sua borsa, ne prese una e la mandò giù con un sorso d’acqua.
Michael!- disse ad alta voce.
Ma certo c’era anche lui saprà sicuramente cosa è successo.
Ora lo chiamo.
Prese il cellulare e iniziò a comporre il suo numero mentre il telefono squillava un flash le attraversò la mente.
-Oh cazzo Michael…-
Spense subito il cellulare e lo mise apposto nella borsa.
All’improvviso i ricordi iniziarono ad affiorare, confusi, sovrapposti ma sapeva dove l’avrebbero presto riportata.
Capitolo 6
Ma certo- disse nuovamente pensando ad alta voce e strofinandosi gli occhi come per cancellare quella scena ormai impressa nella sua mente.
Durante la festa aveva visto Michael e Sophie baciarsi sul divano del locale. Ora ricordava. O quasi…perché aveva litigato con Sophie?
-Oddio no. Dimmi che non l’ho fatto davvero.-
Parlava da sola, completamente in balia delle emozioni, provava un incredibile senso di vergogna misto ad incredulità.
A poco a poco i ricordi si fecero più chiari e iniziarono a formare un ricordo annebbiato che sarebbe stato meglio aver cancellato. E invece era lì, le si presentava con potenza davanti agli occhi ancora gonfi.
Michael aveva baciato Sophie e lei era corsa lì tirandole i capelli e picchiandola violentemente. Ricordava solo che poi si ritrovò tra le braccia di Michael che cercava di calmarla. Forse Frank aveva avuto ragione quando le disse di avere un caratteraccio.
-Al diavolo Frank adesso-
L’aveva picchiata proprio per bene quella Sophie…
Ma poi che era successo? Buio totale. Peggio di un’interrogazione in matematica.
Almeno l’aspirina cominciava a fare effetto.
Decise di non pensarci tanto era tutto inutile, un piccolo progresso c’era stato, per ora era sufficiente, in fondo aveva quasi paura di scoprire ciò che era accaduto la sera precedente era sicuramente meglio così.
Quando beveva troppo aveva la strana abitudine non solo di diventare violenta e picchiare chiunque le passasse sotto, ma diventava stranamente affettuosa con tutti. Senza ombra di dubbio quella sarebbe stata la sua ultima sbronza o almeno così si promise, non voleva combinare altri guai.
-Meglio concentrarsi sul lavoro.- si disse cercando di convincersi delle sue stesse parole.
Michael si era svegliato ormai da un pò e aveva fatto un giro nell’immenso giardino di Neverland, in autunno era tutto più bello, le foglie degli alberi si tingevano di rosso e di giallo, l’aria era frizzante e il vento che tirava era leggermente freddo a contatto con la pelle riusciva infatti a provocare un brivido lungo tutta la schiena. Poi adorava quando il respiro caldo che usciva dalla sua bocca diventava visibile come fumo bianco nell’aria.
Quella mattina però sembrava non far caso a tutte quelle cose. Aveva l’aria preoccupata, triste e gironzolava senza una meta ormai da mezz’ora.
I piccoli erano andati al parco con la tata ed era rimasto solo, con i suoi pensieri che sembravano ormai catalizzati verso una sola persona.
Lui ricordava benissimo ciò che era accaduto la notte prima anzi quella notte non l’avrebbe dimenticata per molto tempo.
Ricordava il bacio scherzoso che gli diede Sophie, nemmeno la conosceva quella ragazza. Pareva piuttosto allegra, Nicole non era l’unica a darci dentro con i drink alle feste. Ricordava la reazione di Nicole, ciò che si erano detti e ciò che non avevano avuto bisogno di spiegarsi a parole. Sentiva ancora quella vibrante sensazione addosso.
Fece un lungo sospiro, non voleva pensarci, non ora, ne avrebbe parlato con Nicole la sera stessa, tanto sarebbe andata da lui come faceva tutte le sere da sei mesi. Parlavano, parlavano tantissimo e di qualsiasi cosa.
Si divertivano, soprattutto ridevano ed era quella la parte che a Michael piaceva di più dei loro incontri e poi lo sapeva, quando Nicole ride diventa ancora più bella. Quando lei gli raccontava della sua passione per l’arte rimaneva quasi incantato era come assistere ad una magia arcana antica millenni e tutto gli si presentava ingenuamente davanti attraverso le parole che Nicole riusciva ad usare. Gli raccontava dei suoi tanti sacrifici e delle ore passate a studiare mentre l’unica cosa che avrebbe voluto fare era starsene con le sue amiche, come tutte le ragazze della sua età. Trovava qualcosa di familiare in quei racconti, sentiva di poter condividere con lei cose che non avrebbe detto mai nessuno. Sapeva far ridere, far riflettere e far sognare con la stessa intensità quasi disarmante, si assomigliavano più di quanto loro stessi avrebbero mai potuto immaginare.
Aveva sentito il cellulare squillare poche volte e si era accorto che era lei a chiamare, ma non aveva fatto in tempo a rispondere. Provò a richiamarla ma Nicole aveva spento il telefonino e rispondeva sempre la segreteria, a quel punto decise di rinunciare. Avrebbe proseguito la sua passeggiata continuando a ripercorrere con i ricordi la notte precedente e cercando di carpirne ogni minimo dettaglio. Li avrebbe poi custoditi gelosamente, anche in silenzio se lei non avesse ricordato.
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Re: Ricordi sbiaditi (terminata)
Capitolo 8
Si era fatta quasi sera ed era dunque giunta l’ora per Nicole di andare a casa per prepararsi e andare da Michael come faceva sempre.
Iniziò a sistemare le sue cose per chiudere l’ufficio e per tuffarsi il più presto possibile sotto il getto caldo della doccia. Non vedeva l’ora.
Sperava che insieme alla stanchezza con l’acqua andassero via anche tutti i brutti i ricordi.
Prese le ultime cose rimaste sulla scrivania provando a fare un po’ d’ordine. Forse era arrivato il momento di gettare qualche carta inutile, ma nel suo caos alla fine trovava sempre tutto ciò che le serviva al momento giusto. Si accorse distrattamente che le era caduto qualcosa a terra.
Sembrava un foglio.
Si abbassò per prenderlo e si rese conto che in realtà non era un semplice pezzo di carta ma era una foto.
La girò.
Sentì il cuore fermarsi.
In quel momento decine di ricordi attraversarono la sua mente, ebbe la sprezzante conferma di aver rovinato quello più bello, più dolce, quello che non sarebbe mai stato così perfetto.
Iniziò a tremare e cadde a terra con gli occhi pieni di lacrime.
Come aveva potuto dimenticare quella foto? Come aveva potuto dimenticare ciò che era successo?
Non poteva fare a meno di incolparsi, gli occhi non riuscirono più a trattenere le lacrime, sembravano bruciare a contatto con le sue guance.
Sapeva che quella, molto probabilmente, sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe pianto perché pareva proprio che stesse piangendo tutte le lacrime che possedeva.
Lo sguardo che aveva catturato in quella foto, il momento, l’emozione imprigionata che adesso le cadeva addosso come un macigno.
Era tutto chiaro ora.
Si alzò, prese la foto che le era caduta dalle mani e senza nemmeno rendersene conto uscì dall’ufficio lasciando la borsa e il cappotto sul pavimento, salì sulla sua auto e si diresse immediatamente verso casa di Michael, non c’era tempo per passare nel suo appartamento, non voleva nemmeno più andarci, voleva solo arrivare da Michael il più presto possibile.
Con una mano cercava di asciugarsi gli occhi mentre il respiro si faceva sempre più forte, interrotto dai singhiozzi leggeri provocati dal pianto di poco prima. Aveva il cuore a mille.
Provava a sistemare l’immagine arruffata che vedeva riflessa nello specchietto, quando vide il semaforo rosso si fermò e potè con più calma mettere a posto i capelli e ripassarsi il trucco.
Presa dall’eccitazione non si accorse nemmeno di essere ripartita quando il semaforo era ancora rosso. Tanto a quell’ora c’era poca gente per strada- pensò.
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Inviato: Dom Feb 27, 2011 8:15 pm Oggetto:
Capitolo 8
Si era fatta quasi sera ed era dunque giunta l’ora per Nicole di andare a casa per prepararsi e andare da Michael come faceva sempre.
Iniziò a sistemare le sue cose per chiudere l’ufficio e per tuffarsi il più presto possibile sotto il getto caldo della doccia. Non vedeva l’ora.
Sperava che insieme alla stanchezza con l’acqua andassero via anche tutti i brutti i ricordi.
Prese le ultime cose rimaste sulla scrivania provando a fare un po’ d’ordine. Forse era arrivato il momento di gettare qualche carta inutile, ma nel suo caos alla fine trovava sempre tutto ciò che le serviva al momento giusto. Si accorse distrattamente che le era caduto qualcosa a terra.
Sembrava un foglio.
Si abbassò per prenderlo e si rese conto che in realtà non era un semplice pezzo di carta ma era una foto.
La girò.
Sentì il cuore fermarsi.
In quel momento decine di ricordi attraversarono la sua mente, ebbe la sprezzante conferma di aver rovinato quello più bello, più dolce, quello che non sarebbe mai stato così perfetto.
Iniziò a tremare e cadde a terra con gli occhi pieni di lacrime.
Come aveva potuto dimenticare quella foto? Come aveva potuto dimenticare ciò che era successo?
Non poteva fare a meno di incolparsi, gli occhi non riuscirono più a trattenere le lacrime, sembravano bruciare a contatto con le sue guance.
Sapeva che quella, molto probabilmente, sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe pianto perché pareva proprio che stesse piangendo tutte le lacrime che possedeva.
Lo sguardo che aveva catturato in quella foto, il momento, l’emozione imprigionata che adesso le cadeva addosso come un macigno.
Era tutto chiaro ora.
Si alzò, prese la foto che le era caduta dalle mani e senza nemmeno rendersene conto uscì dall’ufficio lasciando la borsa e il cappotto sul pavimento, salì sulla sua auto e si diresse immediatamente verso casa di Michael, non c’era tempo per passare nel suo appartamento, non voleva nemmeno più andarci, voleva solo arrivare da Michael il più presto possibile.
Con una mano cercava di asciugarsi gli occhi mentre il respiro si faceva sempre più forte, interrotto dai singhiozzi leggeri provocati dal pianto di poco prima. Aveva il cuore a mille.
Provava a sistemare l’immagine arruffata che vedeva riflessa nello specchietto, quando vide il semaforo rosso si fermò e potè con più calma mettere a posto i capelli e ripassarsi il trucco.
Presa dall’eccitazione non si accorse nemmeno di essere ripartita quando il semaforo era ancora rosso. Tanto a quell’ora c’era poca gente per strada- pensò.
***
Michael aveva fatto preparare il piatto preferito di Nicole una grande, croccante, pizza margherita con doppia mozzarella che aveva fatto fare da un cuoco italiano chiamato apposta per quella sola ed unica pizza per la quale Nicole andava matta.
Lui non aveva molta fame ma avrebbe mangiato poi volentieri il tiramisù con cui avrebbero concluso la serata sorseggiando insieme un bicchiere di champagne. Solo uno. Non voleva farla ubriacare di nuovo, l’alcool le procurava strani effetti e non poche seccature. Anche se poi la cosa si era rivelata molto molto piacevole. Così al pensiero di ciò che era successo la sera prima accennò istintivamente un sorriso dolcissimo.
Guardava l’orologio Niki era in ritardo di qualche minuto. Non vedeva l’ora che arrivasse, picchiettava nervosamente con le dita sul tavolino mentre pensava ancora alla notte precedente.
Nicole aveva reagito esageratamente male al bacio che Sophie diede a Michael. Si, perché era stata lei a baciarlo, non viceversa come credeva.
Sapeva che era piuttosto irascibile, la conosceva bene ormai, e qualche volta se l’era presa anche con lui per delle sciocchezze. Più che altro lui si divertiva a vederla così arrabbiata, nessuno si rivolgeva a Michael in quel modo erano tutti attenti a quello che dicevano e come lo dicevano in sua presenza. Facevano tutti ciò che lui voleva e non si sarebbero mai azzardati a rispondergli male o a mandarlo a quel paese. Nicole invece lo faceva, lo trattava come chiunque altro e questo a Michael faceva immensamente piacere.
Poteva essere se stesso con lei e soprattutto lei era se stessa con lui, non gli capitava spesso di conoscere persone così sincere.
A quella reazione Michael cercò di calmarla e la prese tra le sue braccia, ma lei proprio non ne voleva sapere. Urlava parole senza senso e agitava le braccia in modo nervoso andando su e giù per il locale.
Michael a quel punto l’aveva presa in braccio e portata fuori, non poteva farle fare una figuraccia davanti a tutti i suoi amici e davanti a persone per cui molto probabilmente avrebbe potuto lavorare.
Pioveva a dirotto quella notte e così si erano sistemati nella limousine di Michael per poter parlare tranquillamente.
Lei si asciugava le lacrime con la manica della camicia di lui che sorrideva divertito per quel gesto spontaneo, e aveva nascosto il viso dietro le mani dalla vergogna senza dire una parola.
Michael le prese i polsi e lentamente le fece scoprire il volto, sotto la luce della luna i suoi occhi brillavano come non mai e la pelle sembrava così morbida e delicata.
-Ehi, che succede?- chiese timidamente Michael.
-Niente…-rispose Nicole voltandosi dall’altra parte.
Lui le prese il viso tra le mani e la girò verso di sé- guardami-
-No Michael ti prego.-
-Nicole guardami e dimmi che cos’hai- le mise una mano sulla guancia, accarezzandola, poi con il pollice le fermò il mento e chiese nuovamente
-Che cos’hai?-
-Dimmelo per favore, non posso vederti in questo stato. Consentimi di aiutarti.-
-Che cosa ho…non lo so nemmeno io Michael…non lo so.-
So solo- continuò- che…che quando ho visto che ti baciavi con Sophie…
Non riuscì a finire la frase e scoppiò a piangere.
Michael l’abbracciò senza nemmeno pensarci - ed è questo il problema?
-Lo vedi, come al solito piango per niente.-
-Niki lo sai che non si piange mai per niente, quante volte te lo devo dire.-
Nicole si girò verso di lui e lo guardò negli occhi si avvicinò sedendosi sulle sue gambe e si rannicchiò contro il suo petto come una bambina.
-Michael io non volevo reagire così è solo che… uffa! Non te lo voglio dire.-
Lo sguardo di Michael si fece serio e la guardò con impazienza.
-E va bene…è che non voglio che ti baci con Sophie.-
-Ma non mi bacerò più con Sophie e poi è stata lei a baciarmi, credo fosse un po’ ubriaca e non era l’unica.- risero riuscendo così a mandar via un po’ della tensione accumulata.
-No Mike non voglio solo che non ti baci più con Sophie io non voglio che ti baci più con nessun’altra, cioè…non è che devi chiuderti in convento.-
-Nicole…-
-Noi siamo amici lo so…ma…-
Gli mise il braccio dietro il collo ed avvicinò le labbra a quelle di Michael, sentiva il suo respiro, il profumo dolce che aveva e gli prese il labbro inferiore tra le labbra e lo portò lentamente verso di lei poi piano piano lo lasciò andare e tornare indietro al suo legittimo proprietario.
Michael era confuso.
-Niki io…- Nicole riaffondò le labbra tra le sue in un bacio passionale e languido, socchiuse la bocca e Michael sentì la lingua di lei chiederne timidamente l’accesso.
-Aspetta Nicole.-
Si staccò lentamente da lei, fissandola negli occhi, le scostò una ciocca di capelli sistemandola dietro l’orecchio e fece un lungo sospiro senza togliere lo sguardo dai suoi occhi.
Nicole non riuscì a trattenere un sorriso e si avvicinò di nuovo a lui.
-Nicole aspetta, così mi confondi…-
-L‘ultima cosa che voglio ora è confonderti-
Si rituffò con passione su quelle labbra che già stavano diventando una droga, una dolce, irresistibile ed insaziabile droga.
Capitolo 9
Non sai da quanto sognavo questo momento.-
-Anch’io Michael, anch’io…-
A quelle parole Michael finalmente si lasciò andare, le diede un bacio sul collo, Niki sentiva l’umido della saliva freddarsi lentamente a contatto con l’aria, un brivido così in contrasto con il caldo del resto del corpo.
La mano di Michael aveva già spostato il vestito in modo da liberare le gambe, accarezzando indisturbato la coscia di Nicole che nel frattempo aveva iniziato a sbottargli la camicia senza nemmeno una volta staccare la bocca dalla sua.
Con movimenti leggeri del bacino, Niki premeva sul ventre di Michael che visibilmente eccitato sentiva aumentare il piacere con quell‘inaspettato brivido che gli pervase tutto il corpo.
Mise una mano nell’orlo della scollatura del vestito e lo tirò con forza strappando il tessuto in modo da liberare i seni da quella setosa copertura.
Continuavano a baciarsi con lussuria crescente nella penombra della notte era come se adesso mille mani le sfiorassero la pelle e mille bocche baciassero ogni centimetro del suo corpo. Un bottone uscì dall’asola e dopo un altro e un altro ancora, gli tolse la camicia e la maglietta bianca che aveva sotto, a petto nudo rimaneva solo una collana ad incorniciare il collo perfetto su cui lei posò subito le labbra.
Sentì Michael avere un altro brivido a quel contatto e iniziò a slacciargli i pantaloni mentre lui aveva portato le mani sui suoi glutei per avvicinarla, per prepararla a quell’ incastro perfetto che aspettava da mesi.
Ma il viso di Michael venne richiamato dalla bocca di Nicole in un bacio travolgente che si trasformò in un lento, profondo contatto che aveva lo stesso rumore del ticchettio della pioggia sui vetri.
La tirò inaspettatamente su e la fece quasi sdraiare sul gigantesco sedile della limousine.
La guardò dal basso con un'espressione strana e Niki rimase interdetta,con la mano tesa verso di lui,convinta del fatto che tra poco si sarebbe allungato sopra di lei e l'avrebbe presa con passione, ma lui non accettò l'invito...accarezzandole invece l'interno della gamba e procedendo verso l’alto con mano esperta.
Niki capì ed inclinò la testa da un lato e lasciandosi scappare un sorriso per la piacevole sorpresa.
Spinse in avanti il bacino chiudendo gli occhi finchè non sentì il suo respiro sulla gamba,risalire con piccoli baci.
Riconobbe quel tocco che prima la faceva vibrare baciandola.
-Oh...Michael...-
-Michael!-
Lo chiamò lei implorante.
-Che c'è?-
Rispose tranquillamente con voce roca per l'eccitazione.
-Ti voglio...-
-Si…non ancora amore….-
Persa in pensieri senza alcun senso quelle parole bruciarono dentro di lei con un’intensità accecante.
il respiro spezzato,le mani fra i suoi capelli e poi sulle spalle. Due occhi scuri e vellutati la fissavano sotto di loro il petto che si alzava ed abbassava ritmicamente e le mani che già le circondavano i fianchi invitandola a scendere più in basso ed unirsi a lui.
Si fermò e le accarezzò i capelli.
-Guardami…- le sussurrò con fatica all’orecchio.
Senza trovare una spiegazione a quella richiesta si voltò verso i suoi occhi e lo baciò ondeggiando con il bacino per invitarlo a continuare.
Fin quando un gemito trapassò l'aria.
Ancora inebriata da quella meravigliosa sensazione lo guardò negli occhi e lui le sorrise dolcemente.
Gli spostò con la mano una ciocca di riccioli ribelli e in quel momento, persa nell’immenso dei suoi occhi capì. La sua anima, ecco cosa intendeva…la luce che si era accesa nelle sue pupille in quel momento avrebbe fatto impallidire la luna dall’invidia.
Michael le accarezzò il viso e si stese accanto a lei. Rimasero così per un tempo indefinito, abbracciati, mentre dal cielo continuava a cadere la pioggia che a contatto con il tettino dell’auto creava una sorta di melodia che si perdeva tra il rumore più dolce dei loro respiri.
Arrivarono presto alla villa e Michael scese per primo, ormai aveva smesso di piovere e nell’aria rimaneva soltanto quel po’ di umidità che rendeva la notte luccicante sotto la luce dei lampioni.
-Michael!- lo chiamò con voce bassa Nicole.
-Si-disse lui abbassandosi all’altezza dello sportello per vedere Nicole che ancora non era scesa dalla limousine.
-Ti amo- disse lei e subito dopo Michael fu invaso e sorpreso da un flash.
Sorrise e le rispose che anche lui l’amava e che ora ne aveva la prova in quel rullino.
In quella semplice foto, in un singolo apparentemente insignificante scatto aveva in realtà imprigionato la sua anima, il suo amore per lei, e insieme anche tutto il suo essere.
Era riuscita a fermare per sempre l’istante in cui per la prima volta gli aveva detto che l’amava. Gli occhi di Michael che avevano reagito a quelle parole, il modo in cui la guardava, insieme al suo riflesso sul finestrino mentre diceva quelle parole.
Convinti che quel momento fosse stato reso eterno, impresso e concreto non solo nella loro memoria, niente e nessuno sarebbe stato più in grado di cancellarlo, o quasi...
***
All’improvviso Michael sentì squillare il telefono. Pensò che fosse Nicole che lo avvisava che avrebbe fatto un po’ di ritardo. Infatti il numero che compariva sul display era proprio il suo.
-Pronto Michael sono Sophie, ti prego vieni subito all’ospedale.-
-Cosa? Sophie che è successo?-
-Michael Nicole ha avuto un incidente vieni qui ti prego-
Non le lasciò nemmeno finire la frase appena sentì il nome di Nicole gettò il telefono a terra e corse verso la sua auto.
Le guardie del corpo cercavano di sapere cose fosse successo, l’autista rimase fermo incredulo senza trovare il tempo di pensare a nulla.
Michael era già fuori dal cancello della villa diretto verso l’ospedale, mentre una macchina piena di bodyguard lo seguiva.
Arrivò all’ospedale e vide immediatamente la figura di Sophie che lo aspettava davanti l’ingresso, in lacrime.
-Michael non mi hanno fatto entrare, accettano solo i parenti.-
-Oh mio Dio ma cosa è successo?-
Le lacrime iniziavano lentamente a scorrere sulle sue guance, Sophie lo abbracciò sperando che così facendo si sarebbero fatti forza a vicenda.
Ma non servì a molto.
-Michael…aveva questa tra le mani.-
Lui si voltò per vedere cosa Sophie le stesse porgendo, si asciugò le lacrime con la manica del cappotto e cercò di trattenersi.
Quando la vide sentì come una fitta al cuore, faceva male, troppo male, quella foto, la sua espressione. Era così bella.
Quel momento felice lì davanti a lui mentre davanti ai suoi occhi ora non c’era più quella meravigliosa creatura che gli diceva di amarlo ma tutt’altro, c’era la fine di quel sogno e l’inizio di un incubo dal quale avrebbe voluto svegliarsi il più presto possibile.
Si era fatta quasi sera ed era dunque giunta l’ora per Nicole di andare a casa per prepararsi e andare da Michael come faceva sempre.
Iniziò a sistemare le sue cose per chiudere l’ufficio e per tuffarsi il più presto possibile sotto il getto caldo della doccia. Non vedeva l’ora.
Sperava che insieme alla stanchezza con l’acqua andassero via anche tutti i brutti i ricordi.
Prese le ultime cose rimaste sulla scrivania provando a fare un po’ d’ordine. Forse era arrivato il momento di gettare qualche carta inutile, ma nel suo caos alla fine trovava sempre tutto ciò che le serviva al momento giusto. Si accorse distrattamente che le era caduto qualcosa a terra.
Sembrava un foglio.
Si abbassò per prenderlo e si rese conto che in realtà non era un semplice pezzo di carta ma era una foto.
La girò.
Sentì il cuore fermarsi.
In quel momento decine di ricordi attraversarono la sua mente, ebbe la sprezzante conferma di aver rovinato quello più bello, più dolce, quello che non sarebbe mai stato così perfetto.
Iniziò a tremare e cadde a terra con gli occhi pieni di lacrime.
Come aveva potuto dimenticare quella foto? Come aveva potuto dimenticare ciò che era successo?
Non poteva fare a meno di incolparsi, gli occhi non riuscirono più a trattenere le lacrime, sembravano bruciare a contatto con le sue guance.
Sapeva che quella, molto probabilmente, sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe pianto perché pareva proprio che stesse piangendo tutte le lacrime che possedeva.
Lo sguardo che aveva catturato in quella foto, il momento, l’emozione imprigionata che adesso le cadeva addosso come un macigno.
Era tutto chiaro ora.
Si alzò, prese la foto che le era caduta dalle mani e senza nemmeno rendersene conto uscì dall’ufficio lasciando la borsa e il cappotto sul pavimento, salì sulla sua auto e si diresse immediatamente verso casa di Michael, non c’era tempo per passare nel suo appartamento, non voleva nemmeno più andarci, voleva solo arrivare da Michael il più presto possibile.
Con una mano cercava di asciugarsi gli occhi mentre il respiro si faceva sempre più forte, interrotto dai singhiozzi leggeri provocati dal pianto di poco prima. Aveva il cuore a mille.
Provava a sistemare l’immagine arruffata che vedeva riflessa nello specchietto, quando vide il semaforo rosso si fermò e potè con più calma mettere a posto i capelli e ripassarsi il trucco.
Presa dall’eccitazione non si accorse nemmeno di essere ripartita quando il semaforo era ancora rosso. Tanto a quell’ora c’era poca gente per strada- pensò.
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Inviato: Dom Feb 27, 2011 8:15 pm Oggetto:
Capitolo 8
Si era fatta quasi sera ed era dunque giunta l’ora per Nicole di andare a casa per prepararsi e andare da Michael come faceva sempre.
Iniziò a sistemare le sue cose per chiudere l’ufficio e per tuffarsi il più presto possibile sotto il getto caldo della doccia. Non vedeva l’ora.
Sperava che insieme alla stanchezza con l’acqua andassero via anche tutti i brutti i ricordi.
Prese le ultime cose rimaste sulla scrivania provando a fare un po’ d’ordine. Forse era arrivato il momento di gettare qualche carta inutile, ma nel suo caos alla fine trovava sempre tutto ciò che le serviva al momento giusto. Si accorse distrattamente che le era caduto qualcosa a terra.
Sembrava un foglio.
Si abbassò per prenderlo e si rese conto che in realtà non era un semplice pezzo di carta ma era una foto.
La girò.
Sentì il cuore fermarsi.
In quel momento decine di ricordi attraversarono la sua mente, ebbe la sprezzante conferma di aver rovinato quello più bello, più dolce, quello che non sarebbe mai stato così perfetto.
Iniziò a tremare e cadde a terra con gli occhi pieni di lacrime.
Come aveva potuto dimenticare quella foto? Come aveva potuto dimenticare ciò che era successo?
Non poteva fare a meno di incolparsi, gli occhi non riuscirono più a trattenere le lacrime, sembravano bruciare a contatto con le sue guance.
Sapeva che quella, molto probabilmente, sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe pianto perché pareva proprio che stesse piangendo tutte le lacrime che possedeva.
Lo sguardo che aveva catturato in quella foto, il momento, l’emozione imprigionata che adesso le cadeva addosso come un macigno.
Era tutto chiaro ora.
Si alzò, prese la foto che le era caduta dalle mani e senza nemmeno rendersene conto uscì dall’ufficio lasciando la borsa e il cappotto sul pavimento, salì sulla sua auto e si diresse immediatamente verso casa di Michael, non c’era tempo per passare nel suo appartamento, non voleva nemmeno più andarci, voleva solo arrivare da Michael il più presto possibile.
Con una mano cercava di asciugarsi gli occhi mentre il respiro si faceva sempre più forte, interrotto dai singhiozzi leggeri provocati dal pianto di poco prima. Aveva il cuore a mille.
Provava a sistemare l’immagine arruffata che vedeva riflessa nello specchietto, quando vide il semaforo rosso si fermò e potè con più calma mettere a posto i capelli e ripassarsi il trucco.
Presa dall’eccitazione non si accorse nemmeno di essere ripartita quando il semaforo era ancora rosso. Tanto a quell’ora c’era poca gente per strada- pensò.
***
Michael aveva fatto preparare il piatto preferito di Nicole una grande, croccante, pizza margherita con doppia mozzarella che aveva fatto fare da un cuoco italiano chiamato apposta per quella sola ed unica pizza per la quale Nicole andava matta.
Lui non aveva molta fame ma avrebbe mangiato poi volentieri il tiramisù con cui avrebbero concluso la serata sorseggiando insieme un bicchiere di champagne. Solo uno. Non voleva farla ubriacare di nuovo, l’alcool le procurava strani effetti e non poche seccature. Anche se poi la cosa si era rivelata molto molto piacevole. Così al pensiero di ciò che era successo la sera prima accennò istintivamente un sorriso dolcissimo.
Guardava l’orologio Niki era in ritardo di qualche minuto. Non vedeva l’ora che arrivasse, picchiettava nervosamente con le dita sul tavolino mentre pensava ancora alla notte precedente.
Nicole aveva reagito esageratamente male al bacio che Sophie diede a Michael. Si, perché era stata lei a baciarlo, non viceversa come credeva.
Sapeva che era piuttosto irascibile, la conosceva bene ormai, e qualche volta se l’era presa anche con lui per delle sciocchezze. Più che altro lui si divertiva a vederla così arrabbiata, nessuno si rivolgeva a Michael in quel modo erano tutti attenti a quello che dicevano e come lo dicevano in sua presenza. Facevano tutti ciò che lui voleva e non si sarebbero mai azzardati a rispondergli male o a mandarlo a quel paese. Nicole invece lo faceva, lo trattava come chiunque altro e questo a Michael faceva immensamente piacere.
Poteva essere se stesso con lei e soprattutto lei era se stessa con lui, non gli capitava spesso di conoscere persone così sincere.
A quella reazione Michael cercò di calmarla e la prese tra le sue braccia, ma lei proprio non ne voleva sapere. Urlava parole senza senso e agitava le braccia in modo nervoso andando su e giù per il locale.
Michael a quel punto l’aveva presa in braccio e portata fuori, non poteva farle fare una figuraccia davanti a tutti i suoi amici e davanti a persone per cui molto probabilmente avrebbe potuto lavorare.
Pioveva a dirotto quella notte e così si erano sistemati nella limousine di Michael per poter parlare tranquillamente.
Lei si asciugava le lacrime con la manica della camicia di lui che sorrideva divertito per quel gesto spontaneo, e aveva nascosto il viso dietro le mani dalla vergogna senza dire una parola.
Michael le prese i polsi e lentamente le fece scoprire il volto, sotto la luce della luna i suoi occhi brillavano come non mai e la pelle sembrava così morbida e delicata.
-Ehi, che succede?- chiese timidamente Michael.
-Niente…-rispose Nicole voltandosi dall’altra parte.
Lui le prese il viso tra le mani e la girò verso di sé- guardami-
-No Michael ti prego.-
-Nicole guardami e dimmi che cos’hai- le mise una mano sulla guancia, accarezzandola, poi con il pollice le fermò il mento e chiese nuovamente
-Che cos’hai?-
-Dimmelo per favore, non posso vederti in questo stato. Consentimi di aiutarti.-
-Che cosa ho…non lo so nemmeno io Michael…non lo so.-
So solo- continuò- che…che quando ho visto che ti baciavi con Sophie…
Non riuscì a finire la frase e scoppiò a piangere.
Michael l’abbracciò senza nemmeno pensarci - ed è questo il problema?
-Lo vedi, come al solito piango per niente.-
-Niki lo sai che non si piange mai per niente, quante volte te lo devo dire.-
Nicole si girò verso di lui e lo guardò negli occhi si avvicinò sedendosi sulle sue gambe e si rannicchiò contro il suo petto come una bambina.
-Michael io non volevo reagire così è solo che… uffa! Non te lo voglio dire.-
Lo sguardo di Michael si fece serio e la guardò con impazienza.
-E va bene…è che non voglio che ti baci con Sophie.-
-Ma non mi bacerò più con Sophie e poi è stata lei a baciarmi, credo fosse un po’ ubriaca e non era l’unica.- risero riuscendo così a mandar via un po’ della tensione accumulata.
-No Mike non voglio solo che non ti baci più con Sophie io non voglio che ti baci più con nessun’altra, cioè…non è che devi chiuderti in convento.-
-Nicole…-
-Noi siamo amici lo so…ma…-
Gli mise il braccio dietro il collo ed avvicinò le labbra a quelle di Michael, sentiva il suo respiro, il profumo dolce che aveva e gli prese il labbro inferiore tra le labbra e lo portò lentamente verso di lei poi piano piano lo lasciò andare e tornare indietro al suo legittimo proprietario.
Michael era confuso.
-Niki io…- Nicole riaffondò le labbra tra le sue in un bacio passionale e languido, socchiuse la bocca e Michael sentì la lingua di lei chiederne timidamente l’accesso.
-Aspetta Nicole.-
Si staccò lentamente da lei, fissandola negli occhi, le scostò una ciocca di capelli sistemandola dietro l’orecchio e fece un lungo sospiro senza togliere lo sguardo dai suoi occhi.
Nicole non riuscì a trattenere un sorriso e si avvicinò di nuovo a lui.
-Nicole aspetta, così mi confondi…-
-L‘ultima cosa che voglio ora è confonderti-
Si rituffò con passione su quelle labbra che già stavano diventando una droga, una dolce, irresistibile ed insaziabile droga.
Capitolo 9
Non sai da quanto sognavo questo momento.-
-Anch’io Michael, anch’io…-
A quelle parole Michael finalmente si lasciò andare, le diede un bacio sul collo, Niki sentiva l’umido della saliva freddarsi lentamente a contatto con l’aria, un brivido così in contrasto con il caldo del resto del corpo.
La mano di Michael aveva già spostato il vestito in modo da liberare le gambe, accarezzando indisturbato la coscia di Nicole che nel frattempo aveva iniziato a sbottargli la camicia senza nemmeno una volta staccare la bocca dalla sua.
Con movimenti leggeri del bacino, Niki premeva sul ventre di Michael che visibilmente eccitato sentiva aumentare il piacere con quell‘inaspettato brivido che gli pervase tutto il corpo.
Mise una mano nell’orlo della scollatura del vestito e lo tirò con forza strappando il tessuto in modo da liberare i seni da quella setosa copertura.
Continuavano a baciarsi con lussuria crescente nella penombra della notte era come se adesso mille mani le sfiorassero la pelle e mille bocche baciassero ogni centimetro del suo corpo. Un bottone uscì dall’asola e dopo un altro e un altro ancora, gli tolse la camicia e la maglietta bianca che aveva sotto, a petto nudo rimaneva solo una collana ad incorniciare il collo perfetto su cui lei posò subito le labbra.
Sentì Michael avere un altro brivido a quel contatto e iniziò a slacciargli i pantaloni mentre lui aveva portato le mani sui suoi glutei per avvicinarla, per prepararla a quell’ incastro perfetto che aspettava da mesi.
Ma il viso di Michael venne richiamato dalla bocca di Nicole in un bacio travolgente che si trasformò in un lento, profondo contatto che aveva lo stesso rumore del ticchettio della pioggia sui vetri.
La tirò inaspettatamente su e la fece quasi sdraiare sul gigantesco sedile della limousine.
La guardò dal basso con un'espressione strana e Niki rimase interdetta,con la mano tesa verso di lui,convinta del fatto che tra poco si sarebbe allungato sopra di lei e l'avrebbe presa con passione, ma lui non accettò l'invito...accarezzandole invece l'interno della gamba e procedendo verso l’alto con mano esperta.
Niki capì ed inclinò la testa da un lato e lasciandosi scappare un sorriso per la piacevole sorpresa.
Spinse in avanti il bacino chiudendo gli occhi finchè non sentì il suo respiro sulla gamba,risalire con piccoli baci.
Riconobbe quel tocco che prima la faceva vibrare baciandola.
-Oh...Michael...-
-Michael!-
Lo chiamò lei implorante.
-Che c'è?-
Rispose tranquillamente con voce roca per l'eccitazione.
-Ti voglio...-
-Si…non ancora amore….-
Persa in pensieri senza alcun senso quelle parole bruciarono dentro di lei con un’intensità accecante.
il respiro spezzato,le mani fra i suoi capelli e poi sulle spalle. Due occhi scuri e vellutati la fissavano sotto di loro il petto che si alzava ed abbassava ritmicamente e le mani che già le circondavano i fianchi invitandola a scendere più in basso ed unirsi a lui.
Si fermò e le accarezzò i capelli.
-Guardami…- le sussurrò con fatica all’orecchio.
Senza trovare una spiegazione a quella richiesta si voltò verso i suoi occhi e lo baciò ondeggiando con il bacino per invitarlo a continuare.
Fin quando un gemito trapassò l'aria.
Ancora inebriata da quella meravigliosa sensazione lo guardò negli occhi e lui le sorrise dolcemente.
Gli spostò con la mano una ciocca di riccioli ribelli e in quel momento, persa nell’immenso dei suoi occhi capì. La sua anima, ecco cosa intendeva…la luce che si era accesa nelle sue pupille in quel momento avrebbe fatto impallidire la luna dall’invidia.
Michael le accarezzò il viso e si stese accanto a lei. Rimasero così per un tempo indefinito, abbracciati, mentre dal cielo continuava a cadere la pioggia che a contatto con il tettino dell’auto creava una sorta di melodia che si perdeva tra il rumore più dolce dei loro respiri.
Arrivarono presto alla villa e Michael scese per primo, ormai aveva smesso di piovere e nell’aria rimaneva soltanto quel po’ di umidità che rendeva la notte luccicante sotto la luce dei lampioni.
-Michael!- lo chiamò con voce bassa Nicole.
-Si-disse lui abbassandosi all’altezza dello sportello per vedere Nicole che ancora non era scesa dalla limousine.
-Ti amo- disse lei e subito dopo Michael fu invaso e sorpreso da un flash.
Sorrise e le rispose che anche lui l’amava e che ora ne aveva la prova in quel rullino.
In quella semplice foto, in un singolo apparentemente insignificante scatto aveva in realtà imprigionato la sua anima, il suo amore per lei, e insieme anche tutto il suo essere.
Era riuscita a fermare per sempre l’istante in cui per la prima volta gli aveva detto che l’amava. Gli occhi di Michael che avevano reagito a quelle parole, il modo in cui la guardava, insieme al suo riflesso sul finestrino mentre diceva quelle parole.
Convinti che quel momento fosse stato reso eterno, impresso e concreto non solo nella loro memoria, niente e nessuno sarebbe stato più in grado di cancellarlo, o quasi...
***
All’improvviso Michael sentì squillare il telefono. Pensò che fosse Nicole che lo avvisava che avrebbe fatto un po’ di ritardo. Infatti il numero che compariva sul display era proprio il suo.
-Pronto Michael sono Sophie, ti prego vieni subito all’ospedale.-
-Cosa? Sophie che è successo?-
-Michael Nicole ha avuto un incidente vieni qui ti prego-
Non le lasciò nemmeno finire la frase appena sentì il nome di Nicole gettò il telefono a terra e corse verso la sua auto.
Le guardie del corpo cercavano di sapere cose fosse successo, l’autista rimase fermo incredulo senza trovare il tempo di pensare a nulla.
Michael era già fuori dal cancello della villa diretto verso l’ospedale, mentre una macchina piena di bodyguard lo seguiva.
Arrivò all’ospedale e vide immediatamente la figura di Sophie che lo aspettava davanti l’ingresso, in lacrime.
-Michael non mi hanno fatto entrare, accettano solo i parenti.-
-Oh mio Dio ma cosa è successo?-
Le lacrime iniziavano lentamente a scorrere sulle sue guance, Sophie lo abbracciò sperando che così facendo si sarebbero fatti forza a vicenda.
Ma non servì a molto.
-Michael…aveva questa tra le mani.-
Lui si voltò per vedere cosa Sophie le stesse porgendo, si asciugò le lacrime con la manica del cappotto e cercò di trattenersi.
Quando la vide sentì come una fitta al cuore, faceva male, troppo male, quella foto, la sua espressione. Era così bella.
Quel momento felice lì davanti a lui mentre davanti ai suoi occhi ora non c’era più quella meravigliosa creatura che gli diceva di amarlo ma tutt’altro, c’era la fine di quel sogno e l’inizio di un incubo dal quale avrebbe voluto svegliarsi il più presto possibile.
marina56- Moderator
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Re: Ricordi sbiaditi (terminata)
Capitolo 10
-Michael che pizza che sei…-
-Ah pure.- disse visibilmente seccato.
-Dai ma che palle non sono un’inferma-
-Bene, le parolaccie mancavano-
Nicole scoppiò a ridere più forte che poteva.
-Mike non ho parole…- Sei troppo buffo quando ti arrabbi e cerchi di fare il serio- continuò Nicole mentre si contorceva dalle risate.
-Passiamo alle prese in giro adesso?-
-Oddio…a quando ti offendi è ancora peggio-
-Sicura di non aver sbattuto la testa? Io un’altra lastra per precauzione la farei…-
-Scemo!-
-Ah chi si offende adesso?-
Nicole si voltò verso di Michael e gli fece una linguaccia. Era inutile non riusciva proprio ad arrabbiarsi con lui.
Prese un libro tra le mani e iniziò a sfogliare le paggine dando l’impressione di non esserne molto interessata.
Tirò verso di sé un cuscino sistemandosi meglio sul divano e lo poggiò accuratamente sotto il gesso che le copriva la gamba, rimaneva solo quell’ingombrante involucro bianco a ricordarle dell’incidente.
-Michael!- esordì all’improvviso.
-Si-
-Senti che bella frase: “voglio fare con te ciò che la primavera fa con i ciliegi”.-
-Neruda…- disse Michael voltandosi lentamente verso di lei.
-Si esatto…è bellissima!-
Lui annuì semplicemente, senza nemmeno cercare di rimarcare il concetto. Era bella certo. Degna di uno dei più grandi scrittori che il mondo avesse avuto la fortuna di conoscere.
Conosceva bene quella poesia, ma mai quelle parole ebbero un suono talmente strano. Forse non erano come le ricordava o forse sentirle uscire da quelle labbra le fece sembrare decisamente diverse.
Tutto ciò che era intriso nel loro significato ora gli si poneva davanti con la forza sfacciata di un sentimento che ancora non aveva una forma.
Decise di pensare ad altro e posò lo sguardo sulle foglie di un albero che ondeggiavano freneticamente al vento. Uno dei tanti fuori quel giardino e solo un pretesto per cambiare il soggetto della sua attenzione.
Nicole continuò a sfogliare il libro, ignara di tutto, all’oscuro di ogni minimo ricordo o segnale che Michael inconsapevolmente poteva mandarle nel corso delle giornate in sua presenza, come quell‘improvviso cambio di umore che l‘aveva appena reso triste per colpa di una sola frase detta troppo ingenuamente. Ma lui era lì, ancora una volta, e si stava chiedendo se quell’ennesimo avvenimento fosse in realtà un qualche segno del destino. Magari non dovevano stare insieme in quel modo, tutto ciò che era accaduto forse era stato solo uno sbaglio che qualcuno da lassù sicuramente più razionale di loro si era apprestato a cancellare. Nuovamente. Uno strano scherzo del destino in cui Michael però non trovava nulla di divertente, niente a che vedere con quelli fatti a Frank in passato.
***
-Finalmente sono arrivata-
Disse sospirando tra sé e sé posando a terra le valigie.
Mise il cappotto su una sedia e fece scivolare i piedi coperti dal velo di calze di nere fuori dalle scarpe.
Il freddo del pavimento le provocò un brivido. Si diresse così subito verso la porta del bagno. Una doccia calda avrebbe sistemato tutto, mandando via con l’acqua lo stess accumulato durante il viaggio e soprattutto il ricordo di quell’ultima telefonata.
Daniel. Di nuovo.
L’unico uomo che fosse riuscito ad entrare nel più profondo del suo cuore e ad arrogarsi il diritto di non volerne più uscire.
E lì era rimasto, aspettando in silenzio, per tutto quel tempo…
Era tornato adesso cercando forse quell’ultima opportunità che sentiva di poter ancora trovare.
Un’ora al telefono e le lacrime subito dopo.
Faceva ancora male, maledettamente male, le emozioni continuavano a mescolarsi in un vortice dal quale non riusciva più a vedere la via d’uscita.
A poco a poco il getto morbido dell’acqua calda riuscì con il vapore ad annebiare i contorni di quelle ultime ore lasciando solo una vaga sensazione di malinconia sotto la pelle.
Si trovava a New York in una camera d’albergo, di quelle con i fiori nel vaso sul tavolo e le pareti bianche dove la luce che si riflette sui muri diffonde una strana atmosfera, come l‘alba al mattino, quando il sole ancora timido sfodera i suoi raggi più pallidi.
Con l’accappatoio ancora addosso e i capelli bagnati lungo le spalle che lasciavano cadere delle goccioline sul pavimento ad ogni suo passo, scostò la tenda e una miriade di luci le invasero le pupille. La città che non dorme mai- pensò.
Aveva ottenuto un nuovo lavoro, il primo dopo l’incidente e non vedeva l’ora di rimettersi dietro l’obiettivo. Dopo aver passato 2 mesi nella casa di Michael per riprendersi del tutto era felice di sapere che adesso avesse trovato una ragazza, una certa Joanna. Le venne in mente uno strano ricordo, lui passava il tempo a fissare una fotografia che sembrava ritrarre proprio se stesso, è vero che le star sono egocentriche. Ma fino a quel punto- pensò sorridendo tra sé e sé.
Capitolo 11
New York con i suoi grattaceli, i chioschi di hot dog e i manager che corrono in fretta e furia con il cellulare sempre attaccato all’orecchio e la ventiquattrore in mano. La New York delle feste mondane, dei locali notturni, la stessa dei reality show e del superbowl.
Non aveva potuto non accettare l’invito a uno di quei party, il più esclusivo le aveva assicurato una PR che sicuramente sapeva il fatto suo.
-Ci sarà pesino Madonna- le aveva assicurato.
Nicole in realtà, come al solito, pensava sarebbe stato un bel modo per conoscere gente e quindi trovare un ingaggio importante. Il fatto che fosse una festa la convinceva ancora di più che andarci sarebbe stata un’idea straordianaria.
Quel vestito costava quanto la sua macchina, era di un blu scurissimo e con una profonda scollatura sulla schiena, adatto ad un party ma pur sempre elegante.
Sotto l’abito le calze le fasciavano le gambe fino a metà della coscia, si guardò allo specchio e non potè far altro che apprezzare il riflesso con un sorriso compiaciuto.
Uscì dall’albergo dirigendosi verso la limousine che già l’attendeva.
-Dio quanto mi piace tutto questo- pensò.
Le uscite in autobus e con la metropolitana erano lontane anni luce da lì.
Il locale era pieno di persone che ballavano e chiacchieravano sorseggiando i loro martini.
La musica era perfetta e quel cosmopolitan semplicemente meraviglioso.
Finchè voltandosi distrattamente non incontrò qualcosa che con l’urto le fece andare il drink direttamente sul suo vestito nuovo.
-Ma nooooo!!! Idiota guarda dove vai.-
Quando spostò lo sguardo verso la figura in piedi davanti a lei che la guardava stupita, scoppiò a ridere.
-Non ci credo.-
-Michael, ti fai dare sempre dell’idiota…scusa!-
-Ci sono abituato con te ormai. Ma che ci fai qui?-
-Ah mi hanno invitata, sai conoscenti…- disse fingendo di darsi un tono ma
scoppiando a ridere subito dopo.
-Si certo. Mi dispiace per il tuo vestito-
-Comunque ti sta benissimo.- aggiunse dopo una breve pausa portando distrattamente una mano sul fianco di lei.
-Grazie.- Non riusciva a smettere di sorridere, Nicole e l’alcool non erano una buona accoppiata e il trio con l’aggiunta di Michael era ancora peggio.
Provò un brivido a vederla così, ad associare quella situazione a qualcosa di già successo.
-Allora quando avrai finito con new York perché non passi da me, ci facciamo quattro chiacchiere come ai vecchi tempi.-
-Ma certo tesoro tutto quello che vuoi.-
Ecco l’effetto del cosmopolitan che prendeva inesorabilmente il sopravvento.
-Nicole forse dovresti posare il drink.-
-Naaaaaaa è buono e poi lo hai già posato tu sul mio vestito nuovo.-
-Si Nicole ok, ti accompagno alla limousine.-
-E no!! Cattivo Michael non si fa.- per poco non perdette l’equilibrio.
Una ragazza passando le diede un colpo sulla spalla -Oh scusa!- disse prontamente, ignara di ciò che aveva inconsapevolmente scatenato.
-Scusa?- Nicole diede il bicchiere a Michael- Ti faccio vedere io adesso.-
Si lanciò verso la ragazza affondando le mani tra suoi capelli biondi ma si sentì immediatamente cingere la vita, ritrovandosi fuori dal locale urlando e dimenandosi a più non posso. Stesso copione, stessa situazione dovuta al bicchiere di troppo durante le feste.
-Dio Nicole, ti prego non toccare più cocktail in vita tua.-
-Ma sei io non bevo mai.- si avvicinò al viso di Michael talmente tanto da sentire il suo respiro caldo sulla guancia, iniziando a vedere sfocati persino i contorni dei suoi occhi per la troppa vicinanza e con un dito continuava a premere sul suo petto in segno di rimprovero per averle detto quell’ultima frase.
-Si lo vedo…- rispose Michael allontanandola e dirigendosi verso la limousine.
La fece sistemare sull’ampio sedile della macchina, Nicole lo afferò per la giacca e lo avvicinò nuovamente alle sue labbra.
-Vieni con me.- lo soffiò quasi avendo paura di una risposta.
Michael la guardò per un tempo infinito, troppo lungo per essere solo uno sguardo, troppi pensieri stavano passando ora nella sua mente e non riusciva a distinguerli. Cercava disperatamente quello giusto. Riuscì solo ad allentare la tensione con un sospiro profondo.
-No Nicole, non stavolta. Non è così che dovrebbe accadere.-
Chiuse subito lo sportello e le mandò un bacio con la mano consapevole del fatto che ormai sarebbe andata via senza di lui.
Rimase lì, da solo. Tirò fuori dalla tasca della giacca un paio di occhiali scuri e se li mise come a voler nascondere un’emozione che ancora bruciava dentro e che ora faceva bruciare anche gli occhi, iniziando lentamente ad inumidirli, illuminandoli sotto la luce dell’entrata del locale facendo eco al bagliore delle stelle in quella notte.
Capitolo 12
-Michael che cavolo però mi dici di passare da te e guarda come mi tratti, non sei un bravo padrone di casa sai…-
Michael non riusciva più a smettere di ridere.
-Ridi troppo per i miei gusti.-
-Io almeno lo faccio senza l’aiuto dell’acool.-
-Oh si divertente, davvero divertente…-
-Puoi dirlo forte.- continuava a contorcersi per le risate mentre lei quasi offesa aspettava a braccia conserte che Michael la smettesse di ridere.
Era arrivata a Neverland e visto che nessuno si era apprestato ad aprirle le era venuta la brillante idea di scavalacare il cancello.
Per poco non si era ritrovata tutta la polizia di Los Angeles, servizi speciali compresi, alle calcagna.
C’erano già gli elicotteri delle emittenti tv pronti a fare lo scoop sul ladro che si stava intrufolando in casa Jackson.
Decisero di guardare un film dopo essersi raccontati le novità degli ultimi mesi. Paris iniziava a dire le sue prime parole, la registrazione per il nuovo album procedeva bene mentre Nicole si era presa un periodo di vacanza dopo tutto il lavoro che aveva fatto per la nuova campagna pubblicitaria di Christian Audigere.
-Il Mouiln Rouge, ancora?! Niki non lo sopporto più, anzi non ti sopporto più.-
-Grazie tesoro è così bello passare un po’ di tempo con te, passami i pop corn che è meglio…-
-Dai per una volta, una sola, cambiamo film.-
Unì le mani in segno di preghiera - Ti do tutto il gelato che vuoi-
-Vorresti comprarmi con del gelato?-
-Beh oltre alla mia più totale gratitudine…- le prese una mano tra le sue e iniziò a farle gli occhi dolci -infinita gratitudine…-
Nicole alzò un sopracciglio-Quasi ci cascavo. Ti becchi il Moulin Rouge un’altra volta.-
-Sei più divertente quando bevi.-
-Sembro un’alcolizzata da come lo dici, per una volta che mi vedi così…-
Un velo di sbiadita tristezza gli attraversò gli occhi, non riuscì a nascondere l’emozione o forse non ci provò nemmeno, troppo forte per poterla anche solo ignorare, figuriamoci se fosse riuscito a portarla lontano dal suo cuore che in quel momento sembrava essersi spostato direttamente in gola. Lasciandole la mano che prima accarezzava scherzosamente iniziò inconsapevolmente a giocare con le pieghe che il pantalone creava sul suo ginocchio.
-La seconda in realtà.- lo disse quasi sussurrando, sbiascicando le parole quasi sperando che lei non le sentisse.
Nicole portò due dita verso il mento cercando di scovare tra i ricordi quell’episodio.
-Io non me lo ricordo proprio, sei sicuro?-
Quando tornò ad incrociare i suoi occhi li sentì quasi vibrare. Dopo l’incidente non ricordava nulla né di Vogue nè della festa, delle ore successive cercando di capire cosa fosse successo e tanto meno ricordava come fosse accaduto l’incidente. Di certo c’era qualcosa di strano in quel comportamento. Nicole iniziava a sentirsi confusa, ancora una volta era persa nel buio più totale invece di danzare libera nella luce del sole immersa tra i ricordi più belli che poteva condividere con lui, finalmente consapevole e in grado di riconoscere l’amore che aveva davanti agli occhi perché in quel momento Michael non era solo davanti a lei, tra le sue mani grandi e morbide ma forti allo stesso tempo era come se tenesse il suo cuore, pronto a donarglielo a fare per lei tutto ciò che avesse voluto. Quanto può essere crudele il destino? Quanto può fare male il silenzio…
Era rimasto fermo lì, immobile, senza sapere cosa rispondere, se rispondere, quasi aveva paura di farlo, non trovava più la forza neanche per rimettere in ordine i pensieri. Cosa avrebbe dovuto risponderle?
Una voce dentro di lui urlava disperatamente gridava a gran voce di dirle che si, era sicuro, sicurissimo, che quella prima volta in cui l’aveva vista in quello stato era stata la serata più bella della sua vita, che avrebbe voluto fosse andato tutto diversamente, che avrebbe voluto stringerla in quel momento, che avrebbe rivisto quel film altre centinaia di volte se avesse significato averla accanto anche solo per un altro pò.
-Niente mi sarò confuso…scusa-
-Chi vuoi prendere in giro, sei strano, dimmi che cos’hai.-
-Ma no niente- disse tirando verso l’alto l’angolo della bocca in un sorriso decisamente poco convincente.
-Andiamo a prendere un po’ d’aria.- aggiunse prima che lei potesse ribattere e continuare a fare domande che prima o poi lo avrebbero fatto cedere. Lo conosceva bene, sapeva perfettamente quali punti toccare e come prenderlo in certe situazioni e Michael lo sapeva è per questo che non voleva correre il rischio che ciò accadesse, non ora almeno.
-Bellissima idea. Aspetta che prendo la mia digitale c’è una luce meravigliosa a quest’ora.-
Fingendo di trovare inte iniziò distrattamente a frugare tra i molteplici oggetti contenuti nella sua borsa mentre pensava ad un modo per fargli tirar fuori il motivo che lo rendeva così triste.
Sebbene fosse consapevole dell’intricata struttura del suo essere, non si era mai resa conto prima di allora di come potesse essere fragile e straordinariamente orgoglioso allo stesso tempo.
-Michael che pizza che sei…-
-Ah pure.- disse visibilmente seccato.
-Dai ma che palle non sono un’inferma-
-Bene, le parolaccie mancavano-
Nicole scoppiò a ridere più forte che poteva.
-Mike non ho parole…- Sei troppo buffo quando ti arrabbi e cerchi di fare il serio- continuò Nicole mentre si contorceva dalle risate.
-Passiamo alle prese in giro adesso?-
-Oddio…a quando ti offendi è ancora peggio-
-Sicura di non aver sbattuto la testa? Io un’altra lastra per precauzione la farei…-
-Scemo!-
-Ah chi si offende adesso?-
Nicole si voltò verso di Michael e gli fece una linguaccia. Era inutile non riusciva proprio ad arrabbiarsi con lui.
Prese un libro tra le mani e iniziò a sfogliare le paggine dando l’impressione di non esserne molto interessata.
Tirò verso di sé un cuscino sistemandosi meglio sul divano e lo poggiò accuratamente sotto il gesso che le copriva la gamba, rimaneva solo quell’ingombrante involucro bianco a ricordarle dell’incidente.
-Michael!- esordì all’improvviso.
-Si-
-Senti che bella frase: “voglio fare con te ciò che la primavera fa con i ciliegi”.-
-Neruda…- disse Michael voltandosi lentamente verso di lei.
-Si esatto…è bellissima!-
Lui annuì semplicemente, senza nemmeno cercare di rimarcare il concetto. Era bella certo. Degna di uno dei più grandi scrittori che il mondo avesse avuto la fortuna di conoscere.
Conosceva bene quella poesia, ma mai quelle parole ebbero un suono talmente strano. Forse non erano come le ricordava o forse sentirle uscire da quelle labbra le fece sembrare decisamente diverse.
Tutto ciò che era intriso nel loro significato ora gli si poneva davanti con la forza sfacciata di un sentimento che ancora non aveva una forma.
Decise di pensare ad altro e posò lo sguardo sulle foglie di un albero che ondeggiavano freneticamente al vento. Uno dei tanti fuori quel giardino e solo un pretesto per cambiare il soggetto della sua attenzione.
Nicole continuò a sfogliare il libro, ignara di tutto, all’oscuro di ogni minimo ricordo o segnale che Michael inconsapevolmente poteva mandarle nel corso delle giornate in sua presenza, come quell‘improvviso cambio di umore che l‘aveva appena reso triste per colpa di una sola frase detta troppo ingenuamente. Ma lui era lì, ancora una volta, e si stava chiedendo se quell’ennesimo avvenimento fosse in realtà un qualche segno del destino. Magari non dovevano stare insieme in quel modo, tutto ciò che era accaduto forse era stato solo uno sbaglio che qualcuno da lassù sicuramente più razionale di loro si era apprestato a cancellare. Nuovamente. Uno strano scherzo del destino in cui Michael però non trovava nulla di divertente, niente a che vedere con quelli fatti a Frank in passato.
***
-Finalmente sono arrivata-
Disse sospirando tra sé e sé posando a terra le valigie.
Mise il cappotto su una sedia e fece scivolare i piedi coperti dal velo di calze di nere fuori dalle scarpe.
Il freddo del pavimento le provocò un brivido. Si diresse così subito verso la porta del bagno. Una doccia calda avrebbe sistemato tutto, mandando via con l’acqua lo stess accumulato durante il viaggio e soprattutto il ricordo di quell’ultima telefonata.
Daniel. Di nuovo.
L’unico uomo che fosse riuscito ad entrare nel più profondo del suo cuore e ad arrogarsi il diritto di non volerne più uscire.
E lì era rimasto, aspettando in silenzio, per tutto quel tempo…
Era tornato adesso cercando forse quell’ultima opportunità che sentiva di poter ancora trovare.
Un’ora al telefono e le lacrime subito dopo.
Faceva ancora male, maledettamente male, le emozioni continuavano a mescolarsi in un vortice dal quale non riusciva più a vedere la via d’uscita.
A poco a poco il getto morbido dell’acqua calda riuscì con il vapore ad annebiare i contorni di quelle ultime ore lasciando solo una vaga sensazione di malinconia sotto la pelle.
Si trovava a New York in una camera d’albergo, di quelle con i fiori nel vaso sul tavolo e le pareti bianche dove la luce che si riflette sui muri diffonde una strana atmosfera, come l‘alba al mattino, quando il sole ancora timido sfodera i suoi raggi più pallidi.
Con l’accappatoio ancora addosso e i capelli bagnati lungo le spalle che lasciavano cadere delle goccioline sul pavimento ad ogni suo passo, scostò la tenda e una miriade di luci le invasero le pupille. La città che non dorme mai- pensò.
Aveva ottenuto un nuovo lavoro, il primo dopo l’incidente e non vedeva l’ora di rimettersi dietro l’obiettivo. Dopo aver passato 2 mesi nella casa di Michael per riprendersi del tutto era felice di sapere che adesso avesse trovato una ragazza, una certa Joanna. Le venne in mente uno strano ricordo, lui passava il tempo a fissare una fotografia che sembrava ritrarre proprio se stesso, è vero che le star sono egocentriche. Ma fino a quel punto- pensò sorridendo tra sé e sé.
Capitolo 11
New York con i suoi grattaceli, i chioschi di hot dog e i manager che corrono in fretta e furia con il cellulare sempre attaccato all’orecchio e la ventiquattrore in mano. La New York delle feste mondane, dei locali notturni, la stessa dei reality show e del superbowl.
Non aveva potuto non accettare l’invito a uno di quei party, il più esclusivo le aveva assicurato una PR che sicuramente sapeva il fatto suo.
-Ci sarà pesino Madonna- le aveva assicurato.
Nicole in realtà, come al solito, pensava sarebbe stato un bel modo per conoscere gente e quindi trovare un ingaggio importante. Il fatto che fosse una festa la convinceva ancora di più che andarci sarebbe stata un’idea straordianaria.
Quel vestito costava quanto la sua macchina, era di un blu scurissimo e con una profonda scollatura sulla schiena, adatto ad un party ma pur sempre elegante.
Sotto l’abito le calze le fasciavano le gambe fino a metà della coscia, si guardò allo specchio e non potè far altro che apprezzare il riflesso con un sorriso compiaciuto.
Uscì dall’albergo dirigendosi verso la limousine che già l’attendeva.
-Dio quanto mi piace tutto questo- pensò.
Le uscite in autobus e con la metropolitana erano lontane anni luce da lì.
Il locale era pieno di persone che ballavano e chiacchieravano sorseggiando i loro martini.
La musica era perfetta e quel cosmopolitan semplicemente meraviglioso.
Finchè voltandosi distrattamente non incontrò qualcosa che con l’urto le fece andare il drink direttamente sul suo vestito nuovo.
-Ma nooooo!!! Idiota guarda dove vai.-
Quando spostò lo sguardo verso la figura in piedi davanti a lei che la guardava stupita, scoppiò a ridere.
-Non ci credo.-
-Michael, ti fai dare sempre dell’idiota…scusa!-
-Ci sono abituato con te ormai. Ma che ci fai qui?-
-Ah mi hanno invitata, sai conoscenti…- disse fingendo di darsi un tono ma
scoppiando a ridere subito dopo.
-Si certo. Mi dispiace per il tuo vestito-
-Comunque ti sta benissimo.- aggiunse dopo una breve pausa portando distrattamente una mano sul fianco di lei.
-Grazie.- Non riusciva a smettere di sorridere, Nicole e l’alcool non erano una buona accoppiata e il trio con l’aggiunta di Michael era ancora peggio.
Provò un brivido a vederla così, ad associare quella situazione a qualcosa di già successo.
-Allora quando avrai finito con new York perché non passi da me, ci facciamo quattro chiacchiere come ai vecchi tempi.-
-Ma certo tesoro tutto quello che vuoi.-
Ecco l’effetto del cosmopolitan che prendeva inesorabilmente il sopravvento.
-Nicole forse dovresti posare il drink.-
-Naaaaaaa è buono e poi lo hai già posato tu sul mio vestito nuovo.-
-Si Nicole ok, ti accompagno alla limousine.-
-E no!! Cattivo Michael non si fa.- per poco non perdette l’equilibrio.
Una ragazza passando le diede un colpo sulla spalla -Oh scusa!- disse prontamente, ignara di ciò che aveva inconsapevolmente scatenato.
-Scusa?- Nicole diede il bicchiere a Michael- Ti faccio vedere io adesso.-
Si lanciò verso la ragazza affondando le mani tra suoi capelli biondi ma si sentì immediatamente cingere la vita, ritrovandosi fuori dal locale urlando e dimenandosi a più non posso. Stesso copione, stessa situazione dovuta al bicchiere di troppo durante le feste.
-Dio Nicole, ti prego non toccare più cocktail in vita tua.-
-Ma sei io non bevo mai.- si avvicinò al viso di Michael talmente tanto da sentire il suo respiro caldo sulla guancia, iniziando a vedere sfocati persino i contorni dei suoi occhi per la troppa vicinanza e con un dito continuava a premere sul suo petto in segno di rimprovero per averle detto quell’ultima frase.
-Si lo vedo…- rispose Michael allontanandola e dirigendosi verso la limousine.
La fece sistemare sull’ampio sedile della macchina, Nicole lo afferò per la giacca e lo avvicinò nuovamente alle sue labbra.
-Vieni con me.- lo soffiò quasi avendo paura di una risposta.
Michael la guardò per un tempo infinito, troppo lungo per essere solo uno sguardo, troppi pensieri stavano passando ora nella sua mente e non riusciva a distinguerli. Cercava disperatamente quello giusto. Riuscì solo ad allentare la tensione con un sospiro profondo.
-No Nicole, non stavolta. Non è così che dovrebbe accadere.-
Chiuse subito lo sportello e le mandò un bacio con la mano consapevole del fatto che ormai sarebbe andata via senza di lui.
Rimase lì, da solo. Tirò fuori dalla tasca della giacca un paio di occhiali scuri e se li mise come a voler nascondere un’emozione che ancora bruciava dentro e che ora faceva bruciare anche gli occhi, iniziando lentamente ad inumidirli, illuminandoli sotto la luce dell’entrata del locale facendo eco al bagliore delle stelle in quella notte.
Capitolo 12
-Michael che cavolo però mi dici di passare da te e guarda come mi tratti, non sei un bravo padrone di casa sai…-
Michael non riusciva più a smettere di ridere.
-Ridi troppo per i miei gusti.-
-Io almeno lo faccio senza l’aiuto dell’acool.-
-Oh si divertente, davvero divertente…-
-Puoi dirlo forte.- continuava a contorcersi per le risate mentre lei quasi offesa aspettava a braccia conserte che Michael la smettesse di ridere.
Era arrivata a Neverland e visto che nessuno si era apprestato ad aprirle le era venuta la brillante idea di scavalacare il cancello.
Per poco non si era ritrovata tutta la polizia di Los Angeles, servizi speciali compresi, alle calcagna.
C’erano già gli elicotteri delle emittenti tv pronti a fare lo scoop sul ladro che si stava intrufolando in casa Jackson.
Decisero di guardare un film dopo essersi raccontati le novità degli ultimi mesi. Paris iniziava a dire le sue prime parole, la registrazione per il nuovo album procedeva bene mentre Nicole si era presa un periodo di vacanza dopo tutto il lavoro che aveva fatto per la nuova campagna pubblicitaria di Christian Audigere.
-Il Mouiln Rouge, ancora?! Niki non lo sopporto più, anzi non ti sopporto più.-
-Grazie tesoro è così bello passare un po’ di tempo con te, passami i pop corn che è meglio…-
-Dai per una volta, una sola, cambiamo film.-
Unì le mani in segno di preghiera - Ti do tutto il gelato che vuoi-
-Vorresti comprarmi con del gelato?-
-Beh oltre alla mia più totale gratitudine…- le prese una mano tra le sue e iniziò a farle gli occhi dolci -infinita gratitudine…-
Nicole alzò un sopracciglio-Quasi ci cascavo. Ti becchi il Moulin Rouge un’altra volta.-
-Sei più divertente quando bevi.-
-Sembro un’alcolizzata da come lo dici, per una volta che mi vedi così…-
Un velo di sbiadita tristezza gli attraversò gli occhi, non riuscì a nascondere l’emozione o forse non ci provò nemmeno, troppo forte per poterla anche solo ignorare, figuriamoci se fosse riuscito a portarla lontano dal suo cuore che in quel momento sembrava essersi spostato direttamente in gola. Lasciandole la mano che prima accarezzava scherzosamente iniziò inconsapevolmente a giocare con le pieghe che il pantalone creava sul suo ginocchio.
-La seconda in realtà.- lo disse quasi sussurrando, sbiascicando le parole quasi sperando che lei non le sentisse.
Nicole portò due dita verso il mento cercando di scovare tra i ricordi quell’episodio.
-Io non me lo ricordo proprio, sei sicuro?-
Quando tornò ad incrociare i suoi occhi li sentì quasi vibrare. Dopo l’incidente non ricordava nulla né di Vogue nè della festa, delle ore successive cercando di capire cosa fosse successo e tanto meno ricordava come fosse accaduto l’incidente. Di certo c’era qualcosa di strano in quel comportamento. Nicole iniziava a sentirsi confusa, ancora una volta era persa nel buio più totale invece di danzare libera nella luce del sole immersa tra i ricordi più belli che poteva condividere con lui, finalmente consapevole e in grado di riconoscere l’amore che aveva davanti agli occhi perché in quel momento Michael non era solo davanti a lei, tra le sue mani grandi e morbide ma forti allo stesso tempo era come se tenesse il suo cuore, pronto a donarglielo a fare per lei tutto ciò che avesse voluto. Quanto può essere crudele il destino? Quanto può fare male il silenzio…
Era rimasto fermo lì, immobile, senza sapere cosa rispondere, se rispondere, quasi aveva paura di farlo, non trovava più la forza neanche per rimettere in ordine i pensieri. Cosa avrebbe dovuto risponderle?
Una voce dentro di lui urlava disperatamente gridava a gran voce di dirle che si, era sicuro, sicurissimo, che quella prima volta in cui l’aveva vista in quello stato era stata la serata più bella della sua vita, che avrebbe voluto fosse andato tutto diversamente, che avrebbe voluto stringerla in quel momento, che avrebbe rivisto quel film altre centinaia di volte se avesse significato averla accanto anche solo per un altro pò.
-Niente mi sarò confuso…scusa-
-Chi vuoi prendere in giro, sei strano, dimmi che cos’hai.-
-Ma no niente- disse tirando verso l’alto l’angolo della bocca in un sorriso decisamente poco convincente.
-Andiamo a prendere un po’ d’aria.- aggiunse prima che lei potesse ribattere e continuare a fare domande che prima o poi lo avrebbero fatto cedere. Lo conosceva bene, sapeva perfettamente quali punti toccare e come prenderlo in certe situazioni e Michael lo sapeva è per questo che non voleva correre il rischio che ciò accadesse, non ora almeno.
-Bellissima idea. Aspetta che prendo la mia digitale c’è una luce meravigliosa a quest’ora.-
Fingendo di trovare inte iniziò distrattamente a frugare tra i molteplici oggetti contenuti nella sua borsa mentre pensava ad un modo per fargli tirar fuori il motivo che lo rendeva così triste.
Sebbene fosse consapevole dell’intricata struttura del suo essere, non si era mai resa conto prima di allora di come potesse essere fragile e straordinariamente orgoglioso allo stesso tempo.
marina56- Moderator
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Re: Ricordi sbiaditi (terminata)
Capitolo 13
Quell’immenso parco era l’unico vero regalo che si era concesso di farsi, la sua personale isola che non c’è lontano da tutto il resto. I sentieri erano illuminati con un incredibile tappeto di luci rendendo l’atmosfera fiabesca al limite dell’impossibile.
Si diressero verso la piscina seguendo un immaginario percorso senza alcuna meta prestabilita.
Camminarono in silenzio per un po’, senza avere l’uno il coraggio di dire all’altra qualcosa per primo.
-Devo ricordarmi di non mettere i tacchi quando vengo qui-
Nicole provò a dire la prima cosa le passò per la mente. Tra i ciottoli del viale che costeggiavano il viale la sua camminata iniziava ad avere qualche piccolo problema.
Michael la guardò divertito e si fermò sotto la grande quercia vicino alla quale una statua in bronzo di Peter Pan appariva in tutta la sua spontanea ingenuità.
-Hai ragione, sediamoci qui…- le disse facendo gesto con la mano di accomodarsi accanto a lui sulla soffice coperta di erba che ricopriva il parco.
-Allora si può sapere che ti è preso prima?-
Tentò di riportare l’argomento sullo strano atteggiamento di Michael di poco fa.
Silenzio.
Si gettò all’indietro sull’erba portando le mani dietro la nuca fissando sovrappensiero un uccellino che si era appena posato su uno dei rami della quercia.
Quando capì che non avrebbe replicato si sdraiò accanto a lui su un fianco, poggiando il peso su un gomito e continuò il discorso.
-Michael…come dici sempre tu, non si piange mai per niente, ma non si diventa nemmeno tristi all’improvviso per niente.-
-Nicole…non mi va di parlarne adesso.-
Dopo un lungo sospiro si alzò in piedi porgendo la mano verso di lui invitandolo a seguirla.
-Guarda che bel sole c’è oggi.-
Lo guardò sorridendo e finalmente riuscì a farlo sorridere.
All’improvviso un flash gli si precipitò addosso seguito dalle risate di Nicole.
-Oooh fantastico! Dovresti vedere che faccia, questa la faccio formato poster e me la metto in camera.-
-Nicole…- il suo sguardo si fece nuovamente serio. -Dammi la macchinetta fotografica.-
La esortò tentando ancora una volta di evadere dal discorso principale di quella loro passeggiata. Ma lo degnò di uno sguardo.
-Ho detto dammela.-
Nicole continuò a guardare in punto indefinito fingendo di ignorarlo e iniziando a giocare con il filo della macchinetta facendola ruotare attorno alle dita.
Michael alzò un sopracciglio e la guardò insospettito ma divertito allo stesso tempo.
Le si avvicinò afferrando la digitale che impigliata tra le dita di Nicole non si staccò del tutto dalle sue mani ma lo fece sobbalzare avvicinandolo ancora di più a lei e facendogli perdere l’equilibrio.
In un attimo si ritrovarono per terra, di nuovo su quel morbido prato profumato di erba fresca.
Si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere di gusto senza rendersi conto di abbracciarsi.
Così i loro sguardi si incrociarono e le risate a poco a poco si affievolirono.
All’improvviso il suono fastidioso di un cellulare li fece tornare alla realtà.
-Pronto.-
Disse Nicole alzandosi in piedi e sistemandosi la camicia cercando di togliere via i fili d’erba rimasti impigliati.
Daniel…
Nuovamente lui e la sua capacità di cogliere sempre l’attimo più opportuno.
Ma comunque nessun attimo sarebbe stato mai adeguato per lui, l’ultima cosa che Nicole voleva era riaverlo nella sua vita e rifare i soliti errori ancora una volta. Almeno questo era ciò che si ripeteva da anni cercando di convincersene…
Capitolo 14
Erano passati tre giorni da quella telefonata e due da quando aveva rivisto Daniel, ma il telefono di casa sua non aveva squillato nemmeno una volta.
Michael non si era fatto minimamente sentire, il che era piuttosto strano, visto che ormai non passava giorno in cui non si sentissero e passassero ore al telefono.
Aveva un paura incredibile di poter perdere il suo migliore amico, non ce l’avrebbe fatta a stare un altro giorno senza lui, senza sapere che stava bene e che nulla tra loro era cambiato.
Allungò la mano verso la cornetta, fece il numero di Neverland..uno squillo…due squilli…al terzo squillo qualcuno rispose ma il dito di Niki era stato più veloce premendo il pulsante rosso sul telefono e facendo cadere la linea.
Fece un lungo sospiro.
All’improvviso il telefono iniziò a suonare. “porca miseria, ha visto il mio numero sul display…”
Rispose al telefono e riconobbe l’inconfondibile voce di Michael…ma riattaccò immediatamente.
Portò una mano sulla fronte, agitando sconsolata la testa e pensando di aver fatto l’ennesima stupidaggine.
Il telefono riprese quasi subito a squillare Michael si scusò dei giorni di silenzio e la invitò per il giorno dopo a casa sua. Del resto sarebbe stato il suo compleanno.
***
Sdraiata con le braccia sotto al cuscino e la bocca mezza aperta con un ciuffo di capelli che le coprivano quasi completamente il volto, Nicole salutava la mattina del suo 29° compleanno.
La sveglia iniziò a suonare quando la lancetta più corta raggiunse il 10.
Cercò di racimolare le forze non tanto per alzarsi ma almeno per poter spengere quell’aggeggio infernale.
Stravolta dalla nottata insonne passata a pensare e a riflettere su cose che nemmeno lei stessa riusciva a capire si alzò dal letto sistemandosi alla meno peggio i pantaloncini di due taglie di troppo.
Sentì distrattamente un altro suono metallico attraversarle l’udito. La sveglia? Ancora…
Ah no, il campanello…
Si diresse verso la porta.
-Chi è che rompe?- disse senza aprire la porta con un tono di voce rauco dal sonno ma alto a sufficienza.
-Siamo di cattivo umore.-
Fa anche il simpatico, viaggio a vele spiegate verso la vecchiaia e mi vengono anche a disturbare.
Cercò di dare un senso a quella specie di cespuglio che si ritrovava per capelli e aprì la porta sbuffando.
-Amore mio ti ho svegliata?-
-No ci ha pensato la sveglia grazie.-
Daniel la salutò con un lungo e appassionato bacio senza darle il tempo nemmeno di vedere la collana che le aveva chiuso intorno al collo.
Il freddo dell’oro bianco a contatto con la pelle le fece venire un brivido lungo tutta la schiena e si staccò dal bacio con aria interrogativa.
Portò subito le mani sulla catenina e si precipitò allo specchio per vederla interamente.
Un piccolo ciondolo che creava la parola “Amore” brillava sotto le dita nervose di Nicole.
-Questo è tutto ciò che sei per me…ricordalo sempre.-
Le sussurrò all’orecchio avvolgendole la vita con le mani.
Arrivata a Neverland quella sera trovò davanti ai suoi occhi la più bella festa che le avessero mai organizzato. Nella sua vita a causa del suo rapporto con suo padre e la perdita di sua madre, non aveva mai veramente festeggiato un compleanno. L’unico che ricordava era quello dei vent’anni quando era già a Los Angeles, da sola e festeggiò con una sua amica che la portò in discoteca e ballarono per tutta la notte.
Ma ora non c’erano né palloncini, né centinaia di invitati, orchestre o champagne e caviale, tutto quello che vedeva valeva molto più di qualsiasi altra cosa.
Michael aveva fatto allestire un cinema all’aperto tra i verdi viali illuminati del suo Ranch e per quella sera, per tutta la sera, avrebbero visto e rivisto un unico immancabile film: il moulin rouge. Extra inclusi ovviamente.
C’era una tavola enorme imbandita di ogni genere di schifezza conosciuta sulla faccia della terra. Da una parte hot dog, pizza, patatine fritte e dall’altra i dolci…caramelle gommose, liquirizie rosse, cioccolatini, pop corn caramellati e bevande di ogni genere aromatizzate persino al cocco.
Il tutto sarebbe stato divorato su una coperta stesa sull’erba come un pip-nic sotto il cielo stellato.
Nicole si avvicinò al Michael sorridendo
-Ma non ti faceva schifo questo film?-
-A te piace, è questo l’importante…-
Le prese una mano e si diressero verso il distributore di orsetti gommosi.
-Solo per oggi però…- aggiunse Michael sorridendole e addentando un orsetto alla fragola.
Durante il film, mentre Nicole Kidman cantava “one day i'll fly away” guardando fuori la finestra di un enorme palazzo a forma di elefante, Niki sentì il litro di coca cola alla ciliegia fare il suo effetto diuretico.
-Mike pipì…-
-Cosè un messaggio in codice?-
-Eddai scemo, non si prende in giro la festeggiata.-
Michael scoppiò a ridere.
-Va bene…prenderesti un altro po’ di marshmallow, quelli bianchi però, dovrebbero stare dentro qualche cassetto…-
-Come si dice?-
-Per favore!-
Nicole stava per tornare alla sua postazione, quasi correndo per perdere così meno film possibile, quando si ricordò della richiesta di Michael.
Iniziò a frugare in tutti i cassetti…ma niente marshmallow.
C’era di tutto lì dentro, sembrava la borsa di Mary Poppins, quando finalmente riuscì a trovare il sacchetto che cercava si accorse che sotto la confezione c’era una foto che le sembrava di aver già visto prima…
Tornò con un’espressione pallida in viso, sembrava aver appena visto un fantasma. Michael se ne accorse immediatamente.
-Niki che cos’hai?-
-Niente tieni le caramelle…-
Fece finta di niente, cercò di concentrarsi sul film ma quelle caramelle già non gli andavano più. Il suo sguardo cadde sulla collana di Nicole.
-Bella collana, è nuova?-
Chiese Michael cercando di iniziare una qualsiasi conversazione con la speranza di riuscire a scoprire cosa le fosse successo o cosa avesse visto di tanto sconvolgente da farle assumere un’espressione talmente seria e preoccupata.
-Me l’ha regalata Daniel…- disse senza nemmeno pensarci ascoltando nel frattempo ricordi di tutt’altro genere all’interno della sua mente.
Lui si pentì subito di aver fatto quella domanda, c’erano miliardi di cose che avrebbe potuto chiederle e aveva scelto proprio quella che riguardava Daniel…
Mentre cercava un nuovo pretesto per parlare, continuava a guardare il film che era quasi giunto alla fine.
Ma fu Nicole a rompere il silenzio stavolta e non c’era bisogno di nessun strano giochetto per arrivare alla sua verità, lei era già arrivata alla sua e ora doveva farci i conti.
-Perché non me l’hai detto?-
Gli domando improvvisamente con un tono di voce calmo e nervoso allo stesso tempo.
-Che cosa?-
Ribattè Michael cadendo assolutamente dalle nuvole mentre sgranocchiava un m&m’s.
Niki prese un lungo respiro, quasi stesse cercando il coraggio per affrontare quel discorso, cercava le parole, un senso, qualunque cosa per poter dire quello che ricordava adesso, ma le mancò improvvisamente il fiato.
Riprese aria cercando di bloccare le lacrime e mandare giù il nodo che le si era formato in gola talmente grande da bloccarle ogni movimento.
Michael iniziava a preoccuparsi, non l’aveva mai vista così.
-Nicole, cosa dovevo dirti?-
Senza riuscire a dire a niente, lo guardò fisso negli occhi, con la sguardo implorante e le mani che iniziavano a tremare.
-Questo- disse gettandogli addosso la fotografia che si era piegata in un angolo tra le sue mani.
-Te lo ricordi?- Michael sgranò gli occhi che divennero luminosi come mai li aveva visti prima. -Niki oh mio Dio ricordi davvero?- le prese una mano tra le sue e l’abbracciò istintivamente senza riuscire a capire la reazione di Nicole di poco prima.
-Non sei contenta?-
Nicole scoppiò a piangere…
Capitolo 15
Assurdo pensarci, assurdo parlarne, ma paradossale è soprattutto averlo vissuto. Eccomi qui, a fatica sono riuscita a raccontare gli eventi che mi hanno portata fino a qui. In questo stato di smarrimento in cui non so dove andare, cosa fare, neanche che tipo di pensieri ascoltare e quali invece cacciare dalla mia mente il più veloce possibile. Ma adesso so. Ora ho capito. Finalmente di sbiadito nella mia vita non c’è più nulla ed è questo forse che più di tutto mi mette addosso un’agitazione incontrollabile. Ogni volta che penso a lui adesso mi tremano le gambe, provate a immaginare cosa sento quando invece gli sono accanto.
Fa paura, fa male, ancora non riesco a credere che sia potuto accadere veramente.
Vorrei poter riuscire a farvi capire come mi sento, davvero. Ma come posso farlo se nemmeno io so cosa provo?
Dovrei lasciarmi andare, dovrei prendere tutto come se nulla fosse accaduto e andare avanti per la mia strada.
Il fatto è che ora, forse per la prima vera volta in vita mia, sono confusa.
È come se mi fossi persa per tutto questo tempo qualcosa che aspettavo si avverasse invece dal principio della mia esistenza. Trovare qualcuno da amare e che ti sappia amare almeno con la tua stessa intensità, quell’amore che non ha bisogno di parole, di gesti plateali né di cure particolari, quell’amore che necessita solo dell’amore. Nutrirsi esclusivamente l’uno dell’altra, eliminare tutto il resto, estraniarsi dalla realtà e rifugiarsi in quel luogo senza spazio né tempo dove gli innamorati viaggiano a vele spiegate nel luogo che tutti cercano di raggiungere durante la loro vita. Quel posto chiamato semplicemente felicità. Innamorati? Ma perché parlo di innamorati adesso, io e Michael non siamo…innamorati.
Vorrei svegliarmi e stavolta dimenticare tutto, cancellare ogni cosa e ricominciare da capo, ma so che eliminerei anche i momenti più belli, quelli di cui vi parlavo prima, quando la felicità sembra più vicina che mai.
No, non è una buona idea. Forse è meglio così. È ora che finalmente prenda una decisione e la smetta di fargli e farmi del male in questo modo. So che soffre, lo vedo lo sento da come mi guarda, da come la sua voce vellutata cambia quando il pensiero di me e Daniel gli sfiora la mente. Non dovrei cedere quando si avvicina troppo pericolosamente alla mia bocca, non dovrei riempirmi i polmoni col suo profumo e trascendere da tutto con un solo respiro. Ma non ci riesco, quando guardo i suoi occhi e mi perdo nella profondità nocciola di quelle pupille piene di luce, mi si stringe il cuore. L’odore dei suoi capelli e la loro morbidezza a contatto con le mie dita, adoro quando mi stringe tra le sue braccia e riesce a farmi pensare solo a lui. Vorrei poter resistere. Vi giuro che ci provo. Ma provate voi a resistere a quelle labbra, a non sciogliervi davanti a quel sorriso che oscurebbe il sole se ne avesse la possibilità. Sono pronta a scommettere qualsiasi cosa che nessuno ci riuscirebbe. Io almeno so di non poterlo fare, ma so anche che devo farlo. Sono debole davanti a lui. La donna forte e intraprendente che credevo di essere stata in grado di diventare vacilla di fronte al suo cuore. Magari mi sono creata qualcosa nella mente che non corrispondeva alla realtà, ho sopravvalutato persino me stessa.
Mi do la colpa di tutto, sono pronta a prendermi ogni responsabilità laddove il destino non ha giocato beffardo le sue carte al nostro posto. Ci ha messo lo zampino qualcosa di molto più infido e nascosto. Si ok, dare la colpa al destino, al caso, anche questo è forse un segno della mia debolezza.
Ma vorrei davvero avere qualcuno da rimproverare, qualcuno da incolpare per tutto questo dolore, per l’angoscia del dubbio, del silenzio…
Michael. Potrei provare a dare la colpa perfino a lui, sapeva in che condizioni io fossi, sapeva che il mio cuore era intrappolato in un amore già finito ma ancora non dimenticato. Eppure, lui era lì.
Perché non ha provato a dirmi la verità?
Ma soprattutto perché non ha provato a staccarsi da me, sarebbe stato tutto più facile.
Lui e il suo bisogno incondizionato di amare, il modo in cui riesce ad attrarre l’attenzione delle persone, il modo in cui parla, in cui si muove, il magnetismo innato di cui è dotato…no, non e sua la colpa per tutto questo.
Vi dicevo una volta che l’unico uomo che fosse riuscito ad entrare nel più profondo del mio cuore era stato Daniel, beh si, lo confermo. Lo avevo conosciuto per caso, circa sei anni fa, quando New York, Michael e Vogue erano lontani anni luce dal centro del mio piccolo mondo.
Posso anche aggiungere però che nessuno è mai riuscito a strapparmelo e farlo suo portandoselo via insieme a tutta la mia felicità.
Nessuno eccetto Michael.
E’ per questo che sono confusa, ho scelto Daniel, ho scelto l’uomo che amavo da una vita, che amo da una vita…dovrei dire. Ed così. O forse mi sono costretta a convincermi che sia così.
Magari ho scelto solo la via più facile.
I sentimenti quando sono troppo forti, quando perdono il senso di avere un nome e lasciano spazio solo all’emozione, mi mettono una paura incredibile. L’amore diventa talmente grande da divenire più imponente di me, del mio amore per me stessa e quando si ama così si finisce sempre per soffrire. Io sono stanca di soffrire.
Nella mia vita volevo solo un po’ di serenità, arrivare dove sono arrivata e stare lontano da mio padre il più possibile. Tutto questo brancolare nel buoi non era compreso.
La vita è così, no? Succedono cose inaspettate, a volte piacevoli a volte no è banale quanto retorico e inutile dirlo. Supera la fantasia….direi che se è per questo l’abbiamo superata da un pezzo.
Dopo quella sera a casa di Michael sono andata via senza dire una sola parola. L'ho lasciato lì. Da solo. E vi giuro che il suo sguardo in quel momento mi ha uccisa almeno mille volte in un solo secondo. Il giorno dopo, con una notte insonne alle spalle e migliaia di fazzoletti pieni di lacrime ai piedi del mio letto mi sono resa conto che non era giusto, non potevo lasciarlo così, dovevamo parlare.
Arrivata a Neverland credevo che Bill, il capo della sicurezza, non mi avrebbe fatta entrare o che si sarebbe inventato una scusa del tipo: "Il signor Jackson non vuole essere disturbato". Ma così non accadde.
Salii le scale mentre dal piano superiore una musica lenta e nostalgica di una pianoforte accompagnava il procedere dei miei passi.
Michael era seduto di spalle, indossava una camicia rossa sulla quale i ricci sciolti cadevano disordinati.
Mi avvicinai in silenzio, ma appena mi vide smise di suonare.
-Scusa non volevo disturbarti.- dissi distrattamente con ancora nella mente le dolci note di quella meravigliosa melodia.
-Figurati...Sono contento che tu sia qui.-
Parlammo di quella sera al locale, di Sophie e di tutto il resto.
Rimanemmo per un pò in silenzio, imbarazzati, come se il tempo avesse già parlato per noi.
Non c'è stato bisogno di dire o fare niente di particolare, sapevo già tutto ciò che avrebbe voluto dirmi ed era lo stesso per lui.
-Sophie l'hai conciata proprio per bene.-
Adoro quando riesce ad ironizzare sulle cose e far passare tutta la tensione con un sorriso.
-La prossima volta me la prendo con te.-
Michael si alzò e andò chiudere lo spartito sul pianoforte, mentre fuori iniziò a piovere. Quella pioggia, il ticchettio delicato delle goccioline sui vetri della finestra, ci riportò entrambi a quella sera. Non so bene come, ma quel particolare perse subito di interesse quando Michael si avvicinò e bloccò i ricordi con i un bacio.
Dopo quegli ultimi avvenimenti, sono stata per un po’ lontana da lui, lontana dalla magia di quel parco e lontana, volontariamente, da tutta quella storia. In quel lasso di tempo però mi sono resa conto che in realtà era stato Daniel a mancarmi fino a perdere il fiato era stato nuovamente lui.
Non so realmente cosa sia. Amore, possessività, malinconia per ciò che eravamo un tempo. Credo sia un mix di tutte queste cose. Eppure mi capita spesso di pensare anche a Mike, mi mancano le nostre risate, mi manca da morire ogni singolo attimo passato insieme a lui. Vorrei che la scelta di stare con Daniel non escludesse il poter continuare ad avere la mia amicizia con Michael. Se non fosse per ciò che mi provoca quando mi guarda, se non smuovesse in me un sentimento del tutto incontrollabile, lo lascerei fare, lo lascerei esplodere, ma se Daniel non ci fosse. È per questo che è meglio che per un po’ adesso io gli stia lontano.
Ma ancora più di difficile ora sarà trovare il coraggio e soprattutto le parole per dirglielo.
Quell’immenso parco era l’unico vero regalo che si era concesso di farsi, la sua personale isola che non c’è lontano da tutto il resto. I sentieri erano illuminati con un incredibile tappeto di luci rendendo l’atmosfera fiabesca al limite dell’impossibile.
Si diressero verso la piscina seguendo un immaginario percorso senza alcuna meta prestabilita.
Camminarono in silenzio per un po’, senza avere l’uno il coraggio di dire all’altra qualcosa per primo.
-Devo ricordarmi di non mettere i tacchi quando vengo qui-
Nicole provò a dire la prima cosa le passò per la mente. Tra i ciottoli del viale che costeggiavano il viale la sua camminata iniziava ad avere qualche piccolo problema.
Michael la guardò divertito e si fermò sotto la grande quercia vicino alla quale una statua in bronzo di Peter Pan appariva in tutta la sua spontanea ingenuità.
-Hai ragione, sediamoci qui…- le disse facendo gesto con la mano di accomodarsi accanto a lui sulla soffice coperta di erba che ricopriva il parco.
-Allora si può sapere che ti è preso prima?-
Tentò di riportare l’argomento sullo strano atteggiamento di Michael di poco fa.
Silenzio.
Si gettò all’indietro sull’erba portando le mani dietro la nuca fissando sovrappensiero un uccellino che si era appena posato su uno dei rami della quercia.
Quando capì che non avrebbe replicato si sdraiò accanto a lui su un fianco, poggiando il peso su un gomito e continuò il discorso.
-Michael…come dici sempre tu, non si piange mai per niente, ma non si diventa nemmeno tristi all’improvviso per niente.-
-Nicole…non mi va di parlarne adesso.-
Dopo un lungo sospiro si alzò in piedi porgendo la mano verso di lui invitandolo a seguirla.
-Guarda che bel sole c’è oggi.-
Lo guardò sorridendo e finalmente riuscì a farlo sorridere.
All’improvviso un flash gli si precipitò addosso seguito dalle risate di Nicole.
-Oooh fantastico! Dovresti vedere che faccia, questa la faccio formato poster e me la metto in camera.-
-Nicole…- il suo sguardo si fece nuovamente serio. -Dammi la macchinetta fotografica.-
La esortò tentando ancora una volta di evadere dal discorso principale di quella loro passeggiata. Ma lo degnò di uno sguardo.
-Ho detto dammela.-
Nicole continuò a guardare in punto indefinito fingendo di ignorarlo e iniziando a giocare con il filo della macchinetta facendola ruotare attorno alle dita.
Michael alzò un sopracciglio e la guardò insospettito ma divertito allo stesso tempo.
Le si avvicinò afferrando la digitale che impigliata tra le dita di Nicole non si staccò del tutto dalle sue mani ma lo fece sobbalzare avvicinandolo ancora di più a lei e facendogli perdere l’equilibrio.
In un attimo si ritrovarono per terra, di nuovo su quel morbido prato profumato di erba fresca.
Si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere di gusto senza rendersi conto di abbracciarsi.
Così i loro sguardi si incrociarono e le risate a poco a poco si affievolirono.
All’improvviso il suono fastidioso di un cellulare li fece tornare alla realtà.
-Pronto.-
Disse Nicole alzandosi in piedi e sistemandosi la camicia cercando di togliere via i fili d’erba rimasti impigliati.
Daniel…
Nuovamente lui e la sua capacità di cogliere sempre l’attimo più opportuno.
Ma comunque nessun attimo sarebbe stato mai adeguato per lui, l’ultima cosa che Nicole voleva era riaverlo nella sua vita e rifare i soliti errori ancora una volta. Almeno questo era ciò che si ripeteva da anni cercando di convincersene…
Capitolo 14
Erano passati tre giorni da quella telefonata e due da quando aveva rivisto Daniel, ma il telefono di casa sua non aveva squillato nemmeno una volta.
Michael non si era fatto minimamente sentire, il che era piuttosto strano, visto che ormai non passava giorno in cui non si sentissero e passassero ore al telefono.
Aveva un paura incredibile di poter perdere il suo migliore amico, non ce l’avrebbe fatta a stare un altro giorno senza lui, senza sapere che stava bene e che nulla tra loro era cambiato.
Allungò la mano verso la cornetta, fece il numero di Neverland..uno squillo…due squilli…al terzo squillo qualcuno rispose ma il dito di Niki era stato più veloce premendo il pulsante rosso sul telefono e facendo cadere la linea.
Fece un lungo sospiro.
All’improvviso il telefono iniziò a suonare. “porca miseria, ha visto il mio numero sul display…”
Rispose al telefono e riconobbe l’inconfondibile voce di Michael…ma riattaccò immediatamente.
Portò una mano sulla fronte, agitando sconsolata la testa e pensando di aver fatto l’ennesima stupidaggine.
Il telefono riprese quasi subito a squillare Michael si scusò dei giorni di silenzio e la invitò per il giorno dopo a casa sua. Del resto sarebbe stato il suo compleanno.
***
Sdraiata con le braccia sotto al cuscino e la bocca mezza aperta con un ciuffo di capelli che le coprivano quasi completamente il volto, Nicole salutava la mattina del suo 29° compleanno.
La sveglia iniziò a suonare quando la lancetta più corta raggiunse il 10.
Cercò di racimolare le forze non tanto per alzarsi ma almeno per poter spengere quell’aggeggio infernale.
Stravolta dalla nottata insonne passata a pensare e a riflettere su cose che nemmeno lei stessa riusciva a capire si alzò dal letto sistemandosi alla meno peggio i pantaloncini di due taglie di troppo.
Sentì distrattamente un altro suono metallico attraversarle l’udito. La sveglia? Ancora…
Ah no, il campanello…
Si diresse verso la porta.
-Chi è che rompe?- disse senza aprire la porta con un tono di voce rauco dal sonno ma alto a sufficienza.
-Siamo di cattivo umore.-
Fa anche il simpatico, viaggio a vele spiegate verso la vecchiaia e mi vengono anche a disturbare.
Cercò di dare un senso a quella specie di cespuglio che si ritrovava per capelli e aprì la porta sbuffando.
-Amore mio ti ho svegliata?-
-No ci ha pensato la sveglia grazie.-
Daniel la salutò con un lungo e appassionato bacio senza darle il tempo nemmeno di vedere la collana che le aveva chiuso intorno al collo.
Il freddo dell’oro bianco a contatto con la pelle le fece venire un brivido lungo tutta la schiena e si staccò dal bacio con aria interrogativa.
Portò subito le mani sulla catenina e si precipitò allo specchio per vederla interamente.
Un piccolo ciondolo che creava la parola “Amore” brillava sotto le dita nervose di Nicole.
-Questo è tutto ciò che sei per me…ricordalo sempre.-
Le sussurrò all’orecchio avvolgendole la vita con le mani.
Arrivata a Neverland quella sera trovò davanti ai suoi occhi la più bella festa che le avessero mai organizzato. Nella sua vita a causa del suo rapporto con suo padre e la perdita di sua madre, non aveva mai veramente festeggiato un compleanno. L’unico che ricordava era quello dei vent’anni quando era già a Los Angeles, da sola e festeggiò con una sua amica che la portò in discoteca e ballarono per tutta la notte.
Ma ora non c’erano né palloncini, né centinaia di invitati, orchestre o champagne e caviale, tutto quello che vedeva valeva molto più di qualsiasi altra cosa.
Michael aveva fatto allestire un cinema all’aperto tra i verdi viali illuminati del suo Ranch e per quella sera, per tutta la sera, avrebbero visto e rivisto un unico immancabile film: il moulin rouge. Extra inclusi ovviamente.
C’era una tavola enorme imbandita di ogni genere di schifezza conosciuta sulla faccia della terra. Da una parte hot dog, pizza, patatine fritte e dall’altra i dolci…caramelle gommose, liquirizie rosse, cioccolatini, pop corn caramellati e bevande di ogni genere aromatizzate persino al cocco.
Il tutto sarebbe stato divorato su una coperta stesa sull’erba come un pip-nic sotto il cielo stellato.
Nicole si avvicinò al Michael sorridendo
-Ma non ti faceva schifo questo film?-
-A te piace, è questo l’importante…-
Le prese una mano e si diressero verso il distributore di orsetti gommosi.
-Solo per oggi però…- aggiunse Michael sorridendole e addentando un orsetto alla fragola.
Durante il film, mentre Nicole Kidman cantava “one day i'll fly away” guardando fuori la finestra di un enorme palazzo a forma di elefante, Niki sentì il litro di coca cola alla ciliegia fare il suo effetto diuretico.
-Mike pipì…-
-Cosè un messaggio in codice?-
-Eddai scemo, non si prende in giro la festeggiata.-
Michael scoppiò a ridere.
-Va bene…prenderesti un altro po’ di marshmallow, quelli bianchi però, dovrebbero stare dentro qualche cassetto…-
-Come si dice?-
-Per favore!-
Nicole stava per tornare alla sua postazione, quasi correndo per perdere così meno film possibile, quando si ricordò della richiesta di Michael.
Iniziò a frugare in tutti i cassetti…ma niente marshmallow.
C’era di tutto lì dentro, sembrava la borsa di Mary Poppins, quando finalmente riuscì a trovare il sacchetto che cercava si accorse che sotto la confezione c’era una foto che le sembrava di aver già visto prima…
Tornò con un’espressione pallida in viso, sembrava aver appena visto un fantasma. Michael se ne accorse immediatamente.
-Niki che cos’hai?-
-Niente tieni le caramelle…-
Fece finta di niente, cercò di concentrarsi sul film ma quelle caramelle già non gli andavano più. Il suo sguardo cadde sulla collana di Nicole.
-Bella collana, è nuova?-
Chiese Michael cercando di iniziare una qualsiasi conversazione con la speranza di riuscire a scoprire cosa le fosse successo o cosa avesse visto di tanto sconvolgente da farle assumere un’espressione talmente seria e preoccupata.
-Me l’ha regalata Daniel…- disse senza nemmeno pensarci ascoltando nel frattempo ricordi di tutt’altro genere all’interno della sua mente.
Lui si pentì subito di aver fatto quella domanda, c’erano miliardi di cose che avrebbe potuto chiederle e aveva scelto proprio quella che riguardava Daniel…
Mentre cercava un nuovo pretesto per parlare, continuava a guardare il film che era quasi giunto alla fine.
Ma fu Nicole a rompere il silenzio stavolta e non c’era bisogno di nessun strano giochetto per arrivare alla sua verità, lei era già arrivata alla sua e ora doveva farci i conti.
-Perché non me l’hai detto?-
Gli domando improvvisamente con un tono di voce calmo e nervoso allo stesso tempo.
-Che cosa?-
Ribattè Michael cadendo assolutamente dalle nuvole mentre sgranocchiava un m&m’s.
Niki prese un lungo respiro, quasi stesse cercando il coraggio per affrontare quel discorso, cercava le parole, un senso, qualunque cosa per poter dire quello che ricordava adesso, ma le mancò improvvisamente il fiato.
Riprese aria cercando di bloccare le lacrime e mandare giù il nodo che le si era formato in gola talmente grande da bloccarle ogni movimento.
Michael iniziava a preoccuparsi, non l’aveva mai vista così.
-Nicole, cosa dovevo dirti?-
Senza riuscire a dire a niente, lo guardò fisso negli occhi, con la sguardo implorante e le mani che iniziavano a tremare.
-Questo- disse gettandogli addosso la fotografia che si era piegata in un angolo tra le sue mani.
-Te lo ricordi?- Michael sgranò gli occhi che divennero luminosi come mai li aveva visti prima. -Niki oh mio Dio ricordi davvero?- le prese una mano tra le sue e l’abbracciò istintivamente senza riuscire a capire la reazione di Nicole di poco prima.
-Non sei contenta?-
Nicole scoppiò a piangere…
Capitolo 15
Assurdo pensarci, assurdo parlarne, ma paradossale è soprattutto averlo vissuto. Eccomi qui, a fatica sono riuscita a raccontare gli eventi che mi hanno portata fino a qui. In questo stato di smarrimento in cui non so dove andare, cosa fare, neanche che tipo di pensieri ascoltare e quali invece cacciare dalla mia mente il più veloce possibile. Ma adesso so. Ora ho capito. Finalmente di sbiadito nella mia vita non c’è più nulla ed è questo forse che più di tutto mi mette addosso un’agitazione incontrollabile. Ogni volta che penso a lui adesso mi tremano le gambe, provate a immaginare cosa sento quando invece gli sono accanto.
Fa paura, fa male, ancora non riesco a credere che sia potuto accadere veramente.
Vorrei poter riuscire a farvi capire come mi sento, davvero. Ma come posso farlo se nemmeno io so cosa provo?
Dovrei lasciarmi andare, dovrei prendere tutto come se nulla fosse accaduto e andare avanti per la mia strada.
Il fatto è che ora, forse per la prima vera volta in vita mia, sono confusa.
È come se mi fossi persa per tutto questo tempo qualcosa che aspettavo si avverasse invece dal principio della mia esistenza. Trovare qualcuno da amare e che ti sappia amare almeno con la tua stessa intensità, quell’amore che non ha bisogno di parole, di gesti plateali né di cure particolari, quell’amore che necessita solo dell’amore. Nutrirsi esclusivamente l’uno dell’altra, eliminare tutto il resto, estraniarsi dalla realtà e rifugiarsi in quel luogo senza spazio né tempo dove gli innamorati viaggiano a vele spiegate nel luogo che tutti cercano di raggiungere durante la loro vita. Quel posto chiamato semplicemente felicità. Innamorati? Ma perché parlo di innamorati adesso, io e Michael non siamo…innamorati.
Vorrei svegliarmi e stavolta dimenticare tutto, cancellare ogni cosa e ricominciare da capo, ma so che eliminerei anche i momenti più belli, quelli di cui vi parlavo prima, quando la felicità sembra più vicina che mai.
No, non è una buona idea. Forse è meglio così. È ora che finalmente prenda una decisione e la smetta di fargli e farmi del male in questo modo. So che soffre, lo vedo lo sento da come mi guarda, da come la sua voce vellutata cambia quando il pensiero di me e Daniel gli sfiora la mente. Non dovrei cedere quando si avvicina troppo pericolosamente alla mia bocca, non dovrei riempirmi i polmoni col suo profumo e trascendere da tutto con un solo respiro. Ma non ci riesco, quando guardo i suoi occhi e mi perdo nella profondità nocciola di quelle pupille piene di luce, mi si stringe il cuore. L’odore dei suoi capelli e la loro morbidezza a contatto con le mie dita, adoro quando mi stringe tra le sue braccia e riesce a farmi pensare solo a lui. Vorrei poter resistere. Vi giuro che ci provo. Ma provate voi a resistere a quelle labbra, a non sciogliervi davanti a quel sorriso che oscurebbe il sole se ne avesse la possibilità. Sono pronta a scommettere qualsiasi cosa che nessuno ci riuscirebbe. Io almeno so di non poterlo fare, ma so anche che devo farlo. Sono debole davanti a lui. La donna forte e intraprendente che credevo di essere stata in grado di diventare vacilla di fronte al suo cuore. Magari mi sono creata qualcosa nella mente che non corrispondeva alla realtà, ho sopravvalutato persino me stessa.
Mi do la colpa di tutto, sono pronta a prendermi ogni responsabilità laddove il destino non ha giocato beffardo le sue carte al nostro posto. Ci ha messo lo zampino qualcosa di molto più infido e nascosto. Si ok, dare la colpa al destino, al caso, anche questo è forse un segno della mia debolezza.
Ma vorrei davvero avere qualcuno da rimproverare, qualcuno da incolpare per tutto questo dolore, per l’angoscia del dubbio, del silenzio…
Michael. Potrei provare a dare la colpa perfino a lui, sapeva in che condizioni io fossi, sapeva che il mio cuore era intrappolato in un amore già finito ma ancora non dimenticato. Eppure, lui era lì.
Perché non ha provato a dirmi la verità?
Ma soprattutto perché non ha provato a staccarsi da me, sarebbe stato tutto più facile.
Lui e il suo bisogno incondizionato di amare, il modo in cui riesce ad attrarre l’attenzione delle persone, il modo in cui parla, in cui si muove, il magnetismo innato di cui è dotato…no, non e sua la colpa per tutto questo.
Vi dicevo una volta che l’unico uomo che fosse riuscito ad entrare nel più profondo del mio cuore era stato Daniel, beh si, lo confermo. Lo avevo conosciuto per caso, circa sei anni fa, quando New York, Michael e Vogue erano lontani anni luce dal centro del mio piccolo mondo.
Posso anche aggiungere però che nessuno è mai riuscito a strapparmelo e farlo suo portandoselo via insieme a tutta la mia felicità.
Nessuno eccetto Michael.
E’ per questo che sono confusa, ho scelto Daniel, ho scelto l’uomo che amavo da una vita, che amo da una vita…dovrei dire. Ed così. O forse mi sono costretta a convincermi che sia così.
Magari ho scelto solo la via più facile.
I sentimenti quando sono troppo forti, quando perdono il senso di avere un nome e lasciano spazio solo all’emozione, mi mettono una paura incredibile. L’amore diventa talmente grande da divenire più imponente di me, del mio amore per me stessa e quando si ama così si finisce sempre per soffrire. Io sono stanca di soffrire.
Nella mia vita volevo solo un po’ di serenità, arrivare dove sono arrivata e stare lontano da mio padre il più possibile. Tutto questo brancolare nel buoi non era compreso.
La vita è così, no? Succedono cose inaspettate, a volte piacevoli a volte no è banale quanto retorico e inutile dirlo. Supera la fantasia….direi che se è per questo l’abbiamo superata da un pezzo.
Dopo quella sera a casa di Michael sono andata via senza dire una sola parola. L'ho lasciato lì. Da solo. E vi giuro che il suo sguardo in quel momento mi ha uccisa almeno mille volte in un solo secondo. Il giorno dopo, con una notte insonne alle spalle e migliaia di fazzoletti pieni di lacrime ai piedi del mio letto mi sono resa conto che non era giusto, non potevo lasciarlo così, dovevamo parlare.
Arrivata a Neverland credevo che Bill, il capo della sicurezza, non mi avrebbe fatta entrare o che si sarebbe inventato una scusa del tipo: "Il signor Jackson non vuole essere disturbato". Ma così non accadde.
Salii le scale mentre dal piano superiore una musica lenta e nostalgica di una pianoforte accompagnava il procedere dei miei passi.
Michael era seduto di spalle, indossava una camicia rossa sulla quale i ricci sciolti cadevano disordinati.
Mi avvicinai in silenzio, ma appena mi vide smise di suonare.
-Scusa non volevo disturbarti.- dissi distrattamente con ancora nella mente le dolci note di quella meravigliosa melodia.
-Figurati...Sono contento che tu sia qui.-
Parlammo di quella sera al locale, di Sophie e di tutto il resto.
Rimanemmo per un pò in silenzio, imbarazzati, come se il tempo avesse già parlato per noi.
Non c'è stato bisogno di dire o fare niente di particolare, sapevo già tutto ciò che avrebbe voluto dirmi ed era lo stesso per lui.
-Sophie l'hai conciata proprio per bene.-
Adoro quando riesce ad ironizzare sulle cose e far passare tutta la tensione con un sorriso.
-La prossima volta me la prendo con te.-
Michael si alzò e andò chiudere lo spartito sul pianoforte, mentre fuori iniziò a piovere. Quella pioggia, il ticchettio delicato delle goccioline sui vetri della finestra, ci riportò entrambi a quella sera. Non so bene come, ma quel particolare perse subito di interesse quando Michael si avvicinò e bloccò i ricordi con i un bacio.
Dopo quegli ultimi avvenimenti, sono stata per un po’ lontana da lui, lontana dalla magia di quel parco e lontana, volontariamente, da tutta quella storia. In quel lasso di tempo però mi sono resa conto che in realtà era stato Daniel a mancarmi fino a perdere il fiato era stato nuovamente lui.
Non so realmente cosa sia. Amore, possessività, malinconia per ciò che eravamo un tempo. Credo sia un mix di tutte queste cose. Eppure mi capita spesso di pensare anche a Mike, mi mancano le nostre risate, mi manca da morire ogni singolo attimo passato insieme a lui. Vorrei che la scelta di stare con Daniel non escludesse il poter continuare ad avere la mia amicizia con Michael. Se non fosse per ciò che mi provoca quando mi guarda, se non smuovesse in me un sentimento del tutto incontrollabile, lo lascerei fare, lo lascerei esplodere, ma se Daniel non ci fosse. È per questo che è meglio che per un po’ adesso io gli stia lontano.
Ma ancora più di difficile ora sarà trovare il coraggio e soprattutto le parole per dirglielo.
marina56- Moderator
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Re: Ricordi sbiaditi (terminata)
Capitolo 16
Determinazione. Questa è la parola chiave. Io sono una donna determinata. Fare finta di niente è sempre la cosa migliore da fare. L’autocontrollo, tutto sta nell’autocontrollo…
Si posso farcela, sono sempre stata irrimovibile e lo sarò anche stavolta.
Mentre gesticola, non posso fare a meno di guardare il movimento delicato di quelle mani mentre parla…sta parlando con quelle stesse labbra che sono riuscite ad accendere piaceri ineguagliabili. Starebbero molto meglio accanto al mio viso, sulla mia pelle. Sta diventando quasi una tortura, una lenta, celata, profonda e inesorabile tortura.
Solo qualche mese fa non era così, la passione aveva modo di venir fuori, di essere appagata e assecondata.
Non si può dimenticare tutto questo dall’oggi al domani. Non riesco a spiegarmi perché adesso lo desideri così tanto, soprattutto non comprendo perché proprio ora, adesso che siamo solo ed esclusivamente buoni amici e tra l’altro chi ha voluto che fosse così? Ovviamente io…non ne faccio mai una buona.
Ma cosa sto farneticando, la mia è stata la scelta migliore, assolutamente la cosa giusta da fare. Si si ho fatto benissimo. Oh santo cielo…ma perché si inumidisce le labbra con la lingua mentre parla…no vabbeh ci rinuncio…
-Michael va bene, tutto quello che vuoi…devo andare!-
Mi alzo velocemente dal divano su cui ero seduta a fantasticare mentre Michael mi guarda con aria stupita. Non gli do nemmeno il tempo di replicare e lo saluto. Con un gesto fulmineo mi imprigiona il polso tra la stretta della sua mano e mi riporta nello stato di incoscienza che mi pervade quando gli sono così sufficientemente vicino da perdere il senso dello spazio e del tempo.
-Nicole…- si ferma, mi lascia il polso intrecciando ora le sue dita tra le mie - lo so che non è più come prima tra di noi.-
Quel pronome che ci unisce indissolubilmente arriva dritto al cuore con la forza di un macigno.
-Ma non voglio che tu sia costretta a tenerti le cose dentro o a scappare all’improvviso in quel modo-
Sospiro incapace di trovare al momento una giustificazione valida per la mia reazione di poco prima.
-Forse è solo questione di tempo…-
Banale. Ma in questo momento non so davvero su quale specchio arrampicarmi.
-Sicura?-
Annuisco senza dire altro, cercando di rendere quel gesto il più convincente possibile.
Si allontana, senza far trapelare alcuna emozione in particolare. Sento quasi impaccio tra di noi e la tensione nell’aria di avvertirebbe anche a chilometri da qui. Un labile “” esce timido, inconsistente dalle nostre labbra e mette fine a quella sottile tortura.
Scendo nervosamente le scale, queste case enormi hanno sempre i loro lati negativi, ci saranno duemila gradini.
Mi fermo un attimo prima di uscire dalla porta, cerco di ricompormi, non so perché ma mi sento come se avessi fatto qualcosa di sbagliato e questa sensazione mi opprime il respiro.
Scappo sempre…con lui è così.
Non riesco a sostenere la situazione, ogni volta c’è qualcosa dentro di me che mi blocca le gambe, mi ferma le parole, magari è il suo sguardo ciò che non riesco a sostenere e quel saluto freddo senza emozione è stata la conferma che non è davvero più come prima tra di noi.
Capitolo 17
È stato tutto talmente strano che quasi mi sembra di aver sognato.
Avete presente quando si è troppo presi da qualcosa e poi mentre si cerca di ricordarne i dettagli si fallisce sempre miseramente. Come se in quel momento fossi totalmente assorbita da qualcosaltro all’infuori di te, capace di farti perdere la concetrazione e ti ritrovi a navigare tra immagini dai contorni indefiniti. Non ricordi con precisione gesti o parole ma stranamente quegli occhi in particolare, in quel determinato attimo in cui si sono persi nei tuoi, li vedi ancora nitidi e spiazzanti come se fossero ancora lì davanti a te.
Forse sto delirando.
Ma vi giuro che non ho toccato nessun drink stavolta.
Ripensavo alla giornta di ieri. In realtà ripensavo un po’ a tutti questi ultimi mesi e non sono riuscita a trovare il filo logico di ciò che è accaduto, neanche fosse inevitabile che accadesse.
Qualcuno direbbe: “Basta, è successo! È inutile rimuginarci sopra…”
“Cose che succedono”.
No le cose non succedono, siamo noi che le facciamo succedere. Scusate il gioco di parole ma andare a letto con il proprio migliore amico non rientra nelle “cose che succedono”. Almeno non per me.
E non risuccedono quando ormai sei dinuovo insieme al tuo ex ragazzo. Queste decisamente non sono fatalità, non dopo la seconda volta, io parlerei piuttosto di testardaggine se non di masochismo. Beh diciamocela tutta allora, passione forse sarebbe più adeguato vista l’entità della perseveranza.
Ma comunque…non so perché io stia ancora qui a parlarne, forse perché non mi sento per niente in colpa, ma neanche un po’ e Dio solo lo sa se invece dovrei. Si che dovrei, dovrei eccome. Mi sento in colpa di non sentirmi in colpa, è già un passo avanti.
Chiunque abbia un minimo di morale storcerebbe il naso e mi giudicherebbe senza nemmeno darmi il tempo di controbbattere.
E magari avrebbe ragione.
Non si può però giudicare senza prima conoscere e se persino io non conosco l’origine di tutta questa situazione e di questi sensazioni, nessuno può avere la presunzione di venirmi a dire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Si dice così no…
In questi casi l’unica cosa da fare è azzerare i pensieri, smetterla di tormentarsi inutilmente e non c’è niente di meglio di una doccia bollente per recuperare la lucidità.
L’acqua che scivola lentamente attraversa tutto il mio corpo, sento la tensione abbandonare lentamente ogni singolo nervo.
Il bagnoschiuma vaniglia e caffè invade tutta la stanza e crea un’atmosfera profumata mista a calore e vapore.
Intono una canzoncina, mi vengono alla mente tutte quelle volte in cui mio padre mi diceva di staccare lo stereo e smetterla di cantare perché tanto ero stonata come una campana e non facevo altro che aumentare il suo mal di testa.
Ma per fortuna sotto il getto dell’acqua scivola anche questo ricordo.
Mi giro per prendere la spugna e la tenda davanti a me si apre di colpo.
Si tuffa sulle mie labbra in un bacio voluttuoso, le sue mani ovunque, mi tocca, mi sfiora, sussurra parole delle quali non percepisco il senso.
-Michael.-
Riesco a pronunciare solo il suo nome.
-Amore, ti voglio, voglio stare con te dal primo istante in cui ti ho vista.-
Le mie mani sulle sue spalle, i suoi capelli che si bagnano sotto l’acqua e si confondono ai miei. Riapro gli occhi e sento una voce chiamarmi.
-Nicole-
Mi sveglio all’improvviso. Resto per qualche secondo con gli occhi fissi sulle piastrelle azzurre del bagno.
-Oh mio Dio.- sussurro coprendomi il volto con le mani. Quasi mi vergogno difronte a me stessa.
Che cos’era? Un sogno ad occhi aperti, un’allucinazione, un attacco di follia o forse un desiderio…
-Nicole!!!-
Quella voce continua a chiamarmi.
In un istante la riconosco. Finalmente. Daniel è venuto a prendermi perché dobbiamo andare a cena questa sera. Una cena a quattro…con Michael e Joanna.
Si accettano scommesse, di quanti colori diverrà la mia faccia stasera? Inizierei con un bel viola dalla rabbia appena lo vedrò mano nella mano con quella biondina insulsa. Poi un bel rosso imbarazzo ripensando ai miei pensieri tutt’altro che insulsi e per finire un bel bianco pallido quando Daniel si accorgerà delle mie doti poco camaleontiche.
***
Eccoci qui. Con 15 minuti di ritardo.
La coppia è già seduta al tavolo e ci aspetta con pazienza, chiacchierando.
-Sei bellissima.-
Daniel me lo sussurra all’orecchio, riuscendo a ridarmi la sicurezza che si era dileguata durante il pomeriggio.
E bene, la cosa giusta al momento giusto, è anche per questo che lo amo.
Grazie al cielo mi riporta appena in tempo nel mondo della ragione.
Una cena coi fiocchi, c’è da dirlo. Amo i crostacei quasi quanto i pop-corn al caramello. Strana associazione, lo so. Cerco di divagare? Si beh, possibile.
Ok, vado al dunque. Sarò presuntuosa, snob o quantaltro, ma almeno so sostenere una conversazione che non abbia come soggetto sfilate di moda e make up.
Con questo non voglio giudicare nessuno. Anche perché…ormai posso dirvelo, ero impegnata ad ascoltare e a guardare altro.
Ovviamente scherzo. Ovviamente!
Quindi scherzi a parte, più che una coppia mi sembravano due buoni amici.
Beh, visti i precedenti…forse dovrei preoccuparmi…
Adesso che ci penso però prima Daniel mi ha detto che aveva una sorpresa per me.
Arrivati finalmente a casa mi stendo sul divano e butto le scarpe sul tappeto.
-Sono stanchissima.-
E subito dopo uno sbadiglio mi coglie di sorpresa.
Daniel si siede accanto a me. Mi sorride. Si sistema i capelli come se servisse a qualcosa, li ha talmente corti che quel gesto così ingenuo mi fa sorridere.
-Sono pronta.-
Dico sorridendo e allungando le gambe sopra le sue ginocchia.
-Ponta per cosa?-
Domanda incuriosito sfiorandomi la caviglia distrattamente.
-Per la sorpresa.-
Si alza, si avvicina al cassetto del mobile sotto lo specchio che c’è in salotto e prende una busta, una di quella per le lettere o almeno così mi sembra.
Estrae lentamente un foglio dalla busta e me lo porge.
Non è un foglio. Ma un biglietto. Un biglietto aereo. Un volo per le Hawaii fissato per domani mattina.
-Vai alle Hawaii?-
Ride scuotendo la testa e tira fuori dalla busta un secondo biglietto.
-No, andiamo alle Hawaii.-
-E quando avrei accettato?-
Si siede nuovamente sul divano. Sospira profondamente.
-Credevo ti avrebbe fatto piacere venire con me.-
Parte per le Hawaii, all’improvviso e dovrebbe farmi piacere?
Lui e il suo maledetto lavoro, è sempre in giro, una volta a Tokyo, un’altra a Parigi. Non sono più la ragazzina di 18 anni che assecondava ogni suo capriccio perché annebiata dall’amore. Ho una carriera anch’io, non posso lasciare tutto così su due piedi e seguirlo dove vuole.
Tento di raccogliere chissà dove le parole giuste.
-Daniel, devo lavorare. Ma non potevi dirmelo prima?-
-Me l’hanno detto stamattina.-
Che razza di lavoro fa? Vedo con piacere che più passa il tempo più la situazione peggiora. Credevo fossero finiti i viaggi prenotati il giorno prima.
-E quanto tempo starai via?-
-Sei mesi.-
Metà anno. Faccio fatica persino a nominare un tempo tanto lungo.
Sei mesi senza vederlo, senza sentirlo accanto. È molto più di quanto avessi pensato. Due mesi, al massimo. Ma sei mesi, come si fa a stare lontani tutto questo tempo.
Lo abbraccio istintivamente, proietto in quell’atto tutta la forza che ho quasi servisse a non farlo più partire, a tenerlo con me.
Mi accarezza i capelli, poi la guancia e con due dita sul mento porta le sue labbra vicino alle mie.
-Vieni con me.-
Sento un’irrefrenabile sensazione di dirgli di si. Il suo sguardo, il suo calore, mi urlano in silenzio di seguirlo e prendere quell’aereo.
Ma una voce in fondo al cuore mi dice fastidiosamente qualcosaltro.
Lasciare il mio lavoro adesso che sono tornata in pista dopo l’incidente.
Tra due settimane devo tornare a New York.
La mia piantina di orchidee in ufficio, Sophie si è da poco lasciata con il ragazzo, le devo stare vicina in questo momento difficile, e Michael…
Forse dovrei rivedere la lista delle mie priorità. Queste sono scuse, solo delle scuse per non partire, per non stare sola con lui tutto quel tempo.
No, non è il fatto di stare soli, siamo stati soli tantissime volte, il problema è stare invece lontano da qulacunaltro.
-E’ per Michael vero?
Quel nome mi rimbalza con forza creando un’eco disarmante nella mia testa. Non lo so, la questione è proprio questa, non lo so.
E’ Michael, ma no che non lui, perché dovrebbe essere lui il problema.
Se partissi mi mancherebbe da morire, è vero, ma lo superei dopo poco, ne sono sicura.
-No, ma che c’entra Michael adesso.-
-Si vabbeh-
Inizia nervosamente a girare per la stanza, e piano piano sta cominciando a far innervosire anche me.
-Pensi che si cieco, anzi no, stupido. Lo vedo come lo guardi e come lui guarda te.-
-Daniel per favore, non inventare cose che non esistono.-
-Sono anche pazzo.-
-Io non l’ho detto.-
Prendo le scarpe da terra e mi dirigo verso la camera per potergli trovare una sistemazione più adeguata di un tappeto.
-Oh Nicole ti prego. E’ meglio che me ne vado…-
Fa anche l’offeso, insinua cose senza un minimo di fondamenta e si offende.
-Come te ne vai? Domani parti.-
-Si io parto, sei tu che non vuoi venire.-
Questo è un colpo basso, non è che non voglio partire, non posso. Lui al mio posto lo avrebbe fatto, avrebbe lasciato il suo caro lavoro per seguirmi che so, in Brasile? Certo che no. L’uomo non segue la donna non è lui che si deve annullare per compiacere il suo partner. Cose da pazzi. Io Tarzan tu Jane.
-Come ti pare. Buon viaggio allora.-
Se ne va sbattendo la porta senza nemmeno replicare.
Nello spazio troppo grande del mio letto nuovo con la luce che entra timida e algida dalla finestra, distrattamente la mano incontra qualcosa di freddo, di metallico. La collana con la scritta “Amore” . La stringo al palmo fino a quando non la sento quasi pungere.
-Questo è tutto ciò che sei per me.-
E così basta un battito di ciglia,gli occhi si riempiono di lacrime senza che nemmeno me ne renda conto.
Determinazione. Questa è la parola chiave. Io sono una donna determinata. Fare finta di niente è sempre la cosa migliore da fare. L’autocontrollo, tutto sta nell’autocontrollo…
Si posso farcela, sono sempre stata irrimovibile e lo sarò anche stavolta.
Mentre gesticola, non posso fare a meno di guardare il movimento delicato di quelle mani mentre parla…sta parlando con quelle stesse labbra che sono riuscite ad accendere piaceri ineguagliabili. Starebbero molto meglio accanto al mio viso, sulla mia pelle. Sta diventando quasi una tortura, una lenta, celata, profonda e inesorabile tortura.
Solo qualche mese fa non era così, la passione aveva modo di venir fuori, di essere appagata e assecondata.
Non si può dimenticare tutto questo dall’oggi al domani. Non riesco a spiegarmi perché adesso lo desideri così tanto, soprattutto non comprendo perché proprio ora, adesso che siamo solo ed esclusivamente buoni amici e tra l’altro chi ha voluto che fosse così? Ovviamente io…non ne faccio mai una buona.
Ma cosa sto farneticando, la mia è stata la scelta migliore, assolutamente la cosa giusta da fare. Si si ho fatto benissimo. Oh santo cielo…ma perché si inumidisce le labbra con la lingua mentre parla…no vabbeh ci rinuncio…
-Michael va bene, tutto quello che vuoi…devo andare!-
Mi alzo velocemente dal divano su cui ero seduta a fantasticare mentre Michael mi guarda con aria stupita. Non gli do nemmeno il tempo di replicare e lo saluto. Con un gesto fulmineo mi imprigiona il polso tra la stretta della sua mano e mi riporta nello stato di incoscienza che mi pervade quando gli sono così sufficientemente vicino da perdere il senso dello spazio e del tempo.
-Nicole…- si ferma, mi lascia il polso intrecciando ora le sue dita tra le mie - lo so che non è più come prima tra di noi.-
Quel pronome che ci unisce indissolubilmente arriva dritto al cuore con la forza di un macigno.
-Ma non voglio che tu sia costretta a tenerti le cose dentro o a scappare all’improvviso in quel modo-
Sospiro incapace di trovare al momento una giustificazione valida per la mia reazione di poco prima.
-Forse è solo questione di tempo…-
Banale. Ma in questo momento non so davvero su quale specchio arrampicarmi.
-Sicura?-
Annuisco senza dire altro, cercando di rendere quel gesto il più convincente possibile.
Si allontana, senza far trapelare alcuna emozione in particolare. Sento quasi impaccio tra di noi e la tensione nell’aria di avvertirebbe anche a chilometri da qui. Un labile “” esce timido, inconsistente dalle nostre labbra e mette fine a quella sottile tortura.
Scendo nervosamente le scale, queste case enormi hanno sempre i loro lati negativi, ci saranno duemila gradini.
Mi fermo un attimo prima di uscire dalla porta, cerco di ricompormi, non so perché ma mi sento come se avessi fatto qualcosa di sbagliato e questa sensazione mi opprime il respiro.
Scappo sempre…con lui è così.
Non riesco a sostenere la situazione, ogni volta c’è qualcosa dentro di me che mi blocca le gambe, mi ferma le parole, magari è il suo sguardo ciò che non riesco a sostenere e quel saluto freddo senza emozione è stata la conferma che non è davvero più come prima tra di noi.
Capitolo 17
È stato tutto talmente strano che quasi mi sembra di aver sognato.
Avete presente quando si è troppo presi da qualcosa e poi mentre si cerca di ricordarne i dettagli si fallisce sempre miseramente. Come se in quel momento fossi totalmente assorbita da qualcosaltro all’infuori di te, capace di farti perdere la concetrazione e ti ritrovi a navigare tra immagini dai contorni indefiniti. Non ricordi con precisione gesti o parole ma stranamente quegli occhi in particolare, in quel determinato attimo in cui si sono persi nei tuoi, li vedi ancora nitidi e spiazzanti come se fossero ancora lì davanti a te.
Forse sto delirando.
Ma vi giuro che non ho toccato nessun drink stavolta.
Ripensavo alla giornta di ieri. In realtà ripensavo un po’ a tutti questi ultimi mesi e non sono riuscita a trovare il filo logico di ciò che è accaduto, neanche fosse inevitabile che accadesse.
Qualcuno direbbe: “Basta, è successo! È inutile rimuginarci sopra…”
“Cose che succedono”.
No le cose non succedono, siamo noi che le facciamo succedere. Scusate il gioco di parole ma andare a letto con il proprio migliore amico non rientra nelle “cose che succedono”. Almeno non per me.
E non risuccedono quando ormai sei dinuovo insieme al tuo ex ragazzo. Queste decisamente non sono fatalità, non dopo la seconda volta, io parlerei piuttosto di testardaggine se non di masochismo. Beh diciamocela tutta allora, passione forse sarebbe più adeguato vista l’entità della perseveranza.
Ma comunque…non so perché io stia ancora qui a parlarne, forse perché non mi sento per niente in colpa, ma neanche un po’ e Dio solo lo sa se invece dovrei. Si che dovrei, dovrei eccome. Mi sento in colpa di non sentirmi in colpa, è già un passo avanti.
Chiunque abbia un minimo di morale storcerebbe il naso e mi giudicherebbe senza nemmeno darmi il tempo di controbbattere.
E magari avrebbe ragione.
Non si può però giudicare senza prima conoscere e se persino io non conosco l’origine di tutta questa situazione e di questi sensazioni, nessuno può avere la presunzione di venirmi a dire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Si dice così no…
In questi casi l’unica cosa da fare è azzerare i pensieri, smetterla di tormentarsi inutilmente e non c’è niente di meglio di una doccia bollente per recuperare la lucidità.
L’acqua che scivola lentamente attraversa tutto il mio corpo, sento la tensione abbandonare lentamente ogni singolo nervo.
Il bagnoschiuma vaniglia e caffè invade tutta la stanza e crea un’atmosfera profumata mista a calore e vapore.
Intono una canzoncina, mi vengono alla mente tutte quelle volte in cui mio padre mi diceva di staccare lo stereo e smetterla di cantare perché tanto ero stonata come una campana e non facevo altro che aumentare il suo mal di testa.
Ma per fortuna sotto il getto dell’acqua scivola anche questo ricordo.
Mi giro per prendere la spugna e la tenda davanti a me si apre di colpo.
Si tuffa sulle mie labbra in un bacio voluttuoso, le sue mani ovunque, mi tocca, mi sfiora, sussurra parole delle quali non percepisco il senso.
-Michael.-
Riesco a pronunciare solo il suo nome.
-Amore, ti voglio, voglio stare con te dal primo istante in cui ti ho vista.-
Le mie mani sulle sue spalle, i suoi capelli che si bagnano sotto l’acqua e si confondono ai miei. Riapro gli occhi e sento una voce chiamarmi.
-Nicole-
Mi sveglio all’improvviso. Resto per qualche secondo con gli occhi fissi sulle piastrelle azzurre del bagno.
-Oh mio Dio.- sussurro coprendomi il volto con le mani. Quasi mi vergogno difronte a me stessa.
Che cos’era? Un sogno ad occhi aperti, un’allucinazione, un attacco di follia o forse un desiderio…
-Nicole!!!-
Quella voce continua a chiamarmi.
In un istante la riconosco. Finalmente. Daniel è venuto a prendermi perché dobbiamo andare a cena questa sera. Una cena a quattro…con Michael e Joanna.
Si accettano scommesse, di quanti colori diverrà la mia faccia stasera? Inizierei con un bel viola dalla rabbia appena lo vedrò mano nella mano con quella biondina insulsa. Poi un bel rosso imbarazzo ripensando ai miei pensieri tutt’altro che insulsi e per finire un bel bianco pallido quando Daniel si accorgerà delle mie doti poco camaleontiche.
***
Eccoci qui. Con 15 minuti di ritardo.
La coppia è già seduta al tavolo e ci aspetta con pazienza, chiacchierando.
-Sei bellissima.-
Daniel me lo sussurra all’orecchio, riuscendo a ridarmi la sicurezza che si era dileguata durante il pomeriggio.
E bene, la cosa giusta al momento giusto, è anche per questo che lo amo.
Grazie al cielo mi riporta appena in tempo nel mondo della ragione.
Una cena coi fiocchi, c’è da dirlo. Amo i crostacei quasi quanto i pop-corn al caramello. Strana associazione, lo so. Cerco di divagare? Si beh, possibile.
Ok, vado al dunque. Sarò presuntuosa, snob o quantaltro, ma almeno so sostenere una conversazione che non abbia come soggetto sfilate di moda e make up.
Con questo non voglio giudicare nessuno. Anche perché…ormai posso dirvelo, ero impegnata ad ascoltare e a guardare altro.
Ovviamente scherzo. Ovviamente!
Quindi scherzi a parte, più che una coppia mi sembravano due buoni amici.
Beh, visti i precedenti…forse dovrei preoccuparmi…
Adesso che ci penso però prima Daniel mi ha detto che aveva una sorpresa per me.
Arrivati finalmente a casa mi stendo sul divano e butto le scarpe sul tappeto.
-Sono stanchissima.-
E subito dopo uno sbadiglio mi coglie di sorpresa.
Daniel si siede accanto a me. Mi sorride. Si sistema i capelli come se servisse a qualcosa, li ha talmente corti che quel gesto così ingenuo mi fa sorridere.
-Sono pronta.-
Dico sorridendo e allungando le gambe sopra le sue ginocchia.
-Ponta per cosa?-
Domanda incuriosito sfiorandomi la caviglia distrattamente.
-Per la sorpresa.-
Si alza, si avvicina al cassetto del mobile sotto lo specchio che c’è in salotto e prende una busta, una di quella per le lettere o almeno così mi sembra.
Estrae lentamente un foglio dalla busta e me lo porge.
Non è un foglio. Ma un biglietto. Un biglietto aereo. Un volo per le Hawaii fissato per domani mattina.
-Vai alle Hawaii?-
Ride scuotendo la testa e tira fuori dalla busta un secondo biglietto.
-No, andiamo alle Hawaii.-
-E quando avrei accettato?-
Si siede nuovamente sul divano. Sospira profondamente.
-Credevo ti avrebbe fatto piacere venire con me.-
Parte per le Hawaii, all’improvviso e dovrebbe farmi piacere?
Lui e il suo maledetto lavoro, è sempre in giro, una volta a Tokyo, un’altra a Parigi. Non sono più la ragazzina di 18 anni che assecondava ogni suo capriccio perché annebiata dall’amore. Ho una carriera anch’io, non posso lasciare tutto così su due piedi e seguirlo dove vuole.
Tento di raccogliere chissà dove le parole giuste.
-Daniel, devo lavorare. Ma non potevi dirmelo prima?-
-Me l’hanno detto stamattina.-
Che razza di lavoro fa? Vedo con piacere che più passa il tempo più la situazione peggiora. Credevo fossero finiti i viaggi prenotati il giorno prima.
-E quanto tempo starai via?-
-Sei mesi.-
Metà anno. Faccio fatica persino a nominare un tempo tanto lungo.
Sei mesi senza vederlo, senza sentirlo accanto. È molto più di quanto avessi pensato. Due mesi, al massimo. Ma sei mesi, come si fa a stare lontani tutto questo tempo.
Lo abbraccio istintivamente, proietto in quell’atto tutta la forza che ho quasi servisse a non farlo più partire, a tenerlo con me.
Mi accarezza i capelli, poi la guancia e con due dita sul mento porta le sue labbra vicino alle mie.
-Vieni con me.-
Sento un’irrefrenabile sensazione di dirgli di si. Il suo sguardo, il suo calore, mi urlano in silenzio di seguirlo e prendere quell’aereo.
Ma una voce in fondo al cuore mi dice fastidiosamente qualcosaltro.
Lasciare il mio lavoro adesso che sono tornata in pista dopo l’incidente.
Tra due settimane devo tornare a New York.
La mia piantina di orchidee in ufficio, Sophie si è da poco lasciata con il ragazzo, le devo stare vicina in questo momento difficile, e Michael…
Forse dovrei rivedere la lista delle mie priorità. Queste sono scuse, solo delle scuse per non partire, per non stare sola con lui tutto quel tempo.
No, non è il fatto di stare soli, siamo stati soli tantissime volte, il problema è stare invece lontano da qulacunaltro.
-E’ per Michael vero?
Quel nome mi rimbalza con forza creando un’eco disarmante nella mia testa. Non lo so, la questione è proprio questa, non lo so.
E’ Michael, ma no che non lui, perché dovrebbe essere lui il problema.
Se partissi mi mancherebbe da morire, è vero, ma lo superei dopo poco, ne sono sicura.
-No, ma che c’entra Michael adesso.-
-Si vabbeh-
Inizia nervosamente a girare per la stanza, e piano piano sta cominciando a far innervosire anche me.
-Pensi che si cieco, anzi no, stupido. Lo vedo come lo guardi e come lui guarda te.-
-Daniel per favore, non inventare cose che non esistono.-
-Sono anche pazzo.-
-Io non l’ho detto.-
Prendo le scarpe da terra e mi dirigo verso la camera per potergli trovare una sistemazione più adeguata di un tappeto.
-Oh Nicole ti prego. E’ meglio che me ne vado…-
Fa anche l’offeso, insinua cose senza un minimo di fondamenta e si offende.
-Come te ne vai? Domani parti.-
-Si io parto, sei tu che non vuoi venire.-
Questo è un colpo basso, non è che non voglio partire, non posso. Lui al mio posto lo avrebbe fatto, avrebbe lasciato il suo caro lavoro per seguirmi che so, in Brasile? Certo che no. L’uomo non segue la donna non è lui che si deve annullare per compiacere il suo partner. Cose da pazzi. Io Tarzan tu Jane.
-Come ti pare. Buon viaggio allora.-
Se ne va sbattendo la porta senza nemmeno replicare.
Nello spazio troppo grande del mio letto nuovo con la luce che entra timida e algida dalla finestra, distrattamente la mano incontra qualcosa di freddo, di metallico. La collana con la scritta “Amore” . La stringo al palmo fino a quando non la sento quasi pungere.
-Questo è tutto ciò che sei per me.-
E così basta un battito di ciglia,gli occhi si riempiono di lacrime senza che nemmeno me ne renda conto.
marina56- Moderator
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Re: Ricordi sbiaditi (terminata)
Capitolo 18
Restare da sola non mi ha dato il sollievo che aspettavo di avere. Sono così delusa da tutto, da me, da lui che qualunque cosa appare deprimente ai miei occhi. Non che non me lo aspettassi. Diciamocelo pure, non è che abbia lottato per trattenerlo ma inaspettatamente un gradevole senso di serenità mi ha avvolto fin da quando ho aperto gli occhi questa mattina.
È in momenti come questi, in cui mi abbandono ad ogni mia cellula chiudendo il mondo frenetico e problematico fuori dalla porta del cuore e delle senzazioni, che voglio solo una persona accanto a me.
Chi meglio delle amiche, chi meglio di Sophie.
-Dimmi un po’, quante parolacce gli hai urlato contro?-
Mentre prendeva un’altra zolletta di zucchero da mettere dentro il thè, fissava ripetutamente il cucchiaino girare cercando di non scoppiare a ridere da un momento all‘altro.
-Nessuna.-
Dissi alzando un sopracciglio tentando di assumere l’aria più seria che potessi trovare in quel momento.
-Mmm, ok, allora quante costole gli hai rotto?-
-Sophie!-
-Tieni prenditi un biscotto và…-
Mi allunga uno dei suoi biscotti al cioccolato fatti in casa oltre alle gocce di cioccolata fondente, l’ingrediente principale è il sottile strano nero carbone che incornicia i biscotti. Qualche minuto in meno nel forno e forse sarebbero persino commestibili. Ne prendo uno e lo lascio sul tavolo, tanto neanche lei ha mai il coraggio di mangiarli sul serio.
-Se ne è andato e basta, gli ho detto che non potevo partire perché ero impegnata ed è andato su tutte le furie, avresti dovuto vederlo.-
-Però secondo me la collana di fiori ti starebbe bene.-
Senza le nostre chiacchierate non so se sarei riuscita a superare situazioni del genere. Adoro quando con un sorriso, una battuta, una frase sciocca senza senso riesce a farmi stare bene. Litighiamo spesso, ci picchiamo, insultiamo ma alla fine siamo sempre noi, solo noi come la famiglia che non ho mai avuto la possibilità di vivere.
-Aloha! Ma te lo immagini…-
-Si si io immagino, ma Niki adesso che farai? Con Michael intendo. CAMPO LIBERO!-
Tira fuori uno dei suoi sorrisi più maliziosi e ironici che le abbia mai visto.
-Ma perché tutti pensate che abbia chissà quale ossessione sessuale nei confronti di Michael.-
-No Niki nessuna ossessione, solo amore.-
Sospiro portando la tazza calda del thè alle labbra, guadagno quei pochi secondi che mi servono per rispondere.
-E poi scusa, tutti chi?-
Non mi dà il tempo di controbattere.
-Daniel, ieri sera, ha detto che non volevo partire con lui per non stare lontano da Michael.-
-Allora non è scemo come sembra.-
-Sophie si è scemo se pensa certe cose è l’uomo più scemo sulla faccia della Terra e tu pure se fai così.-
Al diavolo il thè.
Mi alzo completamente spazientita, mi irritano le ipotesi formulate senza conoscere prima come stanno realmente le cose. Hanno tutti la presunzione di sapere quale e come sia la verità. Io non vado a sentenziare suoi sentimenti di nessuno e pretendo che venga fatto lo stesso per i miei.
-Ah Nicole adesso smettila per favore. Non provare a rigirarti le cose, quando lo ammetterai? Forse non te lo ricordi ma mi hai anche messo le mani addosso per Michael!-
-Ero ubbriaca avrei potuto anche spogliarmi immezzo al locale.-
-Ok e eri ubbriaca anche tutte le altre volte che avete fatto l’amore.-
-Siamo solo amici.-
-Certo, noi infatti facciamo sempre di queste cose.-
-Sophie che palle! Che hai oggi?-
Si avvicina verso di me, vorrei poterle dire che si sbaglia, vorrei trovare la forza il coraggio di poterle dire tutto quello che sento. Ma non ci riesco. Quando si mette immezzo l’orgoglio è dura spostarsi da una posizione.
-Niki voglio solo saperti felice, sei la mia amica e ti voglio bene, non capisco perché ti ostini a non vedere in faccia la realtà.-
Avrei voglia di abbracciarla, di stringerla e di scoppiare in lacrime, so che mi capirebbe, so che lo farebbe meglio di chiunque altro ma le sue parole hanno acceso qualcosa. Scavalcare il muro dell’autocontrollo non è mai facile.
-Sophie ho paura.-
Mi siedo sul divano, quasi quella confessione mi avesse fatto evaporare le energie necessarie per poter continuare.
Mi pento già di averlo detto ma ormai non posso tornare indietro. Parlarne magari mi farà finalmente stare meglio. Non voglio continuare a tenermi sul filo del dubbio all’infinito, i problemi vanno risolti prima che diventino più grandi di noi.
-Io non lo amo. Non da film romantico alla “Via col vento”.-
È tutto molto più surreale e reale allo stesso tempo. La nostra è più che altro passione, passione travolgente, è rispetto, ammirazione è piacere che diviene quasi doloroso.
-Niki…tu ti fai troppi problemi. Conosci Michael lo sai che non ti avrebbe mai nemmeno sfiorato una mano se non fosse stato più che sicuro su ciò che provava.-
In quell’istante sono certa che il mio sguardo chiedeva implorante una conferma, un aiuto, un segno, qualunque cosa servisse a farmi capire.
È più forte di me, ci provo a fare la donna forte, ma gli occhi non mentono mai.
-La festa al locale, il cinema all’aperto. Nicole ti è stato accanto soffocando i suoi sentimenti e i suoi ricordi quando non ricordavi più niente.-
-Si lo so, ma non devi convincermi di questo. Sophie stiamo parlando di Michael Jackson.-
Spalanca gli occhi e il suo sconcerto mi arriva dritto come una fitta al centro del cuore.
-Sai cosa intendo, lui si fida di me…ma cos’altro abbiamo? La fiducia e il sesso non sono di certo le basi per un rapporto.-
Alzo le spalle affondando la testa sul divano.
Sophie arranca in quel pensiero contorto e non posso far altro che capirla visto che neanch’io so dove volessi arrivare a parare.
-È una cazzata lo sai vero?-
-Si ma nessuno ha chiesto la tua opinione a riguardo.-
Vado verso il mobile in cucina, dovrebbe essere rimasto nascosto nei meandri di uno di quei cassetti un pacchetto di sigarette. Non fumo da quattro anni ma la voglia di sapere di farmi del male in un qualsiasi altro modo che mi distragga da questo è piuttosto confortante.
-Niki, parliamoci chiaro adesso, secondo me stai sbagliando.-
Schiocco la lingua in un gesto incredulo, non sono riuscita nemmeno a trovare l’ultimo piccolo pacchetto di speranza in tutta questa situazione.
Ma come siamo arrivate a parlare di questo?
-Tu lo ami.-
Sentirlo dire la qualcun altro mi spiazza. Forse trasalgo percettibilmente, mi volto verso Sophie con aria sicura, dura, ferma sulla mia posizione.
Almeno io non devo vacillare. I miei occhi potranno anche tradirmi ogni tanto ma il mio cervello, la ragione, quella no.
-Anche se fosse, non sarebbe abbastanza. Ho perso Daniel per lo stesso motivo, credi che sarei disposta a rinunciare ora a tutta la mia vita, al mio lavoro? Lo sai che è l’ultima persona al mondo in grado di gestire una relazione stabile. E io sono peggio di lui. Non dureremmo neanche un mese.-
Il silenzio invade ora la stanza si percepiscono soltanto i rumori ovattati del traffico sulla strada, sembrano un’eco che si prende gioco di me facendo rumori inconsistenti così come i miei pensieri in questo momento. Mi guarda per un istante che mi pare infinito.
-Non puoi ignorare il cuore in questo modo.-
Aggiunge puntando il dito contro di me. E non ce ne è alcun bisogno, mi sento già in colpa per aver iniziato questa discussione.
-Non lo ignoro, faccio solo la cosa giusta.-
Continua a guardarmi, senza lasciar trasparire più alcuna emozione, è convinta di aver colpito nel segno e vorrei tanto che si sbagliasse.
-Comunque mi ha detto di dirti se vuoi passare da lui, ha saputo di Daniel.-
Sento una vena di ironia in quelle parole.
-E come avrebbe fatto a saperlo?-
-Ah non lo so, le voci girano.-
Mi saluta con la mano mentre cammina all’indietro verso la porta.
Fisso un punto davanti a me cercando di immaginare cosa mai avrà da dirmi. Sophie se ne va lasciandomi sola con un pugno di mosche e mille interrogativi nella testa.
Capitolo 19
Sapete quando sono arrivata a Los Angeles non mi sarei mai aspettata niente di tutto questo. Volevo imparare il più possibile ed arrivare in alto con le mie forze, credevo mi bastasse solo questo.
Vi ricordate di quando ho parlato di mio padre? Beh stare lontano da lui e da tutto ciò che mi ricordasse la mia infanzia era l’unica cosa a cui aspiravo. Innamorarmi di Michael Jakcson non era di certo programmato.
E adesso di quell’isola di paradiso che sognavo da bambina è rimasto ben poco, ottenere degli ingaggi importanti e piuttosto pagati lautamente, non hanno soddisfatto a pieno ciò che cercavo.
Si beh complimenti. Mi do da sola una pacca incoraggiante sulla spalla.
Tutte quelle volte in cui sentire la sua voce mi faceva stare bene, quando spendevamo ore a parlare nella casetta ricoperta da una miriade di foglie verdi che adesso mi appare davanti agli occhi. Con la porta chiusa, buia, in silenzio.
I passi iniziano a farsi più pesanti, mi aspetta nella depandance senza avermi detto nulla, l’ultima volta che l’ho visto avevamo messo in chiaro che le cose tra noi fossero cambiate. Lo vedo mentre mi raggiunge e sfodera un sorriso misto a felicità e malinconia che già mi fa sentire meno sicura.
Ci sediamo vicini, l’inevitabile tensione si fa sentire nell’aria, sulla pelle, provo a farmi coraggio.
-Sophie mi ha detto che volevi vedermi.-
Provo a guardarlo mentre gli parlo, ma preferisco rimanere distaccata almeno per ora.
-Veramente…a me ha detto la stessa cosa.-
A quel punto ci guardiamo finalmente negli occhi consapevoli di essere solo delle pedine al gioco di Sophie. Entrambi stupiti rimaniamo in silenzio.
-Non ho parole…-
Dico nervosamente scuotendo la testa.
Michael scoppia a ridere.
-Neanch’io.- esclama. -Ma va benissimo così.- Aggiunge forse senza rendersene realmente conto. Un brivido mi pervade la schiena e cerco in tutti i modi di ignorarlo.
-Giuro che questa me la paga, adesso si mette anche a fare gli scherzi!-
Continua a ridere e mi guarda negli occhi con aria tranquilla. Incomincio a torturare il bracciale rosso di filo che ho al polso.
-Non ci vuoi proprio stare con me? O scappi o ti arrabbi, dovè la Niki che stava ore a parlare con me?-
I suoi occhi mi bloccano il respiro. Come ha fatto a venirgli in mente una domanda simile? È ovvio che voglio stare con lui.
-Devo andare Michael, scusa il disturbo.-
-Non puoi scappare sempre.-
Non dirmi cosa posso o non posso fare, non sto scappando. O forse si, scappo da tutto ciò che è in grado di provocarmi, scappo da lui, dal suo sorriso, dal suo sguardo, vado via lontano da quelle mani e dal dolore inevitabile che farà poi non saperlo più accanto a me.
-Se permetti, faccio ciò che voglio!-
-Niki lasciami parlare, solo un attimo.-
Magari se la smettessi di fissarmi così riuscirei ad ascoltare quello che hai da dirmi.
-Michael lascia perdere, non voglio sentire niente, voglio solo andarmene da qui.-
Gli volto le spalle e me ne vado.
-Nicole!-
Si come no, ti ignoro completamente ormai. Continua pure a chiamarmi tanto non mi giro.
Vado a passo svelto verso l’uscita di Neverland anche se i tacchi mi rallentano e mi fanno maledire quando ho deciso di metterli. E tutto per lui. Che cretina che sono.
-Niki!-
Continua a seguirmi. Vado allora in direzione della casa, lì non c’è prato o sassi che attentano alla mia salute per colpa di queste maledette scarpe.
Finalmente arrivo alla porta ma Michael mi raggiunge e mi blocca il braccio con una mano.
Scena già vista. Sento di non poter reggere oltre, vorrei poter urlare in questo momento.
Ma mi stringe contro la porta impedendomi ogni movimento. Sento il suo respiro tra i capelli, reso pesante dall’inseguimento di poco prima.
Si volta verso di me con l’aria più seria che gli ho mai visto assumere so già cosa accadrà adesso, tento di dire di “NO” vorrei staccarmi da lì, vorrei non sentire il calore del suo corpo accanto al mio e vorrei che non mi infondesse tutta questa sicurezza stare così tra le sue braccia.
-Hai detto che non volevi ascoltarmi e io non ho detto niente.-
Appoggia le labbra sulla mia guancia in un bacio delicato lento ed esasperato. Con una mano mi accarezza il viso e i suoi occhi si riempiono di luce.
-Sentimi Nicole...- sussurra soffiando le ultime lettere di quelle parole nella mia bocca e chiudendo il concetto con un bacio che non ammette repliche.
Apre la porta e ci ritroviamo nell’immenso soggiorno. Senza sapere come ha inizio un turbinio di emozioni che mi lascia senza parole.
Sono completamente in balia di ogni sentimento, di ogni suo gesto e tocco.
Dovrò fare a Sophie un regalo coi fiocchi.
I miei occhi incontrano i suoi e mi sorride liberando i corpi da tutto ciò che impedisce la nostra unione perfetta.
E così si consuma il muro che tanto avevo fatto per costruire, ogni minima traccia di orgoglio svanisce, ogni dubbio e preoccupazione lasciano lo spazio al desiderio, alla pura voglia di amare e di non vivere mai nemmeno un istante lontano da quest’uomo che racchiude ormai l’unico senso di una vita che fino ad ora ho solo vissuto a metà.
Capitolo 20
New York è un miracolo che mi sorprende ogni giorno di più. Non si vedono cupole, giardini o fontane. È tutta costruita su parallelepipedi rigidi e uguali. Un mare grigio si espande senza nulla che possa sembrare irregolare, senza un minimo accenno di verde. Quando lo sguardo si posa verso l'orizzonte si percepiscono solo angoli retti e forme geometriche. Eppure tutto ha dentro di sé un non so cosa di magico. Di giorno il sole che brilla su quella miriade di vetri li fa brillare come stelle e di notte infatti sembra che il cielo sia sceso su New York.
In autunno soprattutto è immersa in un atmosfera unica. Il cielo pallido, l'aria appena appena fresca, gli alberi quasi spogli ormai tinti di rosso che costeggiano gli enormi marciapiedi. Ma nella settimana della moda, è in quel periodo che prende vita ogni vezzo e ogni vizio che di solito sfuggono sotto la velocità instancabile di cui la città è impregnata in tutto il resto dell'anno.
Si vedono limousine girare per le vie principali ad ogni ora, i locali pullulano di ospiti speciali e novità. Ovviamente immancabile è la presenza di giornalisti e fotografi provenienti da tutto il mondo. Sono convinti di trovare scoop succulenti persino a delle sfilate, ma si sa, quando la notizia non c'è si fa presto anche ad inventarla.
Soprattutto oggi che il loro bersaglio preferito è qui a New York per presentare il suo nuovo album al Virgin Mega Store. Le voci che firmerà autografi anche a chi non è riuscito ad entrare hanno già fatto chilometri e pare proprio che i fans abbiano bloccato la strada in cui si trova il celebre negozio di dischi.
Mentre guardo il traffico impazzito dalla finestra dell'hotel mi preparo per l'ultima giornata di lavoro tra modelle, vestiti e flash impazienti. Decido di raccogliere i capelli, è un look decisamente più adatto per lavorare. Nel momento in cui stavo per passare l'ultimo strato di mascara qualcuno bussa alla porta chiedendo della signorina Jones.
Sospiro spazientita non ho proprio voglia di fare tardi, in questi giorni ho già avuto le mie belle distrazioni. Inoltre quando sono nervosa, beh lo sapete ormai, tendo ad eccedere con le reazioni.
Un singolare ometto dall'aria buffa se ne sta in piedi davanti alla porta con delle meravigliose orchidee in mano.
-Signorina Jones, queste sono per lei.-
dice con uno strano accento del sud e porgendomi i fiori con sorriso compiaciuto.
Orchidee.
I miei fiori preferiti in assoluto. Non sono una di quelle ragazze che si scioglie per un fiore o un paio di cioccolatini, ma le orchidee...le orchidee hanno un potere ammaliatore unico nel suo genere, almeno su di me.
Il loro profumo, lo stelo lungo e sottile e quel rosso magenta che colora i suoi petali ,insomma è un fiore straordinario.
-Grazie...ma chi li manda?-
chiedo mentre nel frattempo mi perdo già in quel profumo.
-Non lo so signorina, io consegno solamente.-
Annuisco, prendo dalla borsa sulla poltrona la mancia per il fattorino che se ne va salutando e ringraziando educatamente.
Tra le verdi lunghe foglie intravedo un bigliettino e con il cuore pieno di gioia lo prendo immediatamente, chiunque li abbia mandati non poteva farmi più felice di così.
“La primavera non ha un fiore più bello...di te.”
Una calligrafia che riconosco subito, alcune lettere sono in corsivo altre in stampatello, una particolarità, un segno inconfondibile che rimandano a un nome solo. Dietro il biglietto infatti compare in bella vista l'unico nome che avrei voluto leggere: Micheal.
Ve lo confesso in questo momento apprezzerei anche mille rose, cioccolatini e le frasi più sdolcinate che possano esistere.
***
È il turno di Christian Dior.
Non riesco a trattenere una risata ogni volta che sento questo nome.
Sophie aveva la bizzarra abitudine di usare “Christian Dior” come imprecazione o esclamazione di stupore, insomma era troppo divertente.
-Sophie fotograferò Michael Jackson!-
-Oh Christian Dior!-
Mi faceva morire dalle risate ogni volta, per fortuna le è durata poco. Non vi dico cosa ha detto quando ha scoperto che ci eravamo baciati.
-Hai visto sembra che dopo Debbie sia tornato con Lisa.-
-Lo sapevo, ma hai visto che cozza era quella donna, molto meglio la Presley.-
-Si infatti, ma poi pare non abbia mai smesso di amarla sai?-
-Ah si?-
-Si che carino, la ama ancora. Leggi questo articolo.-
Due modelle che leggono una rivista di gossip, non dovrei ascoltarle ma è inevitabile visto l'argomento.
Lo so. Lo so perfettamente i tabloid inventano storie tutti i giorni. Non immaginano neanche lontanamente quale sia la realtà.
Però non sarebbe così assurdo se provasse ancora qualcosa per Lisa Marie...
Ma che dico, sono gli stessi giornali che spacciavano per vere notizie come quella della camera iperbarica o dello sbiancamento. Assurdo. Non starò al loro gioco.
-Niki hai letto i giornali?-
-No Sophie non mi interessa certa roba.-
-Si ma...parlano di Mike, dicono che ci sono delle foto con la ex moglie.-
Inizio ad innervosirmi non tanto per l'insistenza con cui la cosa mi viene detta o per la notizia in sé ma perchè so che ormai sono riusciti inevitabilmente a mettermi la così detta pulce nell'orecchio.
-Sophie mi hai chiamata per questo?
-Beh si, volevo sapere se andava tutto bene.-
-Si va tutto bene. Ora devo lavorare. Ci sentiamo.-
Chiudo la conversazione senza smettere di pensare a tutte quelle maledette voci. Ora capisco quanto può far male una bugia sbandierata ai quattro venti che fa il giro del mondo in così poco tempo. Non sono abituata ad avvenimenti di questo tipo. Una delle cose che mi fa più arrabbiare è non essere creduta o essere presa in giro.
Meglio che continui a lavorare, non voglio che una stupidaggine mi rovini la giornata, era iniziata così bene.
Saluto tutti,metto in ordine le mie cose, sono stanca ma so che Michael stasera mi aspetta in Hotel perciò racimolo le ultime forze e un sorriso al pensiero mi attraversa il viso.
È tanto che non ci vediamo. È stata una fortuna trovarci tutti e due a New York nello stesso giorno, non vedo l'ora di vederlo e azzerare tutte quelle stupide dicerie.
-Niki vieni con noi?-
In uno di quei locali pieni di cretini? No grazie. Mi è bastata l'ultima volta.
-Ho già un impegno! Ma divertitevi anche per me.-
-Impegno? Dai come si chiama? Fai venire anche lui.-
Eh si ce lo vedo proprio.
-No non gli piacciono i posti troppo affollati, grazie lo stesso.-
Diciamo che più che altro ovunque vada diventa poi un posto affollato. Decisamente preferisco il nostro appuntamento in privato.
Se ne vanno sorridendo avendo capito che avevamo già ben altri programmi e io del resto non vedo l'ora che diventino realtà.
Entro nella mia camera, la prima cosa che voglio fare è cambiarmi.
Mi chiudo la porta alle spalle con il rumore del traffico ancora nelle tempie.
Faccio ancora qualche passo e lo vedo nella penombra della stanza, accendo la luce e appare davanti ai miei occhi con uno dei suoi sorrisi più belli.
Indica le orchidee, avvicinandosi e inspira il loro profumo.
-Ma che bel pensiero, qualcuno deve volerti proprio bene.-
Sento il bisogno quasi doloroso di sentirlo vicino, di stringerlo, di sapere che è lì, reale. Gli corro incontro e il tempo pare azzerarsi e ricominciare da dove ci eravamo lasciati.
I sorrisi si chiudono solo quando le nostre labbra si incontrano, morbide, fredde quasi inconsistenti. A poco a poco trovano il calore e la dolcezza inebriandosi di un nettare al limite del reale. Dio quanto mi è mancato! Due settimane appena e mi sembra il periodo più infinito della mia vita.
Stretti, guancia contro guancia rimaniamo così per un po'.
-Niki-
La sua voce che sussurra il mio nome mi risveglia dal sogno in cui le sue braccia mi portano ogni volta.
Mugugno qualcosa senza senso respirando ancora un po' del suo profumo.
-Tesoro, hey che succede?-
Mi accarezza i capelli e sorride divertito.
-Niente voglio restare così, stringimi.-
Mi stringe ancora di più respira tra i miei capelli e sento il calore del suo copro invadere il mio.
Non si muove, così vicino sento il battito del suo cuore che mi culla lentamente, facendomi trovare la serenità che avevo perso nel pomeriggio e di cui avevo bisogno.
-Michael.-
-Si.-
-Devo farmi la doccia.-
Scoppia a ridere e ci stacchiamo da quell'unione perfetta.
Sento il corpo raffreddarsi a contatto con l'aria quando si separa da me per le risate che lo fanno letteralmente piegare.
-Direi proprio di si.-
Spalanco la bocca.
-Cosa?- Vuoi dire che puzzo?-
Continua a ridere e la sua risata contagiosa fa sorridere anche me, cerco però di mantenere un'espressione seria, offesa.
-No dai scherzo.-
-Troppo tardi Michael Joseph Jackson adesso sono fatti tuoi!-
Gli salto letteralmente addosso facendogli il solletico. Michael continua a ridere e perde l'equilibrio. Ci ritroviamo sul tappeto senza nemmeno sapere come.
Quando si tratta di giocare in questo modo ha una velocità incredibile, mi ritrovo infatti sotto di lui senza riuscire a liberarmi e inizia a farmi il solletico per vendicarsi.
-Aaaaaah ok ok mi arrendo.-
Mi afferra per i polsi e li porta sopra la mia testa, si avvicina alle mie labbra.
-Non ci provare, non te lo meriti.-
Sorride guardandomi negli occhi, i respiri si fanno più lenti dopo la lotta di prima.
-Sicura?-
Lo sussurra talmente piano che intuisco il senso. Il cuore inizia a battere più forte ed ho quasi paura che da un momento all'altro possa uscire fuori.
La mia bocca senza che me ne renda conto cerca di avvicinarsi alla sua che dispettosamente si allontana di qualche centimetro.
Gli scosto allora una ciocca di capelli dal viso, scoprendo l'orecchio e sussurro una frase che ha l'effetto che cercavo.
Arrossisce a quella parola che dalla sua bocca non avrebbe mai trovato il coraggio per uscire.
Mi ha provocato, ha voluto giocare non cedendo alla mia richiesta di avere un bacio, la donna ammaliatrice che è in me è stata punta nell'orgoglio.
Sento di aver fatto centro e infatti finalmente le nostre labbra si uniscono.
La sua mano scende sulla spalla per poi stringere la mia gamba contro il suo fianco senza mai staccare la bocca dalla mia.
-Michael.-
Con un percettibile verso fa capire di aver sentito che stavo chiamando il suo nome.
-Michael doccia!-
Si mette a ridere. Quando parlo così si diverte a prendermi in giro. Come quella volta nel giardino di Neverland, mentre guardavamo il film, ricordate? “Michael pipì”
Prima che mi ricordassi di tutto, quando ancora c'era Daniel e avevo al collo la sua collana. A proposito, non so nemmeno dove l'ho lasciata. Mi dispiace per come è andata a finire tra noi.
-Tanto tra un po' la dovrai rifare.-
Cosa? Da quando risponde in questo modo. Avrà voluto insinuare qualcosa?
Quest'uomo mi sorprende ogni giorno di più e in positivo. Se continua così addio doccia, sia adesso che dopo. Dubito che tra qualche ora mi vada ancora di mettermi sotto l'acqua ed asciugarmi poi i capelli. No decisamente no.
C'è solo un problema...non voglio che si fermi, voglio stare qui su un tappeto e toccare di nuovo il cielo con un dito.
Va bene si ora vado. Promesso che vado.
Sembro una bambina che non si vuole svegliare per andare a scuola. “Altri 5 minuti”.
Trovo la lucidità pensando che l'attesa è parte del piacere stesso e aumentarla non rende che la cosa molto più invitante. Come se non lo fosse già abbastanza...
Ok basta.
Mi alzo lentamente sotto lo sguardo stupito di Michael che implora un altro bacio, ma stavolta sono io ad allontanarmi.
-Michael doccia te l'ho detto.-
Lascia cadere la testa verso il basso sospirando. Si sdraia sul tappetto con le braccia distese verso l'esterno.
-Va bene, aspetto qui.-
Finalmente mi libero del vestito che mi ha imprigionato per quasi tutto il giorno, sento una sensazione di sollievo e mi sciolgo i capelli che ricadono disordinati sulle spalle. Ogni movimento, ogni gesto è quasi fatto di scatto, non nascondo che sto andando di fretta. Non vi pare strano che in questo momento preferirei stare su un tappeto piuttosto che nella doccia. Sto diventando pazza vero? O magari già lo sono. Beh la follia allora mi piace da impazzire.
L'acqua calda si conferma ancora un volta una grande alleata quando durante la giornata accumulo tensione.
Libero la mente da qualsiasi cosa.
“Love never felt so good” intono una canzone senza rendermene conto.
Quando me ne accorgo non riesco a frenare una risata.
Continuo a divagare pensando a tutto e a niente.
Prendo l'asciugamano e quando apro la porta vedo Michael in piedi che mi guarda divertito. Si avvicina. Mi cinge la vita con le braccia.
-Baby, Love never felt so good.-
canta a bassa voce avvicinandosi al mio orecchio.
Niente avrebbe potuto esprimere meglio ciò che sento in questo istante se non una sua canzone.
Niente avrebbe potuto incarnare meglio tutto ciò di cui ho bisogno se non lui.
Restare da sola non mi ha dato il sollievo che aspettavo di avere. Sono così delusa da tutto, da me, da lui che qualunque cosa appare deprimente ai miei occhi. Non che non me lo aspettassi. Diciamocelo pure, non è che abbia lottato per trattenerlo ma inaspettatamente un gradevole senso di serenità mi ha avvolto fin da quando ho aperto gli occhi questa mattina.
È in momenti come questi, in cui mi abbandono ad ogni mia cellula chiudendo il mondo frenetico e problematico fuori dalla porta del cuore e delle senzazioni, che voglio solo una persona accanto a me.
Chi meglio delle amiche, chi meglio di Sophie.
-Dimmi un po’, quante parolacce gli hai urlato contro?-
Mentre prendeva un’altra zolletta di zucchero da mettere dentro il thè, fissava ripetutamente il cucchiaino girare cercando di non scoppiare a ridere da un momento all‘altro.
-Nessuna.-
Dissi alzando un sopracciglio tentando di assumere l’aria più seria che potessi trovare in quel momento.
-Mmm, ok, allora quante costole gli hai rotto?-
-Sophie!-
-Tieni prenditi un biscotto và…-
Mi allunga uno dei suoi biscotti al cioccolato fatti in casa oltre alle gocce di cioccolata fondente, l’ingrediente principale è il sottile strano nero carbone che incornicia i biscotti. Qualche minuto in meno nel forno e forse sarebbero persino commestibili. Ne prendo uno e lo lascio sul tavolo, tanto neanche lei ha mai il coraggio di mangiarli sul serio.
-Se ne è andato e basta, gli ho detto che non potevo partire perché ero impegnata ed è andato su tutte le furie, avresti dovuto vederlo.-
-Però secondo me la collana di fiori ti starebbe bene.-
Senza le nostre chiacchierate non so se sarei riuscita a superare situazioni del genere. Adoro quando con un sorriso, una battuta, una frase sciocca senza senso riesce a farmi stare bene. Litighiamo spesso, ci picchiamo, insultiamo ma alla fine siamo sempre noi, solo noi come la famiglia che non ho mai avuto la possibilità di vivere.
-Aloha! Ma te lo immagini…-
-Si si io immagino, ma Niki adesso che farai? Con Michael intendo. CAMPO LIBERO!-
Tira fuori uno dei suoi sorrisi più maliziosi e ironici che le abbia mai visto.
-Ma perché tutti pensate che abbia chissà quale ossessione sessuale nei confronti di Michael.-
-No Niki nessuna ossessione, solo amore.-
Sospiro portando la tazza calda del thè alle labbra, guadagno quei pochi secondi che mi servono per rispondere.
-E poi scusa, tutti chi?-
Non mi dà il tempo di controbattere.
-Daniel, ieri sera, ha detto che non volevo partire con lui per non stare lontano da Michael.-
-Allora non è scemo come sembra.-
-Sophie si è scemo se pensa certe cose è l’uomo più scemo sulla faccia della Terra e tu pure se fai così.-
Al diavolo il thè.
Mi alzo completamente spazientita, mi irritano le ipotesi formulate senza conoscere prima come stanno realmente le cose. Hanno tutti la presunzione di sapere quale e come sia la verità. Io non vado a sentenziare suoi sentimenti di nessuno e pretendo che venga fatto lo stesso per i miei.
-Ah Nicole adesso smettila per favore. Non provare a rigirarti le cose, quando lo ammetterai? Forse non te lo ricordi ma mi hai anche messo le mani addosso per Michael!-
-Ero ubbriaca avrei potuto anche spogliarmi immezzo al locale.-
-Ok e eri ubbriaca anche tutte le altre volte che avete fatto l’amore.-
-Siamo solo amici.-
-Certo, noi infatti facciamo sempre di queste cose.-
-Sophie che palle! Che hai oggi?-
Si avvicina verso di me, vorrei poterle dire che si sbaglia, vorrei trovare la forza il coraggio di poterle dire tutto quello che sento. Ma non ci riesco. Quando si mette immezzo l’orgoglio è dura spostarsi da una posizione.
-Niki voglio solo saperti felice, sei la mia amica e ti voglio bene, non capisco perché ti ostini a non vedere in faccia la realtà.-
Avrei voglia di abbracciarla, di stringerla e di scoppiare in lacrime, so che mi capirebbe, so che lo farebbe meglio di chiunque altro ma le sue parole hanno acceso qualcosa. Scavalcare il muro dell’autocontrollo non è mai facile.
-Sophie ho paura.-
Mi siedo sul divano, quasi quella confessione mi avesse fatto evaporare le energie necessarie per poter continuare.
Mi pento già di averlo detto ma ormai non posso tornare indietro. Parlarne magari mi farà finalmente stare meglio. Non voglio continuare a tenermi sul filo del dubbio all’infinito, i problemi vanno risolti prima che diventino più grandi di noi.
-Io non lo amo. Non da film romantico alla “Via col vento”.-
È tutto molto più surreale e reale allo stesso tempo. La nostra è più che altro passione, passione travolgente, è rispetto, ammirazione è piacere che diviene quasi doloroso.
-Niki…tu ti fai troppi problemi. Conosci Michael lo sai che non ti avrebbe mai nemmeno sfiorato una mano se non fosse stato più che sicuro su ciò che provava.-
In quell’istante sono certa che il mio sguardo chiedeva implorante una conferma, un aiuto, un segno, qualunque cosa servisse a farmi capire.
È più forte di me, ci provo a fare la donna forte, ma gli occhi non mentono mai.
-La festa al locale, il cinema all’aperto. Nicole ti è stato accanto soffocando i suoi sentimenti e i suoi ricordi quando non ricordavi più niente.-
-Si lo so, ma non devi convincermi di questo. Sophie stiamo parlando di Michael Jackson.-
Spalanca gli occhi e il suo sconcerto mi arriva dritto come una fitta al centro del cuore.
-Sai cosa intendo, lui si fida di me…ma cos’altro abbiamo? La fiducia e il sesso non sono di certo le basi per un rapporto.-
Alzo le spalle affondando la testa sul divano.
Sophie arranca in quel pensiero contorto e non posso far altro che capirla visto che neanch’io so dove volessi arrivare a parare.
-È una cazzata lo sai vero?-
-Si ma nessuno ha chiesto la tua opinione a riguardo.-
Vado verso il mobile in cucina, dovrebbe essere rimasto nascosto nei meandri di uno di quei cassetti un pacchetto di sigarette. Non fumo da quattro anni ma la voglia di sapere di farmi del male in un qualsiasi altro modo che mi distragga da questo è piuttosto confortante.
-Niki, parliamoci chiaro adesso, secondo me stai sbagliando.-
Schiocco la lingua in un gesto incredulo, non sono riuscita nemmeno a trovare l’ultimo piccolo pacchetto di speranza in tutta questa situazione.
Ma come siamo arrivate a parlare di questo?
-Tu lo ami.-
Sentirlo dire la qualcun altro mi spiazza. Forse trasalgo percettibilmente, mi volto verso Sophie con aria sicura, dura, ferma sulla mia posizione.
Almeno io non devo vacillare. I miei occhi potranno anche tradirmi ogni tanto ma il mio cervello, la ragione, quella no.
-Anche se fosse, non sarebbe abbastanza. Ho perso Daniel per lo stesso motivo, credi che sarei disposta a rinunciare ora a tutta la mia vita, al mio lavoro? Lo sai che è l’ultima persona al mondo in grado di gestire una relazione stabile. E io sono peggio di lui. Non dureremmo neanche un mese.-
Il silenzio invade ora la stanza si percepiscono soltanto i rumori ovattati del traffico sulla strada, sembrano un’eco che si prende gioco di me facendo rumori inconsistenti così come i miei pensieri in questo momento. Mi guarda per un istante che mi pare infinito.
-Non puoi ignorare il cuore in questo modo.-
Aggiunge puntando il dito contro di me. E non ce ne è alcun bisogno, mi sento già in colpa per aver iniziato questa discussione.
-Non lo ignoro, faccio solo la cosa giusta.-
Continua a guardarmi, senza lasciar trasparire più alcuna emozione, è convinta di aver colpito nel segno e vorrei tanto che si sbagliasse.
-Comunque mi ha detto di dirti se vuoi passare da lui, ha saputo di Daniel.-
Sento una vena di ironia in quelle parole.
-E come avrebbe fatto a saperlo?-
-Ah non lo so, le voci girano.-
Mi saluta con la mano mentre cammina all’indietro verso la porta.
Fisso un punto davanti a me cercando di immaginare cosa mai avrà da dirmi. Sophie se ne va lasciandomi sola con un pugno di mosche e mille interrogativi nella testa.
Capitolo 19
Sapete quando sono arrivata a Los Angeles non mi sarei mai aspettata niente di tutto questo. Volevo imparare il più possibile ed arrivare in alto con le mie forze, credevo mi bastasse solo questo.
Vi ricordate di quando ho parlato di mio padre? Beh stare lontano da lui e da tutto ciò che mi ricordasse la mia infanzia era l’unica cosa a cui aspiravo. Innamorarmi di Michael Jakcson non era di certo programmato.
E adesso di quell’isola di paradiso che sognavo da bambina è rimasto ben poco, ottenere degli ingaggi importanti e piuttosto pagati lautamente, non hanno soddisfatto a pieno ciò che cercavo.
Si beh complimenti. Mi do da sola una pacca incoraggiante sulla spalla.
Tutte quelle volte in cui sentire la sua voce mi faceva stare bene, quando spendevamo ore a parlare nella casetta ricoperta da una miriade di foglie verdi che adesso mi appare davanti agli occhi. Con la porta chiusa, buia, in silenzio.
I passi iniziano a farsi più pesanti, mi aspetta nella depandance senza avermi detto nulla, l’ultima volta che l’ho visto avevamo messo in chiaro che le cose tra noi fossero cambiate. Lo vedo mentre mi raggiunge e sfodera un sorriso misto a felicità e malinconia che già mi fa sentire meno sicura.
Ci sediamo vicini, l’inevitabile tensione si fa sentire nell’aria, sulla pelle, provo a farmi coraggio.
-Sophie mi ha detto che volevi vedermi.-
Provo a guardarlo mentre gli parlo, ma preferisco rimanere distaccata almeno per ora.
-Veramente…a me ha detto la stessa cosa.-
A quel punto ci guardiamo finalmente negli occhi consapevoli di essere solo delle pedine al gioco di Sophie. Entrambi stupiti rimaniamo in silenzio.
-Non ho parole…-
Dico nervosamente scuotendo la testa.
Michael scoppia a ridere.
-Neanch’io.- esclama. -Ma va benissimo così.- Aggiunge forse senza rendersene realmente conto. Un brivido mi pervade la schiena e cerco in tutti i modi di ignorarlo.
-Giuro che questa me la paga, adesso si mette anche a fare gli scherzi!-
Continua a ridere e mi guarda negli occhi con aria tranquilla. Incomincio a torturare il bracciale rosso di filo che ho al polso.
-Non ci vuoi proprio stare con me? O scappi o ti arrabbi, dovè la Niki che stava ore a parlare con me?-
I suoi occhi mi bloccano il respiro. Come ha fatto a venirgli in mente una domanda simile? È ovvio che voglio stare con lui.
-Devo andare Michael, scusa il disturbo.-
-Non puoi scappare sempre.-
Non dirmi cosa posso o non posso fare, non sto scappando. O forse si, scappo da tutto ciò che è in grado di provocarmi, scappo da lui, dal suo sorriso, dal suo sguardo, vado via lontano da quelle mani e dal dolore inevitabile che farà poi non saperlo più accanto a me.
-Se permetti, faccio ciò che voglio!-
-Niki lasciami parlare, solo un attimo.-
Magari se la smettessi di fissarmi così riuscirei ad ascoltare quello che hai da dirmi.
-Michael lascia perdere, non voglio sentire niente, voglio solo andarmene da qui.-
Gli volto le spalle e me ne vado.
-Nicole!-
Si come no, ti ignoro completamente ormai. Continua pure a chiamarmi tanto non mi giro.
Vado a passo svelto verso l’uscita di Neverland anche se i tacchi mi rallentano e mi fanno maledire quando ho deciso di metterli. E tutto per lui. Che cretina che sono.
-Niki!-
Continua a seguirmi. Vado allora in direzione della casa, lì non c’è prato o sassi che attentano alla mia salute per colpa di queste maledette scarpe.
Finalmente arrivo alla porta ma Michael mi raggiunge e mi blocca il braccio con una mano.
Scena già vista. Sento di non poter reggere oltre, vorrei poter urlare in questo momento.
Ma mi stringe contro la porta impedendomi ogni movimento. Sento il suo respiro tra i capelli, reso pesante dall’inseguimento di poco prima.
Si volta verso di me con l’aria più seria che gli ho mai visto assumere so già cosa accadrà adesso, tento di dire di “NO” vorrei staccarmi da lì, vorrei non sentire il calore del suo corpo accanto al mio e vorrei che non mi infondesse tutta questa sicurezza stare così tra le sue braccia.
-Hai detto che non volevi ascoltarmi e io non ho detto niente.-
Appoggia le labbra sulla mia guancia in un bacio delicato lento ed esasperato. Con una mano mi accarezza il viso e i suoi occhi si riempiono di luce.
-Sentimi Nicole...- sussurra soffiando le ultime lettere di quelle parole nella mia bocca e chiudendo il concetto con un bacio che non ammette repliche.
Apre la porta e ci ritroviamo nell’immenso soggiorno. Senza sapere come ha inizio un turbinio di emozioni che mi lascia senza parole.
Sono completamente in balia di ogni sentimento, di ogni suo gesto e tocco.
Dovrò fare a Sophie un regalo coi fiocchi.
I miei occhi incontrano i suoi e mi sorride liberando i corpi da tutto ciò che impedisce la nostra unione perfetta.
E così si consuma il muro che tanto avevo fatto per costruire, ogni minima traccia di orgoglio svanisce, ogni dubbio e preoccupazione lasciano lo spazio al desiderio, alla pura voglia di amare e di non vivere mai nemmeno un istante lontano da quest’uomo che racchiude ormai l’unico senso di una vita che fino ad ora ho solo vissuto a metà.
Capitolo 20
New York è un miracolo che mi sorprende ogni giorno di più. Non si vedono cupole, giardini o fontane. È tutta costruita su parallelepipedi rigidi e uguali. Un mare grigio si espande senza nulla che possa sembrare irregolare, senza un minimo accenno di verde. Quando lo sguardo si posa verso l'orizzonte si percepiscono solo angoli retti e forme geometriche. Eppure tutto ha dentro di sé un non so cosa di magico. Di giorno il sole che brilla su quella miriade di vetri li fa brillare come stelle e di notte infatti sembra che il cielo sia sceso su New York.
In autunno soprattutto è immersa in un atmosfera unica. Il cielo pallido, l'aria appena appena fresca, gli alberi quasi spogli ormai tinti di rosso che costeggiano gli enormi marciapiedi. Ma nella settimana della moda, è in quel periodo che prende vita ogni vezzo e ogni vizio che di solito sfuggono sotto la velocità instancabile di cui la città è impregnata in tutto il resto dell'anno.
Si vedono limousine girare per le vie principali ad ogni ora, i locali pullulano di ospiti speciali e novità. Ovviamente immancabile è la presenza di giornalisti e fotografi provenienti da tutto il mondo. Sono convinti di trovare scoop succulenti persino a delle sfilate, ma si sa, quando la notizia non c'è si fa presto anche ad inventarla.
Soprattutto oggi che il loro bersaglio preferito è qui a New York per presentare il suo nuovo album al Virgin Mega Store. Le voci che firmerà autografi anche a chi non è riuscito ad entrare hanno già fatto chilometri e pare proprio che i fans abbiano bloccato la strada in cui si trova il celebre negozio di dischi.
Mentre guardo il traffico impazzito dalla finestra dell'hotel mi preparo per l'ultima giornata di lavoro tra modelle, vestiti e flash impazienti. Decido di raccogliere i capelli, è un look decisamente più adatto per lavorare. Nel momento in cui stavo per passare l'ultimo strato di mascara qualcuno bussa alla porta chiedendo della signorina Jones.
Sospiro spazientita non ho proprio voglia di fare tardi, in questi giorni ho già avuto le mie belle distrazioni. Inoltre quando sono nervosa, beh lo sapete ormai, tendo ad eccedere con le reazioni.
Un singolare ometto dall'aria buffa se ne sta in piedi davanti alla porta con delle meravigliose orchidee in mano.
-Signorina Jones, queste sono per lei.-
dice con uno strano accento del sud e porgendomi i fiori con sorriso compiaciuto.
Orchidee.
I miei fiori preferiti in assoluto. Non sono una di quelle ragazze che si scioglie per un fiore o un paio di cioccolatini, ma le orchidee...le orchidee hanno un potere ammaliatore unico nel suo genere, almeno su di me.
Il loro profumo, lo stelo lungo e sottile e quel rosso magenta che colora i suoi petali ,insomma è un fiore straordinario.
-Grazie...ma chi li manda?-
chiedo mentre nel frattempo mi perdo già in quel profumo.
-Non lo so signorina, io consegno solamente.-
Annuisco, prendo dalla borsa sulla poltrona la mancia per il fattorino che se ne va salutando e ringraziando educatamente.
Tra le verdi lunghe foglie intravedo un bigliettino e con il cuore pieno di gioia lo prendo immediatamente, chiunque li abbia mandati non poteva farmi più felice di così.
“La primavera non ha un fiore più bello...di te.”
Una calligrafia che riconosco subito, alcune lettere sono in corsivo altre in stampatello, una particolarità, un segno inconfondibile che rimandano a un nome solo. Dietro il biglietto infatti compare in bella vista l'unico nome che avrei voluto leggere: Micheal.
Ve lo confesso in questo momento apprezzerei anche mille rose, cioccolatini e le frasi più sdolcinate che possano esistere.
***
È il turno di Christian Dior.
Non riesco a trattenere una risata ogni volta che sento questo nome.
Sophie aveva la bizzarra abitudine di usare “Christian Dior” come imprecazione o esclamazione di stupore, insomma era troppo divertente.
-Sophie fotograferò Michael Jackson!-
-Oh Christian Dior!-
Mi faceva morire dalle risate ogni volta, per fortuna le è durata poco. Non vi dico cosa ha detto quando ha scoperto che ci eravamo baciati.
-Hai visto sembra che dopo Debbie sia tornato con Lisa.-
-Lo sapevo, ma hai visto che cozza era quella donna, molto meglio la Presley.-
-Si infatti, ma poi pare non abbia mai smesso di amarla sai?-
-Ah si?-
-Si che carino, la ama ancora. Leggi questo articolo.-
Due modelle che leggono una rivista di gossip, non dovrei ascoltarle ma è inevitabile visto l'argomento.
Lo so. Lo so perfettamente i tabloid inventano storie tutti i giorni. Non immaginano neanche lontanamente quale sia la realtà.
Però non sarebbe così assurdo se provasse ancora qualcosa per Lisa Marie...
Ma che dico, sono gli stessi giornali che spacciavano per vere notizie come quella della camera iperbarica o dello sbiancamento. Assurdo. Non starò al loro gioco.
-Niki hai letto i giornali?-
-No Sophie non mi interessa certa roba.-
-Si ma...parlano di Mike, dicono che ci sono delle foto con la ex moglie.-
Inizio ad innervosirmi non tanto per l'insistenza con cui la cosa mi viene detta o per la notizia in sé ma perchè so che ormai sono riusciti inevitabilmente a mettermi la così detta pulce nell'orecchio.
-Sophie mi hai chiamata per questo?
-Beh si, volevo sapere se andava tutto bene.-
-Si va tutto bene. Ora devo lavorare. Ci sentiamo.-
Chiudo la conversazione senza smettere di pensare a tutte quelle maledette voci. Ora capisco quanto può far male una bugia sbandierata ai quattro venti che fa il giro del mondo in così poco tempo. Non sono abituata ad avvenimenti di questo tipo. Una delle cose che mi fa più arrabbiare è non essere creduta o essere presa in giro.
Meglio che continui a lavorare, non voglio che una stupidaggine mi rovini la giornata, era iniziata così bene.
Saluto tutti,metto in ordine le mie cose, sono stanca ma so che Michael stasera mi aspetta in Hotel perciò racimolo le ultime forze e un sorriso al pensiero mi attraversa il viso.
È tanto che non ci vediamo. È stata una fortuna trovarci tutti e due a New York nello stesso giorno, non vedo l'ora di vederlo e azzerare tutte quelle stupide dicerie.
-Niki vieni con noi?-
In uno di quei locali pieni di cretini? No grazie. Mi è bastata l'ultima volta.
-Ho già un impegno! Ma divertitevi anche per me.-
-Impegno? Dai come si chiama? Fai venire anche lui.-
Eh si ce lo vedo proprio.
-No non gli piacciono i posti troppo affollati, grazie lo stesso.-
Diciamo che più che altro ovunque vada diventa poi un posto affollato. Decisamente preferisco il nostro appuntamento in privato.
Se ne vanno sorridendo avendo capito che avevamo già ben altri programmi e io del resto non vedo l'ora che diventino realtà.
Entro nella mia camera, la prima cosa che voglio fare è cambiarmi.
Mi chiudo la porta alle spalle con il rumore del traffico ancora nelle tempie.
Faccio ancora qualche passo e lo vedo nella penombra della stanza, accendo la luce e appare davanti ai miei occhi con uno dei suoi sorrisi più belli.
Indica le orchidee, avvicinandosi e inspira il loro profumo.
-Ma che bel pensiero, qualcuno deve volerti proprio bene.-
Sento il bisogno quasi doloroso di sentirlo vicino, di stringerlo, di sapere che è lì, reale. Gli corro incontro e il tempo pare azzerarsi e ricominciare da dove ci eravamo lasciati.
I sorrisi si chiudono solo quando le nostre labbra si incontrano, morbide, fredde quasi inconsistenti. A poco a poco trovano il calore e la dolcezza inebriandosi di un nettare al limite del reale. Dio quanto mi è mancato! Due settimane appena e mi sembra il periodo più infinito della mia vita.
Stretti, guancia contro guancia rimaniamo così per un po'.
-Niki-
La sua voce che sussurra il mio nome mi risveglia dal sogno in cui le sue braccia mi portano ogni volta.
Mugugno qualcosa senza senso respirando ancora un po' del suo profumo.
-Tesoro, hey che succede?-
Mi accarezza i capelli e sorride divertito.
-Niente voglio restare così, stringimi.-
Mi stringe ancora di più respira tra i miei capelli e sento il calore del suo copro invadere il mio.
Non si muove, così vicino sento il battito del suo cuore che mi culla lentamente, facendomi trovare la serenità che avevo perso nel pomeriggio e di cui avevo bisogno.
-Michael.-
-Si.-
-Devo farmi la doccia.-
Scoppia a ridere e ci stacchiamo da quell'unione perfetta.
Sento il corpo raffreddarsi a contatto con l'aria quando si separa da me per le risate che lo fanno letteralmente piegare.
-Direi proprio di si.-
Spalanco la bocca.
-Cosa?- Vuoi dire che puzzo?-
Continua a ridere e la sua risata contagiosa fa sorridere anche me, cerco però di mantenere un'espressione seria, offesa.
-No dai scherzo.-
-Troppo tardi Michael Joseph Jackson adesso sono fatti tuoi!-
Gli salto letteralmente addosso facendogli il solletico. Michael continua a ridere e perde l'equilibrio. Ci ritroviamo sul tappeto senza nemmeno sapere come.
Quando si tratta di giocare in questo modo ha una velocità incredibile, mi ritrovo infatti sotto di lui senza riuscire a liberarmi e inizia a farmi il solletico per vendicarsi.
-Aaaaaah ok ok mi arrendo.-
Mi afferra per i polsi e li porta sopra la mia testa, si avvicina alle mie labbra.
-Non ci provare, non te lo meriti.-
Sorride guardandomi negli occhi, i respiri si fanno più lenti dopo la lotta di prima.
-Sicura?-
Lo sussurra talmente piano che intuisco il senso. Il cuore inizia a battere più forte ed ho quasi paura che da un momento all'altro possa uscire fuori.
La mia bocca senza che me ne renda conto cerca di avvicinarsi alla sua che dispettosamente si allontana di qualche centimetro.
Gli scosto allora una ciocca di capelli dal viso, scoprendo l'orecchio e sussurro una frase che ha l'effetto che cercavo.
Arrossisce a quella parola che dalla sua bocca non avrebbe mai trovato il coraggio per uscire.
Mi ha provocato, ha voluto giocare non cedendo alla mia richiesta di avere un bacio, la donna ammaliatrice che è in me è stata punta nell'orgoglio.
Sento di aver fatto centro e infatti finalmente le nostre labbra si uniscono.
La sua mano scende sulla spalla per poi stringere la mia gamba contro il suo fianco senza mai staccare la bocca dalla mia.
-Michael.-
Con un percettibile verso fa capire di aver sentito che stavo chiamando il suo nome.
-Michael doccia!-
Si mette a ridere. Quando parlo così si diverte a prendermi in giro. Come quella volta nel giardino di Neverland, mentre guardavamo il film, ricordate? “Michael pipì”
Prima che mi ricordassi di tutto, quando ancora c'era Daniel e avevo al collo la sua collana. A proposito, non so nemmeno dove l'ho lasciata. Mi dispiace per come è andata a finire tra noi.
-Tanto tra un po' la dovrai rifare.-
Cosa? Da quando risponde in questo modo. Avrà voluto insinuare qualcosa?
Quest'uomo mi sorprende ogni giorno di più e in positivo. Se continua così addio doccia, sia adesso che dopo. Dubito che tra qualche ora mi vada ancora di mettermi sotto l'acqua ed asciugarmi poi i capelli. No decisamente no.
C'è solo un problema...non voglio che si fermi, voglio stare qui su un tappeto e toccare di nuovo il cielo con un dito.
Va bene si ora vado. Promesso che vado.
Sembro una bambina che non si vuole svegliare per andare a scuola. “Altri 5 minuti”.
Trovo la lucidità pensando che l'attesa è parte del piacere stesso e aumentarla non rende che la cosa molto più invitante. Come se non lo fosse già abbastanza...
Ok basta.
Mi alzo lentamente sotto lo sguardo stupito di Michael che implora un altro bacio, ma stavolta sono io ad allontanarmi.
-Michael doccia te l'ho detto.-
Lascia cadere la testa verso il basso sospirando. Si sdraia sul tappetto con le braccia distese verso l'esterno.
-Va bene, aspetto qui.-
Finalmente mi libero del vestito che mi ha imprigionato per quasi tutto il giorno, sento una sensazione di sollievo e mi sciolgo i capelli che ricadono disordinati sulle spalle. Ogni movimento, ogni gesto è quasi fatto di scatto, non nascondo che sto andando di fretta. Non vi pare strano che in questo momento preferirei stare su un tappeto piuttosto che nella doccia. Sto diventando pazza vero? O magari già lo sono. Beh la follia allora mi piace da impazzire.
L'acqua calda si conferma ancora un volta una grande alleata quando durante la giornata accumulo tensione.
Libero la mente da qualsiasi cosa.
“Love never felt so good” intono una canzone senza rendermene conto.
Quando me ne accorgo non riesco a frenare una risata.
Continuo a divagare pensando a tutto e a niente.
Prendo l'asciugamano e quando apro la porta vedo Michael in piedi che mi guarda divertito. Si avvicina. Mi cinge la vita con le braccia.
-Baby, Love never felt so good.-
canta a bassa voce avvicinandosi al mio orecchio.
Niente avrebbe potuto esprimere meglio ciò che sento in questo istante se non una sua canzone.
Niente avrebbe potuto incarnare meglio tutto ciò di cui ho bisogno se non lui.
marina56- Moderator
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Re: Ricordi sbiaditi (terminata)
Capitolo 21
Michael...-
-mhhh-
-Parecchio tempo fa ho fatto un sogno simile.-
-In che senso.-
-Io, tu, la doccia...-
Lui dischiuse le labbra cercando di focalizzare al meglio i miei occhi pieni di desiderio.
Iniziai a sbottonargli la camicia, via il primo bottone...il secondo...lasciando in mostra solo una maglietta bianca a maniche corte.
Nel frattempo ci diriggemmo verso il letto finchè le ginocchia di Michael non trovarono per prime il materasso.
-Potevi dirmelo prima, sarebbe potuto diventare reale...-
Mi mise le mani sui fianchi facendo cadere l'asciugamano a terra.
Indietreggiando con i gomiti sul letto lo raggiunsi senza dire una parola liberando finalmente quella parte che ormai a fatica restava sotto il tessuto teso. Accompagnato da un gemito di sollievo e irrefrenabile desiderio si lasciava andare dalla moltitudine di sensazioni che la mia mano calda con angosciosa lentezza gli stava regalando.
-È questo il nostro sogno...-
gli dissi infine guidandolo dentro di me.
Michael gemette riversando la testa sul cuscino sollevandosi dall'ampio materasso per il piacere intenso.
Il sangue ribolliva e sentivo la pelle farsi più sottile ero sicura che da un momento all'altro sotto il suo tocco mi sarei sgretolata in mille pezzettini ed ognuno di essi sarebbe finito inghiottito dentro il suo essere perchè solo lì, dentro di lui avrebbero potuto continuare ad esistere.
Le luci della notte entravano nella stanza riflettendo sull'arredamento barocco dell'albergo, nell'aria l'odore dolce delle orchidee ancora volava inebriante e intorno a noi il silenzio, finchè persi all'apice di sempre le nostre voci all'unisono tagliarono la quiete apparente in cui eravamo immersi.
Proprio di questo avevo paura, di annullarmi, di cedere tutto e svanire nel nulla.
Quando si ama così, in questo modo in cui non esistiamo più divisi distintamente l'uno dell'altra si finisce sempre inevitabilmente per soffrire.
Lo sapevo.
Non posso tornare indietro è troppo tardi ormai, non vivo senza lui...ma se restassi cosa sarebbe poi di me? Sarei come chiusa in una piccola scatola sempre e solo sotto la sua custodia.
Molto probabilmente il mio non è nemmeno vero amore, sono troppo egoista per poter amare qualcunaltro e penso subito che mi stia soffocando.
Non sono più una ragazzina ho superato i diciotto da un bel pò è finito da parecchio il tempo delle cotte e delle storie avventurose. Però addormentarmi con la testa sul suo petto,sentirlo così vicino, così mio mi fa azzerare ogni pensiero sconnesso.
"Ti fai troppi problemi" Sophie aveva ragione. Vi assicuro che quando mi prendono questi momenti da dubbi amletici non mi sopporto. Ho sofferto troppo in passato per gli uomini, a cominciare da quello che sarebbe dovuto essere il più importante di tutti, quello che mi ha dato la vita, e così ogni volta penso che ci sia dietro l'angolo un colpo pronto a farmi del male.
Qualè il problema? lui è meraviglioso, siamo in un attico a New York e non dovrò lavorare per un bel pò...
All'improvviso sento freddo, mi stringo a Michael e un pensiero lacerante mi attraversa la mente.
Non mi ha ancora detto che mi ama...e nemmeno io l'ho fatto.
Tutta la mia insicurezza ha le sue fondamenta ben piantate a terra. E se davvero amasse ancora Lisa Marie e non riuscisse a dirmelo?
Neanch'io però gliel'ho detto, magari semplicemente non c'è stato il momento giusto per farlo...
Si muove mentre è immerso nel sonno, ha un'aria serena, è così bello mentre dorme. Alcune ciocche di capelli gli coprono dispettosamente il viso che sotto la luce bianca della notte assume un colorito pallido, sembra quasi che i miei pensieri lo disturbino in qualche modo. Prego perchè non si svegli da un momento all'altro,non riuscirei ad affrontare una discussione del genere adesso.
Istintivamente in maniera del tutto inconscia si avvicina ancora di più a me e mi stringe. Lo prendo come un gesto rassicurante arrivato nel momento giusto.
Qualunque cosa sia, qualsiasi cosa accada, niente riuscirà a rovinare il nostro sogno.
***
Sull'aereo per tornare a Los Angeles siamo seduti lontani, troppo lontani. Nessuno sa ancora di noi, abbiamo diritto alla nostra privacy, la pace che ci meritiamo, soprattutto Michael che vede da anni sbattere in prima pagina eventi più o meno importanti della sua vita privata.
E' per questo che si è letteralmente imbacuccato dalla testa ai piedi, beh più o meno.
Ha una strana barba finta che devo dire, lo rende piuttosto affascinante, un capellino rosso con visiera e degli occhiali neri da sole. Tanto per non dare nell'occhio ha lasciato che un ricciolo gli cadesse sulla fronte e dallo stacco tra i pantaloni e le scarpe si intravede l'immancabile calzino bianco. Solo un cieco non lo riconoscerebbe. Ma pare sia passato indenne per il momento.
Continua a girarsi arrampicandosi sul sedile su cui è seduto per guardarmi e mi sorride cercando di non farlo notare troppo agli altri passeggeri.
Lo guardo divertita, quando la hostess mi dà le spalle per domandare al signore davanti a me se desidera altro succo d'arancia,Michael si rivolta verso di me e gli mando un bacio con la mano. Si sente una risata stridula subito soffocata in un finto attacco di tosse.
Per fortuna a terra la limousine bianca di Michael ci stava aspettando, è stato tutto molto breve e indolore grazie al cielo.
-Niki per poco non ci hai fatti scoprire.-
-Io? se magari tu avessi una risata più normale.-
Gli dò un pizzico sul braccio e lo prendo come pretesto per avvicinarmi, lui sorride. Amo la sua risata, non la cambierei per niente al mondo.
-Ma invece di lanciarmi baci con la mano perchè non me ne dai uno come si deve...-
Prende il mio viso tra le mani e affonda le labbra sulle mie, con piccoli tocchi veloci, inconsistenti, nervosi, poi apre la bocca e ha inizio così il disfacimento del mio autocontrollo.
***
Non avendo altro da mettermi ho indossato una delle magliette di Michael, la mia preferita, quella blu con un Topolino sorridente stampato al centro che mi fa quasi da vestito.
Michael è furioso.
Pare che ci siano problemi con l'album appena uscito.
-Non è possibile, quell'uomo è il diavolo, il diavolo!-
Apro leggermente la porta della camera dalla quale provengono le urla, sbircio sporgendo a malapena la testa nella fessura che si è creata. Mai prima d'ora lo avevo visto in questo stato, si muove agitando le mani e camminando per tutta la stanza senza una meta. E' al telefono con qualcuno così decido di non disturbarlo.
Dalle scale si sentono dei passi veloci che salgono proprio in questa direzione il piccolo Prince ha in mano uno dei suoi giocattoli e piange disperando alla ricerca di un conforto.
Mi piazzo davanti a lui piegandomi sulle ginocchia.
-Hey piccolo, che è successo?-
Tira su con il naso e si asciuga le lacrime con la manica della maglietta.
-Niente-
-Non si piange mai per niente, sai chi me lo ha insegnato?-
Fa cenno di no con la testa e mi guarda incuriosito mentre i singhiozzi lo fanno tremare un pò.
-Una persona che ti vuole tanto bene, che ha un cuore grandissimo e che non cambiarei mai con nessuno.-
-Chi?-
Con una mano gli faccio il solletico, ma sembra proprio non volersi muovere dalla sua aria triste.
-Il tuo papà.-
Finalmente un sorriso gli illumina gli occhietti umidi.
-Davvero?-
Lo dice quasi sottovoce come se non volesse condividere con nessuno questo nostro piccolo segreto.
Mi abbraccia teneramente e mi racconta l'incidente che ha fatto rompere il suo giocattolo.
"Nic" mi chiama così, è di una dolcezza disarmante. Purtroppo non abbiamo molto modo di vederci, la piccola Paris poi ha solo 3 anni. Sembrano degli angioletti con i capelli biondissimi. Nella camera di Michael c'è ancora la foto che gli feci quando Paris era appena nata. Non ho mai visto niente di più vero, profondo e reciproco dell'amore che li unisce.
Michael esce dalla stanza e si dirige a passo spedito al piano di sotto. Porto il piccolo Prince in camera sua e lo lascio alle cure della tata.
Scendo le scale anch'io e incontro distrattamente il suo sguardo. Mi appoggio al muro con le mani incrociate dietro la schiena e aspetto che finisca di parlare con Frank.
Viene subito verso di me con un'espressione che dice già tutto.
-Stanno boicottando il mio album, è assurdo!-
Pare che Michael avesse deciso di cambiare casa discografica e per tutta risposta la Sony ha deciso di annullare tutti gli eventi promozionali del suo ultimo lavoro.
-Ma non possono farlo.-
-Quando ci sono immezzo i soldi...possono fare di tutto...-
Non posso far altro che restare in silenzio, ha perfettamente ragione.
-Tu piuttosto, come stai Nic?
Sorride guardandomi con uno sguardo che ha il potere di denudarmi di ogni stralcio di razionalità.
Sa già tutto di Prince. Le notizie corrono in fretta a Neverland.
Rido.
-Come fai?-
-Grace, la tata, mi dice qualsiasi cosa riguardi i bambini.-
Capirai bella tata da strapazzo, il piccolo piangeva disperato.
Sto per rispondergli per le rime, quando aggiunge...-E così, non mi cambieresti con nessuno.-
Oddio! Perchè sorride così? Dovreste vederlo sembra un pavone fiero della sua coda sgargiante. Sorride poi facendo svanire ogni traccia di presunzione, lasciando solo la dolcezza dentro i suoi occhi nocciola.
Cosa gli rispondo adesso? Credo di non essermi mai sentita così in imbarazzo in tutta la mia vita.
-Beh...-
Per fortuna Frank ci interrompe.
-Ah sei riuscita a farlo sorridere.-
Mi ha salvata Frank sono proprio messa male.
Sai Frank forse è ora che inizi a farti i fatti tuoi, mi verrebbe da dirgli, ma forse è meglio di no. Che dite? Magari mi ritira fuori la storia del caratteraccio e stavolta però lo picchio davvero...
Lo ignoro completamente e me ne vado.
[G]Capitolo 16[/G]
Ostinatamente Sophie si rifiutava di smettere di fare domande.
-Nicooooooooooooooole eddai racconta!!!!!!!!!!-
-NO!-
-Ma sei perfida però...-
-Oh si anche peggio.-
-E non farmi le linguacce che ti vedo.-
-Che palle.-
La primavera era esplosa all'improvviso come una bolla si sapone. Mi sono svegliata con la sensazione di avere molto caldo e nonstante le proteste di Sophie ho spalancato la finestra facendo entrare la nuova stagione: l'aria sa di erba appena tagliata, gli addetti allo zoo già sono impegnati in mille incarichi e nel cielo, forse sarà la sugestione, ma mi è sembrato di veder passare una rondine.
Sophie è rimasta a dormire qui a Neverland perchè Michael è fuori per un paio di giorni. Non so bene dove sia andato ma l'aria primaverile mi mette di buon umore, non voglio pensare che già mi manca tremendamente. Sarà un'ora ormai che Sophie tenta di farmi svelare dettagli piccanti della nostra storia.
-Nicole.-
Ci risiamo.
-Si.-
rispondo sospirando.
-Dunque...tu al posto mio faresti di peggio, perciò visto che l'ho baciato e devo dire che non è stato niente male, posso immaginare il resto e...sbavare, perciò ti prego dimmi qualcosa, qualsiasi cosa.-
Incrocia le mani come se mi stesse pregando.
-Sophie sei una maniaca!-
-Tuttavia...- continuo -ti dirò solo una cosa.-
-Aaaaah dai dai dimmi.-
-Hai presente il pezzo di Billie Jean nell'history tour che ti piace tanto, quando si spengono le luci e balla in penombra?-
-Oddio certo che ho presente...il movimento di bacino!-
-Ecco immagina tesoro immagina...-
Si blocca letteralmente davanti a me con la bocca mezza aperta e l'espressione sconcertata come se avesse appena visto un fantasma.
Scoppio a ridere.
-Oh mio Dio...-
-Dicevo esattamente la stessa cosa-
-Oh mio Dio!!-
-Sophie respira non voglio averti sulla coscienza.-
Squilla improvvisamente il telefono ed entrambi ci tuffiamo per prenderlo ma Sophie lo raggiunge per prima e mi guarda soddisfatta.
-Dammelo Sophie.-
-Pronto? si-
-Dammelo.-
-Pronto? Pronto?-
-Sophie! Dammelo ho detto, chi è?-
Provo a toglierle il telefono dall'orecchio ma proprio non vuole mollare la presa.
-Michael , posso chiederti una cosa? Quando torni me la fai Billie Jean?-
Ma che amica deficente che ho,poi si chiede perchè non le racconto certe cose.
-Sophie ti uccido.-
Finalmente mi passa il telefono e inizia a contorcersi dalle risate.
Il telefono è spento.
-Dovresti vedere la tua faccia.-
Come mi è venuto in mente di invitarla qui?
In quel momento qualcuno bussa alla porta ed entra Grace nella stanza. Dice che Michael ha provato a chiamarmi ma è caduta la linea.
Do subito un'occhiataccia a Sophie che ancora ride.
-Ha detto che torna stasera.-
-Aaaaah- urlo di gioia mentre Grace richiude la porta alle sue spalle.
Mi alzo dal letto enorme che dividiamo. Siamo rimaste tutto questo tempo a parlare e non ci siamo nemmeno alzate dal letto, abbiamo persino ancora il pigiama addosso. Beh l'idea era quella di restare così per almeno un paio di giorni, facendo il minimo sforzo fisico possibile, ma va benissimo così, preferisco Michael.
-Nicole Nicole!-
Sophie mi chiama di nuovo.
-Che c'è-
-Billie Jean is not my lover.-
Le tiro un cuscino in piena faccia e cade all'indietro.
-Fatti una doccia fredda va...-
Capitolo22
Epicuro diceva che il piacere e il dolore sono l'unico modo in cui l'uomo può percepire il bene e il male, perché l'uomo, come ogni altro essere animato, può percepire solo mancanze di ciò di cui sente il bisogno e stati di soddisfazione. Il presupposto del piacere e del dolore è quindi il desiderio.
Il bene e il male perciò non sono poi così distanti, è facile ritrovarsi da un momento all'altro con le spalle al muro e fare i conti con la realtà quando il sogno in cui vivevi fino ad allora si trasforma in un incubo. È successo e basta, me ne sto qui a raccontare, a vivere e rivivere cercando di capire ma ancora il senso mi sfugge.
***
Michael è tornato non so da dove non so da quanto. Mi abbraccia soltanto, con l'aria stanca e dice di voler andare a riposare. Chissà se ha mangiato, se mi ha pensato, chissà cosa ha fatto per l'intera giornata. Ogni singola domanda mi invade le membra ma nessuna ha il coraggio di restare lì ed uscire fuori, proiettandoglisi davanti con la stessa forza con cui adesso vorrei urlare. Forse per rispetto o magari per paura di una qualsiasi reazione strana rimango in silenzio, al buio, sola.
Un momento "no" può succedere a tutti, penso.
Sposto subito la mia attenzione verso qualcos’altro prima che mi perda dietro qualche illogico ragionamento che negli ultimi mesi non fanno altro che perseguitarmi.
È tardi, molto tardi, sono le 3 di notte passate, il ticchettio dell'orologio fa eco ai miei pensieri e tutti ormai dormono. Tutti tranne gli uomini della sicurezza ed io. Sono stata in piedi ad aspettarlo fino ad ora e l'unica cosa che sa fare è abbracciarmi mezzo secondo e andarsene senza dire nemmeno una parola.
Decido di farmi una delle mie tisane calde, se non riuscirà a calmarmi almeno mi terrò occupata per un pò.
Verso l'acqua e il filtro trasparente pieno di foglioline essiccate affonda per poi risalire in superficie lasciando dietro di sè un'aurea bruna che si disperde velocemente emandado un profumo di vaniglia e gelsomino.
Lo vedo spuntare dalla penombra che si crea nel passaggio tra la cucina e il soggiorno, ancora vestito, ancora in silenzio.
Mi guarda spostando subito lo sguardo verso il frigorifero e si avvicina prendendone dallo sportello una bottiglietta di acqua naturale.
Beve un sorso inconsistente e si dirige verso il punto da cui è arrivato all'improvviso, con il suo passo lento ma deciso che anche a quest'ora non fa alcun rumore percettibile.
Con il chiucchiaino faccio rumore sperando che lo faccia svegliare da quello stato catatonico in cui sembra si trovi. Non sopporto vederlo in questo stato. Cosa diavolo gli è successo? Perchè non ne parla con me, sarei disposta anche immediatamente a prendere con me metà di quel suo tormento se servisse a riavere in dietro il sorriso meraviglioso di cui è capace. No non metà ne assorbirei ogni frammento e altri infiniti cento volte più grandi se solo lo potesse aiutare.
Blocca il passo e sospira appena, ma abbastanza perchè riesca a sentirlo.
Si volta verso di me con aria assente, implorante di un aiuto che non comprendo.
-Vieni a dormire con me, ti prego Niki, ho bisogno di te.-
Non serve altro, abbandono lì la mia tisana ancora fumante e lo seguo riacquistando un pò di quella fiducia che credevo di non aver meritato.
Giunti in camera sua mi accorgo che il letto non è stato nemmeno sfiorato. Ha un pigiama rosso a coste traslucide che lo aspetta ancora ben piegato e steso. Niente pupazzetti, niente frasi buffe, solo una tinta unita che ricorda il sangue fresco, la preoccupazione mi inizia ad accorciare il respiro.
-Come stai? Michael dimmi che succede, non ce la faccio a stare così.-
Mi guarda con gli occhi che si bagnano di lacrime, ma non trova nemmeno la forza per farle scendere, restano in bilico così come il mio cuore.
Non so cosa fare ho quasi paura di proseguire la conversazione.
-Amore per favore dimmi che è successo.-
Mi avvicino tentando di farmi forza per poterla dare anche a lui. Porta le mani sul volto quando una lacrima gli segna il viso, sento il suo grido d‘aiuto farmi tremare le gambe. Non resisto un secondo di più e lo abbraccio talmente forte da sentire male alle braccia.
-Non ce la faccio.-
L'ultima parte della frase si perde tra i singhiozzi e si lascia cadere sfinito sul letto.
-A fare cosa?-
Gli stringo la mano tra le mie è così grande che mi sembra assurdo che sia io a consolarla con carezze incerte. Paura, rabbia verso chiunque abbia scatenato una reazione così. Non so cosa pensare, mille domande, mille ipotesi bussano alla porta dei pensieri,potrebbe essere successo di tutto.
-Michael...come faccio ad aiutarti, ti prego. Parlami.-
-Niki un'altra volta, un'altra volta...non reggo, stavolta non ce la faccio.-
-Ma di cosa parli, mi stai facendo preoccupare, sono spaventata a morte. Dimmi cosa è successo.-
-Non ce la faccio nemmeno a dirlo, Amore stammi vicino.-
Sento il suo corpo tremare sotto il mio abbraccio. Con le labbra gli accarezzo la guancia sfioro i suoi capelli con le mani, un piccolo involontario gesto che spero lo tranquillizzi almeno un pò.
-Sono qui, non ti lascio solo, non lo farò mai.-
La voce mi trema appena, chiudo gli occhi sperando che non se ne sia accorto, la mia intenzione era quella di dargli fiducia, ma se tremo anch'io non credo sia molto credibile.
Stringo il suo viso tra le mani e lo guardo negli occhi, avvicino le mie labbra alle sue, in un bacio che non è un bacio ma molto di più, è coraggio. Sento il sapore salato delle lacrime misto a quello acre della sofferenza. Adesso posso dire che c'è qualcosa di peggiore del silenzio ed è il limbo in cui sei sospeso quando conosci solo mezza verità.
Sospira cercando di liberarsi di ogni sofferenza, ma serve a ben poco. È stanchissimo, gli occhi gonfi, il colorito pallido, è maledettamente tardi e l'unica cosa di cui avrebbe bisogno adesso è una lunga dormita.
Lo vedo fissare il vuoto, perso in uno spazio tutto suo in cui ancora non mi ha fatto entrare ma che ha deciso per lo meno di condividere con me.
Ha le mani gelide, arrossate sui polpastrelli e sono così magre, le vene si intravedo ad una ad una, sembra quasi che si riesca a veder scorrere il sangue al loro interno per come vibrano nervose.
Sento le forze abbandonarmi.
Ci sdraiamo vicini con le mani intrecciate, poggia la testa sul mio petto e mi stringe cingendomi la vita con il braccio. Scosto una ciocca di capelli dietro l'orecchio e la sento umida per le lacrime di poco prima, gli accarezzo incessantemente il viso, disegnandone i profili con un dito. Finalmente cessa di tremare. Cerco di formulare una domanda, un pensiero qualsiasi, ma non trovo niente che abbia senso ora nella mia mente.
Si muove stringendomi ancora e baciando la parte del mio corpo che trova più vicina alla bocca, si volta poi verso di me, guardandomi negli occhi. Un sorriso tirato mi muove le labbra, si siede incrociando le gambe e prende le mie mani tra le sue.
-Prima che ti racconti tutto, c'è una cosa che devi sapere, lo penso da sempre, da quando ti ho vista la prima volta dietro quella macchinetta fotografica e lo penso adesso mille volte più intensamente di prima.-
Si ferma un attimo, inumidisce il labbro inferiore guardandomi fisso negli occhi, con espressione smarrita.
-Nicole io ti amo e spero, prego con tutte le forze che dopo quello che sto per dirti i tuoi sentimenti per me non cambino.-
L’ha detto. L’ho sentito non me lo sono immaginato vero?
Quella confessione d’amore acquista subito il retrogusto amaro delle parole che sono sicura adesso aggiungerà.
-Mich...-
-No lasciami finire ti prego, adesso ho trovato il coraggio per parlare e voglio dire tutto in un fiato.-
Il mio cuore batte all'impazzata si dev'essere spostato da qualche parte perchè vi giuro non so più da dove arrivi il battito.
-Come dieci anni fa, qualcuno ha deciso che i soldi sono più importanti di tutto, anche dei propri figli.-
Dov’è finita la luce sognante dei suoi occhi? Se c’è qualcuno lassù è ora che si faccia vivo.
- Nicole ti giuro che non ho mai fatto e mai farei del male a un bambino in vita mia. So cosa si prova ed è un buon deterrente per non farlo, te lo assicuro.-
Credo proprio che il mio cuore adesso si sia fermato del tutto, cosa sta dicendo? Non deve dirmi queste cose le so già dal momento in cui ho visto i suoi occhi per la prima volta.
Si ferma ancora o meglio le parole gli si bloccano letteralmente in gola, parole miste a lacrime che arrivano direttamente dall'anima, è lì che è stato colpito, lì lo hanno appena ferito, lacrime che bruciano, tagliano come lame.
-I genitori di Gavin...gli Arvizio, mi faranno causa. Nicole io...-
Sta per crollare e con lui anche io e la mia forza di volontà. Gavin...l'ho visto qui a Neverland diverse volte, giocava e rideva con Michael che gli è stato sempre accanto anche prima e dopo la chemio.
Non è possibile ci deve essere un errore non può essere lo stesso bambino che rideva facendosi il solletico con Mike. Una forza sconcertante che diventa subito determinazione mi invade facendomi uscire parole che non controllo.
-Michael guardami.-
-Io ti amo in questo momento più di quanto avrei mai potuto immaginare, non sarà una bugia a farmi dubitare di te e tanto meno del mio amore.-
-Nicol...-
-No Michael non farti ridurre in questo stato, ti prego non dargliela vinta, sono qui con te, insieme ce la faremo.-
Le lacrime scendono senza che me ne renda conto.
-Ce la faremo amore mio, ce la faremo...-
Finalmente si addormenta, stremato, con il respiro debole e gli occhi umidi, abbracciati sotto il peso schiacciante di una notizia che tra poco farà il giro del mondo. Una voce diverrà centomila voci, tutti saranno pronti a giudicare e a condannare prima ancora che si sappia l'inizio del processo.
Avrei un infinita di cose da dirgli ma niente riesce a prendere una forma consistente in questo momento. Ancora non posso credere che sia accaduto veramente…vorrei che fosse solo un brutto incubo, come faccio ad aiutarlo in una situazione del genere, come posso alleviare le sue sofferenze, non posso…
Lo vedo fragile per la prima volta, sento il suo odore accanto a me e mi sembra di non sentirlo da anni, mi è mancato così tanto in una sola giornata ed ora che è qui è come se non ci fosse. Sento il calore del suo corpo a contatto con il mio in un modo talmente delicato e dolce che mi viene di abbracciarlo, gli accarezzo lentamente il viso facendo attenzione a non disturbarlo dal sonno. Ha ancora le gote arrossate dalle lacrime, quasi scottano sotto il passaggio della mia mano. Non so come andranno le cose, ma stanotte voglio stargli il più vicino possibile, ho bisogno di conoscere ogni singola parte di quest’essere meraviglioso e imprimerla indelebilmente nella mia mente. Vorrei che questa notte non finisse mai, vorrei che il domani si fermasse ad oggi, vorrei almeno per questa notte entrare in uno dei suoi sogni e rendergli la felicità che merita.
Mi addormento così, sperando di essere un piccolo elemento di sollevio tra i suoi pensieri più oscuri che adesso aleggiano ancora nella stanza, è rimasto l’eco di quelle parole nell’aria, è rimasto nelle mie orecchie, sulla pelle. Meglio abbandonarsi tra le braccia di Morfeo e lasciare il tempo a rimarginare le ferite.
Michael...-
-mhhh-
-Parecchio tempo fa ho fatto un sogno simile.-
-In che senso.-
-Io, tu, la doccia...-
Lui dischiuse le labbra cercando di focalizzare al meglio i miei occhi pieni di desiderio.
Iniziai a sbottonargli la camicia, via il primo bottone...il secondo...lasciando in mostra solo una maglietta bianca a maniche corte.
Nel frattempo ci diriggemmo verso il letto finchè le ginocchia di Michael non trovarono per prime il materasso.
-Potevi dirmelo prima, sarebbe potuto diventare reale...-
Mi mise le mani sui fianchi facendo cadere l'asciugamano a terra.
Indietreggiando con i gomiti sul letto lo raggiunsi senza dire una parola liberando finalmente quella parte che ormai a fatica restava sotto il tessuto teso. Accompagnato da un gemito di sollievo e irrefrenabile desiderio si lasciava andare dalla moltitudine di sensazioni che la mia mano calda con angosciosa lentezza gli stava regalando.
-È questo il nostro sogno...-
gli dissi infine guidandolo dentro di me.
Michael gemette riversando la testa sul cuscino sollevandosi dall'ampio materasso per il piacere intenso.
Il sangue ribolliva e sentivo la pelle farsi più sottile ero sicura che da un momento all'altro sotto il suo tocco mi sarei sgretolata in mille pezzettini ed ognuno di essi sarebbe finito inghiottito dentro il suo essere perchè solo lì, dentro di lui avrebbero potuto continuare ad esistere.
Le luci della notte entravano nella stanza riflettendo sull'arredamento barocco dell'albergo, nell'aria l'odore dolce delle orchidee ancora volava inebriante e intorno a noi il silenzio, finchè persi all'apice di sempre le nostre voci all'unisono tagliarono la quiete apparente in cui eravamo immersi.
Proprio di questo avevo paura, di annullarmi, di cedere tutto e svanire nel nulla.
Quando si ama così, in questo modo in cui non esistiamo più divisi distintamente l'uno dell'altra si finisce sempre inevitabilmente per soffrire.
Lo sapevo.
Non posso tornare indietro è troppo tardi ormai, non vivo senza lui...ma se restassi cosa sarebbe poi di me? Sarei come chiusa in una piccola scatola sempre e solo sotto la sua custodia.
Molto probabilmente il mio non è nemmeno vero amore, sono troppo egoista per poter amare qualcunaltro e penso subito che mi stia soffocando.
Non sono più una ragazzina ho superato i diciotto da un bel pò è finito da parecchio il tempo delle cotte e delle storie avventurose. Però addormentarmi con la testa sul suo petto,sentirlo così vicino, così mio mi fa azzerare ogni pensiero sconnesso.
"Ti fai troppi problemi" Sophie aveva ragione. Vi assicuro che quando mi prendono questi momenti da dubbi amletici non mi sopporto. Ho sofferto troppo in passato per gli uomini, a cominciare da quello che sarebbe dovuto essere il più importante di tutti, quello che mi ha dato la vita, e così ogni volta penso che ci sia dietro l'angolo un colpo pronto a farmi del male.
Qualè il problema? lui è meraviglioso, siamo in un attico a New York e non dovrò lavorare per un bel pò...
All'improvviso sento freddo, mi stringo a Michael e un pensiero lacerante mi attraversa la mente.
Non mi ha ancora detto che mi ama...e nemmeno io l'ho fatto.
Tutta la mia insicurezza ha le sue fondamenta ben piantate a terra. E se davvero amasse ancora Lisa Marie e non riuscisse a dirmelo?
Neanch'io però gliel'ho detto, magari semplicemente non c'è stato il momento giusto per farlo...
Si muove mentre è immerso nel sonno, ha un'aria serena, è così bello mentre dorme. Alcune ciocche di capelli gli coprono dispettosamente il viso che sotto la luce bianca della notte assume un colorito pallido, sembra quasi che i miei pensieri lo disturbino in qualche modo. Prego perchè non si svegli da un momento all'altro,non riuscirei ad affrontare una discussione del genere adesso.
Istintivamente in maniera del tutto inconscia si avvicina ancora di più a me e mi stringe. Lo prendo come un gesto rassicurante arrivato nel momento giusto.
Qualunque cosa sia, qualsiasi cosa accada, niente riuscirà a rovinare il nostro sogno.
***
Sull'aereo per tornare a Los Angeles siamo seduti lontani, troppo lontani. Nessuno sa ancora di noi, abbiamo diritto alla nostra privacy, la pace che ci meritiamo, soprattutto Michael che vede da anni sbattere in prima pagina eventi più o meno importanti della sua vita privata.
E' per questo che si è letteralmente imbacuccato dalla testa ai piedi, beh più o meno.
Ha una strana barba finta che devo dire, lo rende piuttosto affascinante, un capellino rosso con visiera e degli occhiali neri da sole. Tanto per non dare nell'occhio ha lasciato che un ricciolo gli cadesse sulla fronte e dallo stacco tra i pantaloni e le scarpe si intravede l'immancabile calzino bianco. Solo un cieco non lo riconoscerebbe. Ma pare sia passato indenne per il momento.
Continua a girarsi arrampicandosi sul sedile su cui è seduto per guardarmi e mi sorride cercando di non farlo notare troppo agli altri passeggeri.
Lo guardo divertita, quando la hostess mi dà le spalle per domandare al signore davanti a me se desidera altro succo d'arancia,Michael si rivolta verso di me e gli mando un bacio con la mano. Si sente una risata stridula subito soffocata in un finto attacco di tosse.
Per fortuna a terra la limousine bianca di Michael ci stava aspettando, è stato tutto molto breve e indolore grazie al cielo.
-Niki per poco non ci hai fatti scoprire.-
-Io? se magari tu avessi una risata più normale.-
Gli dò un pizzico sul braccio e lo prendo come pretesto per avvicinarmi, lui sorride. Amo la sua risata, non la cambierei per niente al mondo.
-Ma invece di lanciarmi baci con la mano perchè non me ne dai uno come si deve...-
Prende il mio viso tra le mani e affonda le labbra sulle mie, con piccoli tocchi veloci, inconsistenti, nervosi, poi apre la bocca e ha inizio così il disfacimento del mio autocontrollo.
***
Non avendo altro da mettermi ho indossato una delle magliette di Michael, la mia preferita, quella blu con un Topolino sorridente stampato al centro che mi fa quasi da vestito.
Michael è furioso.
Pare che ci siano problemi con l'album appena uscito.
-Non è possibile, quell'uomo è il diavolo, il diavolo!-
Apro leggermente la porta della camera dalla quale provengono le urla, sbircio sporgendo a malapena la testa nella fessura che si è creata. Mai prima d'ora lo avevo visto in questo stato, si muove agitando le mani e camminando per tutta la stanza senza una meta. E' al telefono con qualcuno così decido di non disturbarlo.
Dalle scale si sentono dei passi veloci che salgono proprio in questa direzione il piccolo Prince ha in mano uno dei suoi giocattoli e piange disperando alla ricerca di un conforto.
Mi piazzo davanti a lui piegandomi sulle ginocchia.
-Hey piccolo, che è successo?-
Tira su con il naso e si asciuga le lacrime con la manica della maglietta.
-Niente-
-Non si piange mai per niente, sai chi me lo ha insegnato?-
Fa cenno di no con la testa e mi guarda incuriosito mentre i singhiozzi lo fanno tremare un pò.
-Una persona che ti vuole tanto bene, che ha un cuore grandissimo e che non cambiarei mai con nessuno.-
-Chi?-
Con una mano gli faccio il solletico, ma sembra proprio non volersi muovere dalla sua aria triste.
-Il tuo papà.-
Finalmente un sorriso gli illumina gli occhietti umidi.
-Davvero?-
Lo dice quasi sottovoce come se non volesse condividere con nessuno questo nostro piccolo segreto.
Mi abbraccia teneramente e mi racconta l'incidente che ha fatto rompere il suo giocattolo.
"Nic" mi chiama così, è di una dolcezza disarmante. Purtroppo non abbiamo molto modo di vederci, la piccola Paris poi ha solo 3 anni. Sembrano degli angioletti con i capelli biondissimi. Nella camera di Michael c'è ancora la foto che gli feci quando Paris era appena nata. Non ho mai visto niente di più vero, profondo e reciproco dell'amore che li unisce.
Michael esce dalla stanza e si dirige a passo spedito al piano di sotto. Porto il piccolo Prince in camera sua e lo lascio alle cure della tata.
Scendo le scale anch'io e incontro distrattamente il suo sguardo. Mi appoggio al muro con le mani incrociate dietro la schiena e aspetto che finisca di parlare con Frank.
Viene subito verso di me con un'espressione che dice già tutto.
-Stanno boicottando il mio album, è assurdo!-
Pare che Michael avesse deciso di cambiare casa discografica e per tutta risposta la Sony ha deciso di annullare tutti gli eventi promozionali del suo ultimo lavoro.
-Ma non possono farlo.-
-Quando ci sono immezzo i soldi...possono fare di tutto...-
Non posso far altro che restare in silenzio, ha perfettamente ragione.
-Tu piuttosto, come stai Nic?
Sorride guardandomi con uno sguardo che ha il potere di denudarmi di ogni stralcio di razionalità.
Sa già tutto di Prince. Le notizie corrono in fretta a Neverland.
Rido.
-Come fai?-
-Grace, la tata, mi dice qualsiasi cosa riguardi i bambini.-
Capirai bella tata da strapazzo, il piccolo piangeva disperato.
Sto per rispondergli per le rime, quando aggiunge...-E così, non mi cambieresti con nessuno.-
Oddio! Perchè sorride così? Dovreste vederlo sembra un pavone fiero della sua coda sgargiante. Sorride poi facendo svanire ogni traccia di presunzione, lasciando solo la dolcezza dentro i suoi occhi nocciola.
Cosa gli rispondo adesso? Credo di non essermi mai sentita così in imbarazzo in tutta la mia vita.
-Beh...-
Per fortuna Frank ci interrompe.
-Ah sei riuscita a farlo sorridere.-
Mi ha salvata Frank sono proprio messa male.
Sai Frank forse è ora che inizi a farti i fatti tuoi, mi verrebbe da dirgli, ma forse è meglio di no. Che dite? Magari mi ritira fuori la storia del caratteraccio e stavolta però lo picchio davvero...
Lo ignoro completamente e me ne vado.
[G]Capitolo 16[/G]
Ostinatamente Sophie si rifiutava di smettere di fare domande.
-Nicooooooooooooooole eddai racconta!!!!!!!!!!-
-NO!-
-Ma sei perfida però...-
-Oh si anche peggio.-
-E non farmi le linguacce che ti vedo.-
-Che palle.-
La primavera era esplosa all'improvviso come una bolla si sapone. Mi sono svegliata con la sensazione di avere molto caldo e nonstante le proteste di Sophie ho spalancato la finestra facendo entrare la nuova stagione: l'aria sa di erba appena tagliata, gli addetti allo zoo già sono impegnati in mille incarichi e nel cielo, forse sarà la sugestione, ma mi è sembrato di veder passare una rondine.
Sophie è rimasta a dormire qui a Neverland perchè Michael è fuori per un paio di giorni. Non so bene dove sia andato ma l'aria primaverile mi mette di buon umore, non voglio pensare che già mi manca tremendamente. Sarà un'ora ormai che Sophie tenta di farmi svelare dettagli piccanti della nostra storia.
-Nicole.-
Ci risiamo.
-Si.-
rispondo sospirando.
-Dunque...tu al posto mio faresti di peggio, perciò visto che l'ho baciato e devo dire che non è stato niente male, posso immaginare il resto e...sbavare, perciò ti prego dimmi qualcosa, qualsiasi cosa.-
Incrocia le mani come se mi stesse pregando.
-Sophie sei una maniaca!-
-Tuttavia...- continuo -ti dirò solo una cosa.-
-Aaaaah dai dai dimmi.-
-Hai presente il pezzo di Billie Jean nell'history tour che ti piace tanto, quando si spengono le luci e balla in penombra?-
-Oddio certo che ho presente...il movimento di bacino!-
-Ecco immagina tesoro immagina...-
Si blocca letteralmente davanti a me con la bocca mezza aperta e l'espressione sconcertata come se avesse appena visto un fantasma.
Scoppio a ridere.
-Oh mio Dio...-
-Dicevo esattamente la stessa cosa-
-Oh mio Dio!!-
-Sophie respira non voglio averti sulla coscienza.-
Squilla improvvisamente il telefono ed entrambi ci tuffiamo per prenderlo ma Sophie lo raggiunge per prima e mi guarda soddisfatta.
-Dammelo Sophie.-
-Pronto? si-
-Dammelo.-
-Pronto? Pronto?-
-Sophie! Dammelo ho detto, chi è?-
Provo a toglierle il telefono dall'orecchio ma proprio non vuole mollare la presa.
-Michael , posso chiederti una cosa? Quando torni me la fai Billie Jean?-
Ma che amica deficente che ho,poi si chiede perchè non le racconto certe cose.
-Sophie ti uccido.-
Finalmente mi passa il telefono e inizia a contorcersi dalle risate.
Il telefono è spento.
-Dovresti vedere la tua faccia.-
Come mi è venuto in mente di invitarla qui?
In quel momento qualcuno bussa alla porta ed entra Grace nella stanza. Dice che Michael ha provato a chiamarmi ma è caduta la linea.
Do subito un'occhiataccia a Sophie che ancora ride.
-Ha detto che torna stasera.-
-Aaaaah- urlo di gioia mentre Grace richiude la porta alle sue spalle.
Mi alzo dal letto enorme che dividiamo. Siamo rimaste tutto questo tempo a parlare e non ci siamo nemmeno alzate dal letto, abbiamo persino ancora il pigiama addosso. Beh l'idea era quella di restare così per almeno un paio di giorni, facendo il minimo sforzo fisico possibile, ma va benissimo così, preferisco Michael.
-Nicole Nicole!-
Sophie mi chiama di nuovo.
-Che c'è-
-Billie Jean is not my lover.-
Le tiro un cuscino in piena faccia e cade all'indietro.
-Fatti una doccia fredda va...-
Capitolo22
Epicuro diceva che il piacere e il dolore sono l'unico modo in cui l'uomo può percepire il bene e il male, perché l'uomo, come ogni altro essere animato, può percepire solo mancanze di ciò di cui sente il bisogno e stati di soddisfazione. Il presupposto del piacere e del dolore è quindi il desiderio.
Il bene e il male perciò non sono poi così distanti, è facile ritrovarsi da un momento all'altro con le spalle al muro e fare i conti con la realtà quando il sogno in cui vivevi fino ad allora si trasforma in un incubo. È successo e basta, me ne sto qui a raccontare, a vivere e rivivere cercando di capire ma ancora il senso mi sfugge.
***
Michael è tornato non so da dove non so da quanto. Mi abbraccia soltanto, con l'aria stanca e dice di voler andare a riposare. Chissà se ha mangiato, se mi ha pensato, chissà cosa ha fatto per l'intera giornata. Ogni singola domanda mi invade le membra ma nessuna ha il coraggio di restare lì ed uscire fuori, proiettandoglisi davanti con la stessa forza con cui adesso vorrei urlare. Forse per rispetto o magari per paura di una qualsiasi reazione strana rimango in silenzio, al buio, sola.
Un momento "no" può succedere a tutti, penso.
Sposto subito la mia attenzione verso qualcos’altro prima che mi perda dietro qualche illogico ragionamento che negli ultimi mesi non fanno altro che perseguitarmi.
È tardi, molto tardi, sono le 3 di notte passate, il ticchettio dell'orologio fa eco ai miei pensieri e tutti ormai dormono. Tutti tranne gli uomini della sicurezza ed io. Sono stata in piedi ad aspettarlo fino ad ora e l'unica cosa che sa fare è abbracciarmi mezzo secondo e andarsene senza dire nemmeno una parola.
Decido di farmi una delle mie tisane calde, se non riuscirà a calmarmi almeno mi terrò occupata per un pò.
Verso l'acqua e il filtro trasparente pieno di foglioline essiccate affonda per poi risalire in superficie lasciando dietro di sè un'aurea bruna che si disperde velocemente emandado un profumo di vaniglia e gelsomino.
Lo vedo spuntare dalla penombra che si crea nel passaggio tra la cucina e il soggiorno, ancora vestito, ancora in silenzio.
Mi guarda spostando subito lo sguardo verso il frigorifero e si avvicina prendendone dallo sportello una bottiglietta di acqua naturale.
Beve un sorso inconsistente e si dirige verso il punto da cui è arrivato all'improvviso, con il suo passo lento ma deciso che anche a quest'ora non fa alcun rumore percettibile.
Con il chiucchiaino faccio rumore sperando che lo faccia svegliare da quello stato catatonico in cui sembra si trovi. Non sopporto vederlo in questo stato. Cosa diavolo gli è successo? Perchè non ne parla con me, sarei disposta anche immediatamente a prendere con me metà di quel suo tormento se servisse a riavere in dietro il sorriso meraviglioso di cui è capace. No non metà ne assorbirei ogni frammento e altri infiniti cento volte più grandi se solo lo potesse aiutare.
Blocca il passo e sospira appena, ma abbastanza perchè riesca a sentirlo.
Si volta verso di me con aria assente, implorante di un aiuto che non comprendo.
-Vieni a dormire con me, ti prego Niki, ho bisogno di te.-
Non serve altro, abbandono lì la mia tisana ancora fumante e lo seguo riacquistando un pò di quella fiducia che credevo di non aver meritato.
Giunti in camera sua mi accorgo che il letto non è stato nemmeno sfiorato. Ha un pigiama rosso a coste traslucide che lo aspetta ancora ben piegato e steso. Niente pupazzetti, niente frasi buffe, solo una tinta unita che ricorda il sangue fresco, la preoccupazione mi inizia ad accorciare il respiro.
-Come stai? Michael dimmi che succede, non ce la faccio a stare così.-
Mi guarda con gli occhi che si bagnano di lacrime, ma non trova nemmeno la forza per farle scendere, restano in bilico così come il mio cuore.
Non so cosa fare ho quasi paura di proseguire la conversazione.
-Amore per favore dimmi che è successo.-
Mi avvicino tentando di farmi forza per poterla dare anche a lui. Porta le mani sul volto quando una lacrima gli segna il viso, sento il suo grido d‘aiuto farmi tremare le gambe. Non resisto un secondo di più e lo abbraccio talmente forte da sentire male alle braccia.
-Non ce la faccio.-
L'ultima parte della frase si perde tra i singhiozzi e si lascia cadere sfinito sul letto.
-A fare cosa?-
Gli stringo la mano tra le mie è così grande che mi sembra assurdo che sia io a consolarla con carezze incerte. Paura, rabbia verso chiunque abbia scatenato una reazione così. Non so cosa pensare, mille domande, mille ipotesi bussano alla porta dei pensieri,potrebbe essere successo di tutto.
-Michael...come faccio ad aiutarti, ti prego. Parlami.-
-Niki un'altra volta, un'altra volta...non reggo, stavolta non ce la faccio.-
-Ma di cosa parli, mi stai facendo preoccupare, sono spaventata a morte. Dimmi cosa è successo.-
-Non ce la faccio nemmeno a dirlo, Amore stammi vicino.-
Sento il suo corpo tremare sotto il mio abbraccio. Con le labbra gli accarezzo la guancia sfioro i suoi capelli con le mani, un piccolo involontario gesto che spero lo tranquillizzi almeno un pò.
-Sono qui, non ti lascio solo, non lo farò mai.-
La voce mi trema appena, chiudo gli occhi sperando che non se ne sia accorto, la mia intenzione era quella di dargli fiducia, ma se tremo anch'io non credo sia molto credibile.
Stringo il suo viso tra le mani e lo guardo negli occhi, avvicino le mie labbra alle sue, in un bacio che non è un bacio ma molto di più, è coraggio. Sento il sapore salato delle lacrime misto a quello acre della sofferenza. Adesso posso dire che c'è qualcosa di peggiore del silenzio ed è il limbo in cui sei sospeso quando conosci solo mezza verità.
Sospira cercando di liberarsi di ogni sofferenza, ma serve a ben poco. È stanchissimo, gli occhi gonfi, il colorito pallido, è maledettamente tardi e l'unica cosa di cui avrebbe bisogno adesso è una lunga dormita.
Lo vedo fissare il vuoto, perso in uno spazio tutto suo in cui ancora non mi ha fatto entrare ma che ha deciso per lo meno di condividere con me.
Ha le mani gelide, arrossate sui polpastrelli e sono così magre, le vene si intravedo ad una ad una, sembra quasi che si riesca a veder scorrere il sangue al loro interno per come vibrano nervose.
Sento le forze abbandonarmi.
Ci sdraiamo vicini con le mani intrecciate, poggia la testa sul mio petto e mi stringe cingendomi la vita con il braccio. Scosto una ciocca di capelli dietro l'orecchio e la sento umida per le lacrime di poco prima, gli accarezzo incessantemente il viso, disegnandone i profili con un dito. Finalmente cessa di tremare. Cerco di formulare una domanda, un pensiero qualsiasi, ma non trovo niente che abbia senso ora nella mia mente.
Si muove stringendomi ancora e baciando la parte del mio corpo che trova più vicina alla bocca, si volta poi verso di me, guardandomi negli occhi. Un sorriso tirato mi muove le labbra, si siede incrociando le gambe e prende le mie mani tra le sue.
-Prima che ti racconti tutto, c'è una cosa che devi sapere, lo penso da sempre, da quando ti ho vista la prima volta dietro quella macchinetta fotografica e lo penso adesso mille volte più intensamente di prima.-
Si ferma un attimo, inumidisce il labbro inferiore guardandomi fisso negli occhi, con espressione smarrita.
-Nicole io ti amo e spero, prego con tutte le forze che dopo quello che sto per dirti i tuoi sentimenti per me non cambino.-
L’ha detto. L’ho sentito non me lo sono immaginato vero?
Quella confessione d’amore acquista subito il retrogusto amaro delle parole che sono sicura adesso aggiungerà.
-Mich...-
-No lasciami finire ti prego, adesso ho trovato il coraggio per parlare e voglio dire tutto in un fiato.-
Il mio cuore batte all'impazzata si dev'essere spostato da qualche parte perchè vi giuro non so più da dove arrivi il battito.
-Come dieci anni fa, qualcuno ha deciso che i soldi sono più importanti di tutto, anche dei propri figli.-
Dov’è finita la luce sognante dei suoi occhi? Se c’è qualcuno lassù è ora che si faccia vivo.
- Nicole ti giuro che non ho mai fatto e mai farei del male a un bambino in vita mia. So cosa si prova ed è un buon deterrente per non farlo, te lo assicuro.-
Credo proprio che il mio cuore adesso si sia fermato del tutto, cosa sta dicendo? Non deve dirmi queste cose le so già dal momento in cui ho visto i suoi occhi per la prima volta.
Si ferma ancora o meglio le parole gli si bloccano letteralmente in gola, parole miste a lacrime che arrivano direttamente dall'anima, è lì che è stato colpito, lì lo hanno appena ferito, lacrime che bruciano, tagliano come lame.
-I genitori di Gavin...gli Arvizio, mi faranno causa. Nicole io...-
Sta per crollare e con lui anche io e la mia forza di volontà. Gavin...l'ho visto qui a Neverland diverse volte, giocava e rideva con Michael che gli è stato sempre accanto anche prima e dopo la chemio.
Non è possibile ci deve essere un errore non può essere lo stesso bambino che rideva facendosi il solletico con Mike. Una forza sconcertante che diventa subito determinazione mi invade facendomi uscire parole che non controllo.
-Michael guardami.-
-Io ti amo in questo momento più di quanto avrei mai potuto immaginare, non sarà una bugia a farmi dubitare di te e tanto meno del mio amore.-
-Nicol...-
-No Michael non farti ridurre in questo stato, ti prego non dargliela vinta, sono qui con te, insieme ce la faremo.-
Le lacrime scendono senza che me ne renda conto.
-Ce la faremo amore mio, ce la faremo...-
Finalmente si addormenta, stremato, con il respiro debole e gli occhi umidi, abbracciati sotto il peso schiacciante di una notizia che tra poco farà il giro del mondo. Una voce diverrà centomila voci, tutti saranno pronti a giudicare e a condannare prima ancora che si sappia l'inizio del processo.
Avrei un infinita di cose da dirgli ma niente riesce a prendere una forma consistente in questo momento. Ancora non posso credere che sia accaduto veramente…vorrei che fosse solo un brutto incubo, come faccio ad aiutarlo in una situazione del genere, come posso alleviare le sue sofferenze, non posso…
Lo vedo fragile per la prima volta, sento il suo odore accanto a me e mi sembra di non sentirlo da anni, mi è mancato così tanto in una sola giornata ed ora che è qui è come se non ci fosse. Sento il calore del suo corpo a contatto con il mio in un modo talmente delicato e dolce che mi viene di abbracciarlo, gli accarezzo lentamente il viso facendo attenzione a non disturbarlo dal sonno. Ha ancora le gote arrossate dalle lacrime, quasi scottano sotto il passaggio della mia mano. Non so come andranno le cose, ma stanotte voglio stargli il più vicino possibile, ho bisogno di conoscere ogni singola parte di quest’essere meraviglioso e imprimerla indelebilmente nella mia mente. Vorrei che questa notte non finisse mai, vorrei che il domani si fermasse ad oggi, vorrei almeno per questa notte entrare in uno dei suoi sogni e rendergli la felicità che merita.
Mi addormento così, sperando di essere un piccolo elemento di sollevio tra i suoi pensieri più oscuri che adesso aleggiano ancora nella stanza, è rimasto l’eco di quelle parole nell’aria, è rimasto nelle mie orecchie, sulla pelle. Meglio abbandonarsi tra le braccia di Morfeo e lasciare il tempo a rimarginare le ferite.
marina56- Moderator
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Re: Ricordi sbiaditi (terminata)
Capitolo 23
Fare l'amore, il brivido di un minuto che in fondo è lo stesso sia che tu vada con l'uomo che ami o con uno che hai appena incontrato. E per quel brivido quanti sentimenti vengono convolti, quanti legami che prendono le denominazioni più strane, quanta curiosità c'è prima e quanta noia dopo. Al giorno d'oggi si parla troppo spesso di sesso e il fatto è che se ne fa molto meno di quanto non si dica.
Per esempio, sapete come si riproducono le lumache?
Beh, sono dei piccoli esserini che sono stati creati ermafroditi, in poche parole contengono dentro di loro entrambi gli organi per riprodursi. Accade tutto così, senza contatti, senza sentimenti, senza alcuna minima traccia d'amore tra due entità differenti. Ho paura che prima o poi anche gli uomini finiranno per diventare lumache, ma ci distingue fondamentalmente ancora una cosa: a noi l'atto in sè non basta. Non ci uniamo solo ed esclusivamente per riprodurci, se così fosse chi allora non desidera creare una nuova vita non avrebbe motivo per accoppiarsi. Siamo diversi, grazie a quell'unica cosa che poi si rivela essere proprio il problema che ci attanaglia nelle relazioni e cioè il cuore. Cerchiamo di ignorarlo, cerchiamo di farne a meno, cerchiamo tutti in fondo di essere lumache.
Anch'io ho provato a farlo, ci provo ancora e disperatamente, ma una delle controindicazioni del cuore nelle storie d'amore è…ironia della sorte: la dipendenza.
Sembra un mostro che oscuro e scaltro si nasconde nei posti più impensabili, si insinua logorando l'anima anche nell'essere più impensabile. Mi sento impotente, triste, a tratti delusa.
No, non delusa da lui, delusa più che altro dalla figura perfetta che credevo incarnasse.
L'ho visto affrontare mille problemi, l'ho visto lottare con le unghie e con i denti per affermare le sue idee, l'ho visto combattere contro pregiudizi e maldicenze.
Ho visto le sue debolezze, l'ho sentito sciogliersi in lacrime davanti alle ingiustizie del mondo, l'ho sentito vacillare, dubitare, l'ho visto insicuro e fragile come un bolla di cristallo.
L'ennesimo colpo ha distrutto ogni muro su cui aveva fondato la sua precaria ma serena esistenza e con sè sta portando inosabilmente anche me.
La dipendenza…
Con estrema riluttanza rimango qui senza far niente e per quanto possa essere rigenerante, stare senza far niente non l’ho mai sopportato.
Stamattina si è svegliato prima di me, piuttosto presto penso, visto che il materasso accanto a me era freddo come se fosse rimasto scoperto tutta la notte.
L’ho visto distrattamente girare per la cucina mentre i bambini facevano colazione. Si è limitato ormai tutto a sguardi spenti e gesti casuali, avrei giurato che il telefono oggi avrebbe iniziato a suonare di continuo e invece niente, non uno squillo, il silenzio più totale in cui affoga anche la mia certezza.
-Nicole, Nicole, Nicole-
Sophie mi guarda con l’aria sconsolata.
-Che pesantezza che c’è qui dentro, mi vengono i brividi, non parla più nessuno.-
-Tesoro…io non saprei nemmeno cosa dire.-
Passa dietro il divano sul quale sono seduta e mi sfiora la spalla cercando di darmi un po’ conforto, la accolgo subito nella mia e le sorrido appena.
-Grazie.-
-E di cosa?-
-Per essere qui, per essere semplicemente così come sei.-
Mi sorride anche lei.
-Niki, non ti lascerei mai sola.-
-E poi mister movimento di bacino ha bisogno di distrarsi…chi meglio di me!-
-E’ a pezzi Sophie, letteralmente a pezzi, vorrei fare mille cose per poterlo aiutare, ma non posso fare niente.-
Arrotola i capelli e li tira su fissandoli con una penna che trova poggiata sul tavolo.
-Puoi fare l’unica cosa di cui ha veramente bisogno, stagli vicino. Si sa quando la barca affonda…gli resti praticamente solo tu, per non parlare della splendida e strabellissima amica della sua ragazza. Cioè sono una brava consolatrice.-
-Ah in che senso?-
Comincia a ridere e capisco subito dove vuole andare a parare.
-Nel senso che…ti ho consolata no? Visto che ridi…-
-Ma fammi il favore!-
-A proposito, l’hai visto per caso?-
-No sarà in giro da qualche parte.-
Decido di uscire, prendere un po’ d’aria, Neverland è il posto perfetto per passeggiare in piena tranquillità completamente immersi nel verde più radioso.
Una soffiata di vento caldo fa muovere i rami degli alberi e sembra che un gruppo di scoiattoli dispettosi ci sia appena passato attraverso.
Sento l’aria invadere penetrante perfino i miei pensieri, se riuscisse a farli volare via sarebbe meraviglioso.
Invece restano lì, esattamente come stanotte, solo un po’ più distanti.
Passo davanti alla sala proiezioni, quel posto magico dove puoi vedere ciò che vuoi prendere vita su uno schermo gigante. Quante volte ho passato le giornate lì dentro con Michael a guardare film e riempiendoci di schifezze fino a star male come due bambini.
Riesco a malapena a percepire dei suoni provenire dall’interno.
Lo vedo seduto al centro, all’ultima fila, mentre guarda uno dei suoi tanti video.
Sotto la luce bianca del proiettore lo vedo serio come non mai, ha il gomito che poggia sul bracciolo del sedile e con la mano si sorregge il mento quasi stesse pensando attentamente.
Mi vede e fa cenno di sedermi accanto a lui, non dice niente, rimango lì spiazzata da questo strano confronto che ho tra lo schermo e la realtà.
Non cerco di capire perché è venuto qui, perché sta vedendo i video dei suoi maggiori successi, non ce ne è bisogno. Sarà paura di sapere che vorrebbe tornare a quei tempi, in cui tutto forse era più facile, quando era quello “strano” e non il “maniaco” , a bloccarmi prima di parlare.
So perfettamente che è così non c’è bisogno di sentirlo dire.
Nonostante tutto, è lui a preoccuparsi per me, mi fa tremendamente star bene sapere di poter contare sempre e comunque su di lui. Lui mi dà la forza e invece dovrebbe essere il contrario.
Credo mi abbia visto preoccupata, confusa o anche incuriosita gli è bastato stringere la mia mano senza fare nient’altro, senza nemmeno voltarsi ed è bastato a farmi sentire per un po’ ancora dentro il nostro sogno.
***
-Come è andata la giornata?-
-Bene, Sophie mi fa molta compagnia.-
Assume un’espressione malinconica e mi sento in colpa per aver sottolineato che è la mia amica a stare con me tutto il giorno e non lui.
-Mi dispiace non poter passare più tempo insieme, sto più con gli avvocati che con te ormai.-
-Michael non vedi scusarti, capisco benissimo.-
Gli sorrido cercando di non far vedere il dispiacere che mi tormenta sotto la pelle, non sentirlo, non toccarlo, non viverlo mi rende l’aria meno naturale da respirare.
Esce la mattina senza nemmeno fare rumore, torna la notte tardi, se torna, stanco, irriconoscibile, solo l’ombra di se stesso, sguardi vuoti e fugaci che nascondono la paura di ammettere la sofferenza che li rende così assenti.
Si torce le mani nervosamente, sembra un leone in gabbia.
-Vieni con me.-
-Adesso? Dove?-
-Shhh vieni…-
Mi afferra la mano delicatamente e lo seguo non prestando attenzione, sento solo la sua mano calda stringere la mia dopo così tanto tempo che non mi sembra reale.
Passiamo attraverso un piccolo, strettissimo passaggio appena dietro la sua camera da letto, ci ritroviamo davanti ad una scalinata dove curiosamente al lato di ogni gradino è poggiata una bambola.
Continua a camminare ed attraversata la piccola porta azzurrognola entriamo in una stanza che a primo impatto mi spiazza.
Ci sono giochi ovunque, sembra un paradiso per bambini perduti, lo vedo sorridere e guardarmi sognante.
-E’ qui che vengo quando sono triste o malinconico.-
Davvero un posto bizzarro per far cessare la tristezza, ma conoscendo Michael so che dietro l’apparente stranezza c’è qualcosa di molto più importante e profondo.
-Qui mi sembra che il tempo si fermi, non ti senti fuori dal mondo?-
Annuisco continuando a guardarmi intorno mentre stringe ancora la mia mano e con l’altra gesticola leggermente.
-E’ come se potessi continuare ancora ad essere un bambino in questa stanza, l’unico lasso di infanzia che mi rimane, non avendone vissuta una vera…-
Mi fermo davanti a un piccolo quadro affisso sulla parete.
“I bambini non dovrebbero mai andare a dormire; si svegliano più vecchi di un giorno.”
Riesco a mala pena a finire di leggere la frase che Michael da dietro mi cinge la vita con le mani.
-E senza che uno se ne accorga sono cresciuti.-
Continua con parole che sul quadro non sono state inserite.
Lo sussurra piano, vicino all’orecchio e capisco che non è casuale quella piccola omissione.
Spezzata in quel punto la frase lascia un non so che di speranza, i bambini passata la notte sono più vecchi di un giorno ma non per questo sono diventati adulti. Non si diventa grandi con un giorno soltanto.
È come se avesse voluto far capire che quel bambino non è ancora cresciuto, sta ancora dormendo magari, ma avvicinandosi a me, in questo momento, con quel modo languido e sussurrando invece il resto della frase che afferma che i bimbi crescono senza che te ne accorga, intuisco il suo gioco.
È un bambino che all’occasione giusta sa diventare grande ma potrebbe essere anche un uomo che nel momento giusto sa tornare bambino.
Io penso semplicemente che sia entrambe le cose, un uomo che non vuole perdere il suo essere bambino e che contemporaneamente non può perderlo, ne ha bisogno per vivere e questa stanza in cui è libero di esserlo ne è la prova.
Mi volta verso di lui, sorride quando ci troviamo talmente vicini da sentire i nostri respiri mescolarsi in un unico fremito.
Non resisto un secondo di più e lo bacio staccando finalmente la mia mano dalla sua per portarla sul suo viso.
Questo sapore…mi manca in ogni secondo che vivo, mi rende subito priva di qualsiasi volontà, non so cosa sia, non se sia possibile una reazione talmente forte per un bacio, ma fino a ieri c’erano tante cose che non credevo possibili ed ora invece…
Stretta contro il muro sento il suo petto attaccarsi al mio, porta una mano dietro la nuca ed affonda più profondamente nella mia bocca, quasi volesse assaggiare ogni angolo nascosto e tirarne fuori chissà quale meraviglioso tesoro.
Mette l’altra mano dietro la mia schiena, sotto la maglietta nera che indosso, mi avvicina delicatamente verso di lui.
Avverto la sua eccitazione e quasi orgogliosa di una reazione simile lo stringo a me ancora più forte.
Quando si stacca dal bacio uno schiocco attraversa l’aria della stanza, mi fissa negli occhi con aria compiaciuta.
-Non riesco a resisterti.-
Si rituffa sulle mie labbra baciandone i contorni, scendendo verso il collo e tornando poi a possederla con la sua lingua esperta.
Mi stringe ancora di più contro il muro tanto che sento il freddo della parete fare contrasto con il calore dei nostri corpi.
Il suo ginocchio si fa strada tra le mie e la mia mente rimanda subito a un altro pensiero simile che mi invade subito la pelle.
-Non devi resistermi.-
Gli sbottono la camicia.
Vorrei non sentire quella vocina che mi sta dicendo che qui non possiamo lasciarci andare così.
-Michael-
Provo a chiamarlo mentre si insinua sotto il reggiseno, ma mi ignora completamente.
Cerco di trovare la lucidità necessaria per continuare a parlare.
-Michael-
-Mmmm-
È tutto quello che riesce a dire.
Lo prendo per un “dimmi Nicole”.
Mi riapproprio quasi violentemente della sua mano che non avrei tolto dalla mia pelle per niente al mondo e mi dirigo verso la porta.
-Mike seguimi.-
-Dove mi porti?-
-In paradiso…-
Capitolo 24
Sgattaiolo dalla camera da letto di Michael con i capelli arruffati, indossando la camicia bianca che ho raccolto da terra e che mi copre solo fino a metà della coscia. Non ho nemmeno perso tempo a chiudere i bottoni, l’ho semplicemente avvolta il più che potevo e la tengo stretta con le braccia conserte, in fondo devo soltanto andare in cucina a prendere un bicchiere d’acqua.
Guardo in tutte le direzioni, senza sporgermi troppo dal muro che si solleva prima delle scale.
Via libera.
Scendo di fretta, cercando di non fare alcun rumore, sotto i piedi scalzi sento la superficie liscia e fredda del parquet, aumento il passo al pensiero che tra poco sarò di nuovo al caldo, sotto le lenzuola…
Riempio il bicchiere e finalmente un senso di sollievo invade ogni centimetro del mio corpo. Ma improvvisamente la luce della cucina si accende.
-Tana per Niki!-
-Porca miseria Sophie, vuoi farmi prendere un colpo?-
Avanza verso di me agitando il dito a destra e sinistra.
-No, no non ci provare…tesoro…bella camicia è nuova?-
Poso il bicchiere nel lavandino e mi appoggio sul mobiletto vicino incrociando le gambe.
-Come mai sei ancora in piedi?-
-Ha chiamato Bill abbiamo parlato un po’ e non sono riuscita più ad addormentarmi.-
-Che ti ha detto stavolta?-
Bill è un uomo di circa trent’anni, di bell’aspetto, ma ha la curiosa abitudine di chiamare solo ed esclusivamente quando gli serve qualcosa. Sono due anni ormai che si lasciano e si riprendono a intermittenza, la cosa peggiore è che Sophie si è innamorata di lui da subito.
L’ho vista piangere fino a perdere le forze ed addormentarsi troppe di quelle volte che spero abbia finalmente imparato a mettere da parte il cuore e dar retta a un minimo di amor proprio.
Quell’uomo non merita nemmeno una delle sue lacrime.
-Ma niente solite cose, che è cambiato, che possiamo riprovare…-
Si ferma e sospirando profondamente continua.
-Sinceramente non lo so, non lo stavo nemmeno ascoltando, l’ho mandato al diavolo prima che potesse intortarmi di nuovo.-
-Grande!!! Meriti molto di meglio.-
-Niki che rimanga tra noi…-
Mi fa cenno di avvicinarmi a lei e inizia a parlare sottovoce.
-Più che altro poteva fare un piroutte, Billie Jean era lontano anni luce.-
-Sophie ancora con Billie Jean?!-
-Tesoro, forse non ti sei vista, sei sconvolta, dovresti vedere i tuoi capelli.-
-Perché che cos’hanno?-
Inizio a sistemare i capelli con la mano.
-Niki sembri uscita da un campo profughi, cosa cavolo state facendo? Non ti ho mai vista più sbattuta di così, è il caso di dirlo.- è stranamente seria quando fa certe battute -racconta immediatamente.-
Ridiamo come due cretine, piuttosto sghignazziamo sotto i baffi.
-Ma non c’è niente da raccontare.-
-Ecco lo sapevo, eri talmente fuori che nemmeno te lo ricordi.-
-Sophie non si può spiegare a parole, come faccio?-
-I dettagli vogliamo i dettagli.-
-Forse dovresti chiamare Bill, mi sembri un po’ troppo curiosa su certe cose ultimamente.-
-Niki, ma che me ne frega di Bill, non ho sbavato ore davanti ai suoi gold pants, a proposito, non dovevi farmele vedere quelle cose, sono sensibile io.-
Prima che io intraprendessi questa…relazione come Michael, Sophie non aveva idea nemmeno di cosa fosse il moonwalk.
Purtroppo e sottolineo purtroppo ho avuto la straordinaria idea di farle vedere qualche dvd, da quel momento mi tormenta in cerca di aneddoti e dettagli piccanti di qualsiasi tipo. Considerate che abbiamo visto il tutto nella sala proiezione, quindi il formato gigante dello schermo non fatto altro che peggiorare la situazione.
Se le dicessi cosa davvero c’è sotto rimarrebbe shockata per almeno due anni, non me la toglierei più di dosso, sarebbe persino in grado di pedinare Michael per scoprire chissà quale segreto nascosto. È al limite della follia.
Mi volto verso la finestra alle mie spalle, Neverland di notte, con tutte quelle luci è ancora più magica.
Quella magia arriva dritta ai miei occhi, scendendo per il cuore e lì si ferma, scaldandolo lentamente senza che me ne accorga.
-Sophie le sue mani, dovresti vederle…sono perfette! Grandi, morbide, forti e delicate allo stesso tempo, mi basta una carezza e mi sciolgo come neve al sole.-
-Le mani? Mmm andiamo avanti…-
-Hai mai fatto caso al suo sorriso? Ultimamente è raro vederlo, ma quando guarda i suoi bambini…gli occhi, quegli occhi Sophie, è iniziato tutto da lì. Volevo fotografare la sua anima pensa un po’.-
-Ci sei riuscita?-
-Credo di si. Ma mi sembra così complessa, ogni volta che penso di averla afferrata mi sfugge in un attimo.-
-Sei proprio andata Nicole.-
Ride giocando con una mela che ha appena trovato nel cesto sull’enorme tavolo della cucina.
-Completamente.-
Dico tra le risate che mi fanno tremare la voce.
-Nic che fine hai fatto?-
-Oh scusate!-
Michael ci appare all’improvviso davanti la porta, con i capelli arruffati.
Ha i pantaloni del pigiama con Tom e Jerry stampati sopra e la vestaglia rossa chiusa dalla cinta sulla vita che lascia intravedere una buona porzione della sua pelle nuda al di sotto.
-Ciao Mike!-
-Ciao Sophie. Come stai?-
-Bene. Ma….ho sonno, direi che ora che vada a letto…Buona notte.-
Si dirige verso la porta poi si volta verso di me e mi fa l’occhiolino girandosi verso Michael.
-…na na I’m the one….na nan naa mmm…-
Se ne va intonando a bassa voce una melodia che dovrebbe essere BJ, Michael mi guarda divertito e un po’ confuso.
-Era Billie Jean vero?
-Si lascia perdere Mike, è una storia lunga…-
-Avevi detto che dovevi bere un bicchiere d’acqua, non ti ho vista più salire, mi stavo preoccupando.-
Si avvicina a me scostandomi i capelli dal viso e sorridendo dolcemente.
Le sue mani, il suo sorriso, i suoi occhi…penso nuovamente e un velo di tristezza mi ricopre lo sguardo.
-Che succede?-
Se ne accorge subito, gli occhi sono lo specchio dell‘anima, accidenti vorrei non fosse così almeno per una volta.
-Ho paura…non so perché, ma ho paura.-
Le parole escono senza che prima la ragione le possa modificare, ho paura che tutto possa finire, ho paura di una marea di cose, ho paura soprattutto di non poter vivere più niente di tutto questo.
-Non devi aver paura, io non ti farò mai del male.-
-Dici sul serio?-
Mi chiude il viso tra le mani e mi costringe così a guardare nei suoi occhi.
-Assolutamente. Mai. Preferirei farne a me piuttosto.-
Chiude il concetto con un punto ineguagliabile, mi bacia incastrando il mio labbro superiore tra le sue e si stacca dolcemente abbracciandomi.
Stretta così tra le sue braccia, ancora una volta ogni dubbio svanisce, ancora una volta il mondo, la razionalità, ogni pensiero lascia il posto alla meravigliosa sensazione di pace che mi avvolge quando gli sono accanto.
Non mi farebbe mai del male, basta soltanto questo. Io gli credo.
Mi avvicino al suo orecchio.
-Dove eravamo rimasti?-
Lo sussurro piano, soffiando e sento un brivido attraversare il suo corpo prima di prendere tra le labbra il lobo e baciarlo lentamente.
Mette le mani attorno ai miei fianchi, stringe la carne che incontra affondando le dita come in un barattolo di marmellata, avvicina il mio bacino al suo imitando un movimento che non fa altro che accrescere l’urgenza di sentirlo ancora più vicino.
Fa scivolare le mani sulla vita e inaspettatamente mi solleva da terra continuando a baciarmi il collo mentre le mie mani vagano dolcemente tra la morbidezza dei suoi capelli neri.
Mi fa poggiare sul tavolo in legno della cucina, un mela cade dal cesto dopo lo scontro del suo corpo che si avvicina voglioso al mio senza controllo.
La camicia che indosso si apre immediatamente quando le sue mani iniziano a toccarmi segnando un percorso immaginario senza alcun senso preciso. Apro la cinta della vestaglia e sento finalmente la sua pelle sulla mia.
Chiede insistentemente l’accesso alla mia bocca con la lingua, un permesso che gli concedo ben volentieri, così come lui concede alla mia mano di regalargli con estrema lentezza un piacere che lo fa fremere di desiderio. Mi fa stendere con la schiena sul tavolo, le mie gambe gli circondano i fianchi, con un dito attraversa lo sterno arrivando all’ombelico per scendere poi ancora più in basso allargando la mano e sfiorandomi con il palmo risalendo sul fianco.
-Sei bellissima.-
Torna con un dito a sfiorare l’elastico del mio intimo e lo sposta quanto basta per potersi fare spazio e affondare lentamente, con una lentezza esasperante, lo sento riempire perfettamente ogni fibra e restare fermo per qualche secondo in modo da farmi prendere consapevolezza di quella nostra unione.
Con le mani sui miei fianchi si aiuta nella corsa al piacere che già mi invade corpo e mente spazzando ogni pensiero ragionevole.
Lo vedo dal basso, osservo il suo petto muoversi ritmicamente e iniziare ad imperlarsi appena di sudore.
Sotto la luce il riflesso lo fa sembrare ancora più ambrato, più delineato, i nostri sguardi si incontrano e lo sento rallentare quando il mio piacere stava per farsi più intenso. Mi fissa negli occhi con un’espressione di tenerezza e sensualità che non saprei spiegare. Gli lancio un’occhiata intrisa di voluttà e così per reazione affonda con ardore quasi violento tanto da farmi inarcare la schiena e chiudere gli occhi per l’intenso piacere. Porto una mano alla bocca per non far uscire alcun suono, con le braccia lungo il tavolo muovo il bacino verso di lui e un gemito leggero fuoriesce dalle sue labbra. Ci perdiamo entrambi nel momento in cui il sangue sembra fermarsi e lasciare il posto alle miriadi di sensazioni che esplodono in contemporanea sotto la pelle.
Ancora uniti si abbassa sopra di me, accarezzandomi il viso, metto subito la mia mano sulla sua e la stringo sorridendogli.
Non servono parole, non servono sguardi ne gesti, non abbiamo bisogno di nulla se non l’una dell’altra.
***
14 febbraio 2003.
Abbiamo deciso di uscire un po’ per le strade di Los Angeles, io e Sophie, come facevamo spesso prima che Michael entrasse nella mia vita e assorbisse gran parte del mio tempo e delle mie energie insieme al lavoro che mi impegna ogni giorno di più.
-State sempre chiusi lì dentro.-
-Ma che dici, ci sono solo chilometri e chilometri di terreno…-
-Si infatti perché uscite spesso, ma se non fate altro che starvene chiusi in camera da letto.-
Camminiamo lungo la via principale di Santa Monica, la 3rd Street Promenade, entriamo da Starbucks per prenderci il nostro solito espresso.
-Anzi, in cucina dovrei dire dati gli ultimi avvenimenti.-
Si contorce dalle risate mentre ci sediamo al tavolino vicino la vetrata che permette di poter sorseggiare uno splendido caffè guardando le eccentriche persone che passano lungo le vie californiane.
Quanto mi è mancata la vita normale.
-Vuoi una mela Niki?-
-Ooooh e basta!-
Continua a ridere guardandosi intorno.
-Speriamo di non incontrare nessuno, non mi va per niente oggi.-
Finalmente il cameriere arriva portando un vassoio con su due grosse tazze di caffè e una fetta di torta di mele con due forchette. Sophie non ha perso l’occasione per lanciargli una delle sue occhiate maliziose e per un attimo mentre tornava al bancone non ha inciampato contro un tavolino.
-Ah ma lo sai che è tornato Daniel?-
Per poco il caffè non mi va di traverso, tossisco appena cercando di non dargli troppa importanza.
-Interessante…-
Le dico portando nuovamente la tazza alle labbra e soffiando leggermente nella speranza che si raffreddi un po’.
-Era così per parlare.-
Tiro il cellulare fuori dalla borsa per vedere l’ora. Non ho mai sopportato gli orologi. A dire il vero la cosa che più mi da fastidio sono gli orecchini, non so perché, forse non ho mai trovato il paio che mi stesse veramente bene, anzi non l’ho mai cercato ora che ci penso. Peccato. Solo anelli, bracciali e collane. Cosa strana lo so, soprattutto se mi viene in mente la collana che mi ha regalato Daniel.
“1 nuovo messaggio”
Lo leggo immediatamente, non resisto un secondo quando vedo qualcosa sul display.
“7 chiamate senza risposta” wow sono ricercata penso.
-Sophie!-
-Mmm-
Dice mentre manda giù l’ultimo pezzetto di torta.
-Sophie, Michael…cioè Grace, dobbiamo andare.-
-Eh? Cosè un rebus?-
Mi alzo lasciando tutto così comè, prendo la borsa e la chiudo di scatto, lasciando fuori il cellulare per poter rileggere il messaggio quasi sperando che non ci sia più e che sia stato solo frutto della mia immaginazione.
E invece è ancora lì, lo rileggo di nuovo. E poi ancora una volta.
Grace dice che Michael è stato ricoverato in ospedale, sento il cuore fermarsi, o accelerare troppo da perderne la cognizione, so solo che le mani mi tremano e il sangue pulsa violentemente sulle tempie.
All’uscita del locale la tv enorme che sovrasta l’ingresso manda le immagini del notiziario, parlano del processo, ma non capisco neanche un parola. Non riesco a pensare, non riesco nemmeno a mettere un piede davanti all’altro per poter camminare e corro, corro più veloce che posso mentre le lacrime all’improvviso salgono fino alla gola e creano un nodo talmente grande che mi blocca il respiro.
Fare l'amore, il brivido di un minuto che in fondo è lo stesso sia che tu vada con l'uomo che ami o con uno che hai appena incontrato. E per quel brivido quanti sentimenti vengono convolti, quanti legami che prendono le denominazioni più strane, quanta curiosità c'è prima e quanta noia dopo. Al giorno d'oggi si parla troppo spesso di sesso e il fatto è che se ne fa molto meno di quanto non si dica.
Per esempio, sapete come si riproducono le lumache?
Beh, sono dei piccoli esserini che sono stati creati ermafroditi, in poche parole contengono dentro di loro entrambi gli organi per riprodursi. Accade tutto così, senza contatti, senza sentimenti, senza alcuna minima traccia d'amore tra due entità differenti. Ho paura che prima o poi anche gli uomini finiranno per diventare lumache, ma ci distingue fondamentalmente ancora una cosa: a noi l'atto in sè non basta. Non ci uniamo solo ed esclusivamente per riprodurci, se così fosse chi allora non desidera creare una nuova vita non avrebbe motivo per accoppiarsi. Siamo diversi, grazie a quell'unica cosa che poi si rivela essere proprio il problema che ci attanaglia nelle relazioni e cioè il cuore. Cerchiamo di ignorarlo, cerchiamo di farne a meno, cerchiamo tutti in fondo di essere lumache.
Anch'io ho provato a farlo, ci provo ancora e disperatamente, ma una delle controindicazioni del cuore nelle storie d'amore è…ironia della sorte: la dipendenza.
Sembra un mostro che oscuro e scaltro si nasconde nei posti più impensabili, si insinua logorando l'anima anche nell'essere più impensabile. Mi sento impotente, triste, a tratti delusa.
No, non delusa da lui, delusa più che altro dalla figura perfetta che credevo incarnasse.
L'ho visto affrontare mille problemi, l'ho visto lottare con le unghie e con i denti per affermare le sue idee, l'ho visto combattere contro pregiudizi e maldicenze.
Ho visto le sue debolezze, l'ho sentito sciogliersi in lacrime davanti alle ingiustizie del mondo, l'ho sentito vacillare, dubitare, l'ho visto insicuro e fragile come un bolla di cristallo.
L'ennesimo colpo ha distrutto ogni muro su cui aveva fondato la sua precaria ma serena esistenza e con sè sta portando inosabilmente anche me.
La dipendenza…
Con estrema riluttanza rimango qui senza far niente e per quanto possa essere rigenerante, stare senza far niente non l’ho mai sopportato.
Stamattina si è svegliato prima di me, piuttosto presto penso, visto che il materasso accanto a me era freddo come se fosse rimasto scoperto tutta la notte.
L’ho visto distrattamente girare per la cucina mentre i bambini facevano colazione. Si è limitato ormai tutto a sguardi spenti e gesti casuali, avrei giurato che il telefono oggi avrebbe iniziato a suonare di continuo e invece niente, non uno squillo, il silenzio più totale in cui affoga anche la mia certezza.
-Nicole, Nicole, Nicole-
Sophie mi guarda con l’aria sconsolata.
-Che pesantezza che c’è qui dentro, mi vengono i brividi, non parla più nessuno.-
-Tesoro…io non saprei nemmeno cosa dire.-
Passa dietro il divano sul quale sono seduta e mi sfiora la spalla cercando di darmi un po’ conforto, la accolgo subito nella mia e le sorrido appena.
-Grazie.-
-E di cosa?-
-Per essere qui, per essere semplicemente così come sei.-
Mi sorride anche lei.
-Niki, non ti lascerei mai sola.-
-E poi mister movimento di bacino ha bisogno di distrarsi…chi meglio di me!-
-E’ a pezzi Sophie, letteralmente a pezzi, vorrei fare mille cose per poterlo aiutare, ma non posso fare niente.-
Arrotola i capelli e li tira su fissandoli con una penna che trova poggiata sul tavolo.
-Puoi fare l’unica cosa di cui ha veramente bisogno, stagli vicino. Si sa quando la barca affonda…gli resti praticamente solo tu, per non parlare della splendida e strabellissima amica della sua ragazza. Cioè sono una brava consolatrice.-
-Ah in che senso?-
Comincia a ridere e capisco subito dove vuole andare a parare.
-Nel senso che…ti ho consolata no? Visto che ridi…-
-Ma fammi il favore!-
-A proposito, l’hai visto per caso?-
-No sarà in giro da qualche parte.-
Decido di uscire, prendere un po’ d’aria, Neverland è il posto perfetto per passeggiare in piena tranquillità completamente immersi nel verde più radioso.
Una soffiata di vento caldo fa muovere i rami degli alberi e sembra che un gruppo di scoiattoli dispettosi ci sia appena passato attraverso.
Sento l’aria invadere penetrante perfino i miei pensieri, se riuscisse a farli volare via sarebbe meraviglioso.
Invece restano lì, esattamente come stanotte, solo un po’ più distanti.
Passo davanti alla sala proiezioni, quel posto magico dove puoi vedere ciò che vuoi prendere vita su uno schermo gigante. Quante volte ho passato le giornate lì dentro con Michael a guardare film e riempiendoci di schifezze fino a star male come due bambini.
Riesco a malapena a percepire dei suoni provenire dall’interno.
Lo vedo seduto al centro, all’ultima fila, mentre guarda uno dei suoi tanti video.
Sotto la luce bianca del proiettore lo vedo serio come non mai, ha il gomito che poggia sul bracciolo del sedile e con la mano si sorregge il mento quasi stesse pensando attentamente.
Mi vede e fa cenno di sedermi accanto a lui, non dice niente, rimango lì spiazzata da questo strano confronto che ho tra lo schermo e la realtà.
Non cerco di capire perché è venuto qui, perché sta vedendo i video dei suoi maggiori successi, non ce ne è bisogno. Sarà paura di sapere che vorrebbe tornare a quei tempi, in cui tutto forse era più facile, quando era quello “strano” e non il “maniaco” , a bloccarmi prima di parlare.
So perfettamente che è così non c’è bisogno di sentirlo dire.
Nonostante tutto, è lui a preoccuparsi per me, mi fa tremendamente star bene sapere di poter contare sempre e comunque su di lui. Lui mi dà la forza e invece dovrebbe essere il contrario.
Credo mi abbia visto preoccupata, confusa o anche incuriosita gli è bastato stringere la mia mano senza fare nient’altro, senza nemmeno voltarsi ed è bastato a farmi sentire per un po’ ancora dentro il nostro sogno.
***
-Come è andata la giornata?-
-Bene, Sophie mi fa molta compagnia.-
Assume un’espressione malinconica e mi sento in colpa per aver sottolineato che è la mia amica a stare con me tutto il giorno e non lui.
-Mi dispiace non poter passare più tempo insieme, sto più con gli avvocati che con te ormai.-
-Michael non vedi scusarti, capisco benissimo.-
Gli sorrido cercando di non far vedere il dispiacere che mi tormenta sotto la pelle, non sentirlo, non toccarlo, non viverlo mi rende l’aria meno naturale da respirare.
Esce la mattina senza nemmeno fare rumore, torna la notte tardi, se torna, stanco, irriconoscibile, solo l’ombra di se stesso, sguardi vuoti e fugaci che nascondono la paura di ammettere la sofferenza che li rende così assenti.
Si torce le mani nervosamente, sembra un leone in gabbia.
-Vieni con me.-
-Adesso? Dove?-
-Shhh vieni…-
Mi afferra la mano delicatamente e lo seguo non prestando attenzione, sento solo la sua mano calda stringere la mia dopo così tanto tempo che non mi sembra reale.
Passiamo attraverso un piccolo, strettissimo passaggio appena dietro la sua camera da letto, ci ritroviamo davanti ad una scalinata dove curiosamente al lato di ogni gradino è poggiata una bambola.
Continua a camminare ed attraversata la piccola porta azzurrognola entriamo in una stanza che a primo impatto mi spiazza.
Ci sono giochi ovunque, sembra un paradiso per bambini perduti, lo vedo sorridere e guardarmi sognante.
-E’ qui che vengo quando sono triste o malinconico.-
Davvero un posto bizzarro per far cessare la tristezza, ma conoscendo Michael so che dietro l’apparente stranezza c’è qualcosa di molto più importante e profondo.
-Qui mi sembra che il tempo si fermi, non ti senti fuori dal mondo?-
Annuisco continuando a guardarmi intorno mentre stringe ancora la mia mano e con l’altra gesticola leggermente.
-E’ come se potessi continuare ancora ad essere un bambino in questa stanza, l’unico lasso di infanzia che mi rimane, non avendone vissuta una vera…-
Mi fermo davanti a un piccolo quadro affisso sulla parete.
“I bambini non dovrebbero mai andare a dormire; si svegliano più vecchi di un giorno.”
Riesco a mala pena a finire di leggere la frase che Michael da dietro mi cinge la vita con le mani.
-E senza che uno se ne accorga sono cresciuti.-
Continua con parole che sul quadro non sono state inserite.
Lo sussurra piano, vicino all’orecchio e capisco che non è casuale quella piccola omissione.
Spezzata in quel punto la frase lascia un non so che di speranza, i bambini passata la notte sono più vecchi di un giorno ma non per questo sono diventati adulti. Non si diventa grandi con un giorno soltanto.
È come se avesse voluto far capire che quel bambino non è ancora cresciuto, sta ancora dormendo magari, ma avvicinandosi a me, in questo momento, con quel modo languido e sussurrando invece il resto della frase che afferma che i bimbi crescono senza che te ne accorga, intuisco il suo gioco.
È un bambino che all’occasione giusta sa diventare grande ma potrebbe essere anche un uomo che nel momento giusto sa tornare bambino.
Io penso semplicemente che sia entrambe le cose, un uomo che non vuole perdere il suo essere bambino e che contemporaneamente non può perderlo, ne ha bisogno per vivere e questa stanza in cui è libero di esserlo ne è la prova.
Mi volta verso di lui, sorride quando ci troviamo talmente vicini da sentire i nostri respiri mescolarsi in un unico fremito.
Non resisto un secondo di più e lo bacio staccando finalmente la mia mano dalla sua per portarla sul suo viso.
Questo sapore…mi manca in ogni secondo che vivo, mi rende subito priva di qualsiasi volontà, non so cosa sia, non se sia possibile una reazione talmente forte per un bacio, ma fino a ieri c’erano tante cose che non credevo possibili ed ora invece…
Stretta contro il muro sento il suo petto attaccarsi al mio, porta una mano dietro la nuca ed affonda più profondamente nella mia bocca, quasi volesse assaggiare ogni angolo nascosto e tirarne fuori chissà quale meraviglioso tesoro.
Mette l’altra mano dietro la mia schiena, sotto la maglietta nera che indosso, mi avvicina delicatamente verso di lui.
Avverto la sua eccitazione e quasi orgogliosa di una reazione simile lo stringo a me ancora più forte.
Quando si stacca dal bacio uno schiocco attraversa l’aria della stanza, mi fissa negli occhi con aria compiaciuta.
-Non riesco a resisterti.-
Si rituffa sulle mie labbra baciandone i contorni, scendendo verso il collo e tornando poi a possederla con la sua lingua esperta.
Mi stringe ancora di più contro il muro tanto che sento il freddo della parete fare contrasto con il calore dei nostri corpi.
Il suo ginocchio si fa strada tra le mie e la mia mente rimanda subito a un altro pensiero simile che mi invade subito la pelle.
-Non devi resistermi.-
Gli sbottono la camicia.
Vorrei non sentire quella vocina che mi sta dicendo che qui non possiamo lasciarci andare così.
-Michael-
Provo a chiamarlo mentre si insinua sotto il reggiseno, ma mi ignora completamente.
Cerco di trovare la lucidità necessaria per continuare a parlare.
-Michael-
-Mmmm-
È tutto quello che riesce a dire.
Lo prendo per un “dimmi Nicole”.
Mi riapproprio quasi violentemente della sua mano che non avrei tolto dalla mia pelle per niente al mondo e mi dirigo verso la porta.
-Mike seguimi.-
-Dove mi porti?-
-In paradiso…-
Capitolo 24
Sgattaiolo dalla camera da letto di Michael con i capelli arruffati, indossando la camicia bianca che ho raccolto da terra e che mi copre solo fino a metà della coscia. Non ho nemmeno perso tempo a chiudere i bottoni, l’ho semplicemente avvolta il più che potevo e la tengo stretta con le braccia conserte, in fondo devo soltanto andare in cucina a prendere un bicchiere d’acqua.
Guardo in tutte le direzioni, senza sporgermi troppo dal muro che si solleva prima delle scale.
Via libera.
Scendo di fretta, cercando di non fare alcun rumore, sotto i piedi scalzi sento la superficie liscia e fredda del parquet, aumento il passo al pensiero che tra poco sarò di nuovo al caldo, sotto le lenzuola…
Riempio il bicchiere e finalmente un senso di sollievo invade ogni centimetro del mio corpo. Ma improvvisamente la luce della cucina si accende.
-Tana per Niki!-
-Porca miseria Sophie, vuoi farmi prendere un colpo?-
Avanza verso di me agitando il dito a destra e sinistra.
-No, no non ci provare…tesoro…bella camicia è nuova?-
Poso il bicchiere nel lavandino e mi appoggio sul mobiletto vicino incrociando le gambe.
-Come mai sei ancora in piedi?-
-Ha chiamato Bill abbiamo parlato un po’ e non sono riuscita più ad addormentarmi.-
-Che ti ha detto stavolta?-
Bill è un uomo di circa trent’anni, di bell’aspetto, ma ha la curiosa abitudine di chiamare solo ed esclusivamente quando gli serve qualcosa. Sono due anni ormai che si lasciano e si riprendono a intermittenza, la cosa peggiore è che Sophie si è innamorata di lui da subito.
L’ho vista piangere fino a perdere le forze ed addormentarsi troppe di quelle volte che spero abbia finalmente imparato a mettere da parte il cuore e dar retta a un minimo di amor proprio.
Quell’uomo non merita nemmeno una delle sue lacrime.
-Ma niente solite cose, che è cambiato, che possiamo riprovare…-
Si ferma e sospirando profondamente continua.
-Sinceramente non lo so, non lo stavo nemmeno ascoltando, l’ho mandato al diavolo prima che potesse intortarmi di nuovo.-
-Grande!!! Meriti molto di meglio.-
-Niki che rimanga tra noi…-
Mi fa cenno di avvicinarmi a lei e inizia a parlare sottovoce.
-Più che altro poteva fare un piroutte, Billie Jean era lontano anni luce.-
-Sophie ancora con Billie Jean?!-
-Tesoro, forse non ti sei vista, sei sconvolta, dovresti vedere i tuoi capelli.-
-Perché che cos’hanno?-
Inizio a sistemare i capelli con la mano.
-Niki sembri uscita da un campo profughi, cosa cavolo state facendo? Non ti ho mai vista più sbattuta di così, è il caso di dirlo.- è stranamente seria quando fa certe battute -racconta immediatamente.-
Ridiamo come due cretine, piuttosto sghignazziamo sotto i baffi.
-Ma non c’è niente da raccontare.-
-Ecco lo sapevo, eri talmente fuori che nemmeno te lo ricordi.-
-Sophie non si può spiegare a parole, come faccio?-
-I dettagli vogliamo i dettagli.-
-Forse dovresti chiamare Bill, mi sembri un po’ troppo curiosa su certe cose ultimamente.-
-Niki, ma che me ne frega di Bill, non ho sbavato ore davanti ai suoi gold pants, a proposito, non dovevi farmele vedere quelle cose, sono sensibile io.-
Prima che io intraprendessi questa…relazione come Michael, Sophie non aveva idea nemmeno di cosa fosse il moonwalk.
Purtroppo e sottolineo purtroppo ho avuto la straordinaria idea di farle vedere qualche dvd, da quel momento mi tormenta in cerca di aneddoti e dettagli piccanti di qualsiasi tipo. Considerate che abbiamo visto il tutto nella sala proiezione, quindi il formato gigante dello schermo non fatto altro che peggiorare la situazione.
Se le dicessi cosa davvero c’è sotto rimarrebbe shockata per almeno due anni, non me la toglierei più di dosso, sarebbe persino in grado di pedinare Michael per scoprire chissà quale segreto nascosto. È al limite della follia.
Mi volto verso la finestra alle mie spalle, Neverland di notte, con tutte quelle luci è ancora più magica.
Quella magia arriva dritta ai miei occhi, scendendo per il cuore e lì si ferma, scaldandolo lentamente senza che me ne accorga.
-Sophie le sue mani, dovresti vederle…sono perfette! Grandi, morbide, forti e delicate allo stesso tempo, mi basta una carezza e mi sciolgo come neve al sole.-
-Le mani? Mmm andiamo avanti…-
-Hai mai fatto caso al suo sorriso? Ultimamente è raro vederlo, ma quando guarda i suoi bambini…gli occhi, quegli occhi Sophie, è iniziato tutto da lì. Volevo fotografare la sua anima pensa un po’.-
-Ci sei riuscita?-
-Credo di si. Ma mi sembra così complessa, ogni volta che penso di averla afferrata mi sfugge in un attimo.-
-Sei proprio andata Nicole.-
Ride giocando con una mela che ha appena trovato nel cesto sull’enorme tavolo della cucina.
-Completamente.-
Dico tra le risate che mi fanno tremare la voce.
-Nic che fine hai fatto?-
-Oh scusate!-
Michael ci appare all’improvviso davanti la porta, con i capelli arruffati.
Ha i pantaloni del pigiama con Tom e Jerry stampati sopra e la vestaglia rossa chiusa dalla cinta sulla vita che lascia intravedere una buona porzione della sua pelle nuda al di sotto.
-Ciao Mike!-
-Ciao Sophie. Come stai?-
-Bene. Ma….ho sonno, direi che ora che vada a letto…Buona notte.-
Si dirige verso la porta poi si volta verso di me e mi fa l’occhiolino girandosi verso Michael.
-…na na I’m the one….na nan naa mmm…-
Se ne va intonando a bassa voce una melodia che dovrebbe essere BJ, Michael mi guarda divertito e un po’ confuso.
-Era Billie Jean vero?
-Si lascia perdere Mike, è una storia lunga…-
-Avevi detto che dovevi bere un bicchiere d’acqua, non ti ho vista più salire, mi stavo preoccupando.-
Si avvicina a me scostandomi i capelli dal viso e sorridendo dolcemente.
Le sue mani, il suo sorriso, i suoi occhi…penso nuovamente e un velo di tristezza mi ricopre lo sguardo.
-Che succede?-
Se ne accorge subito, gli occhi sono lo specchio dell‘anima, accidenti vorrei non fosse così almeno per una volta.
-Ho paura…non so perché, ma ho paura.-
Le parole escono senza che prima la ragione le possa modificare, ho paura che tutto possa finire, ho paura di una marea di cose, ho paura soprattutto di non poter vivere più niente di tutto questo.
-Non devi aver paura, io non ti farò mai del male.-
-Dici sul serio?-
Mi chiude il viso tra le mani e mi costringe così a guardare nei suoi occhi.
-Assolutamente. Mai. Preferirei farne a me piuttosto.-
Chiude il concetto con un punto ineguagliabile, mi bacia incastrando il mio labbro superiore tra le sue e si stacca dolcemente abbracciandomi.
Stretta così tra le sue braccia, ancora una volta ogni dubbio svanisce, ancora una volta il mondo, la razionalità, ogni pensiero lascia il posto alla meravigliosa sensazione di pace che mi avvolge quando gli sono accanto.
Non mi farebbe mai del male, basta soltanto questo. Io gli credo.
Mi avvicino al suo orecchio.
-Dove eravamo rimasti?-
Lo sussurro piano, soffiando e sento un brivido attraversare il suo corpo prima di prendere tra le labbra il lobo e baciarlo lentamente.
Mette le mani attorno ai miei fianchi, stringe la carne che incontra affondando le dita come in un barattolo di marmellata, avvicina il mio bacino al suo imitando un movimento che non fa altro che accrescere l’urgenza di sentirlo ancora più vicino.
Fa scivolare le mani sulla vita e inaspettatamente mi solleva da terra continuando a baciarmi il collo mentre le mie mani vagano dolcemente tra la morbidezza dei suoi capelli neri.
Mi fa poggiare sul tavolo in legno della cucina, un mela cade dal cesto dopo lo scontro del suo corpo che si avvicina voglioso al mio senza controllo.
La camicia che indosso si apre immediatamente quando le sue mani iniziano a toccarmi segnando un percorso immaginario senza alcun senso preciso. Apro la cinta della vestaglia e sento finalmente la sua pelle sulla mia.
Chiede insistentemente l’accesso alla mia bocca con la lingua, un permesso che gli concedo ben volentieri, così come lui concede alla mia mano di regalargli con estrema lentezza un piacere che lo fa fremere di desiderio. Mi fa stendere con la schiena sul tavolo, le mie gambe gli circondano i fianchi, con un dito attraversa lo sterno arrivando all’ombelico per scendere poi ancora più in basso allargando la mano e sfiorandomi con il palmo risalendo sul fianco.
-Sei bellissima.-
Torna con un dito a sfiorare l’elastico del mio intimo e lo sposta quanto basta per potersi fare spazio e affondare lentamente, con una lentezza esasperante, lo sento riempire perfettamente ogni fibra e restare fermo per qualche secondo in modo da farmi prendere consapevolezza di quella nostra unione.
Con le mani sui miei fianchi si aiuta nella corsa al piacere che già mi invade corpo e mente spazzando ogni pensiero ragionevole.
Lo vedo dal basso, osservo il suo petto muoversi ritmicamente e iniziare ad imperlarsi appena di sudore.
Sotto la luce il riflesso lo fa sembrare ancora più ambrato, più delineato, i nostri sguardi si incontrano e lo sento rallentare quando il mio piacere stava per farsi più intenso. Mi fissa negli occhi con un’espressione di tenerezza e sensualità che non saprei spiegare. Gli lancio un’occhiata intrisa di voluttà e così per reazione affonda con ardore quasi violento tanto da farmi inarcare la schiena e chiudere gli occhi per l’intenso piacere. Porto una mano alla bocca per non far uscire alcun suono, con le braccia lungo il tavolo muovo il bacino verso di lui e un gemito leggero fuoriesce dalle sue labbra. Ci perdiamo entrambi nel momento in cui il sangue sembra fermarsi e lasciare il posto alle miriadi di sensazioni che esplodono in contemporanea sotto la pelle.
Ancora uniti si abbassa sopra di me, accarezzandomi il viso, metto subito la mia mano sulla sua e la stringo sorridendogli.
Non servono parole, non servono sguardi ne gesti, non abbiamo bisogno di nulla se non l’una dell’altra.
***
14 febbraio 2003.
Abbiamo deciso di uscire un po’ per le strade di Los Angeles, io e Sophie, come facevamo spesso prima che Michael entrasse nella mia vita e assorbisse gran parte del mio tempo e delle mie energie insieme al lavoro che mi impegna ogni giorno di più.
-State sempre chiusi lì dentro.-
-Ma che dici, ci sono solo chilometri e chilometri di terreno…-
-Si infatti perché uscite spesso, ma se non fate altro che starvene chiusi in camera da letto.-
Camminiamo lungo la via principale di Santa Monica, la 3rd Street Promenade, entriamo da Starbucks per prenderci il nostro solito espresso.
-Anzi, in cucina dovrei dire dati gli ultimi avvenimenti.-
Si contorce dalle risate mentre ci sediamo al tavolino vicino la vetrata che permette di poter sorseggiare uno splendido caffè guardando le eccentriche persone che passano lungo le vie californiane.
Quanto mi è mancata la vita normale.
-Vuoi una mela Niki?-
-Ooooh e basta!-
Continua a ridere guardandosi intorno.
-Speriamo di non incontrare nessuno, non mi va per niente oggi.-
Finalmente il cameriere arriva portando un vassoio con su due grosse tazze di caffè e una fetta di torta di mele con due forchette. Sophie non ha perso l’occasione per lanciargli una delle sue occhiate maliziose e per un attimo mentre tornava al bancone non ha inciampato contro un tavolino.
-Ah ma lo sai che è tornato Daniel?-
Per poco il caffè non mi va di traverso, tossisco appena cercando di non dargli troppa importanza.
-Interessante…-
Le dico portando nuovamente la tazza alle labbra e soffiando leggermente nella speranza che si raffreddi un po’.
-Era così per parlare.-
Tiro il cellulare fuori dalla borsa per vedere l’ora. Non ho mai sopportato gli orologi. A dire il vero la cosa che più mi da fastidio sono gli orecchini, non so perché, forse non ho mai trovato il paio che mi stesse veramente bene, anzi non l’ho mai cercato ora che ci penso. Peccato. Solo anelli, bracciali e collane. Cosa strana lo so, soprattutto se mi viene in mente la collana che mi ha regalato Daniel.
“1 nuovo messaggio”
Lo leggo immediatamente, non resisto un secondo quando vedo qualcosa sul display.
“7 chiamate senza risposta” wow sono ricercata penso.
-Sophie!-
-Mmm-
Dice mentre manda giù l’ultimo pezzetto di torta.
-Sophie, Michael…cioè Grace, dobbiamo andare.-
-Eh? Cosè un rebus?-
Mi alzo lasciando tutto così comè, prendo la borsa e la chiudo di scatto, lasciando fuori il cellulare per poter rileggere il messaggio quasi sperando che non ci sia più e che sia stato solo frutto della mia immaginazione.
E invece è ancora lì, lo rileggo di nuovo. E poi ancora una volta.
Grace dice che Michael è stato ricoverato in ospedale, sento il cuore fermarsi, o accelerare troppo da perderne la cognizione, so solo che le mani mi tremano e il sangue pulsa violentemente sulle tempie.
All’uscita del locale la tv enorme che sovrasta l’ingresso manda le immagini del notiziario, parlano del processo, ma non capisco neanche un parola. Non riesco a pensare, non riesco nemmeno a mettere un piede davanti all’altro per poter camminare e corro, corro più veloce che posso mentre le lacrime all’improvviso salgono fino alla gola e creano un nodo talmente grande che mi blocca il respiro.
marina56- Moderator
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Re: Ricordi sbiaditi (terminata)
Capitolo 25
Grace gioca con i bambini cercando di mantenere un sorriso naturale e convincente il più possibile. Forse lo è per i piccoli,ma per me decisamente no.
Non c'è nessun altro a parte lei, nessuno che io riesca a riconoscere. Prima di entrare infatti abbiamo aspettato stranamente troppo tempo davanti al cancello.
-Dov'è papà?-
La domanda di Prince mi fa rabbrividire. Vedo Grace voltarsi verso di me, riesco solo a guardarla con un cenno di speranza chi si trasforma presto in una subdola richiesta di aiuto, nulla traspare dai suoi occhi, ovviamente neanche lei sai cosa sia successo realmente.
-E' fuori per lavoro, tra poco torna a casa.-
Dico avvicinandomi al piccolo Prince e accarezzandogli i capelli con una mano spettinando alcune ciocche biondissime che tornano però subito al loro posto. Faccio segno a Grace di seguirmi, allontanandoci almeno un po' dai bambini per poter parlare liberamente, accoglie il mio invito e con aria turbata sospira profondamente contorcendosi le dita di entrambe le mani.
-Grace sto impazzendo, dovè Michael? Cosa è successo?-
Si guarda attorno, senza cercare nulla da guardare ma soltanto per evitare il mio sguardo arrossito dal nervosismo e dalle lacrime.
Non dice nullla.
-Sono ore che ci tengono qui...io non resisto un secondo di più.-
Mi guarda per un attimo, un effimero secondo e torna a posare le pupille su qualcosa di incerto fuori dalla finestra che pare sia molto più confortante di ciò che ha davanti. Di chi ha davanti.
Frank, il capo della sicurezza aspetta con pazienza un qualsiasi segnale, dice che Michael è in ospedale per un forte attacco di influenza,niente di grave.
Niente di grave...come si fa a dire che non è niente di grave? Nessuno parla, non so nemmeno in quale ospedale sia stato portato, a dir la verità non so nemmeno se è stato portato in ospedale.
-Frank ma che cazzo è successo? Si può sapere?-
-Michael ha dato ordini precisi di non diffondere alcuna notizia.-
-Ma porca troia ti sembro la CNN per caso?-
-Sophie lascia perdere, ti prego.-
-Niki come fai ad essere così calma...dove diavolo sta Mike?-
-Sophie davvero,ti prego!-
-Non capisco, non so proprio come fai...-
Sento il cuore soffocarmi, sembra che qualcuno lo stia spingendo con forza, che lo stia schiacciando lentamente con un pugno, un pugno che fa male come la lama di un coltello mentre trafigge la carne,la lacera e il sangue fuoriesce lasciando la prova concreta di quel dolore lancinante. Trattengo a fatica le lacrime.
Ha dato l’ordine di non dire niente a nessuno, che nessuno sapesse cosa fosse accaduto, nessuno. E io rientro tra quel nessuno che esclude ogni fraintendimento.
-Sophie...è Michael che non vuole farci sapere come sta.-
-Niki ma....-
-No è così,- la interrompo.
-Hai sentito Frank, non ha lasciato detto niente per me.-
Vedo la sua espressione mutare radicalmente,vedo la sua sicurezza abbandonarla goccia dopo goccia e con lei anche la mia volontà.
-Vado di sopra.-
Mentre cammino svogliatamente verso il secondo piano mi ritrovo a dover passare proprio davanti alla cucina. Fino a ieri si preoccupava se non mi vedeva tornare dopo dieci minuti, cosa dovrei fare io adesso?
-Frank-
Lo chiamo voltandomi, facendo qualche passo indietro.
-Nicole lo sai, non posso dire niente.-
-Si lo so, volevo chiederti se avevi una sigaretta.-
-Certo, non sapevo fumassi.-
Allunga la mano verso la mia, porto subito la sigaretta alle labbra,un ricordo così lontano, così sbiadito si propaga tra i miei pensieri. Avevo iniziato durante il terzo anno al liceo, senza un motivo reale, del resto quale motivo sarebbe plausibile abbastanza per iniziare a fumare? Quando ho lasciato la casa di mio padre, quel giorno di Natale e sono venuta qui a Los Angeles senza aiuti né sostegno né amici, avevo deciso di cambiare la mia vita il più radicalmente possibile, smettere con questa robaccia era solo una piccola tesserina in tutto il puzzle dei miei problemi. Ed ora eccomi qui...
-Grazie.-
Seduta sul pavimento con le gambe incrociate e la schiena che poggia sull'ampia finestra della camera degli ospiti più vicina alla stanza di Michael, aspiro l'ultima boccata e il pensiero che mi farà più male di tutto questo, mi fa sembrare questa vicenda un po' meno dolorosa.
La camera degli ospiti, sono solo un ospite ed è questa la realtà. Stupida Nicole! Sono stata davvero stupida,stupida a non accorgermene prima. In fondo cosa sono io per lui? Un ospite, un passatempo, qualcosa di temporaneo che prima o poi lascerà il posto ad altro. Eccolo qui, il momento in cui ci si sveglia dal sogno, quando hai ancora le immagini chiare e nitide davanti agli occhi, ma sai di non poterle più vivere, sai che è tutto finito,che sei sveglia e che è ora di ricominciare a vivere, come tutti gli altri. Vorrei immortalare questo momento per potermi ricordare in futuro che niente è mai per sempre.
Fuori, nel giardino i segni riconoscibili di un’invasione che ha lacerato non solo oggetti e serrature, ma anche l’anima e il corpo di un uomo che non credo più di conoscere affondo, l’FBI con i loro mandati di perquisizione sono riusciti a sfigurare l’unico posto in cui si sentisse realmente felice. L’ho visto passeggiare diverse volte lungo il sentiero illuminato, di notte, con le mani in tasca, con l’aria di chi non sente più suo ciò che ha tra le mani.
***
Il buio è sceso sulla contea di Santa Barbara, il cuore si scontra con la ragione e l’appiccicoso strato pregno di dubbi e incertezze si fa largo nella mia mente fino ad arrivare allo stomaco, attanagliandolo.
Prendo le mie cose dall'armadio, le piego lentamente senza prestare alcuna attenzione ai movimenti che compio.
Tra i vestiti messi alla meno peggio intravedo una catenina, fina e un pò attorcigliata che disegna uno scarabocchio sul copriletto bordeaux.
La prendo e tra le dita cade morbido il ciondolo che oscilla leggermente. La collana di Daniel. Bel momento per vedermi sbattere in faccia la parola in cui adesso credo meno di qualunque altra. Amore.
Gran bella parola.
In quanti si sono impegnati a scriverne, a cantare in suo nome, quanti artisti hanno cercato di dipingerne l'essenza più vera, quanti esperti discutono senza riuscire mai veramente a spiegarla.
E quante lacrime, quante lacrime versate dal primo momento in cui lo incontri fino alla fine.
Sophie bussa piano alla porta ed entra in punta di piedi. Vorrei ringraziarla per aver fatto cessare i miei pensieri con quel ticchettio sul legno. Mi guarda mentre preparo le valigie, guarda la catenina che ho lasciato sul letto e si siede sprofondando sul materasso con un tonfo sordo.
-Torniamo a casa?-
Annuisco fingendo di essere concentrata sulla spallina di un vestito rimasta impigliata nelle stampella.
-Sicura?-
Sospiro lasciando cadere l'abito nella valigia intrappolato ancora nel gancetto e di cui mi importa ben poco.
-Si.-
Il taxi si dirige verso Santa Monica e un senso di smarrimento mi fa tremare le mani, sono stranamente calma, sembra che niente possa turbarmi più di così.
Quando il cellulare ha iniziato a squillare erano circa le due di notte, in silenzio ho promesso a me stessa che la prossima volta in cui avesse suonato avrei risposto senza nemmeno guardare il display, al primo squillo. Speravo non riaccadesse, spero che chiunque fosse si sia stancato di chiamare. Ma è inutile mentire, tanto vorrei rispondere a quel telefono e sentire la sua voce chiamare il mio nome supplicandomi di tornare da lui.
E così ecco di nuovo la suoneria riempire il silenzio dentro la vettura gialla e il mio cuore tremare ad ogni squillo.
Rispondo senza guardare.
-Pronto?-
La mia voce esce roca, bassa, irriconoscibile. Dall’altro capo si sente a malapena un respiro.
-Nic…-
La sua voce. Rotta dalle lacrime. Chiudo gli occhi cercando di frenare l’emozione, mi mordo il labbro e lascio che un interminabile lasso di tempo passi in completo silenzio.
-Mi dispiace.-
Sento la linea cadere, mi sembra di sprofondare in un abisso senza riuscire a capire più il perché. Spengo il telefono, è l’unica cosa sensata che mi viene in mente in questo momento. Lo lancerei contro il vetro, urlerei, farei scorrere le lacrime fino a perderne il sapore sulle labbra. Invece non ho la forza di fare niente di tutto questo.
Con gli occhi lucidi nascosti accuratamente sotto le lenti scure degli occhiali da sole, decisamente fuori luogo alle 3 di notte, attraverso l’entrata del mio appartamento dopo così tanto tempo che mi sembra di non essere mai stata qui prima d’ora. Ma la realtà presto scansa la memoria, sul tavolino dell’ingresso ritrovo il biglietto scritto di suo pugno in cui mi paragonava ai fiori della primavera. Un messaggio ben lontano da quelle sole poche righe che sono riuscita a scrivere prima di partire.
"L'amore è come una saponetta ce l'hai in mano finché non la stringi troppo forte. Credevo di doverlo afferrare per averlo, ma l'amore scivola via come quella saponetta se lo stringi troppo forte. Bisogna imparare a tenerlo con leggerezza, lasciarlo volare quando vuole. [G]Così adesso ti lascio libero di poter volare...[/G]"
Capitolo 26
Con le braccia aperte volteggio finchè non sento sulla pelle, tra i capelli, l’aria solleticarmi appena. Sorrido mentre con gli occhi chiusi sento già la testa iniziare a girare. Mi fermo rimanendo con lo sguardo rivolto al soffitto. Riempio i polmoni più che posso e poi lascio che l’ossigeno esca lentamente gustandone ogni singola particella.
-Oddio oddio!! Nikiiiiiiiii oh mio Dio!-
Mi volto verso di lei non appena sento la sua voce.
-Sophie benvenuta a casa…-
Porta le mani al volto con la bocca aperta assumendo l’espressione più sognante che abbia mai visto -Wow!- è tutto quello che riesce a dire avvicinandosi all’enorme vetrata che spalanca gli occhi ad un panorama mozzafiato.
-E’ New York.-
-No questo è il paradiso.-
Rido continuando ad osservare la sua faccia incredula, siamo arrivate da meno di un’ora e ha già riempito l’armadio con le sue scarpe. Potrei anche pentirmi di aver accettato di condividere una casa con lei, anche se si tratta dell’attico più favoloso in cui sia mai entrata. Pentirmi? La vedo dura...
Ma averla tra i piedi almeno mi terrà senza dubbio la mente occupata.
Entriamo nel primo ristorante italiano che incontriamo, dicono che non ci sia niente di meglio della cucina made in Italy o meglio, l’ex ragazzo di Sophie, un italiano che si era trasferito a Los Angeles per cercare di sfondare nel cinema le aveva insegnato a saper riconoscere un buon ristorante senza neanche esserci entrati. Insomma era diventata una specie di cane da tartufo per piatti prelibati.
-Sophie aspetta, edicola!-
La blocco sull’entrata del locale non appena scorgo un giornalaio a pochi passi da noi. Non ride, nessuna presa in giro, nessuno sguardo dolce che sottolinea il mio modo di abbreviare le frasi.
-Niki ho fame.-
Mi risveglia subito da quel pensiero azzardato che per fortuna lascia presto la mia mente. Meglio riprendere il discorso.
-Dai un secondo, è uscito il nuovo numero di Vanity Fair, parlano di me.-
-Ancora? Vabbè sbrigati io intanto entro e prendo un tavolo, ti aspetto.-
Naomi Campbel, il nuovo album di Madonna...pubblicità...ancora pubblicità...oh Chrtistian Dior...pubblicità...
Alle 12.30 era arrivata dalla Corte una telefonata per informare i legali che la sentenza era stata formulata. Un'ora di tempo, un'ora per raggiungere il tribunale e scoprire il verdetto.
Subito gli elicotteri delle emittenti americane si levano in volo per seguire la lunga fila di jeep scure che escono dalla villa. Il giudice Melville consente la trasmissione audio del verdetto. Michael arriva con la famiglia al suo fianco e circondato da guardie del corpo, con lo sguardo teso, magro e pallido fino all'inverosimile, con le urla dei fans che accompagnano il suo ingresso in tribunale.
Dopo cinque ricoveri in ospedale dall'inizio del processo la fine tanto agognata finalmente è arrivata.
"Not guilty". Risuona per dieci volte e per ognuna di esse una fan libera nel cielo una colomba bianca che si disperde tra gli aridi raggi del sole californiano.
Dopo la sentenza Michael esce limitandosi a salutare con un cenno della mano i suoi sostenitori, nessun festeggiamento, va a casa e decide di lasciare l'America.
***
-In Bahrein...-
Sembra quasi che riesca a vederlo, con le sue valigie sempre pronte dietro la porta, se ne andrà lontano da tutto, dai ricordi, dalla sua vita e ancora più lontano da me.
Non dovrebbe più riguardarmi ormai lo so bene. Eppure sapere che anrdà così lontano mi disorienta, l'ho sempre immaginato lì al solito posto, in quel luogo in cui avrei saputo sempre come trovarlo, se non fisicamente almeno con la memoria. Con quei ricordi che hanno tenuto in me vivo ogni frammento di vita passata come se fosse ancora presente.
-Sophie...uccidimi!-
-Non voglio andare in galera, grazie.-
Con le braccia conserte sul tavolo del ristorante lascio rumorosamente cadere la mia testa su di esse.
-Sophieeeeeeeee-
Un lamento esce a malapena dalla mia bocca nascosta sotto i capelli.
-Oh Signore mi fai mangiare in pace!-
Uno strano squittio che dovrebbe corrispondere ad un no la interrompe.
-Niki sono passati due anni...-
Mi alzo cercando di racimolare le ultime briciole di dignità che mi rimangono. Sistemo i capelli dietro l'orecchio, dò un morso alla fetta di pane più vicina che riesco a trovare e mi rendo subito conto che non sarà facile da mandare giù. Il solito nodo alla gola che ti prende quando blocchi le lacrime invece di farle scorrere. Farmi vedere piangere è l'ultima cosa che voglio. Prendo un respiro profondo e mando giù il boccone sentenziando immediatamente che quello sarà l'ultimo, almeno per ora.
-Si, lo so...lo so.-
-Non dirmi che ti interessa ancora?-
-Ma vuoi scherzare?!-
Scoppia a ridere talmente forte che tutti i clienti del ristorante si voltano versano di noi. Cerco con una mano di coprirmi per l'imbarazzo.
-Sei scema? no dimmelo se sei pazza chiamo subito un dottore.-
-Oddio Niki, dovresti vederti certe volte, mi fai morire. Ahahahah ma vuoi scherzare? tesoro ti giuro sei molto convincente.-
-Non so di cosa tu stia parlando, lascia stare il vino Sophie.-
-Prima di tutto quella che non può toccare alcolici sei tu non io.-
-E poi...è ovvio che due anni non bastano per dimenticare...che cos'era? Thriller...-
-Billie Jean.-
-Lo vedi!-
-Niki che ci fai ancora qui?-
-Che vuol dire? dove devo andare scusa.-
-Corriiiiiiiii aspetti che parte per il Bahrein? e muoviti, vai a riprendertelo.-
-Ma figurati se mi presento lì così, nemmeno mi faranno entrare.-
Diventa improvvisamente seria, lascia persino cadere l'ultimo boccone nel piatto.
-Niki sono due anni che aspetto un momento del genere, secondo te non ti sentivo piangere la notte, con l'i-pod al minimo per non farti sentire,tutte quelle volte in cui al telegiornale parlavano del processo e con una scusa te ne andavi. Niki prendi questo benedetto volo per Los Angeles e riprenditi mister bacino prima che ti uccido sul serio.-
Riprendermelo? E che cosè un gioco a premi?
Ma in fondo...ha ragione vero? Adoro quando rende le cose così facili, prendi un aereo e vai a riprendertelo. Ma mi chiedo perchè non l'ho fatto prima.
-Allora vado?-
-Direi di si.-
-Grazie, grazie, ti voglio bene lo sai vero?-
Alterno le parole ai baci massacrando la povera guancia di Sophie che mi guarda in cagnesco per la troppa dimostrazione d'affetto.
Mi alzo proiettando già con la mente il momento in cui mi ritroverò di nuovo davanti a quel cancello, non posso credere di aver aspettato tutto questo tempo.
Riprendo fiato dopo un'apnea lunga non so quanto, sento il cuore fare un salto tanto da farmi venire le vertigini, nel taxi gli occhi dell'uomo seduto davanti a me mi guardano in attesa di una risposta.
-Signorina allora, dove la porto?-
Le sue iridi accolgono subito le mie, in un momento di pausa che quasi necessito di dover prendere per continuare a respirare.
-Neverland Ranch, per favore.-
Capitolo 27
Scendo dal taxi con un'euforia che non credevo nemmeno più di possedere, sembro una quindicenne al suo primo appuntamento e non ve lo nascondo, mi piace da impazzire sentirmi così. A ogni passo sento di poter volare, penserete che volare sia una cosa impossibile, ma vi assicuro che non lo è.
Solo nel momento in cui smetti di credere di poterlo fare perdi la capacità di farlo.
Avete mai visto Peter Pan, il cartone animato della Walt Disney che si rifà al romanzo di James M. Barrie? Quando Peter entra nella stanza dei bambini gli dice che per arrivare sulla sua isola che non c’è bisogna saper volare. E come si fa a spiccare il volo? Basta pensare a qualcosa di molto bello. Ai regali del Natale, alla neve…un pizzico di polvere di fata e il gioco è fatto. Ma vi dirò…non c’è niente di tutto questo nella mia mente ora, tanto meno della polverina magica sulla mia testa, semplicemente perché non ne ho bisogno, il mio pensiero felice nonostante tutto è solo lui, Michael, isola che non c’è compresa in tutto il pacchetto. Se non è una favola questa allora mi domando cosa possa esserlo.
Il crepuscolo posa le sue oscure ombre sul cielo vivo, fa sembrare l’atmosfera molto più calda, quasi afosa, tipica di una serata di metà giugno in cui si intravedono le colline di Los Olivos bruciare sotto il sole che cade lentamente.
Il profumo incontrastato che questo parco riesce ad emanare è sempre lo stesso, almeno per quello che riesco a ricordare. Le giostre sono stranamente tutte ferme, le catene che sorreggono i piccoli sedili rossi oscillano leggermente sotto la brezza, ma nessuna dolce melodia accompagna il loro giro. Regna un silenzio che mette quasi malinconia, tra le fronde della vecchia quercia sotto cui io e Michael amavamo sedere per poter parlare ore e scherzare, intravedo davanti alla porta illuminata dell’ingresso una figura in controluce della quale ancora non distinguo i tratti.
Mi avvicino ancora e Grace, mi saluta aspettando che arrivi sulla soglia per potermi abbracciare.
-Nicole, tesoro! Da quanto tempo…-
-Ciao Grace, come stai?-
Una volta superati i convenevoli, vado dritta al punto, diretta a l’unica forza che mi ha spinto fin qui.
-Grace, Michael è in casa?-
Lo sussurro appena, ho timore che mi possa sentire reclamare il suo nome, senza più averne alcun diritto, mi sento inaspettatamente fuori luogo qui dentro per la prima volta.
-Cercavi Michael?-
Domanda piuttosto inutile non ti pare?
-Si dovrei parlargli.-
Se ne sta lì e mi fissa con un’aria strana, non ho idea di cosa le stia passando per la mente, non sono venuta qui per giocare a nascondino.
-E’ partito circa un’ora fa.-
-Cosa?-
Partito.
Se ne è andato.
E con lui anche tutte le mie speranze…
I miei occhi rimangono attaccati a quelli di Grace aspettando di sentirmi dire che no, non è vero che è partito, che si è sbagliata partirà tra un’ora, non che è partito da un’ora.
Mi sento più stupida di prima.
-Voleva cambiare aria, lasciarsi tutto alle spalle…-
Percepisco solo rumori ovattati, non ho bisogno di sentirmi dire queste cose, non da Grace.
Mi invita ad entrare, vorrei avere la lucidità per riuscire ad inventare una scusa, una qualunque banale sciocchezza, ma non perdo nemmeno tempo a cercarne una. La mia mente è tanto vuota quanto colma di interrogativi lasciati in sospeso perciò assecondo il suo cenno gentile e mi ritrovo nel cuore dell’ingresso di Neverland. Mille ricordi sovrapposti, sbiaditi, che credevo di aver messo da parte in uno dei tanti cassetti impolverati della memoria, ora si sono scrollati un po’ di quella polvere di dosso e riesco ad intravederne i particolari.
La sua risata che riecheggia tra le mura, i suoi passi silenziosi su quelle scale, i baci dati al buio respirando insieme questa stessa aria. Quanto mi è mancato questo posto, non ci sarebbero parole a sufficienza per descriverlo.
L’orologio in oro con la riproduzione di Amore e Psiche di Canova, quante volte ho visto formare il mio riflesso sul vetro di quel quadrante e disperdersi tra le lancette. È tutto allo stesso posto eppure, sembra tutto così diverso.
Manca un’unica cosa per rendere questo momento perfetto, ma purtroppo niente di più lontano dalla perfezione si annida in questo istante privo di logica, l’ennesimo scherzo del destino, inizio a pensare che in qualche modo abbia ragione a remarci contro.
-E’ stato molto male durante i mesi del processo.-
-Che vuol dire è stato male? Cosa aveva? Ma adesso sta bene?-
Con il suo solito fare melodrammatico si siede lentamente sul divano in velluto rosso, mi domando perché ogni volta ci metta così tanto per rispondere ad una domanda. Beh, in questo caso tre domande, ma è lo stesso.
-Nicole lo sai meglio di me, non parla molto della sua vita strettamente privata.-
Vai al dunque per favore? Quantè prolissa questa donna!
Già ho miei vari turbamenti, secondo voi ho voglia di perdere tempo con questa qui?
Sospiro. Infondo la calma è la virtù dei forti.
-In certi momenti stentavi a riconoscerlo, i suoi occhi diventavano…assenti.-
-Ma si, Grace ci avevo fatto caso anch’io. Da cosa dipendeva?-
Adesso si guarda le mani. Non ce la può fare, deve prendere aria per almeno mezz’ora ogni due parole. Che ansia…mantengo la calma solo perché grazie al cielo ho ancora un po’ di buon senso e poi non voglio che quell’antipatico di Frank venga a sapere che con il mio solito caratteraccio ho litigato con la tata dei bambini di Michael.
-Grace!-
-Gli antidolorifici Nicole, pillole per dormire, insomma qualunque cosa lo distraesse dal processo.-
Ecco. Perché me lo dice ora?
-Grace, ma…allora era vero, perché non me l’hai detto prima, avremmo potuto fare qualcosa.-
E’ lei a sospirare adesso, sarebbe bello se con un semplice sospiro si potessero risolvere i problemi, annegare tutto in un soffio e lasciarseli alle spalle come se non fossero mai accaduti realmente.
La verità a questo punto è che non so niente di più di tutti gli altri, anzi, Grace, la tata, ne sa molto più di me.
Non mi rassegno, non mi pento, lo farei se si trattasse di un uomo qualunque, ma in Michael non c’è nulla dell’uomo qualunque. Non si tratta più di tenergli la mano lungo il cammino, di stargli accanto cercando di lenire le sue ferite, ora devo riuscire a capire il più possibile di questo problema che assomiglia sempre più ad un mistero.
***
Con un gusto ancora amaro sulla bocca, accumulata la decima ora di volo sulla pelle, mi rendo conto di quanto New York sia diventata casa mia.
Non c’è il caldo torrido della California che ti scalda immediatamente il sangue e fa arrossire le guance, non c’è la malinconia, non ci sono errori lasciati accartocciati negli angoli delle strade.
Ci sono palazzi che toccano il cielo, il mio nuovo ufficio, un chiosco che fa i migliori hot dogs che abbia mai mangiato e la mia migliore amica. E’ strano come un luogo riesca a farti sentire diversa. Cambiare aria, capisco ora la scelta di Michael di andare addirittura fino in Bahrein.
-Che faccia da funerale!-
-Grazie Sophie sei sempre di grande conforto…-
-E’ da quando sei tornata che hai il muso fino al pavimento.-
-Ma si metti il dito nella piaga, io mi faccio un toast!-
-Un toast? Andiamo bene, potrei capire mi faccio un barile di vodka, ma Niki un toast è troppo trasgressivo non credi?-
-Se….-
-No eh?-
-Ma con la sottiletta.-
-Oh mio Dio! Era una mezza specie di battuta quella?-
-Sophie…non so neanche di cosa stiamo parlando, mi sono persa al barile di vodka.-
-In effetti…vabbeh ho capito sto zitta.-
-Brava.-
Accende il televisore, canticchiando qualcosa di indecifrabile, passano soltanto un paio di secondi e lo schermo si fa nuovamente nero.
-Uffaaaaa.-
Si rigira sul divano stirandosi come un gatto e guardando immobile il soffitto. Posa il telecomando sul cuscino, cerco di non dare attenzione ai suoi mille movimenti nervosi.
All’improvviso si siede incrociando le gambe e tamburellando con le dita su un ginocchio.
-Nicole!-
-Dimmi.-
-Andiamo in Bahrein.-
-Sophie!-
-Si.-
-Zitta.-
-Dai ma perché? Se Maometto non va alla montagna.-
-Maometto c’è andato alla montagna è la montagna che non si è fatta trovare.-
Scoppiamo a ridere.
-Sophie, non ho idea di dove sia, un conto è andare a Neverland un altro è girarsi tutto il Bahrein.-
Lascio le fette di prosciutto nella confezione e rimetto tutto a posto nel frigo, le fette di pane in cassetta nella dispensa, e spengo il tostapane. Non ho fame per niente, pensavo di distrarmi con un panino, ma non ha funzionato molto. Quando Sophie si mette in testa una cosa…
Squilla il telefono e la vedo letteralmente saltare sull’apparecchio senza neanche avergli dato il tempo di fare un secondo squillo. Prendo il succo d’arancia che ho vicino e ne verso un po’ nel bicchiere.
Il ragazzo che doveva sistemare il condizionatore ancora non si è fatto vivo, sembra proprio che ormai dovremmo passare l’estate in queste condizioni.
-Niki è per te.-
Finisco di mandare giù l’ultimo sorso di succo.
-Chi è?-
-E’ Michael.-
-Sophie quando la smetterai con questi stupidi scherzi?-
-Scema dico sul serio.-
Mi porge il telefono senza fili, cerca con lo sguardo si rendere il più credibile possibile la sua affermazione. Non può chiamarmi come nulla fosse dopo due anni, sono sicura che non è lui, anzi spero che non lo sia, è meglio per lui che non lo sia. “Mi dispiace” è l’ultima frase che ho ascoltato uscire dalle sue labbra, sempre al telefono e poi il nulla più totale. Non sarà lui di certo, lo so.
Porto il ricevitore all’orecchio, riesco soltanto a fare un lieve morbido sospiro che arriva immediatamente dall’altra parte donando coraggio all’altra persona di farsi avanti e iniziare a parlare senza che abbia avuto nemmeno il tempo di riflettere un secondo.
-Nicole.-
Il mio nome, pronunciato ancora un volta da una voce che riconoscerei tra mille, mi annoda subito le parole in gola. Nella mia mente scende immediata la confusione che racchiude due anni di silenzi ininterrotti, pensieri, supposizioni tutto quanto scatenato contemporaneamente alla velocità della luce, con una sola banale parola.
-Michael…-
Istintivamente porto una mano alla bocca, la sento tremare come la mia voce poco prima. Non sono riuscita a nascondere l’emozione, Sophie mi guarda con un’aria rassicurante, cerca di darmi coraggio, conforto, tutto con un unico sguardo che fortunatamente ha l’effetto desiderato.
-Quanto mi sei mancata Nicole…non ne hai idea.-
Oh si che ce l’ho, se è stato anche solo la metà di quanto tu sei mancato a me, allora ti sono mancata da morire. Vorrei dirlo, ma perdermi nei suoi occhi mi avrebbe dato la forza di farlo, così sento invece quella fredda sensazione che la lontananza crea inevitabilmente.
-Am…-
Lascio che la parola muoia nel palmo della mia mano. E’ difficile riuscire a perdere un’abitudine tanto deliziosa.
-Cosa?-
-Eh? Cosa…cosa?
Lo sento scoppiare in una risata cristallina, contagiosa e sorrido guardando Sophie che scuote la testa quasi rassegnata.
-Comunque…c’è qualcosa che volevi dirmi?-
-Mike hai chiamato tu, tu che mi volevi dire?-
-Ho saputo che eri passata a Neverland, ah tanto ho deciso di venderla, non riesco più mettere piede in quella casa, troppi ricordi spiacevoli…tranne quelli passati con te.-
Sorrido ma preferisco far finta di nulla, riporto subito la conversazione sull’argomento casa.
-Vendi Neverland?-
-Non la sento più mia…-
-Capisco, non hai tutti i torti in effetti.-
Lasciamo passare un interminabile momento di silenzio che diffonde solo imbarazzo.
-Niki…-
-Mike…-
Ci chiamiamo esattamente nello stesso istante, questo non fa altro che gettare ancora più incertezza in questo nostro strano riavvicinamento.
Svanisce tutto nella ricerca impalpabile di poter dire qualcosa di più, di riuscire a tirar fuori quelle sensazioni rimaste inespresse per tutto questo tempo.
Solo impercettibili risate nervose riecheggiano timidamente attraversando i piccoli fori nel telefono ed arrivando insieme alle orecchie ormai assetate di sentire ancora quella voce.
-Niki io ho ancora bisogno di te, forse adesso più di prima.-
Respiro profondamente decisa a non lasciarmi sopraffare almeno dall'emozione.
Il tono della sua voce è così diverso dall’ultima volta, molto più lucido, molto più vivo…molto più suo.
-Michael sei dall’altra parte del mondo.-
-Lo sai che basta solo una parola, una sola e salto sul primo volo diretto per New York.-
-Non puoi tornare adesso, Mike ragiona per favore.-
-Vieni tu da me allora, dico a Frank di venirti a prendere.-
-No ma…-
-Niki io…-
-No ti prego non dire niente.-
Sospira sofferente riesco ad immaginare il suo volto in questo momento ed è così reale che mi stringe il cuore.
-Non dirò niente se non vuoi.-
-Ho paura che sia la stessa cosa che vorrei dirti anch’io ed è terrorizzante sapendoti così lontano…-
-Niki puoi dirlo…-
-No sarebbe inutile.-
Cade il silenzio. Sospiro soltanto, suonano così amare queste parole che faccio fatica a razionalizzarle.
-Sappi però che le sento lo stesso, ogni giorno più forte, sarei dovuto venire a riprenderti due anni fa, lo so…solo che…non ero proprio in me…-
-Non ti devi giustificare…-
-Nicole.-
-Si.-
-Se fossi lì sarebbe diverso?-
-Non lo so, forse si.-
-Mi dispiace anche per questo, ma l’America si era fatta troppo opprimente per me…io…-
-Capisco benissimo, hai fatto la cosa migliore, io al posto tuo me ne sarei andata anni fa.-
-Michael ma…come stai?-
-Come sto? Mi sento quasi sollevato, non solo per come è finito il processo, ma allontanandomi da tutto devo occuparmi solo dei miei figli e i loro sguardi, i loro sorrisi, riescono a farmi sentire bene.-
-Sono degli angeli.-
-Si.-
-Mike adesso dovrei andare…-
Dopo avermi lasciato il numero della sua nuova residenza, mi saluta facendosi promettere che lo avrei chiamato presto.
Il cuore lentamente ritrova il suo normale battito tranquillo e non riesco a fare nient’altro se non a lasciarmi andare sul pavimento, sedendomi incrociando le gambe, fissando il telefono spento, con ancora l’eco della sua voce intrappolato all’interno. Adesso si che sento la fredda fitta della mancanza, una solitudine che mi spiazza, fare i conti con la lontananza, con una miriade di pensieri che si accavallano l’un l’altro. Neanche Sophie riesce a trovare qualcosa da dire.
Mentre la testa si fa pesante un’unica gocciolina brilla sotto la luce e si fa spazio lasciando dietro di se una scia salata sulla guancia, prima di cadere a terra e allargarsi in un cerchio perfetto.
Capitolo 28
Avrei potuto chiamare, forse avrei dovuto farlo.
Ma non l’ho fatto.
Il West Village è diverso dal resto della città, è chiamato il Greenwich Village, le sue vie sono talmente particolari e curve che confondono turisti e newyorkesi senza distinzioni, siamo tornate nel grande parco di Washington Square dove Sophie era solita giocare da bambina. Fin quando giusto appena dietro l’angolo abbiamo visto spuntare la sua villetta dipinta completamente di azzurro.
La madre di Sophie ci ha accolto con le lacrime agli occhi, avvolgendo tra le braccia quella figlia che suo malgrado vede sempre meno, i loro incontri si sono ormai limitati alle sole feste comandate, così come in quest'occasione.
Sophie dal canto suo si scioglie in una maniera incredibile quando sente l'aria impareggiabile di casa, niente rassicura più della famiglia e i suoi occhi in queste occasioni non mentono. E' tranquilla come non l'ho mai vista prima.
E in quanto a me, beh non sono una che ama le feste, o meglio ricordare quelle già passate con la mia di famiglia non mi evoca nulla di positivo o caloroso.
Perciò eccomi di nuovo qui davanti ad uno specchio, con la luce della luna che illumina il mio volto solo in parte, si sentono i soliti canti natalizi in fondo alla via, ma niente lividi nè lacrime segnano la mia pelle stavolta.
Stranamente però qualcosa di simile, se non molto più doloroso e lacerante prende inevitabilmente possesso di ogni mio pensiero fino ad assottigliare ogni strato di serenità che credevo di aver messo faticosamente da parte.
Un Natale trascorso così tra pochissime persone, con quella magica atmosfera che rende tutto più piacevole. Niente discorsi fuori luogo, una cenetta a dir poco squisita, un paio di partite a carte e un bicchiere di prosecco che ha reso la serata un po’ più briosa, è tutto così…così semplicemente familiare.
-Io vado in camera,grazie di tutto è stata una splendida serata.-
-Buona notte Nicole.-
Mi risponde la mamma di Sophie con il suo solito dolce sorriso che mi fa sentire quasi in imbarazzo, come se fosse troppo confidenziale e io non mi sento ancora di aver acquistato il diritto di ricevere un affetto così tanto incondizionato da lei.
-Nic.-
Quel nome mi fa quasi rabbrividire.
Vedo la sua testa infilarsi tra il piccolo spazio lasciato aperto dalla porta.
-Oh scusa...Niki come stai?-
-Bene.-
Accenno un sorriso sincero, grato per ogni minima attenzione che è stata fatta verso i miei riguardi per tutto questo tempo.
-Ok allora .-
La sua presenza c'è sempre e inevitabilmente.
Lo vedo in ogni cosa, lo scambio persino per qualsiasi persona che incontro per la strada, lo sento addosso più potente e vicino ogni giorno che passa. E non riesco a smettere di fermare tutte queste sensazioni.
Vedo i suoi occhi perdersi dentro i miei, con i miei e ritrovarsi lucidi, pieni di passione sotto la fragile luce della notte. Lo vedo ancora, in ogni suo singolo dettaglio, come se si fosse appropriato della mia anima e niente potesse scalzarlo da questa posizione di privilegio.
La notte è il momento più difficile, quando eravamo a Neverland di solito tornava tardi la sera e ci ritrovavamo a parlare ore finchè il sonno non ci appesantiva le palpebre e abbracciati ci addormentavamo insieme. Il suo respiro tra i miei capelli, le sue braccia che mi chiudevano in una roccaforte d'oro dal quale nulla poteva farmi del male, mi manca soprattutto questo di lui, il suo modo meraviglioso di farmi sentire protetta e speciale. Mi mancano le sue parole, la sua voce che sussurra piano il mio nome, mi manca tremendamente il suo sorriso, quando esplodeva all'improvviso, con la sua risata contagiosa, sento la mancanza persino del solletico che i suoi capelli mi facevano sulla guancia ogni volta che mi abbracciava. Vorrei poter fare a meno anche solo di una di queste cose,ma non ci riesco, ancora non ci riesco.
Ho il suo nuovo numero salvato nella rubrica del cellulare. Potrei chiamarlo, ho paura però che sentirlo senza poterlo sfiorare realmente mi farebbe cadere ancora di più nell'abisso della solitudine, si sento tremendamente impotente.
Sto iniziando ad odiare i cellulari, vi giuro che ci ho pensato, ho pensato che sarebbe stato bello se l'avessi trovato sotto l'albero di Natale fra tutti quei regali, ma non è successo. Accade solo nei film e la vita non è un film.
Ricordo quando Daniel mi diceva in continuazione che sognare era solo un’inutile perdita tempo, lo sosteneva convinto e sicuro della sua posizione, non ho mai provato a fargli cambiare idea. Credevo, e lo credo ancora, che una persona capace di formulare un pensiero del genere, non sia davvero in grado di poter modificare la sua idea. Per niente al mondo, neanche se è la donna che ama a dirglielo. Quindi mi sono sempre limitata ad accettare questa suo diverso modo di vedere le cose, ognuno è libero di pensarla come vuole, così come io sono libera di poter continuare a sognare, nonostante gli eventi che tentano in tutti i modi di non fartici più credere.
Fuori, proprio ora, ha iniziato a nevicare, la neve ha quella strana capacità di riuscire a rendere tutto più bello, sono solo dei piccoli merletti di ghiaccio, ma ho imparato ad apprezzare le cose così come sono, semplici, banali forse per qualcuno sciocche ma molto più preziose di tante altre.
Nel silenzio di questa notte senza stelle, la vibrazione del cellulare posto sul comodino spezza l'aria e mi fa trasalire. E' il numero che solo in pochi hanno, l'altro quello degli amici e conoscenti l'ho lasciato a casa, mettermi a rispondere a stupidi messaggi di auguri era proprio l'ultima cosa che mi andava di fare stasera. Tanto si sa, inviano tutti il classico messaggio da cioccolatino Perugina preso chissà su quale sito e lo mandano all'intera rubrica sperando di non aver avuto tutti la stessa triste idea.
Sono stanca di parlare al telefono, voglio un contatto vero, voglio perle che bruciano sulla pelle ad ogni parola soffiata accanto all'orecchio. Voglio semplicemente ciò che ero una volta, voglio poter ricominciare a respirare l’aria ed assaporarla, non inalarla solo attraverso un gesto meccanico e involontario. Voglio scrollarmi di dosso ogni goccia di sofferenza.
Il numero è privato.
Rispondo mentre fuori la neve cade sempre più forte, sembra stia seguendo l'andamento del ritmo del mio cuore e la città si è già fatta tutta di un'unica tinta incolore che abbaglia da lontano colpendo gli occhi con insaziabile precisione.
-Buon Natale!-
Scoppierei a piangere se solo ne avessi la forza.
-Buona Natale…anche a te.-
La voce esce sottile, quasi stento a riconoscerla, mi sembra di fluttuare in un mare in tempesta che mai avevo visto prima.
Lo sento sorridere appena e così ogni muro di difesa che avevo innalzato in tutto questo tempo, crolla inesorabilmente insieme alla mia voglia di passare una serata tranquilla e lontana dal suo ricordo.
Prima che possa aggiungere altro sento l'impulso irrefrenabile di lasciar fluire ogni parola tenuta dentro fino ad ora, ogni speranza, ogni maledetta ferita che ora brucia come se la sua voce fosse sale versato direttamente su di esse.
-Michael, mi manchi da morire...io non ce la faccio più a stare così, ti penso in ogni momento,vorrei soltanto che tutto tornasse come prima, rivoglio la mia isola felice,rivoglio te.-
-Sei così bella sotto la luce della luna...amore mio non piangere.-
Senza nemmeno rendermene conto le lacrime hanno iniziato nuovamente a scorrere disegnando solchi che bruciano come fuoco sulla pelle viva.
-Mike aspetta un attimo ma...-
-Tesoro esci un momento, c'è un regalo che ti aspetta da troppo tempo.-
Qualcuno ha improvvisamente tolto tutta l'aria dall'interno della stanza,le mie mani tremano, il cervello si rifiuta di razionalizzare cosa stia succedendo. Faccio soltanto ciò che mi ha detto di fare senza staccare per un attimo il cellulare dall'orecchio.
Lo sento tirar su con il naso.
Mi avvicino alla porta e la apro con una lentezza esasperante.
-Niki ci sei?-
-Si.-
Vedo poggiato a terra, vicino al marciapiede, un piccolo pacchetto dorato con un enorme fiocco rosso che ricade sui lati, immerso nella neve.
Tengo fermo il cellulare tra l'incavo della spalla e con le mani inizio a sciogliere quel fiocco tanto grazioso quanto inaspettato. Fa decisamente troppo freddo per uscire senza neanche un cappotto ma nemmeno il freddo riesce a distrarmi.
-Mike ma...che vuol dire? Chi ce l'ha messo? E' vuoto...-
-Come è vuoto, hanno perso il mio regalo!-
-Quale regalo?-
-Ma sicura che non c'è niente dentro?-
-No niente...-
Adesso davvero non capisco cosa stia accadendo. Un pacchetto vuoto non è proprio il massimo dei pensieri. “Hanno perso il mio regalo”…il suo regalo…Mike mi ha fatto un regalo? E come hanno fatto a perderlo, chi la perso? Sento ancora la testa girare vorticosamente, la sua sola voce mi manda il cuore a mille.
-Guarda meglio la prossima volta.-
Sento sussurrarlo nell'orecchio, talmente vicino e così reale che non può essere frutto di un apparecchio telefonico. Proprio in quello stesso istante sento immediatamente stringermi la vita da due braccia forti e girarmi appena, il tanto che basta per farmi incontrare i suoi occhi.
Il cellulare cade a terra quando porto le mie mani sul suo viso per accertare che non sia solo un'immaginazione, e non lo è, è reale come me e mi sorride dolcemente. Mi vede tremare,non so più se sia per l'emozione o per il freddo, ma quando apre il suo cappotto nero e mi stringe a sè per riscaldarmi capisco che non era la neve a farmi quell'effetto. Ha il naso leggermente arrossato e gli occhi lucidi, chissà da quanto era qui fuori. Dopo l'interminabile periodo che ci ha separato sento nuovamente il suo copro avvolgermi, i suoi occhi conquistarmi, i nostri respiri si fanno visibili a contatto con l'aria. Le sue mani si intrecciano dietro la mia schiena e mi stringe ancora di più, percepisco il battito del suo cuore sotto il mio palmo e quel profumo mi fa trascendere verso un mondo incantato dove non esiste più niente se non noi due. Quelle parole sono state come miele liquido,il tono basso si è insinuato fino alle orecchie, arrivando alla mente e riaccendo emozioni contrastanti che credevo di aver perso per sempre.
-Buon Natale...-
Lo sussurra tuffandosi subito dopo sulle mie labbra, in un bacio che è ghiaccio è fuoco allo stesso tempo, le sue labbra morbide, finalmente a poco a poco si riscaldano a contatto con le mie. Le dischiude con delicatezza, sembra abbia quasi paura di farmi del male o come me magari pensa che possa svanire in quel bacio e risvegliarsi stordito da questo sogno.
I fiocchi bianchissimi fanno contrasto sui nostri capelli neri e sembrano delle piccole stelle su un cielo notturno. Mi allontano appena dalle sue labbra, le sue iridi scure che mi guardano il quel modo unico intriso di ogni mistero e sento già l'emozione sopraffarmi, un brivido leggero sale dal naso avvisandomi che le lacrime stanno invocando di poter uscire, questa volta per la felicità.
Respira forte e allenta la stretta tenendomi comunque le mani,perchè non può staccarsi del tutto,non adesso.
-E’ questo il mio regalo?-
Fa cenno di si con la testa accarezzandomi il collo, soffermandosi sulla curva appena prima della clavicola.
-Michael...Michael io…-
Mi prende il mento tra due dita e mi sfiora leggermente le labbra, poi la guancia.
-Anch'io ti amo Nicole, e non ti lascerò mai più.-
Con la mano sulla mia nuca mi accarezza dolcemente i capelli, poso la testa sul suo petto e respiro a pieni polmoni avvertendo il calore dei nostri corpi mescolarsi e unirsi in un'unica febbre.
-Mai più.-
Ripete mentre mi abbraccia ancora, è solo in quel momento che realizzo veramente la sua presenza, la vita non sarà un film, ma a volte sa essere molto meglio. Entriamo in casa, avverto subito il calore del camino sulla pelle e un altro molto più dolce e concreto avvolgermi la mano, intreccia le sue dita con le mie e sorride in un modo talmente irresistibile che la sua dolcezza mi fa dimenticare per un attimo di tutto il resto.
Mi avvicino alle sue labbra, lo vedo cercare di azzerare la distanza che ci separa ma si ferma un millimetro prima.
Prende qualcosa dalla tasca e me lo porge fissando incuriosito la piccola busta da lettere bianca con il mio nome scritto sopra.
-Questa è per te.-
La prendo, estraggo il bigliettino all’interno. Un sorriso che diventa subito una risata mi esce spontaneo.
“Sono o non sono la migliore amica del mondo?
Sophie.”
Una risposta? Si, assolutamente si.
Grace gioca con i bambini cercando di mantenere un sorriso naturale e convincente il più possibile. Forse lo è per i piccoli,ma per me decisamente no.
Non c'è nessun altro a parte lei, nessuno che io riesca a riconoscere. Prima di entrare infatti abbiamo aspettato stranamente troppo tempo davanti al cancello.
-Dov'è papà?-
La domanda di Prince mi fa rabbrividire. Vedo Grace voltarsi verso di me, riesco solo a guardarla con un cenno di speranza chi si trasforma presto in una subdola richiesta di aiuto, nulla traspare dai suoi occhi, ovviamente neanche lei sai cosa sia successo realmente.
-E' fuori per lavoro, tra poco torna a casa.-
Dico avvicinandomi al piccolo Prince e accarezzandogli i capelli con una mano spettinando alcune ciocche biondissime che tornano però subito al loro posto. Faccio segno a Grace di seguirmi, allontanandoci almeno un po' dai bambini per poter parlare liberamente, accoglie il mio invito e con aria turbata sospira profondamente contorcendosi le dita di entrambe le mani.
-Grace sto impazzendo, dovè Michael? Cosa è successo?-
Si guarda attorno, senza cercare nulla da guardare ma soltanto per evitare il mio sguardo arrossito dal nervosismo e dalle lacrime.
Non dice nullla.
-Sono ore che ci tengono qui...io non resisto un secondo di più.-
Mi guarda per un attimo, un effimero secondo e torna a posare le pupille su qualcosa di incerto fuori dalla finestra che pare sia molto più confortante di ciò che ha davanti. Di chi ha davanti.
Frank, il capo della sicurezza aspetta con pazienza un qualsiasi segnale, dice che Michael è in ospedale per un forte attacco di influenza,niente di grave.
Niente di grave...come si fa a dire che non è niente di grave? Nessuno parla, non so nemmeno in quale ospedale sia stato portato, a dir la verità non so nemmeno se è stato portato in ospedale.
-Frank ma che cazzo è successo? Si può sapere?-
-Michael ha dato ordini precisi di non diffondere alcuna notizia.-
-Ma porca troia ti sembro la CNN per caso?-
-Sophie lascia perdere, ti prego.-
-Niki come fai ad essere così calma...dove diavolo sta Mike?-
-Sophie davvero,ti prego!-
-Non capisco, non so proprio come fai...-
Sento il cuore soffocarmi, sembra che qualcuno lo stia spingendo con forza, che lo stia schiacciando lentamente con un pugno, un pugno che fa male come la lama di un coltello mentre trafigge la carne,la lacera e il sangue fuoriesce lasciando la prova concreta di quel dolore lancinante. Trattengo a fatica le lacrime.
Ha dato l’ordine di non dire niente a nessuno, che nessuno sapesse cosa fosse accaduto, nessuno. E io rientro tra quel nessuno che esclude ogni fraintendimento.
-Sophie...è Michael che non vuole farci sapere come sta.-
-Niki ma....-
-No è così,- la interrompo.
-Hai sentito Frank, non ha lasciato detto niente per me.-
Vedo la sua espressione mutare radicalmente,vedo la sua sicurezza abbandonarla goccia dopo goccia e con lei anche la mia volontà.
-Vado di sopra.-
Mentre cammino svogliatamente verso il secondo piano mi ritrovo a dover passare proprio davanti alla cucina. Fino a ieri si preoccupava se non mi vedeva tornare dopo dieci minuti, cosa dovrei fare io adesso?
-Frank-
Lo chiamo voltandomi, facendo qualche passo indietro.
-Nicole lo sai, non posso dire niente.-
-Si lo so, volevo chiederti se avevi una sigaretta.-
-Certo, non sapevo fumassi.-
Allunga la mano verso la mia, porto subito la sigaretta alle labbra,un ricordo così lontano, così sbiadito si propaga tra i miei pensieri. Avevo iniziato durante il terzo anno al liceo, senza un motivo reale, del resto quale motivo sarebbe plausibile abbastanza per iniziare a fumare? Quando ho lasciato la casa di mio padre, quel giorno di Natale e sono venuta qui a Los Angeles senza aiuti né sostegno né amici, avevo deciso di cambiare la mia vita il più radicalmente possibile, smettere con questa robaccia era solo una piccola tesserina in tutto il puzzle dei miei problemi. Ed ora eccomi qui...
-Grazie.-
Seduta sul pavimento con le gambe incrociate e la schiena che poggia sull'ampia finestra della camera degli ospiti più vicina alla stanza di Michael, aspiro l'ultima boccata e il pensiero che mi farà più male di tutto questo, mi fa sembrare questa vicenda un po' meno dolorosa.
La camera degli ospiti, sono solo un ospite ed è questa la realtà. Stupida Nicole! Sono stata davvero stupida,stupida a non accorgermene prima. In fondo cosa sono io per lui? Un ospite, un passatempo, qualcosa di temporaneo che prima o poi lascerà il posto ad altro. Eccolo qui, il momento in cui ci si sveglia dal sogno, quando hai ancora le immagini chiare e nitide davanti agli occhi, ma sai di non poterle più vivere, sai che è tutto finito,che sei sveglia e che è ora di ricominciare a vivere, come tutti gli altri. Vorrei immortalare questo momento per potermi ricordare in futuro che niente è mai per sempre.
Fuori, nel giardino i segni riconoscibili di un’invasione che ha lacerato non solo oggetti e serrature, ma anche l’anima e il corpo di un uomo che non credo più di conoscere affondo, l’FBI con i loro mandati di perquisizione sono riusciti a sfigurare l’unico posto in cui si sentisse realmente felice. L’ho visto passeggiare diverse volte lungo il sentiero illuminato, di notte, con le mani in tasca, con l’aria di chi non sente più suo ciò che ha tra le mani.
***
Il buio è sceso sulla contea di Santa Barbara, il cuore si scontra con la ragione e l’appiccicoso strato pregno di dubbi e incertezze si fa largo nella mia mente fino ad arrivare allo stomaco, attanagliandolo.
Prendo le mie cose dall'armadio, le piego lentamente senza prestare alcuna attenzione ai movimenti che compio.
Tra i vestiti messi alla meno peggio intravedo una catenina, fina e un pò attorcigliata che disegna uno scarabocchio sul copriletto bordeaux.
La prendo e tra le dita cade morbido il ciondolo che oscilla leggermente. La collana di Daniel. Bel momento per vedermi sbattere in faccia la parola in cui adesso credo meno di qualunque altra. Amore.
Gran bella parola.
In quanti si sono impegnati a scriverne, a cantare in suo nome, quanti artisti hanno cercato di dipingerne l'essenza più vera, quanti esperti discutono senza riuscire mai veramente a spiegarla.
E quante lacrime, quante lacrime versate dal primo momento in cui lo incontri fino alla fine.
Sophie bussa piano alla porta ed entra in punta di piedi. Vorrei ringraziarla per aver fatto cessare i miei pensieri con quel ticchettio sul legno. Mi guarda mentre preparo le valigie, guarda la catenina che ho lasciato sul letto e si siede sprofondando sul materasso con un tonfo sordo.
-Torniamo a casa?-
Annuisco fingendo di essere concentrata sulla spallina di un vestito rimasta impigliata nelle stampella.
-Sicura?-
Sospiro lasciando cadere l'abito nella valigia intrappolato ancora nel gancetto e di cui mi importa ben poco.
-Si.-
Il taxi si dirige verso Santa Monica e un senso di smarrimento mi fa tremare le mani, sono stranamente calma, sembra che niente possa turbarmi più di così.
Quando il cellulare ha iniziato a squillare erano circa le due di notte, in silenzio ho promesso a me stessa che la prossima volta in cui avesse suonato avrei risposto senza nemmeno guardare il display, al primo squillo. Speravo non riaccadesse, spero che chiunque fosse si sia stancato di chiamare. Ma è inutile mentire, tanto vorrei rispondere a quel telefono e sentire la sua voce chiamare il mio nome supplicandomi di tornare da lui.
E così ecco di nuovo la suoneria riempire il silenzio dentro la vettura gialla e il mio cuore tremare ad ogni squillo.
Rispondo senza guardare.
-Pronto?-
La mia voce esce roca, bassa, irriconoscibile. Dall’altro capo si sente a malapena un respiro.
-Nic…-
La sua voce. Rotta dalle lacrime. Chiudo gli occhi cercando di frenare l’emozione, mi mordo il labbro e lascio che un interminabile lasso di tempo passi in completo silenzio.
-Mi dispiace.-
Sento la linea cadere, mi sembra di sprofondare in un abisso senza riuscire a capire più il perché. Spengo il telefono, è l’unica cosa sensata che mi viene in mente in questo momento. Lo lancerei contro il vetro, urlerei, farei scorrere le lacrime fino a perderne il sapore sulle labbra. Invece non ho la forza di fare niente di tutto questo.
Con gli occhi lucidi nascosti accuratamente sotto le lenti scure degli occhiali da sole, decisamente fuori luogo alle 3 di notte, attraverso l’entrata del mio appartamento dopo così tanto tempo che mi sembra di non essere mai stata qui prima d’ora. Ma la realtà presto scansa la memoria, sul tavolino dell’ingresso ritrovo il biglietto scritto di suo pugno in cui mi paragonava ai fiori della primavera. Un messaggio ben lontano da quelle sole poche righe che sono riuscita a scrivere prima di partire.
"L'amore è come una saponetta ce l'hai in mano finché non la stringi troppo forte. Credevo di doverlo afferrare per averlo, ma l'amore scivola via come quella saponetta se lo stringi troppo forte. Bisogna imparare a tenerlo con leggerezza, lasciarlo volare quando vuole. [G]Così adesso ti lascio libero di poter volare...[/G]"
Capitolo 26
Con le braccia aperte volteggio finchè non sento sulla pelle, tra i capelli, l’aria solleticarmi appena. Sorrido mentre con gli occhi chiusi sento già la testa iniziare a girare. Mi fermo rimanendo con lo sguardo rivolto al soffitto. Riempio i polmoni più che posso e poi lascio che l’ossigeno esca lentamente gustandone ogni singola particella.
-Oddio oddio!! Nikiiiiiiiii oh mio Dio!-
Mi volto verso di lei non appena sento la sua voce.
-Sophie benvenuta a casa…-
Porta le mani al volto con la bocca aperta assumendo l’espressione più sognante che abbia mai visto -Wow!- è tutto quello che riesce a dire avvicinandosi all’enorme vetrata che spalanca gli occhi ad un panorama mozzafiato.
-E’ New York.-
-No questo è il paradiso.-
Rido continuando ad osservare la sua faccia incredula, siamo arrivate da meno di un’ora e ha già riempito l’armadio con le sue scarpe. Potrei anche pentirmi di aver accettato di condividere una casa con lei, anche se si tratta dell’attico più favoloso in cui sia mai entrata. Pentirmi? La vedo dura...
Ma averla tra i piedi almeno mi terrà senza dubbio la mente occupata.
Entriamo nel primo ristorante italiano che incontriamo, dicono che non ci sia niente di meglio della cucina made in Italy o meglio, l’ex ragazzo di Sophie, un italiano che si era trasferito a Los Angeles per cercare di sfondare nel cinema le aveva insegnato a saper riconoscere un buon ristorante senza neanche esserci entrati. Insomma era diventata una specie di cane da tartufo per piatti prelibati.
-Sophie aspetta, edicola!-
La blocco sull’entrata del locale non appena scorgo un giornalaio a pochi passi da noi. Non ride, nessuna presa in giro, nessuno sguardo dolce che sottolinea il mio modo di abbreviare le frasi.
-Niki ho fame.-
Mi risveglia subito da quel pensiero azzardato che per fortuna lascia presto la mia mente. Meglio riprendere il discorso.
-Dai un secondo, è uscito il nuovo numero di Vanity Fair, parlano di me.-
-Ancora? Vabbè sbrigati io intanto entro e prendo un tavolo, ti aspetto.-
Naomi Campbel, il nuovo album di Madonna...pubblicità...ancora pubblicità...oh Chrtistian Dior...pubblicità...
Alle 12.30 era arrivata dalla Corte una telefonata per informare i legali che la sentenza era stata formulata. Un'ora di tempo, un'ora per raggiungere il tribunale e scoprire il verdetto.
Subito gli elicotteri delle emittenti americane si levano in volo per seguire la lunga fila di jeep scure che escono dalla villa. Il giudice Melville consente la trasmissione audio del verdetto. Michael arriva con la famiglia al suo fianco e circondato da guardie del corpo, con lo sguardo teso, magro e pallido fino all'inverosimile, con le urla dei fans che accompagnano il suo ingresso in tribunale.
Dopo cinque ricoveri in ospedale dall'inizio del processo la fine tanto agognata finalmente è arrivata.
"Not guilty". Risuona per dieci volte e per ognuna di esse una fan libera nel cielo una colomba bianca che si disperde tra gli aridi raggi del sole californiano.
Dopo la sentenza Michael esce limitandosi a salutare con un cenno della mano i suoi sostenitori, nessun festeggiamento, va a casa e decide di lasciare l'America.
***
-In Bahrein...-
Sembra quasi che riesca a vederlo, con le sue valigie sempre pronte dietro la porta, se ne andrà lontano da tutto, dai ricordi, dalla sua vita e ancora più lontano da me.
Non dovrebbe più riguardarmi ormai lo so bene. Eppure sapere che anrdà così lontano mi disorienta, l'ho sempre immaginato lì al solito posto, in quel luogo in cui avrei saputo sempre come trovarlo, se non fisicamente almeno con la memoria. Con quei ricordi che hanno tenuto in me vivo ogni frammento di vita passata come se fosse ancora presente.
-Sophie...uccidimi!-
-Non voglio andare in galera, grazie.-
Con le braccia conserte sul tavolo del ristorante lascio rumorosamente cadere la mia testa su di esse.
-Sophieeeeeeeee-
Un lamento esce a malapena dalla mia bocca nascosta sotto i capelli.
-Oh Signore mi fai mangiare in pace!-
Uno strano squittio che dovrebbe corrispondere ad un no la interrompe.
-Niki sono passati due anni...-
Mi alzo cercando di racimolare le ultime briciole di dignità che mi rimangono. Sistemo i capelli dietro l'orecchio, dò un morso alla fetta di pane più vicina che riesco a trovare e mi rendo subito conto che non sarà facile da mandare giù. Il solito nodo alla gola che ti prende quando blocchi le lacrime invece di farle scorrere. Farmi vedere piangere è l'ultima cosa che voglio. Prendo un respiro profondo e mando giù il boccone sentenziando immediatamente che quello sarà l'ultimo, almeno per ora.
-Si, lo so...lo so.-
-Non dirmi che ti interessa ancora?-
-Ma vuoi scherzare?!-
Scoppia a ridere talmente forte che tutti i clienti del ristorante si voltano versano di noi. Cerco con una mano di coprirmi per l'imbarazzo.
-Sei scema? no dimmelo se sei pazza chiamo subito un dottore.-
-Oddio Niki, dovresti vederti certe volte, mi fai morire. Ahahahah ma vuoi scherzare? tesoro ti giuro sei molto convincente.-
-Non so di cosa tu stia parlando, lascia stare il vino Sophie.-
-Prima di tutto quella che non può toccare alcolici sei tu non io.-
-E poi...è ovvio che due anni non bastano per dimenticare...che cos'era? Thriller...-
-Billie Jean.-
-Lo vedi!-
-Niki che ci fai ancora qui?-
-Che vuol dire? dove devo andare scusa.-
-Corriiiiiiiii aspetti che parte per il Bahrein? e muoviti, vai a riprendertelo.-
-Ma figurati se mi presento lì così, nemmeno mi faranno entrare.-
Diventa improvvisamente seria, lascia persino cadere l'ultimo boccone nel piatto.
-Niki sono due anni che aspetto un momento del genere, secondo te non ti sentivo piangere la notte, con l'i-pod al minimo per non farti sentire,tutte quelle volte in cui al telegiornale parlavano del processo e con una scusa te ne andavi. Niki prendi questo benedetto volo per Los Angeles e riprenditi mister bacino prima che ti uccido sul serio.-
Riprendermelo? E che cosè un gioco a premi?
Ma in fondo...ha ragione vero? Adoro quando rende le cose così facili, prendi un aereo e vai a riprendertelo. Ma mi chiedo perchè non l'ho fatto prima.
-Allora vado?-
-Direi di si.-
-Grazie, grazie, ti voglio bene lo sai vero?-
Alterno le parole ai baci massacrando la povera guancia di Sophie che mi guarda in cagnesco per la troppa dimostrazione d'affetto.
Mi alzo proiettando già con la mente il momento in cui mi ritroverò di nuovo davanti a quel cancello, non posso credere di aver aspettato tutto questo tempo.
Riprendo fiato dopo un'apnea lunga non so quanto, sento il cuore fare un salto tanto da farmi venire le vertigini, nel taxi gli occhi dell'uomo seduto davanti a me mi guardano in attesa di una risposta.
-Signorina allora, dove la porto?-
Le sue iridi accolgono subito le mie, in un momento di pausa che quasi necessito di dover prendere per continuare a respirare.
-Neverland Ranch, per favore.-
Capitolo 27
Scendo dal taxi con un'euforia che non credevo nemmeno più di possedere, sembro una quindicenne al suo primo appuntamento e non ve lo nascondo, mi piace da impazzire sentirmi così. A ogni passo sento di poter volare, penserete che volare sia una cosa impossibile, ma vi assicuro che non lo è.
Solo nel momento in cui smetti di credere di poterlo fare perdi la capacità di farlo.
Avete mai visto Peter Pan, il cartone animato della Walt Disney che si rifà al romanzo di James M. Barrie? Quando Peter entra nella stanza dei bambini gli dice che per arrivare sulla sua isola che non c’è bisogna saper volare. E come si fa a spiccare il volo? Basta pensare a qualcosa di molto bello. Ai regali del Natale, alla neve…un pizzico di polvere di fata e il gioco è fatto. Ma vi dirò…non c’è niente di tutto questo nella mia mente ora, tanto meno della polverina magica sulla mia testa, semplicemente perché non ne ho bisogno, il mio pensiero felice nonostante tutto è solo lui, Michael, isola che non c’è compresa in tutto il pacchetto. Se non è una favola questa allora mi domando cosa possa esserlo.
Il crepuscolo posa le sue oscure ombre sul cielo vivo, fa sembrare l’atmosfera molto più calda, quasi afosa, tipica di una serata di metà giugno in cui si intravedono le colline di Los Olivos bruciare sotto il sole che cade lentamente.
Il profumo incontrastato che questo parco riesce ad emanare è sempre lo stesso, almeno per quello che riesco a ricordare. Le giostre sono stranamente tutte ferme, le catene che sorreggono i piccoli sedili rossi oscillano leggermente sotto la brezza, ma nessuna dolce melodia accompagna il loro giro. Regna un silenzio che mette quasi malinconia, tra le fronde della vecchia quercia sotto cui io e Michael amavamo sedere per poter parlare ore e scherzare, intravedo davanti alla porta illuminata dell’ingresso una figura in controluce della quale ancora non distinguo i tratti.
Mi avvicino ancora e Grace, mi saluta aspettando che arrivi sulla soglia per potermi abbracciare.
-Nicole, tesoro! Da quanto tempo…-
-Ciao Grace, come stai?-
Una volta superati i convenevoli, vado dritta al punto, diretta a l’unica forza che mi ha spinto fin qui.
-Grace, Michael è in casa?-
Lo sussurro appena, ho timore che mi possa sentire reclamare il suo nome, senza più averne alcun diritto, mi sento inaspettatamente fuori luogo qui dentro per la prima volta.
-Cercavi Michael?-
Domanda piuttosto inutile non ti pare?
-Si dovrei parlargli.-
Se ne sta lì e mi fissa con un’aria strana, non ho idea di cosa le stia passando per la mente, non sono venuta qui per giocare a nascondino.
-E’ partito circa un’ora fa.-
-Cosa?-
Partito.
Se ne è andato.
E con lui anche tutte le mie speranze…
I miei occhi rimangono attaccati a quelli di Grace aspettando di sentirmi dire che no, non è vero che è partito, che si è sbagliata partirà tra un’ora, non che è partito da un’ora.
Mi sento più stupida di prima.
-Voleva cambiare aria, lasciarsi tutto alle spalle…-
Percepisco solo rumori ovattati, non ho bisogno di sentirmi dire queste cose, non da Grace.
Mi invita ad entrare, vorrei avere la lucidità per riuscire ad inventare una scusa, una qualunque banale sciocchezza, ma non perdo nemmeno tempo a cercarne una. La mia mente è tanto vuota quanto colma di interrogativi lasciati in sospeso perciò assecondo il suo cenno gentile e mi ritrovo nel cuore dell’ingresso di Neverland. Mille ricordi sovrapposti, sbiaditi, che credevo di aver messo da parte in uno dei tanti cassetti impolverati della memoria, ora si sono scrollati un po’ di quella polvere di dosso e riesco ad intravederne i particolari.
La sua risata che riecheggia tra le mura, i suoi passi silenziosi su quelle scale, i baci dati al buio respirando insieme questa stessa aria. Quanto mi è mancato questo posto, non ci sarebbero parole a sufficienza per descriverlo.
L’orologio in oro con la riproduzione di Amore e Psiche di Canova, quante volte ho visto formare il mio riflesso sul vetro di quel quadrante e disperdersi tra le lancette. È tutto allo stesso posto eppure, sembra tutto così diverso.
Manca un’unica cosa per rendere questo momento perfetto, ma purtroppo niente di più lontano dalla perfezione si annida in questo istante privo di logica, l’ennesimo scherzo del destino, inizio a pensare che in qualche modo abbia ragione a remarci contro.
-E’ stato molto male durante i mesi del processo.-
-Che vuol dire è stato male? Cosa aveva? Ma adesso sta bene?-
Con il suo solito fare melodrammatico si siede lentamente sul divano in velluto rosso, mi domando perché ogni volta ci metta così tanto per rispondere ad una domanda. Beh, in questo caso tre domande, ma è lo stesso.
-Nicole lo sai meglio di me, non parla molto della sua vita strettamente privata.-
Vai al dunque per favore? Quantè prolissa questa donna!
Già ho miei vari turbamenti, secondo voi ho voglia di perdere tempo con questa qui?
Sospiro. Infondo la calma è la virtù dei forti.
-In certi momenti stentavi a riconoscerlo, i suoi occhi diventavano…assenti.-
-Ma si, Grace ci avevo fatto caso anch’io. Da cosa dipendeva?-
Adesso si guarda le mani. Non ce la può fare, deve prendere aria per almeno mezz’ora ogni due parole. Che ansia…mantengo la calma solo perché grazie al cielo ho ancora un po’ di buon senso e poi non voglio che quell’antipatico di Frank venga a sapere che con il mio solito caratteraccio ho litigato con la tata dei bambini di Michael.
-Grace!-
-Gli antidolorifici Nicole, pillole per dormire, insomma qualunque cosa lo distraesse dal processo.-
Ecco. Perché me lo dice ora?
-Grace, ma…allora era vero, perché non me l’hai detto prima, avremmo potuto fare qualcosa.-
E’ lei a sospirare adesso, sarebbe bello se con un semplice sospiro si potessero risolvere i problemi, annegare tutto in un soffio e lasciarseli alle spalle come se non fossero mai accaduti realmente.
La verità a questo punto è che non so niente di più di tutti gli altri, anzi, Grace, la tata, ne sa molto più di me.
Non mi rassegno, non mi pento, lo farei se si trattasse di un uomo qualunque, ma in Michael non c’è nulla dell’uomo qualunque. Non si tratta più di tenergli la mano lungo il cammino, di stargli accanto cercando di lenire le sue ferite, ora devo riuscire a capire il più possibile di questo problema che assomiglia sempre più ad un mistero.
***
Con un gusto ancora amaro sulla bocca, accumulata la decima ora di volo sulla pelle, mi rendo conto di quanto New York sia diventata casa mia.
Non c’è il caldo torrido della California che ti scalda immediatamente il sangue e fa arrossire le guance, non c’è la malinconia, non ci sono errori lasciati accartocciati negli angoli delle strade.
Ci sono palazzi che toccano il cielo, il mio nuovo ufficio, un chiosco che fa i migliori hot dogs che abbia mai mangiato e la mia migliore amica. E’ strano come un luogo riesca a farti sentire diversa. Cambiare aria, capisco ora la scelta di Michael di andare addirittura fino in Bahrein.
-Che faccia da funerale!-
-Grazie Sophie sei sempre di grande conforto…-
-E’ da quando sei tornata che hai il muso fino al pavimento.-
-Ma si metti il dito nella piaga, io mi faccio un toast!-
-Un toast? Andiamo bene, potrei capire mi faccio un barile di vodka, ma Niki un toast è troppo trasgressivo non credi?-
-Se….-
-No eh?-
-Ma con la sottiletta.-
-Oh mio Dio! Era una mezza specie di battuta quella?-
-Sophie…non so neanche di cosa stiamo parlando, mi sono persa al barile di vodka.-
-In effetti…vabbeh ho capito sto zitta.-
-Brava.-
Accende il televisore, canticchiando qualcosa di indecifrabile, passano soltanto un paio di secondi e lo schermo si fa nuovamente nero.
-Uffaaaaa.-
Si rigira sul divano stirandosi come un gatto e guardando immobile il soffitto. Posa il telecomando sul cuscino, cerco di non dare attenzione ai suoi mille movimenti nervosi.
All’improvviso si siede incrociando le gambe e tamburellando con le dita su un ginocchio.
-Nicole!-
-Dimmi.-
-Andiamo in Bahrein.-
-Sophie!-
-Si.-
-Zitta.-
-Dai ma perché? Se Maometto non va alla montagna.-
-Maometto c’è andato alla montagna è la montagna che non si è fatta trovare.-
Scoppiamo a ridere.
-Sophie, non ho idea di dove sia, un conto è andare a Neverland un altro è girarsi tutto il Bahrein.-
Lascio le fette di prosciutto nella confezione e rimetto tutto a posto nel frigo, le fette di pane in cassetta nella dispensa, e spengo il tostapane. Non ho fame per niente, pensavo di distrarmi con un panino, ma non ha funzionato molto. Quando Sophie si mette in testa una cosa…
Squilla il telefono e la vedo letteralmente saltare sull’apparecchio senza neanche avergli dato il tempo di fare un secondo squillo. Prendo il succo d’arancia che ho vicino e ne verso un po’ nel bicchiere.
Il ragazzo che doveva sistemare il condizionatore ancora non si è fatto vivo, sembra proprio che ormai dovremmo passare l’estate in queste condizioni.
-Niki è per te.-
Finisco di mandare giù l’ultimo sorso di succo.
-Chi è?-
-E’ Michael.-
-Sophie quando la smetterai con questi stupidi scherzi?-
-Scema dico sul serio.-
Mi porge il telefono senza fili, cerca con lo sguardo si rendere il più credibile possibile la sua affermazione. Non può chiamarmi come nulla fosse dopo due anni, sono sicura che non è lui, anzi spero che non lo sia, è meglio per lui che non lo sia. “Mi dispiace” è l’ultima frase che ho ascoltato uscire dalle sue labbra, sempre al telefono e poi il nulla più totale. Non sarà lui di certo, lo so.
Porto il ricevitore all’orecchio, riesco soltanto a fare un lieve morbido sospiro che arriva immediatamente dall’altra parte donando coraggio all’altra persona di farsi avanti e iniziare a parlare senza che abbia avuto nemmeno il tempo di riflettere un secondo.
-Nicole.-
Il mio nome, pronunciato ancora un volta da una voce che riconoscerei tra mille, mi annoda subito le parole in gola. Nella mia mente scende immediata la confusione che racchiude due anni di silenzi ininterrotti, pensieri, supposizioni tutto quanto scatenato contemporaneamente alla velocità della luce, con una sola banale parola.
-Michael…-
Istintivamente porto una mano alla bocca, la sento tremare come la mia voce poco prima. Non sono riuscita a nascondere l’emozione, Sophie mi guarda con un’aria rassicurante, cerca di darmi coraggio, conforto, tutto con un unico sguardo che fortunatamente ha l’effetto desiderato.
-Quanto mi sei mancata Nicole…non ne hai idea.-
Oh si che ce l’ho, se è stato anche solo la metà di quanto tu sei mancato a me, allora ti sono mancata da morire. Vorrei dirlo, ma perdermi nei suoi occhi mi avrebbe dato la forza di farlo, così sento invece quella fredda sensazione che la lontananza crea inevitabilmente.
-Am…-
Lascio che la parola muoia nel palmo della mia mano. E’ difficile riuscire a perdere un’abitudine tanto deliziosa.
-Cosa?-
-Eh? Cosa…cosa?
Lo sento scoppiare in una risata cristallina, contagiosa e sorrido guardando Sophie che scuote la testa quasi rassegnata.
-Comunque…c’è qualcosa che volevi dirmi?-
-Mike hai chiamato tu, tu che mi volevi dire?-
-Ho saputo che eri passata a Neverland, ah tanto ho deciso di venderla, non riesco più mettere piede in quella casa, troppi ricordi spiacevoli…tranne quelli passati con te.-
Sorrido ma preferisco far finta di nulla, riporto subito la conversazione sull’argomento casa.
-Vendi Neverland?-
-Non la sento più mia…-
-Capisco, non hai tutti i torti in effetti.-
Lasciamo passare un interminabile momento di silenzio che diffonde solo imbarazzo.
-Niki…-
-Mike…-
Ci chiamiamo esattamente nello stesso istante, questo non fa altro che gettare ancora più incertezza in questo nostro strano riavvicinamento.
Svanisce tutto nella ricerca impalpabile di poter dire qualcosa di più, di riuscire a tirar fuori quelle sensazioni rimaste inespresse per tutto questo tempo.
Solo impercettibili risate nervose riecheggiano timidamente attraversando i piccoli fori nel telefono ed arrivando insieme alle orecchie ormai assetate di sentire ancora quella voce.
-Niki io ho ancora bisogno di te, forse adesso più di prima.-
Respiro profondamente decisa a non lasciarmi sopraffare almeno dall'emozione.
Il tono della sua voce è così diverso dall’ultima volta, molto più lucido, molto più vivo…molto più suo.
-Michael sei dall’altra parte del mondo.-
-Lo sai che basta solo una parola, una sola e salto sul primo volo diretto per New York.-
-Non puoi tornare adesso, Mike ragiona per favore.-
-Vieni tu da me allora, dico a Frank di venirti a prendere.-
-No ma…-
-Niki io…-
-No ti prego non dire niente.-
Sospira sofferente riesco ad immaginare il suo volto in questo momento ed è così reale che mi stringe il cuore.
-Non dirò niente se non vuoi.-
-Ho paura che sia la stessa cosa che vorrei dirti anch’io ed è terrorizzante sapendoti così lontano…-
-Niki puoi dirlo…-
-No sarebbe inutile.-
Cade il silenzio. Sospiro soltanto, suonano così amare queste parole che faccio fatica a razionalizzarle.
-Sappi però che le sento lo stesso, ogni giorno più forte, sarei dovuto venire a riprenderti due anni fa, lo so…solo che…non ero proprio in me…-
-Non ti devi giustificare…-
-Nicole.-
-Si.-
-Se fossi lì sarebbe diverso?-
-Non lo so, forse si.-
-Mi dispiace anche per questo, ma l’America si era fatta troppo opprimente per me…io…-
-Capisco benissimo, hai fatto la cosa migliore, io al posto tuo me ne sarei andata anni fa.-
-Michael ma…come stai?-
-Come sto? Mi sento quasi sollevato, non solo per come è finito il processo, ma allontanandomi da tutto devo occuparmi solo dei miei figli e i loro sguardi, i loro sorrisi, riescono a farmi sentire bene.-
-Sono degli angeli.-
-Si.-
-Mike adesso dovrei andare…-
Dopo avermi lasciato il numero della sua nuova residenza, mi saluta facendosi promettere che lo avrei chiamato presto.
Il cuore lentamente ritrova il suo normale battito tranquillo e non riesco a fare nient’altro se non a lasciarmi andare sul pavimento, sedendomi incrociando le gambe, fissando il telefono spento, con ancora l’eco della sua voce intrappolato all’interno. Adesso si che sento la fredda fitta della mancanza, una solitudine che mi spiazza, fare i conti con la lontananza, con una miriade di pensieri che si accavallano l’un l’altro. Neanche Sophie riesce a trovare qualcosa da dire.
Mentre la testa si fa pesante un’unica gocciolina brilla sotto la luce e si fa spazio lasciando dietro di se una scia salata sulla guancia, prima di cadere a terra e allargarsi in un cerchio perfetto.
Capitolo 28
Avrei potuto chiamare, forse avrei dovuto farlo.
Ma non l’ho fatto.
Il West Village è diverso dal resto della città, è chiamato il Greenwich Village, le sue vie sono talmente particolari e curve che confondono turisti e newyorkesi senza distinzioni, siamo tornate nel grande parco di Washington Square dove Sophie era solita giocare da bambina. Fin quando giusto appena dietro l’angolo abbiamo visto spuntare la sua villetta dipinta completamente di azzurro.
La madre di Sophie ci ha accolto con le lacrime agli occhi, avvolgendo tra le braccia quella figlia che suo malgrado vede sempre meno, i loro incontri si sono ormai limitati alle sole feste comandate, così come in quest'occasione.
Sophie dal canto suo si scioglie in una maniera incredibile quando sente l'aria impareggiabile di casa, niente rassicura più della famiglia e i suoi occhi in queste occasioni non mentono. E' tranquilla come non l'ho mai vista prima.
E in quanto a me, beh non sono una che ama le feste, o meglio ricordare quelle già passate con la mia di famiglia non mi evoca nulla di positivo o caloroso.
Perciò eccomi di nuovo qui davanti ad uno specchio, con la luce della luna che illumina il mio volto solo in parte, si sentono i soliti canti natalizi in fondo alla via, ma niente lividi nè lacrime segnano la mia pelle stavolta.
Stranamente però qualcosa di simile, se non molto più doloroso e lacerante prende inevitabilmente possesso di ogni mio pensiero fino ad assottigliare ogni strato di serenità che credevo di aver messo faticosamente da parte.
Un Natale trascorso così tra pochissime persone, con quella magica atmosfera che rende tutto più piacevole. Niente discorsi fuori luogo, una cenetta a dir poco squisita, un paio di partite a carte e un bicchiere di prosecco che ha reso la serata un po’ più briosa, è tutto così…così semplicemente familiare.
-Io vado in camera,grazie di tutto è stata una splendida serata.-
-Buona notte Nicole.-
Mi risponde la mamma di Sophie con il suo solito dolce sorriso che mi fa sentire quasi in imbarazzo, come se fosse troppo confidenziale e io non mi sento ancora di aver acquistato il diritto di ricevere un affetto così tanto incondizionato da lei.
-Nic.-
Quel nome mi fa quasi rabbrividire.
Vedo la sua testa infilarsi tra il piccolo spazio lasciato aperto dalla porta.
-Oh scusa...Niki come stai?-
-Bene.-
Accenno un sorriso sincero, grato per ogni minima attenzione che è stata fatta verso i miei riguardi per tutto questo tempo.
-Ok allora .-
La sua presenza c'è sempre e inevitabilmente.
Lo vedo in ogni cosa, lo scambio persino per qualsiasi persona che incontro per la strada, lo sento addosso più potente e vicino ogni giorno che passa. E non riesco a smettere di fermare tutte queste sensazioni.
Vedo i suoi occhi perdersi dentro i miei, con i miei e ritrovarsi lucidi, pieni di passione sotto la fragile luce della notte. Lo vedo ancora, in ogni suo singolo dettaglio, come se si fosse appropriato della mia anima e niente potesse scalzarlo da questa posizione di privilegio.
La notte è il momento più difficile, quando eravamo a Neverland di solito tornava tardi la sera e ci ritrovavamo a parlare ore finchè il sonno non ci appesantiva le palpebre e abbracciati ci addormentavamo insieme. Il suo respiro tra i miei capelli, le sue braccia che mi chiudevano in una roccaforte d'oro dal quale nulla poteva farmi del male, mi manca soprattutto questo di lui, il suo modo meraviglioso di farmi sentire protetta e speciale. Mi mancano le sue parole, la sua voce che sussurra piano il mio nome, mi manca tremendamente il suo sorriso, quando esplodeva all'improvviso, con la sua risata contagiosa, sento la mancanza persino del solletico che i suoi capelli mi facevano sulla guancia ogni volta che mi abbracciava. Vorrei poter fare a meno anche solo di una di queste cose,ma non ci riesco, ancora non ci riesco.
Ho il suo nuovo numero salvato nella rubrica del cellulare. Potrei chiamarlo, ho paura però che sentirlo senza poterlo sfiorare realmente mi farebbe cadere ancora di più nell'abisso della solitudine, si sento tremendamente impotente.
Sto iniziando ad odiare i cellulari, vi giuro che ci ho pensato, ho pensato che sarebbe stato bello se l'avessi trovato sotto l'albero di Natale fra tutti quei regali, ma non è successo. Accade solo nei film e la vita non è un film.
Ricordo quando Daniel mi diceva in continuazione che sognare era solo un’inutile perdita tempo, lo sosteneva convinto e sicuro della sua posizione, non ho mai provato a fargli cambiare idea. Credevo, e lo credo ancora, che una persona capace di formulare un pensiero del genere, non sia davvero in grado di poter modificare la sua idea. Per niente al mondo, neanche se è la donna che ama a dirglielo. Quindi mi sono sempre limitata ad accettare questa suo diverso modo di vedere le cose, ognuno è libero di pensarla come vuole, così come io sono libera di poter continuare a sognare, nonostante gli eventi che tentano in tutti i modi di non fartici più credere.
Fuori, proprio ora, ha iniziato a nevicare, la neve ha quella strana capacità di riuscire a rendere tutto più bello, sono solo dei piccoli merletti di ghiaccio, ma ho imparato ad apprezzare le cose così come sono, semplici, banali forse per qualcuno sciocche ma molto più preziose di tante altre.
Nel silenzio di questa notte senza stelle, la vibrazione del cellulare posto sul comodino spezza l'aria e mi fa trasalire. E' il numero che solo in pochi hanno, l'altro quello degli amici e conoscenti l'ho lasciato a casa, mettermi a rispondere a stupidi messaggi di auguri era proprio l'ultima cosa che mi andava di fare stasera. Tanto si sa, inviano tutti il classico messaggio da cioccolatino Perugina preso chissà su quale sito e lo mandano all'intera rubrica sperando di non aver avuto tutti la stessa triste idea.
Sono stanca di parlare al telefono, voglio un contatto vero, voglio perle che bruciano sulla pelle ad ogni parola soffiata accanto all'orecchio. Voglio semplicemente ciò che ero una volta, voglio poter ricominciare a respirare l’aria ed assaporarla, non inalarla solo attraverso un gesto meccanico e involontario. Voglio scrollarmi di dosso ogni goccia di sofferenza.
Il numero è privato.
Rispondo mentre fuori la neve cade sempre più forte, sembra stia seguendo l'andamento del ritmo del mio cuore e la città si è già fatta tutta di un'unica tinta incolore che abbaglia da lontano colpendo gli occhi con insaziabile precisione.
-Buon Natale!-
Scoppierei a piangere se solo ne avessi la forza.
-Buona Natale…anche a te.-
La voce esce sottile, quasi stento a riconoscerla, mi sembra di fluttuare in un mare in tempesta che mai avevo visto prima.
Lo sento sorridere appena e così ogni muro di difesa che avevo innalzato in tutto questo tempo, crolla inesorabilmente insieme alla mia voglia di passare una serata tranquilla e lontana dal suo ricordo.
Prima che possa aggiungere altro sento l'impulso irrefrenabile di lasciar fluire ogni parola tenuta dentro fino ad ora, ogni speranza, ogni maledetta ferita che ora brucia come se la sua voce fosse sale versato direttamente su di esse.
-Michael, mi manchi da morire...io non ce la faccio più a stare così, ti penso in ogni momento,vorrei soltanto che tutto tornasse come prima, rivoglio la mia isola felice,rivoglio te.-
-Sei così bella sotto la luce della luna...amore mio non piangere.-
Senza nemmeno rendermene conto le lacrime hanno iniziato nuovamente a scorrere disegnando solchi che bruciano come fuoco sulla pelle viva.
-Mike aspetta un attimo ma...-
-Tesoro esci un momento, c'è un regalo che ti aspetta da troppo tempo.-
Qualcuno ha improvvisamente tolto tutta l'aria dall'interno della stanza,le mie mani tremano, il cervello si rifiuta di razionalizzare cosa stia succedendo. Faccio soltanto ciò che mi ha detto di fare senza staccare per un attimo il cellulare dall'orecchio.
Lo sento tirar su con il naso.
Mi avvicino alla porta e la apro con una lentezza esasperante.
-Niki ci sei?-
-Si.-
Vedo poggiato a terra, vicino al marciapiede, un piccolo pacchetto dorato con un enorme fiocco rosso che ricade sui lati, immerso nella neve.
Tengo fermo il cellulare tra l'incavo della spalla e con le mani inizio a sciogliere quel fiocco tanto grazioso quanto inaspettato. Fa decisamente troppo freddo per uscire senza neanche un cappotto ma nemmeno il freddo riesce a distrarmi.
-Mike ma...che vuol dire? Chi ce l'ha messo? E' vuoto...-
-Come è vuoto, hanno perso il mio regalo!-
-Quale regalo?-
-Ma sicura che non c'è niente dentro?-
-No niente...-
Adesso davvero non capisco cosa stia accadendo. Un pacchetto vuoto non è proprio il massimo dei pensieri. “Hanno perso il mio regalo”…il suo regalo…Mike mi ha fatto un regalo? E come hanno fatto a perderlo, chi la perso? Sento ancora la testa girare vorticosamente, la sua sola voce mi manda il cuore a mille.
-Guarda meglio la prossima volta.-
Sento sussurrarlo nell'orecchio, talmente vicino e così reale che non può essere frutto di un apparecchio telefonico. Proprio in quello stesso istante sento immediatamente stringermi la vita da due braccia forti e girarmi appena, il tanto che basta per farmi incontrare i suoi occhi.
Il cellulare cade a terra quando porto le mie mani sul suo viso per accertare che non sia solo un'immaginazione, e non lo è, è reale come me e mi sorride dolcemente. Mi vede tremare,non so più se sia per l'emozione o per il freddo, ma quando apre il suo cappotto nero e mi stringe a sè per riscaldarmi capisco che non era la neve a farmi quell'effetto. Ha il naso leggermente arrossato e gli occhi lucidi, chissà da quanto era qui fuori. Dopo l'interminabile periodo che ci ha separato sento nuovamente il suo copro avvolgermi, i suoi occhi conquistarmi, i nostri respiri si fanno visibili a contatto con l'aria. Le sue mani si intrecciano dietro la mia schiena e mi stringe ancora di più, percepisco il battito del suo cuore sotto il mio palmo e quel profumo mi fa trascendere verso un mondo incantato dove non esiste più niente se non noi due. Quelle parole sono state come miele liquido,il tono basso si è insinuato fino alle orecchie, arrivando alla mente e riaccendo emozioni contrastanti che credevo di aver perso per sempre.
-Buon Natale...-
Lo sussurra tuffandosi subito dopo sulle mie labbra, in un bacio che è ghiaccio è fuoco allo stesso tempo, le sue labbra morbide, finalmente a poco a poco si riscaldano a contatto con le mie. Le dischiude con delicatezza, sembra abbia quasi paura di farmi del male o come me magari pensa che possa svanire in quel bacio e risvegliarsi stordito da questo sogno.
I fiocchi bianchissimi fanno contrasto sui nostri capelli neri e sembrano delle piccole stelle su un cielo notturno. Mi allontano appena dalle sue labbra, le sue iridi scure che mi guardano il quel modo unico intriso di ogni mistero e sento già l'emozione sopraffarmi, un brivido leggero sale dal naso avvisandomi che le lacrime stanno invocando di poter uscire, questa volta per la felicità.
Respira forte e allenta la stretta tenendomi comunque le mani,perchè non può staccarsi del tutto,non adesso.
-E’ questo il mio regalo?-
Fa cenno di si con la testa accarezzandomi il collo, soffermandosi sulla curva appena prima della clavicola.
-Michael...Michael io…-
Mi prende il mento tra due dita e mi sfiora leggermente le labbra, poi la guancia.
-Anch'io ti amo Nicole, e non ti lascerò mai più.-
Con la mano sulla mia nuca mi accarezza dolcemente i capelli, poso la testa sul suo petto e respiro a pieni polmoni avvertendo il calore dei nostri corpi mescolarsi e unirsi in un'unica febbre.
-Mai più.-
Ripete mentre mi abbraccia ancora, è solo in quel momento che realizzo veramente la sua presenza, la vita non sarà un film, ma a volte sa essere molto meglio. Entriamo in casa, avverto subito il calore del camino sulla pelle e un altro molto più dolce e concreto avvolgermi la mano, intreccia le sue dita con le mie e sorride in un modo talmente irresistibile che la sua dolcezza mi fa dimenticare per un attimo di tutto il resto.
Mi avvicino alle sue labbra, lo vedo cercare di azzerare la distanza che ci separa ma si ferma un millimetro prima.
Prende qualcosa dalla tasca e me lo porge fissando incuriosito la piccola busta da lettere bianca con il mio nome scritto sopra.
-Questa è per te.-
La prendo, estraggo il bigliettino all’interno. Un sorriso che diventa subito una risata mi esce spontaneo.
“Sono o non sono la migliore amica del mondo?
Sophie.”
Una risposta? Si, assolutamente si.
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Re: Ricordi sbiaditi (terminata)
Capitolo 29
Seduti uno accanto all'altro sul divano, con un bicchiere di Sheridan tra le mani che va presto a farsi spazio sul tavolino al nostro fianco, recuperiamo il tempo perduto leggendo i nostri pensieri direttamente dagli occhi senza bisogno di proferire parola. Le lucine intermittenti che decorano l'albero di Natale creano un'atmosfera soffice, quasi solenne,simile a quelle cenette romantiche a lume di candela e il paesaggio innevato fermo nella morsa del freddo che è fuori da questa casa sembra lontano anni luce da qui.
Sento le sue mani scivolare sul mio braccio, con delicatezza, disegnando un percorso che fatico ancora a percepire come reale.
Mi sorride avvicinando le labbra sulla mia guancia e baciandola appena, affonda il respiro tra i miei capelli e mi guarda fisso negli occhi senza riuscire a staccarli dai miei. All’improvviso la finestra si apre, con un colpo di vento tirato troppo forte, il soffio gelido pregno di pioggia e rimpianti mi fa rabbrividire. Michael mi stringe forte a sé, abbracciandomi, cercando di afferrare disperatamente ogni attimo che ci è sfuggito fino a questo istante. Mi volto verso di lui, annegando nel profondo interminabile dei suoi occhi che già mi ricopre prepotente fino alla gola, limitando ogni mio movimento, ogni pensiero diventa ormai ricordo, un’emozione ribelle prova a sopraffarmi ma la nascondo in tempo, distogliendo lo sguardo verso qualcos’altro, forse un punto, forse una luce, forse il nulla.
-Non riesco a credere che sei qui veramente.-
Sussurro mentre accarezzo il suo volto cercando di non farmi sfuggire alcun dettaglio, sperando che rimangano lì per sempre così come sono in questo istante, con quell'espressione piena d'amore che mi sta facendo lentamente sgretolare tra le sue mani.
Mi avvicina sempre più a lui, posso assaporare il suo respiro mentre lo fa, accompagna poi dolcemente la mia testa sulle sue gambe,mentre mi sfiora i capelli. Sdraiata così con il suo corpo a farmi da cuscino presto ogni barlume di infelicità si affievolisce.
-Penso proprio che dovrai farci l'abitudine.-
Sento il suo corpo muoversi a piccoli scatti in una risata soffocata data l'ora in cui si sta svolgendo la nostra conversazione, il nostro idillio che riprende ad esistere come se nulla fosse accaduto. Un’abitudine che vorrei non fisse mai, rinuncerei ad altre dieci, cento, mille abitudini per far si che solo questa rimanga tale in eterno. Il tempo sembra finire e ripartire proprio da qui, con sguardi fugaci ma intensi, attraverso parole che bruciano ancora di rimorsi.
-La prendo come una promessa.-
-Lo è.-
Mi alzo scivolando tra le sue braccia sentendo improvvisamente una fastidiosa sensazione di freddo attraversarmi la pelle quando percepisco di essere lontana ormai da quel contatto.
-Michael scusami un attimo,dovrei fare una cosa...importante.-
Prendo il suo viso tra le mani, lo imprigiono in un inconsistente bacio sulle labbra, schiocca appena, facendo eco alla legna che scricchiola sotto le fiamme ardenti rosso fuoco, vibranti come le emozioni che si accavallano ancora dentro la mia testa. Afferra però l’orlo della mia manica e opponendo resistenza mi riporta sopra di lui, poggio le gambe sul bracciolo del divano e con un movimento non del tutto naturale giro la testa verso di lui che con un bacio più profondo, lento e umido spazza via ogni qualsiasi incertezza. Lo sento esplorare ogni angolo della mia bocca, sento il suo respiro mescolarsi al mio in un dolce nettare che è capace di inebriarmi completamente. Si stacca con estrema lentezza sentendo così le sue labbra staccarsi dalle mie fino all’ultimo millimetro rendendomi malleabile sotto ogni suo gesto. Disegna il mio profilo con il dorso della mano sorridendo impercettibilmente per poi aprirla ed accarezzarmi il volto sistemando i capelli dietro l‘orecchio. Mi alzo a fatica, sospirando nel vano tentativo di riacquistare lucidità, non mi volto né dico niente. Busso alla porta della camera di Sophie. Dorme e non risponde a nessun tipo di rumore. Mi avvicino e quasi mi dispiace di doverla svegliare, ma non resisto, sarà lo Sheridan, sarà il Natale…sarà questa felicità.
-Sophie.-
Silenzio.
-Sophieeeeeeeeeeee e svegliati.-
La strattono per la maglia del pigiama e si sveglia mugugnando parole senza senso. Una lingua inventata, arcana forse, che dovrebbe corrispondere a quella dei sogni interrotti,quando sei quasi sveglio ma resti con la mente ancora in quel mondo.
-Niki, ma che vuoi? stavo sognando David Beckham.-
-Ti volevo ringraziare.-
-Ah è arrivato mister bacino...Finalmente!-
-Grazie Sophie io non so cosa dire, non mi sembra vero...-
-Niki ti ho visto soffrire troppe volte per gli uomini, per una volta che ne trovi uno come si deve non puoi lasciarlo in Bahrein.-
Ci lanciamo un’occhiata complice, capace di racchiudere in silenzio tutto ciò che abbiamo da dirci. Comprensione, affetto, gratitudine. Non so se vi è mai capitato, ma a volte qualcuno mette davvero il cuore in ciò che fa e lo fa senza aspettarsi nulla in cambio. Un po’ come Neverland era per Michael. Un sogno diventato realtà capace di poter riempire di gioia non solo il suo cuore, ma anche quello di migliaia di bambini e l’unica cosa che bastava era un sorriso. Ricevere un sorriso a fine giornata da uno di quei bambini era un piccolo tassello che andava a riempire l’enorme vuoto della sofferenza. Ma purtroppo come in ogni favola che si rispetti c’è il lupo cattivo, il capitan uncino…l’importante però, posso dirvelo per esperienza personale ormai, è tornare ,prima o poi, a sorridere.
-Buona notte Sophie.-
-Buonanotte a voi!-
Chiudo la porta dietro le mie spalle mentre un sorriso mi sfiora il volto in maniera del tutto involontaria. Lo sento parlare al telefono a bassa voce e riattaccare nell'istante in cui mi affaccio di nuovo in quella stanza. E' in piedi vicino al camino, la luce del fuoco gli dona un meraviglioso colorito ambrato che riflette sul lucido dei suoi capelli lisci, neri come la cenere che a poco a poco viene a crearsi da quegli stessi ciottoli di legno. I jeans scuri gli cadono morbidamente sulle gambe evidenziando gli stivali neri di pelle che accompagnano ogni suo movimento rendendolo estremamente elegante, una giacca con delle borchie dorate è invece aperta per metà e lascia intravedere una piccola porzione del suo petto facendo si che le cose si complichino. Sarebbe il caso di dare la colpa a qualche brindisi di troppo forse, ma sarebbe solo pura e semplice ipocrisia, due anni lontani sono pur sempre due anni. Se poi si volta verso di me con quello sguardo è anche peggio, butta benzina sul fuoco dovrebbe saperlo, non è cambiato per niente, oggi come quel giorno sul set mi sembra di conoscerlo da una vita.
-Era Grace.-
dice facendo cenno verso il cellulare prima di infilarlo nella tasca interna della giacca.
-Le chiedevo dei bambini, pare vada tutto bene.-
Stavolta sospira lasciando scivolare via la tensione che immagino abbia accumulato durante tutto il viaggio. Mi sorge spontanea una domanda.
-Ma dove sono? cioè non a Neverland e neanche in Bahrein presumo...-
-No infatti sono in una nuova casa di Los Angeles, sono cresciuti in quella città, non volevo sconvolgergli troppo la vita.-
-Certo. Sai Mike…a proposito di Grace,mi ha raccontato un pò di cose.-
-Ti ha raccontato un pò di cose...tipo?-
-Mi ha detto che durante il processo sei stato spesso male.-
Annuisce, forse incuriosito. Vedo i suoi occhi stanchi fissarmi attentamente e poi voltarsi verso il camino. Era meglio che fossi rimasta in silenzio, magari è ancora troppo presto per affrontare questo argomento.
-Si è vero.-
Due anni…sono passati due anni, credo di aver aspettato abbastanza.
-Mike vedi...io.-
Mi ferma prima che possa continuare a parlare.
-Nicole non c'è bisogno di fare giri di parole,ho capito perfettamente e di questo davvero non devi più preoccuparti, fa tutto parte del passato, quella roba se ne è andata dalla mia vita appena ho sentito pronunciare "not guilty" in quell'aula.-
-Perchè non me l'hai mai detto?-
"Perdonami non avevo scelta.
Stronzate, una scelta c'è sempre.
Perdonami allora sono un coglione."
Questa sarebbe stata la risposta più facile, la più indolore, forse la più scontata e invece no.
-Non volevo farti preoccupare.-
-Mi sono sentita messa in disparte...-
-Mi dispiace Nicole vorrei poter tornare indietro, ma ho paura che in quella stessa situazione reagirei esattamente allo stesso modo.-
Già, anch'io.
-E' solo che all'inizio ti senti così dannatamente bene, tutti i problemi, tutta la sofferenza svaniscono con un sorso d'acqua. Il problema è dopo, non basta mai e ti illudi di poter star bene come quella prima volta…-
Appoggia una mano sul tavolo e continua.
-Volevo solo svegliarmi da quell'incubo, far smettere tutte quelle voci di parlare e invece ho solo perso me stesso e anche te…sai cosa mi ha dato la forza per uscirne con le mie mani?-
-Cosa?-
-Immaginavo il tuo sguardo pieno di disprezzo, sentivo la tua voce spezzata dall'emozione quell'ultima notte in cui ci siamo sentiti, ho capito che nonostante tutto quel mondo non faceva parte di me, ho avuto paura che oltre a te sarebbe riuscito a portarmi via anche i miei figli e tutte le persone che amo.-
Il mio cuore qualche volta si ammala, è la malattia dei ricordi, della solitudine e si cura semplicemente vivendo. A volte immagino come sarebbe stato se lo avessi conosciuto in un altro momento della mia vita, forse sarebbe andata diversamente chissà, ma quello che mi da speranza è che ciò che è diverso non è necessariamente migliore, in fondo è qui, siamo ancora qui, noi due.
Assorta nel flusso dei miei stessi pensieri capisco che mai prima d'ora lo avevo visto aprirsi così tanto. Vedo il riflesso di quell'abisso nei suoi occhi, conscia del fatto che mai potrei capire affondo tutto ciò che ha passato.
Il respiro del vento, lento e pungente, basta a misurare la tranquillità della notte,senza turbarla, sentirmi stretta al caldo tra le sue braccia mette la linea di confine tra due zone che sembrano due stagioni differenti muoversi all'unisono.
Lo sento, lo percepisco, affonda con violenza nel più profondo del mio essere e ora finalmente lo vedo, concreto, reale. È qui. L’amore è davanti a me.
-Entra!-
-Dove?-
-Come dove? Dalla porta.-
-C‘è un Ufo? No perché se non c‘è ci rimango male…-
-Sbagliato!-
Inarca un sopracciglio guardandomi diffidente.
-Oddio ma non dovevi, due ore di Billie Jean tutte per me?-
-Sophie sei da far controllare, ma da un dottore bravo,la smetti con questa benedetta BJ-
-Se benedetta...è tutto tranne che benedetta.-
-Tadaaan!-
Entriamo finalmente nell’appartamento e con le braccia spalancate mi rivolgo verso di lei che ancora incerta non ha la minima idea di cosa stia succedendo.
-Hai finalmente messo a posto la tua roba?
-No le mie cose non ci sono proprio più.-
-Guarda cara che le mie scarpe non te le presto.-
-Ma no, non ci sono perché me ne vado Sophie, torno a Los Angeles con Michael e…-
-L’appartamento è tutto mio?-
-Si.-
-Aaaaaaaaaaaaaah.-
Inizia a saltellare per tutta la casa, poi si ferma assumendo un’espressione serissima.
-E chi pagherà adesso?-
-E’ già tutto pagato!-
Spalanca gli occhi. Avete presente l’urlo di Munch? Ecco rende molto l’idea di cosa mi trovo davanti in questo momento.
-Tutto?-
Annuisco sorridendo.
-Noooooo ma non dovevi.-
-Ma smettila, era il minimo…-
Tornare a condividere la quotidianità, i piccoli gesti, spartire gioie e sofferenze mi sembra ancora qualcosa di incerto ma incredibilmente naturale.
Lo vedo seduto a terra mentre raccoglie insieme ai bambini gli ultimi pezzi di un puzzle senza importanza, fa tutto con quell’innocenza che sembra quasi sbagliata per un uomo della sua età. I piccoli si attaccano alle sue gambe, corrono sorridenti saltellando con addosso i pigiami pieni di orsetti colorati, li sento ridere e ripetere in continuazione quanto sia grande il loro amore.
“Sono grandi abbastanza per poter vedere e capire un mio spettacolo.” mi ha detto poco fa.
“E io sono ancora abbastanza giovane per poterlo affrontare.”
Da qualche giorno vedo nei suoi occhi una luce nuova, qualcosa di difficile da spiegare a parole. Nel suo sguardo è visibile la magia, la passione che arde incontrastata, vedo in esso tutto ciò che ho cercato di afferrare dall’inizio, tutto ciò che credevo impossibile da cogliere, la sua anima, si è accesa improvvisamente quando un’idea gli è balenata nella mente.
L’uomo le stelle non le desidera, gode solo del loro bagliore, lui invece le tiene in pugno ed è da lì che continuano a brillare.
Una volta quando forse avevo quattordici anni, sognai di un’avventura intrepida, tra le montagne del nord, magari avevo visto un film simile, ma ricordo che in quel sogno incontrai un ragazzo, gli diedi persino un nome e alla fine ci sposavamo vivendo felici e contenti. Non assomigliava per niente a Michael. Era solo un’ombra e oggi quasi mi imbarazza riportarlo alla memoria. Ma Michael invece, adesso è qui, sono io che mi appoggio alla sua spalla sentendo il profumo dei suo capelli. Di cosa gli profumano?
In momenti simili, il tempo pare fermarsi.
-Mike stai bene così…con i ricci.-
-Ti piacciono?-
-Tantissimo.-
Sai Mike forse non te l’ho mai detto, ma io a quella favola io ci ho sempre creduto. Avevo solo paura che ammetterlo avrebbe potuto rovinare tutto, i segreti più belli sono così proprio perché sono segreti. Le cose cambieranno, il tempo modificherà persino noi, ci saranno ancora una miriade di problemi da affrontare, ma lo faremo insieme, l’hai promesso stavolta. So che è una sciocchezza pensare e sperare che vada sempre tutto bene, che non ci saranno più litigate, lacrime, ma sarò lì, quando tornerai su quel palco e sarò lì quando scenderai.
Le nostre favole sono vere, lo sai meglio di me, fammi un pò di spazio tra i tuoi sogni e stasera saremo felici insieme. [G]Per sempre[/G].
Seduti uno accanto all'altro sul divano, con un bicchiere di Sheridan tra le mani che va presto a farsi spazio sul tavolino al nostro fianco, recuperiamo il tempo perduto leggendo i nostri pensieri direttamente dagli occhi senza bisogno di proferire parola. Le lucine intermittenti che decorano l'albero di Natale creano un'atmosfera soffice, quasi solenne,simile a quelle cenette romantiche a lume di candela e il paesaggio innevato fermo nella morsa del freddo che è fuori da questa casa sembra lontano anni luce da qui.
Sento le sue mani scivolare sul mio braccio, con delicatezza, disegnando un percorso che fatico ancora a percepire come reale.
Mi sorride avvicinando le labbra sulla mia guancia e baciandola appena, affonda il respiro tra i miei capelli e mi guarda fisso negli occhi senza riuscire a staccarli dai miei. All’improvviso la finestra si apre, con un colpo di vento tirato troppo forte, il soffio gelido pregno di pioggia e rimpianti mi fa rabbrividire. Michael mi stringe forte a sé, abbracciandomi, cercando di afferrare disperatamente ogni attimo che ci è sfuggito fino a questo istante. Mi volto verso di lui, annegando nel profondo interminabile dei suoi occhi che già mi ricopre prepotente fino alla gola, limitando ogni mio movimento, ogni pensiero diventa ormai ricordo, un’emozione ribelle prova a sopraffarmi ma la nascondo in tempo, distogliendo lo sguardo verso qualcos’altro, forse un punto, forse una luce, forse il nulla.
-Non riesco a credere che sei qui veramente.-
Sussurro mentre accarezzo il suo volto cercando di non farmi sfuggire alcun dettaglio, sperando che rimangano lì per sempre così come sono in questo istante, con quell'espressione piena d'amore che mi sta facendo lentamente sgretolare tra le sue mani.
Mi avvicina sempre più a lui, posso assaporare il suo respiro mentre lo fa, accompagna poi dolcemente la mia testa sulle sue gambe,mentre mi sfiora i capelli. Sdraiata così con il suo corpo a farmi da cuscino presto ogni barlume di infelicità si affievolisce.
-Penso proprio che dovrai farci l'abitudine.-
Sento il suo corpo muoversi a piccoli scatti in una risata soffocata data l'ora in cui si sta svolgendo la nostra conversazione, il nostro idillio che riprende ad esistere come se nulla fosse accaduto. Un’abitudine che vorrei non fisse mai, rinuncerei ad altre dieci, cento, mille abitudini per far si che solo questa rimanga tale in eterno. Il tempo sembra finire e ripartire proprio da qui, con sguardi fugaci ma intensi, attraverso parole che bruciano ancora di rimorsi.
-La prendo come una promessa.-
-Lo è.-
Mi alzo scivolando tra le sue braccia sentendo improvvisamente una fastidiosa sensazione di freddo attraversarmi la pelle quando percepisco di essere lontana ormai da quel contatto.
-Michael scusami un attimo,dovrei fare una cosa...importante.-
Prendo il suo viso tra le mani, lo imprigiono in un inconsistente bacio sulle labbra, schiocca appena, facendo eco alla legna che scricchiola sotto le fiamme ardenti rosso fuoco, vibranti come le emozioni che si accavallano ancora dentro la mia testa. Afferra però l’orlo della mia manica e opponendo resistenza mi riporta sopra di lui, poggio le gambe sul bracciolo del divano e con un movimento non del tutto naturale giro la testa verso di lui che con un bacio più profondo, lento e umido spazza via ogni qualsiasi incertezza. Lo sento esplorare ogni angolo della mia bocca, sento il suo respiro mescolarsi al mio in un dolce nettare che è capace di inebriarmi completamente. Si stacca con estrema lentezza sentendo così le sue labbra staccarsi dalle mie fino all’ultimo millimetro rendendomi malleabile sotto ogni suo gesto. Disegna il mio profilo con il dorso della mano sorridendo impercettibilmente per poi aprirla ed accarezzarmi il volto sistemando i capelli dietro l‘orecchio. Mi alzo a fatica, sospirando nel vano tentativo di riacquistare lucidità, non mi volto né dico niente. Busso alla porta della camera di Sophie. Dorme e non risponde a nessun tipo di rumore. Mi avvicino e quasi mi dispiace di doverla svegliare, ma non resisto, sarà lo Sheridan, sarà il Natale…sarà questa felicità.
-Sophie.-
Silenzio.
-Sophieeeeeeeeeeee e svegliati.-
La strattono per la maglia del pigiama e si sveglia mugugnando parole senza senso. Una lingua inventata, arcana forse, che dovrebbe corrispondere a quella dei sogni interrotti,quando sei quasi sveglio ma resti con la mente ancora in quel mondo.
-Niki, ma che vuoi? stavo sognando David Beckham.-
-Ti volevo ringraziare.-
-Ah è arrivato mister bacino...Finalmente!-
-Grazie Sophie io non so cosa dire, non mi sembra vero...-
-Niki ti ho visto soffrire troppe volte per gli uomini, per una volta che ne trovi uno come si deve non puoi lasciarlo in Bahrein.-
Ci lanciamo un’occhiata complice, capace di racchiudere in silenzio tutto ciò che abbiamo da dirci. Comprensione, affetto, gratitudine. Non so se vi è mai capitato, ma a volte qualcuno mette davvero il cuore in ciò che fa e lo fa senza aspettarsi nulla in cambio. Un po’ come Neverland era per Michael. Un sogno diventato realtà capace di poter riempire di gioia non solo il suo cuore, ma anche quello di migliaia di bambini e l’unica cosa che bastava era un sorriso. Ricevere un sorriso a fine giornata da uno di quei bambini era un piccolo tassello che andava a riempire l’enorme vuoto della sofferenza. Ma purtroppo come in ogni favola che si rispetti c’è il lupo cattivo, il capitan uncino…l’importante però, posso dirvelo per esperienza personale ormai, è tornare ,prima o poi, a sorridere.
-Buona notte Sophie.-
-Buonanotte a voi!-
Chiudo la porta dietro le mie spalle mentre un sorriso mi sfiora il volto in maniera del tutto involontaria. Lo sento parlare al telefono a bassa voce e riattaccare nell'istante in cui mi affaccio di nuovo in quella stanza. E' in piedi vicino al camino, la luce del fuoco gli dona un meraviglioso colorito ambrato che riflette sul lucido dei suoi capelli lisci, neri come la cenere che a poco a poco viene a crearsi da quegli stessi ciottoli di legno. I jeans scuri gli cadono morbidamente sulle gambe evidenziando gli stivali neri di pelle che accompagnano ogni suo movimento rendendolo estremamente elegante, una giacca con delle borchie dorate è invece aperta per metà e lascia intravedere una piccola porzione del suo petto facendo si che le cose si complichino. Sarebbe il caso di dare la colpa a qualche brindisi di troppo forse, ma sarebbe solo pura e semplice ipocrisia, due anni lontani sono pur sempre due anni. Se poi si volta verso di me con quello sguardo è anche peggio, butta benzina sul fuoco dovrebbe saperlo, non è cambiato per niente, oggi come quel giorno sul set mi sembra di conoscerlo da una vita.
-Era Grace.-
dice facendo cenno verso il cellulare prima di infilarlo nella tasca interna della giacca.
-Le chiedevo dei bambini, pare vada tutto bene.-
Stavolta sospira lasciando scivolare via la tensione che immagino abbia accumulato durante tutto il viaggio. Mi sorge spontanea una domanda.
-Ma dove sono? cioè non a Neverland e neanche in Bahrein presumo...-
-No infatti sono in una nuova casa di Los Angeles, sono cresciuti in quella città, non volevo sconvolgergli troppo la vita.-
-Certo. Sai Mike…a proposito di Grace,mi ha raccontato un pò di cose.-
-Ti ha raccontato un pò di cose...tipo?-
-Mi ha detto che durante il processo sei stato spesso male.-
Annuisce, forse incuriosito. Vedo i suoi occhi stanchi fissarmi attentamente e poi voltarsi verso il camino. Era meglio che fossi rimasta in silenzio, magari è ancora troppo presto per affrontare questo argomento.
-Si è vero.-
Due anni…sono passati due anni, credo di aver aspettato abbastanza.
-Mike vedi...io.-
Mi ferma prima che possa continuare a parlare.
-Nicole non c'è bisogno di fare giri di parole,ho capito perfettamente e di questo davvero non devi più preoccuparti, fa tutto parte del passato, quella roba se ne è andata dalla mia vita appena ho sentito pronunciare "not guilty" in quell'aula.-
-Perchè non me l'hai mai detto?-
"Perdonami non avevo scelta.
Stronzate, una scelta c'è sempre.
Perdonami allora sono un coglione."
Questa sarebbe stata la risposta più facile, la più indolore, forse la più scontata e invece no.
-Non volevo farti preoccupare.-
-Mi sono sentita messa in disparte...-
-Mi dispiace Nicole vorrei poter tornare indietro, ma ho paura che in quella stessa situazione reagirei esattamente allo stesso modo.-
Già, anch'io.
-E' solo che all'inizio ti senti così dannatamente bene, tutti i problemi, tutta la sofferenza svaniscono con un sorso d'acqua. Il problema è dopo, non basta mai e ti illudi di poter star bene come quella prima volta…-
Appoggia una mano sul tavolo e continua.
-Volevo solo svegliarmi da quell'incubo, far smettere tutte quelle voci di parlare e invece ho solo perso me stesso e anche te…sai cosa mi ha dato la forza per uscirne con le mie mani?-
-Cosa?-
-Immaginavo il tuo sguardo pieno di disprezzo, sentivo la tua voce spezzata dall'emozione quell'ultima notte in cui ci siamo sentiti, ho capito che nonostante tutto quel mondo non faceva parte di me, ho avuto paura che oltre a te sarebbe riuscito a portarmi via anche i miei figli e tutte le persone che amo.-
Il mio cuore qualche volta si ammala, è la malattia dei ricordi, della solitudine e si cura semplicemente vivendo. A volte immagino come sarebbe stato se lo avessi conosciuto in un altro momento della mia vita, forse sarebbe andata diversamente chissà, ma quello che mi da speranza è che ciò che è diverso non è necessariamente migliore, in fondo è qui, siamo ancora qui, noi due.
Assorta nel flusso dei miei stessi pensieri capisco che mai prima d'ora lo avevo visto aprirsi così tanto. Vedo il riflesso di quell'abisso nei suoi occhi, conscia del fatto che mai potrei capire affondo tutto ciò che ha passato.
Il respiro del vento, lento e pungente, basta a misurare la tranquillità della notte,senza turbarla, sentirmi stretta al caldo tra le sue braccia mette la linea di confine tra due zone che sembrano due stagioni differenti muoversi all'unisono.
Lo sento, lo percepisco, affonda con violenza nel più profondo del mio essere e ora finalmente lo vedo, concreto, reale. È qui. L’amore è davanti a me.
-Entra!-
-Dove?-
-Come dove? Dalla porta.-
-C‘è un Ufo? No perché se non c‘è ci rimango male…-
-Sbagliato!-
Inarca un sopracciglio guardandomi diffidente.
-Oddio ma non dovevi, due ore di Billie Jean tutte per me?-
-Sophie sei da far controllare, ma da un dottore bravo,la smetti con questa benedetta BJ-
-Se benedetta...è tutto tranne che benedetta.-
-Tadaaan!-
Entriamo finalmente nell’appartamento e con le braccia spalancate mi rivolgo verso di lei che ancora incerta non ha la minima idea di cosa stia succedendo.
-Hai finalmente messo a posto la tua roba?
-No le mie cose non ci sono proprio più.-
-Guarda cara che le mie scarpe non te le presto.-
-Ma no, non ci sono perché me ne vado Sophie, torno a Los Angeles con Michael e…-
-L’appartamento è tutto mio?-
-Si.-
-Aaaaaaaaaaaaaah.-
Inizia a saltellare per tutta la casa, poi si ferma assumendo un’espressione serissima.
-E chi pagherà adesso?-
-E’ già tutto pagato!-
Spalanca gli occhi. Avete presente l’urlo di Munch? Ecco rende molto l’idea di cosa mi trovo davanti in questo momento.
-Tutto?-
Annuisco sorridendo.
-Noooooo ma non dovevi.-
-Ma smettila, era il minimo…-
Tornare a condividere la quotidianità, i piccoli gesti, spartire gioie e sofferenze mi sembra ancora qualcosa di incerto ma incredibilmente naturale.
Lo vedo seduto a terra mentre raccoglie insieme ai bambini gli ultimi pezzi di un puzzle senza importanza, fa tutto con quell’innocenza che sembra quasi sbagliata per un uomo della sua età. I piccoli si attaccano alle sue gambe, corrono sorridenti saltellando con addosso i pigiami pieni di orsetti colorati, li sento ridere e ripetere in continuazione quanto sia grande il loro amore.
“Sono grandi abbastanza per poter vedere e capire un mio spettacolo.” mi ha detto poco fa.
“E io sono ancora abbastanza giovane per poterlo affrontare.”
Da qualche giorno vedo nei suoi occhi una luce nuova, qualcosa di difficile da spiegare a parole. Nel suo sguardo è visibile la magia, la passione che arde incontrastata, vedo in esso tutto ciò che ho cercato di afferrare dall’inizio, tutto ciò che credevo impossibile da cogliere, la sua anima, si è accesa improvvisamente quando un’idea gli è balenata nella mente.
L’uomo le stelle non le desidera, gode solo del loro bagliore, lui invece le tiene in pugno ed è da lì che continuano a brillare.
Una volta quando forse avevo quattordici anni, sognai di un’avventura intrepida, tra le montagne del nord, magari avevo visto un film simile, ma ricordo che in quel sogno incontrai un ragazzo, gli diedi persino un nome e alla fine ci sposavamo vivendo felici e contenti. Non assomigliava per niente a Michael. Era solo un’ombra e oggi quasi mi imbarazza riportarlo alla memoria. Ma Michael invece, adesso è qui, sono io che mi appoggio alla sua spalla sentendo il profumo dei suo capelli. Di cosa gli profumano?
In momenti simili, il tempo pare fermarsi.
-Mike stai bene così…con i ricci.-
-Ti piacciono?-
-Tantissimo.-
Sai Mike forse non te l’ho mai detto, ma io a quella favola io ci ho sempre creduto. Avevo solo paura che ammetterlo avrebbe potuto rovinare tutto, i segreti più belli sono così proprio perché sono segreti. Le cose cambieranno, il tempo modificherà persino noi, ci saranno ancora una miriade di problemi da affrontare, ma lo faremo insieme, l’hai promesso stavolta. So che è una sciocchezza pensare e sperare che vada sempre tutto bene, che non ci saranno più litigate, lacrime, ma sarò lì, quando tornerai su quel palco e sarò lì quando scenderai.
Le nostre favole sono vere, lo sai meglio di me, fammi un pò di spazio tra i tuoi sogni e stasera saremo felici insieme. [G]Per sempre[/G].
marina56- Moderator
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