Il giorno in cui ho chimato Paris salsiccia
Michael Jackson Who Is It :: Michael Life: tra palco e realtà / Michael's life:between stage and reality :: Incontri con Michael/Meet whit Michael
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Il giorno in cui ho chimato Paris salsiccia
szwaby82 Inviato: 04 Mag 2011 12:42 am
Il personale di Michael Jackson aveva preso contatto con il mio staff a Londra per chiedere se fossi stato disponibile a fotografarlo. In quel periodo ero reduce dal servizio fotografico del matrimonio del principe Carlo e Camilla Parker-Bowles e questo aveva cambiato la mia clientela, permettendomi di ricevere incarichi che prima erano fuori dalla mia portata.
Il personale di Jackson voleva che accorressi al Dorchester Hotel, in Park Lane, al più presto - in quanto Michael era appena atterrato a Heathrow, e la sessione fotografica doveva svolgersi quel pomeriggio, mi riferirono. Poche ore dopo ero al Dorchester, con il mio sogno di realizzare un ritratto introspettivo, bello e personale, ma il programma era cambiato.
Jackson aveva deciso che i suoi figli dovevano vedere la statua di cera al Madame Tussauds, e proprio lì sarebbe stata scattata la "fotografia". Il Museo Madame Tussauds era stato chiuso al pubblico, e mi recai in pieno Marylebone, in attesa che il Re del Pop arrivasse con i suoi figli.
Poco prima dell'arrivo di Michael, le persone che coordinavano lo staff del cantante, cominciarono a informarmi su ciò che potevo o non potevo fare: i bambini non potevano essere fotografati, e non dovevo parlare con loro. In realtà, forse non sarei nemmeno dovuto restare nella stessa stanza con i bambini. O forse potevo stare nella stessa stanza senza però guardarli. Dissi di sì, annuendo con la testa.
Lui arrivò silenzioso, timido, con gli occhiali da sole, ma inconfondibilmente era Michael Jackson.
Ognuno dei bambini, sopra la testa, indossava una specie di sacco, simile alle reticelle nelle quali sono raccolti i mandarini o i limoni al supermercato. Pensai che il bambino che indossava la rete gialla fosse Prince Michael, mentre Paris quella con la rete verde scuro. Dopo poco passò di nuovo il bambino indossandone una versione rossa. Rimasi sbalordito.
Il primo problema consisteva nell'identificare la statua di cera di Michael Jackson, anche, se, onestamente i due Michael non si somigliavano molto.
Lo inquadrai avvicinandomi il più possibile, e tra le varie riprese, mi conquistarono immediatamente i suoi modi gentili, la correttezza, la voce inconfondibile e il suo fascino. Era una persona autentica, un uomo e un padre preoccupato, dolce, interessato e scandalosamente normale - e in piedi vicino a quella strana cera e magnifica effige, quello era il vero Michael Jackson.
Una volta terminata la sessione, mi sentii sollevato e abbassai la macchina fotografica. Clunk.
"Ahi!"
Da dove è uscito questo lamento? Guardai verso il basso e osservai una piccola persona, con la testa coperta che si stava strofinando la fronte.
Oh mio Dio - Avevo appena colpito la testa di Paris Jackson con la mia macchina fotografica.
"Ooops ! Spiacente salsiccia, stai bene?" Intravidi l'espressione del suo volto al di sotto del tessuto.
"Sto bene, mi hai urtato con la tua fotocamera."
"Mi dispiace molto. Ti senti bene, salsiccia?"
Un'norme guardia di sicurezza con la testa rasata, occhi freddi e un filo penzolone dal suo orecchio mi afferrò saldamente il braccio dicendo: "Cosa le hai detto?" Io balbettai: "Che cosa?" "Dissi: 'Che cosa hai detto?'"
Lui ripeté: "Che cosa le hai detto?"
"Le ho chiesto 'Se, stai bene salsiccia?'"
"L'hai chiamata salsiccia?"
"Hmm .... sì, è così?"
Sottomise il suo auricolare all'orecchio e disse al microfono nascosto nella manica:
" Sì, l'ha chiamata salsiccia - Ripeto, è stata chiamata salsiccia."
Improvvisamente si presentarono tre di quei tipi e mi circondarono, premendo i suoi intercomunicanti nelle sue orecchie, sussurrando nelle loro maniche. Ero esasperato.
"Jo, io ho quattro figli. Si tratta di una parola affettuosa. Tutti vengono chiamati salsiccia a un certo momento ."
Quindi, si dissolsero nell'ombra e scomparvero rapidamente così com'erano apparsi. Mi spostai in avanti e mi unii alla famiglia. Jackson mi sorrise, e di nuovo, mi conquistò. Ero soddisfatto perché avevo scattato la foto, ero lieto che la bambina stesse bene ed ero felice perchè Jackson mi sorrise. Inviai un messaggio sms a mia moglie: "Indovina chi è il mio nuovo migliore amico?"
Una folla si era accalcata alle porte di Madame Tussauds, e Jackson chiese se la folla, era pronta. Pronta per che cosa, mi domandai. Un autista si avvicinò con l'auto alla porta, per quanto consentisse il marciapiede. Tra l'edificio e l'automobile, le persone gridavano, cantavano, urlavano il nome di "Michael" e lui, era calmo, in attesa che tutto si normalizzasse, poi fece un cenno che andava bene, che i bambini potevano uscire uno per volta.
Individualmente furono scortati attraverso il breve tratto di marciapiede dalla porta al monovolume, con le urla assordanti sempre più forti al passaggio di ogni bambino. Mi chiedo che cosa questi poveri bambini potessero provare. Una massa di matti, urlava "Dov’è? Dov'è Michael? Noi vogliamo, Michael". I bambini, con il volto coperto da una "rete", si aggrapparono ai pantaloni di Michael.
Il personale di Michael Jackson aveva preso contatto con il mio staff a Londra per chiedere se fossi stato disponibile a fotografarlo. In quel periodo ero reduce dal servizio fotografico del matrimonio del principe Carlo e Camilla Parker-Bowles e questo aveva cambiato la mia clientela, permettendomi di ricevere incarichi che prima erano fuori dalla mia portata.
Il personale di Jackson voleva che accorressi al Dorchester Hotel, in Park Lane, al più presto - in quanto Michael era appena atterrato a Heathrow, e la sessione fotografica doveva svolgersi quel pomeriggio, mi riferirono. Poche ore dopo ero al Dorchester, con il mio sogno di realizzare un ritratto introspettivo, bello e personale, ma il programma era cambiato.
Jackson aveva deciso che i suoi figli dovevano vedere la statua di cera al Madame Tussauds, e proprio lì sarebbe stata scattata la "fotografia". Il Museo Madame Tussauds era stato chiuso al pubblico, e mi recai in pieno Marylebone, in attesa che il Re del Pop arrivasse con i suoi figli.
Poco prima dell'arrivo di Michael, le persone che coordinavano lo staff del cantante, cominciarono a informarmi su ciò che potevo o non potevo fare: i bambini non potevano essere fotografati, e non dovevo parlare con loro. In realtà, forse non sarei nemmeno dovuto restare nella stessa stanza con i bambini. O forse potevo stare nella stessa stanza senza però guardarli. Dissi di sì, annuendo con la testa.
Lui arrivò silenzioso, timido, con gli occhiali da sole, ma inconfondibilmente era Michael Jackson.
Ognuno dei bambini, sopra la testa, indossava una specie di sacco, simile alle reticelle nelle quali sono raccolti i mandarini o i limoni al supermercato. Pensai che il bambino che indossava la rete gialla fosse Prince Michael, mentre Paris quella con la rete verde scuro. Dopo poco passò di nuovo il bambino indossandone una versione rossa. Rimasi sbalordito.
Il primo problema consisteva nell'identificare la statua di cera di Michael Jackson, anche, se, onestamente i due Michael non si somigliavano molto.
Lo inquadrai avvicinandomi il più possibile, e tra le varie riprese, mi conquistarono immediatamente i suoi modi gentili, la correttezza, la voce inconfondibile e il suo fascino. Era una persona autentica, un uomo e un padre preoccupato, dolce, interessato e scandalosamente normale - e in piedi vicino a quella strana cera e magnifica effige, quello era il vero Michael Jackson.
Una volta terminata la sessione, mi sentii sollevato e abbassai la macchina fotografica. Clunk.
"Ahi!"
Da dove è uscito questo lamento? Guardai verso il basso e osservai una piccola persona, con la testa coperta che si stava strofinando la fronte.
Oh mio Dio - Avevo appena colpito la testa di Paris Jackson con la mia macchina fotografica.
"Ooops ! Spiacente salsiccia, stai bene?" Intravidi l'espressione del suo volto al di sotto del tessuto.
"Sto bene, mi hai urtato con la tua fotocamera."
"Mi dispiace molto. Ti senti bene, salsiccia?"
Un'norme guardia di sicurezza con la testa rasata, occhi freddi e un filo penzolone dal suo orecchio mi afferrò saldamente il braccio dicendo: "Cosa le hai detto?" Io balbettai: "Che cosa?" "Dissi: 'Che cosa hai detto?'"
Lui ripeté: "Che cosa le hai detto?"
"Le ho chiesto 'Se, stai bene salsiccia?'"
"L'hai chiamata salsiccia?"
"Hmm .... sì, è così?"
Sottomise il suo auricolare all'orecchio e disse al microfono nascosto nella manica:
" Sì, l'ha chiamata salsiccia - Ripeto, è stata chiamata salsiccia."
Improvvisamente si presentarono tre di quei tipi e mi circondarono, premendo i suoi intercomunicanti nelle sue orecchie, sussurrando nelle loro maniche. Ero esasperato.
"Jo, io ho quattro figli. Si tratta di una parola affettuosa. Tutti vengono chiamati salsiccia a un certo momento ."
Quindi, si dissolsero nell'ombra e scomparvero rapidamente così com'erano apparsi. Mi spostai in avanti e mi unii alla famiglia. Jackson mi sorrise, e di nuovo, mi conquistò. Ero soddisfatto perché avevo scattato la foto, ero lieto che la bambina stesse bene ed ero felice perchè Jackson mi sorrise. Inviai un messaggio sms a mia moglie: "Indovina chi è il mio nuovo migliore amico?"
Una folla si era accalcata alle porte di Madame Tussauds, e Jackson chiese se la folla, era pronta. Pronta per che cosa, mi domandai. Un autista si avvicinò con l'auto alla porta, per quanto consentisse il marciapiede. Tra l'edificio e l'automobile, le persone gridavano, cantavano, urlavano il nome di "Michael" e lui, era calmo, in attesa che tutto si normalizzasse, poi fece un cenno che andava bene, che i bambini potevano uscire uno per volta.
Individualmente furono scortati attraverso il breve tratto di marciapiede dalla porta al monovolume, con le urla assordanti sempre più forti al passaggio di ogni bambino. Mi chiedo che cosa questi poveri bambini potessero provare. Una massa di matti, urlava "Dov’è? Dov'è Michael? Noi vogliamo, Michael". I bambini, con il volto coperto da una "rete", si aggrapparono ai pantaloni di Michael.
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