thriller e co.
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Qui si parla dei misteri del mondo come : ufo , lupi mannari , vampiri , streghe e affini.
4evermichael- Moderator
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Re: thriller e co.
Approssimativa ricostruzione del castello di Dracula eseguita seguendo le tracce di documenti dell'epoca.
In un cantone dell’Ungheria, nella prima metà del ‘700, un contadino di nome Arnold finì stritolato sotto un carro di fieno. Un mese dopo, quattro paesani morirono fulmineamente della morte orribile di coloro che, secondo la tradizione dei luoghi, vengono dissanguati dai vampiri. Scattò l’allarme, vennero riesumati alcuni cadaveri di recente sepolti. Fra questi, quello di Arnold che recava inconfondibili le note caratteristiche del vampirismo. Il corpo era fresco, integro, non recava traccia di decomposizione; i capelli, le unghie, la barba erano cresciute, le vene piene di sangue fluente che inondava il lenzuolo in cui era stato avvolto alla sepoltura. Un magistrato, al cospetto del quale l’esumazione era avvenuta, ordinò che venisse immediatamente piantato un paletto appuntito nel cuore di Arnold: dal corpo partì un grido straziante, come fosse stato in vita. Poi fu decapitato e dato alle fiamme: così, del vampiro, non si sentì più parlare…
Questa e decine di altre analoghe cronache si possono leggere nell’opera che l’abate Dom Augustin Calmet pubblicò nel 1749, dal titolo «Dissertazioni sulle apparizioni degli spiriti e dei vampiri», in cui sono raccolti numerosi racconti, molti dei quali inediti, di apparizioni e incursioni vampiresche in paesi dell’Europa centro-orientale. Questa macabra figura fu introdotta nella cultura dotta dell’occidente verso il 1600, da alcune relazioni di viaggio in Grecia e nei Balcani: ma sarà nel ‘700, secolo diviso fra razionalismo e mistero, illuminismo e tradizioni occulte che il vampiro diventerà un personaggio, o un incubo se vogliamo, per gli europei occidentali. Voltaire osservò che fra il 1730 e 1735, non si fece altro che vedere vampiri. Non si trattava, però, solo di una moda del secolo, perché il vampiro è molto più antico.
Ne parlano documenti dell’antica Cina, di babilonia, Caldea, Assiria, Egitto. In una tavoletta di scongiuri proveniente dalla biblioteca di Ninive, la tredicesima formula insegna a combattere «il fantasma, lo spettro, il vampiro». La credenza che il corpo di un morto possa desiderare il sangue è presente anche fra i greci: in «Ecuba», Euripide rappresenta Achille nel suo sepolcro, placato dal sacrificio di una vergine di cui beve il sangue. E un vampiro, secondo le cronache dell’epoca, fu esorcizzato dal grande mago Apollonio di Tiana, contemporaneo di Cristo.
una tradizione, comunque, tipica dell’oriente europeo, dal quale proviene lo stesso nome: vampyr in magiaro, upiery in polacco, upiry in russo. «Si dettero questi nomi – scrive Collin de Plancy nel suo celeberrimo «Dizionario infernale» - ad uomini morti e seppelliti da parecchi anni o almeno da parecchi giorni, i quali si facevano vedere in corpo ed anima, parlavano, camminavano, succhiavano il sangue dei lor parenti, li sfinivano ed infine lor cagionavano la morte. Non si troncava il corso delle loro visite e delle loro infestazioni che dissotterrando i cadaveri, impalandoli, tagliando loro la testa e bruciandoli… i giornali di Francia e dell’Olanda parlarono dal 1693 al 1964 di vampiri che si mostrarono in Polonia e soprattutto in Russia». A dimostrazione di come il fenomeno fosse preso tremendamente sul serio, dal Medioevo in poi in questi paesi, non stanno soltanto l’imponente numero di cronache e tradizioni, ma anche le complesse pratiche magiche e rituali, nonché i provvedimenti giuridici volti a difendere la comunità dall’attività del vampiro.
Non è un caso quindi che l’irlandese Bram Stoker, padre del più celebre vampiro della cultura moderna, avesse ambientato in Romania e segnatamente sulle montagne della Transilvania il romanzo «Dracula» (1897) che originò una rinascita del genere vampiresco, che dura ai giorni nostri grazie anche a capolavori cinematografici come «Nosferatu» di Mornau del 1922 e «Vampyr» di Dreyer del 1932
Dracula nasce in Transilvania perché ancor oggi i contadini di quelle regioni vivono nel terrore di vampiri e licantropi e formano croci con pezzi di aglio per proteggersi da sgradevoli visite notturne. Pochi anni fa, nel 1968, una zingara rumena raccontò al professore del Boston College, Raymond Mc Nally, di aver trafitto con un paletto il corpo del padre nella bara perché convinta che fosse un vampiro.
Quella di Stoker non fu solo fantasia, perché un conte Dracula in quei luoghi è esistito veramente. Lo hanno ritrovato il già citato Mc Nally e Radu Florescu, un altro docente del Boston College di origine rumena. La descrizione fatta da Stoker del castello è perfetta, dicono i due studiosi; e in quel castello, a riprova della sua reale esistenza, affermano di aver trovato anche il ritratto del terribile Dracula. Di lui, però, i contadini transilvani non parlano come di un vampiro. «Furono confusi quando chiedemmo loro di Dracula come vampiro – riferisce Florescu – sebbene lo conoscessero come un crudele dominatore».
Dracula, dunque, non avrebbe mai morso un collo, ma l’esistenza di un signore sanguinario in una terra dove è così radicata la paura e la tradizione del vampiro ha fornito a Stoker lo spunto per il romanzo.
Il Dracula storico nacque nel 1431 con il nome di Vlad, figlio di Vlad Drakul principe di Valacchia: di qui il patronimico Dracula, nome intriso di significati occulti poiché «drakul» in rumeno significa demoni… E demoniaca fu la sua vita perché dominò la Valacchia dal 1456 al 1462 con incredibile efferatezza, prima di venire ucciso nel 1476 dai turchi. Nella zona si dice che la sua maledizione è ancora viva e a farne le spese furono gli stessi ricercatori guidati dai professori di Boston. Lo zio di Radu Florescu, durante l’ispezione del castello, cadde in un burrone e si ruppe un’anca. Tre studiosi rumeni impegnati nelle ricerche morirono misteriosamente. Per i contadini transilvani la spiegazione c’è, anche se ripugna alla ragione: erano andati a frugare fra i segreti di Vlad l’Impalatore, il Dracula maledetto, che non perdona anche dopo cinque secoli.
Ma chi era e cosa fece per meritarsi tanta abominevole fama?
Si dice che portò le torture quasi a raffinatezze artistiche. Fra tante mostruosità, preferiva il supplizio del «palo», da cui l’appellativo di «Tepes», «impalatore» (è col paletto appuntito che si uccidono i vampiri e forse in questa predilezione per i pali sta una delle ragioni che associarono Dracula alla tradizione vampiresca).
Secondo le informazioni raccolte da Mc Nally e Florescu, impalava la vittima di persona, di solito lentamente, interrompendo di tanto in tanto il supplizio, per poterla ingiuriare in visite seguenti. Ma amava anche le impalature spettacolari. «Una volta – racconta Mc Nally – fece una foresta di 20 mila turchi impalati. In un’altra occasione la sua efferatezza si manifestò verso i sudditi: riunì i malati e i mendicanti in un palazzo, vi diede fuoco e li lasciò bruciare vivi, per far sì che il suo popolo fosse sano e benestante».
Gli studiosi cercano le cause di tanta aberrazione, che si estrinsecava talvolta in atti maniacali come quando – secondo la relazione di Florescu – fendeva gli ombelichi delle sue amanti se restavano incinte. La spiegazione sarebbe in un episodio della sua infanzia: a 13 anni era stato catturato e tenuto prigioniero dai turchi e fu vittima di un’aggressione sessuale da parte del Sultano. Di qui sarebbe partita la sua depravazione: in carcere Dracula ragazzino chiedeva ai secondini di portargli topi e uccelli per impalarli e strappar loro le piume. Secondo gli studiosi di Boston, dopo l’esperienza col sultano sarebbe diventato omosessuale e ciò spiegherebbe il maltrattamento delle amanti e l’uso dei pali, probabilmente come simbolo di potenza.
Dracula morì in combattimento contro i turchi nei pressi di Bucarest. Prima di essere seppellito a Snagov, proprio fuori dalla capitale, il cadavere – che continuava a incutere paura – venne decapitato.
Con questa sepoltura finisce la vicenda terrena del conte Vlad l’Impalatore, figlio di Drakul, detto Dracula. E qui comincia la leggenda, la letteratura che lo vuole principe dei vampiri, celebrato da libri, film e fumetti. Non era un vampiro, perché forse di vampiri non ce ne sono mai stati, a dispetto delle cronache popolari e del buon abate Dom Calmet, ma certamente fu un personaggio sinistro, la cui fama raccapricciante è dovuta al sangue che ha versato se non a quello che ha succhiato: il Dracula «storico», insomma, è altrettanto «nero» di quello letterario.
Si dice che il mito vampiresco crebbe intorno a lui a causa dei pipistrelli che infestavano la zona dove abitava. La tradizione rumena parla di pipistrelli, probabilmente idrofobi, che volavano dal castello, attaccando e mordendo chiunque si avvicinasse. È stato facile, quindi per la fantasia popolare, associare un così malefico signore alle caratteristiche dei ripugnanti volatili a forma di topo che ne costituivano la corte minacciosa in agguato sui torrioni del maniero.
Sanguinario e impalatore attorniato da volatili vampiri: è la spiegazione del mito romanzesco. C’è una notizia, però, che ridà qualche speranza a chi si rifiuti di accettare la realtà storica di Dracula come semplice, sia pur efferato signore transilvano e non come essere che sorgeva dalle tombe per succhiare il sangue dei vivi.
Quando, nel 1931 a Snagov, vicino a Bucarest, fu aperta la cripta in cui era stato sepolto Vlad Tepes cinque secoli prima, la tomba fu trovata vuota: il conte Dracula non c’era più. I ricercatori di Boston hanno dato una spiegazione: l’empia fama di quel cadavere avrebbe indotto alcuni monaci, timorosi che i resti potessero dissacrare il terreno di sepoltura, a traslare segretamente la salma altrove. È la spiegazione forse più logica, ma non è certa né documentata, per cui chi ama pensare che Dracula sia uscito dalla tomba, con mezzi propri, per andare in giro di notte a succhiare sangue dai colli è sempre nel suo diritto. Le ipotesi sono ipotesi: i fatti dicono che il Conte Dracula, nella sua tomba, non c’era più.
Resta da chiarire perché il mito del vampiro, così vivo nelle terre insanguinate da Dracula, si sia trasmesso intatto dalla tavoletta di Ninive a Dom Calmet, alla cultura moderna. È un mito che nasce da un bisogno ancestrale dell’uomo: quello di continuare ad esistere al di là della morte, di perdurare nel tempo, di essere immortale.
Così un mondo contadino emarginato, lontano dai dogmi religiosi codificati, senza una precisa nozione del trascendente ha creato la figura dell’essere che si ribella alla morte e trova il modo di sopravvivere attraverso un atto materiale, l’assimilazione di linfa vitale, di sangue che ridà una sorta di vitalità all’etere cadaverico. È una forma rozza, terrena, di fede nella rinascita, presente in tutte le società primitive e che, in alcune, assume l’incarnazione del vampiro. Una fede confinata nel ghetto del male, perché le classi più evolute avevano più sofisticate forme di sopravvivenza da proporre alla massa, in paradisi angelici ed eterei nirvana. Il vampiro dei contadini resta una creatura di ordine differente, di classe inferiore rispetto al fantasma dei castelli aristocratici e perciò la cultura evoluta lo detesta, lo condanna come simbolo delle forze del male che si agitano, in una specie di vita, quando muore la luce del sole.
Il morto dissanguato dai canini del vampiro diviene vampiro a sua volta: egli trasmette agli altri, con il suo morso malefico, il beneficio dell’immortalità. I contadini che agghindano di collane d’aglio le porte di casa, i montanari che tramandano agghiaccianti racconti nell’Europa orientale, inconsapevolmente amano questa loro sanguinaria creatura perché, se esistesse, sarebbe la prova palpabile della loro immortalità, la prova che si può vincere la morte: una prova più vicina del confuso “al di là” spiegato dai dotti.
La prova che si può diventare immortali, com’era stato per il contadino ungherese Arnold, vampiro da un mese, prima che un magistrato crudele, rappresentante del potere costituito, non avesse fatto distruggere con un paletto appuntito la sopravvivenza larvale che aveva raggiunto.
In un cantone dell’Ungheria, nella prima metà del ‘700, un contadino di nome Arnold finì stritolato sotto un carro di fieno. Un mese dopo, quattro paesani morirono fulmineamente della morte orribile di coloro che, secondo la tradizione dei luoghi, vengono dissanguati dai vampiri. Scattò l’allarme, vennero riesumati alcuni cadaveri di recente sepolti. Fra questi, quello di Arnold che recava inconfondibili le note caratteristiche del vampirismo. Il corpo era fresco, integro, non recava traccia di decomposizione; i capelli, le unghie, la barba erano cresciute, le vene piene di sangue fluente che inondava il lenzuolo in cui era stato avvolto alla sepoltura. Un magistrato, al cospetto del quale l’esumazione era avvenuta, ordinò che venisse immediatamente piantato un paletto appuntito nel cuore di Arnold: dal corpo partì un grido straziante, come fosse stato in vita. Poi fu decapitato e dato alle fiamme: così, del vampiro, non si sentì più parlare…
Questa e decine di altre analoghe cronache si possono leggere nell’opera che l’abate Dom Augustin Calmet pubblicò nel 1749, dal titolo «Dissertazioni sulle apparizioni degli spiriti e dei vampiri», in cui sono raccolti numerosi racconti, molti dei quali inediti, di apparizioni e incursioni vampiresche in paesi dell’Europa centro-orientale. Questa macabra figura fu introdotta nella cultura dotta dell’occidente verso il 1600, da alcune relazioni di viaggio in Grecia e nei Balcani: ma sarà nel ‘700, secolo diviso fra razionalismo e mistero, illuminismo e tradizioni occulte che il vampiro diventerà un personaggio, o un incubo se vogliamo, per gli europei occidentali. Voltaire osservò che fra il 1730 e 1735, non si fece altro che vedere vampiri. Non si trattava, però, solo di una moda del secolo, perché il vampiro è molto più antico.
Ne parlano documenti dell’antica Cina, di babilonia, Caldea, Assiria, Egitto. In una tavoletta di scongiuri proveniente dalla biblioteca di Ninive, la tredicesima formula insegna a combattere «il fantasma, lo spettro, il vampiro». La credenza che il corpo di un morto possa desiderare il sangue è presente anche fra i greci: in «Ecuba», Euripide rappresenta Achille nel suo sepolcro, placato dal sacrificio di una vergine di cui beve il sangue. E un vampiro, secondo le cronache dell’epoca, fu esorcizzato dal grande mago Apollonio di Tiana, contemporaneo di Cristo.
una tradizione, comunque, tipica dell’oriente europeo, dal quale proviene lo stesso nome: vampyr in magiaro, upiery in polacco, upiry in russo. «Si dettero questi nomi – scrive Collin de Plancy nel suo celeberrimo «Dizionario infernale» - ad uomini morti e seppelliti da parecchi anni o almeno da parecchi giorni, i quali si facevano vedere in corpo ed anima, parlavano, camminavano, succhiavano il sangue dei lor parenti, li sfinivano ed infine lor cagionavano la morte. Non si troncava il corso delle loro visite e delle loro infestazioni che dissotterrando i cadaveri, impalandoli, tagliando loro la testa e bruciandoli… i giornali di Francia e dell’Olanda parlarono dal 1693 al 1964 di vampiri che si mostrarono in Polonia e soprattutto in Russia». A dimostrazione di come il fenomeno fosse preso tremendamente sul serio, dal Medioevo in poi in questi paesi, non stanno soltanto l’imponente numero di cronache e tradizioni, ma anche le complesse pratiche magiche e rituali, nonché i provvedimenti giuridici volti a difendere la comunità dall’attività del vampiro.
Non è un caso quindi che l’irlandese Bram Stoker, padre del più celebre vampiro della cultura moderna, avesse ambientato in Romania e segnatamente sulle montagne della Transilvania il romanzo «Dracula» (1897) che originò una rinascita del genere vampiresco, che dura ai giorni nostri grazie anche a capolavori cinematografici come «Nosferatu» di Mornau del 1922 e «Vampyr» di Dreyer del 1932
Dracula nasce in Transilvania perché ancor oggi i contadini di quelle regioni vivono nel terrore di vampiri e licantropi e formano croci con pezzi di aglio per proteggersi da sgradevoli visite notturne. Pochi anni fa, nel 1968, una zingara rumena raccontò al professore del Boston College, Raymond Mc Nally, di aver trafitto con un paletto il corpo del padre nella bara perché convinta che fosse un vampiro.
Quella di Stoker non fu solo fantasia, perché un conte Dracula in quei luoghi è esistito veramente. Lo hanno ritrovato il già citato Mc Nally e Radu Florescu, un altro docente del Boston College di origine rumena. La descrizione fatta da Stoker del castello è perfetta, dicono i due studiosi; e in quel castello, a riprova della sua reale esistenza, affermano di aver trovato anche il ritratto del terribile Dracula. Di lui, però, i contadini transilvani non parlano come di un vampiro. «Furono confusi quando chiedemmo loro di Dracula come vampiro – riferisce Florescu – sebbene lo conoscessero come un crudele dominatore».
Dracula, dunque, non avrebbe mai morso un collo, ma l’esistenza di un signore sanguinario in una terra dove è così radicata la paura e la tradizione del vampiro ha fornito a Stoker lo spunto per il romanzo.
Il Dracula storico nacque nel 1431 con il nome di Vlad, figlio di Vlad Drakul principe di Valacchia: di qui il patronimico Dracula, nome intriso di significati occulti poiché «drakul» in rumeno significa demoni… E demoniaca fu la sua vita perché dominò la Valacchia dal 1456 al 1462 con incredibile efferatezza, prima di venire ucciso nel 1476 dai turchi. Nella zona si dice che la sua maledizione è ancora viva e a farne le spese furono gli stessi ricercatori guidati dai professori di Boston. Lo zio di Radu Florescu, durante l’ispezione del castello, cadde in un burrone e si ruppe un’anca. Tre studiosi rumeni impegnati nelle ricerche morirono misteriosamente. Per i contadini transilvani la spiegazione c’è, anche se ripugna alla ragione: erano andati a frugare fra i segreti di Vlad l’Impalatore, il Dracula maledetto, che non perdona anche dopo cinque secoli.
Ma chi era e cosa fece per meritarsi tanta abominevole fama?
Si dice che portò le torture quasi a raffinatezze artistiche. Fra tante mostruosità, preferiva il supplizio del «palo», da cui l’appellativo di «Tepes», «impalatore» (è col paletto appuntito che si uccidono i vampiri e forse in questa predilezione per i pali sta una delle ragioni che associarono Dracula alla tradizione vampiresca).
Secondo le informazioni raccolte da Mc Nally e Florescu, impalava la vittima di persona, di solito lentamente, interrompendo di tanto in tanto il supplizio, per poterla ingiuriare in visite seguenti. Ma amava anche le impalature spettacolari. «Una volta – racconta Mc Nally – fece una foresta di 20 mila turchi impalati. In un’altra occasione la sua efferatezza si manifestò verso i sudditi: riunì i malati e i mendicanti in un palazzo, vi diede fuoco e li lasciò bruciare vivi, per far sì che il suo popolo fosse sano e benestante».
Gli studiosi cercano le cause di tanta aberrazione, che si estrinsecava talvolta in atti maniacali come quando – secondo la relazione di Florescu – fendeva gli ombelichi delle sue amanti se restavano incinte. La spiegazione sarebbe in un episodio della sua infanzia: a 13 anni era stato catturato e tenuto prigioniero dai turchi e fu vittima di un’aggressione sessuale da parte del Sultano. Di qui sarebbe partita la sua depravazione: in carcere Dracula ragazzino chiedeva ai secondini di portargli topi e uccelli per impalarli e strappar loro le piume. Secondo gli studiosi di Boston, dopo l’esperienza col sultano sarebbe diventato omosessuale e ciò spiegherebbe il maltrattamento delle amanti e l’uso dei pali, probabilmente come simbolo di potenza.
Dracula morì in combattimento contro i turchi nei pressi di Bucarest. Prima di essere seppellito a Snagov, proprio fuori dalla capitale, il cadavere – che continuava a incutere paura – venne decapitato.
Con questa sepoltura finisce la vicenda terrena del conte Vlad l’Impalatore, figlio di Drakul, detto Dracula. E qui comincia la leggenda, la letteratura che lo vuole principe dei vampiri, celebrato da libri, film e fumetti. Non era un vampiro, perché forse di vampiri non ce ne sono mai stati, a dispetto delle cronache popolari e del buon abate Dom Calmet, ma certamente fu un personaggio sinistro, la cui fama raccapricciante è dovuta al sangue che ha versato se non a quello che ha succhiato: il Dracula «storico», insomma, è altrettanto «nero» di quello letterario.
Si dice che il mito vampiresco crebbe intorno a lui a causa dei pipistrelli che infestavano la zona dove abitava. La tradizione rumena parla di pipistrelli, probabilmente idrofobi, che volavano dal castello, attaccando e mordendo chiunque si avvicinasse. È stato facile, quindi per la fantasia popolare, associare un così malefico signore alle caratteristiche dei ripugnanti volatili a forma di topo che ne costituivano la corte minacciosa in agguato sui torrioni del maniero.
Sanguinario e impalatore attorniato da volatili vampiri: è la spiegazione del mito romanzesco. C’è una notizia, però, che ridà qualche speranza a chi si rifiuti di accettare la realtà storica di Dracula come semplice, sia pur efferato signore transilvano e non come essere che sorgeva dalle tombe per succhiare il sangue dei vivi.
Quando, nel 1931 a Snagov, vicino a Bucarest, fu aperta la cripta in cui era stato sepolto Vlad Tepes cinque secoli prima, la tomba fu trovata vuota: il conte Dracula non c’era più. I ricercatori di Boston hanno dato una spiegazione: l’empia fama di quel cadavere avrebbe indotto alcuni monaci, timorosi che i resti potessero dissacrare il terreno di sepoltura, a traslare segretamente la salma altrove. È la spiegazione forse più logica, ma non è certa né documentata, per cui chi ama pensare che Dracula sia uscito dalla tomba, con mezzi propri, per andare in giro di notte a succhiare sangue dai colli è sempre nel suo diritto. Le ipotesi sono ipotesi: i fatti dicono che il Conte Dracula, nella sua tomba, non c’era più.
Resta da chiarire perché il mito del vampiro, così vivo nelle terre insanguinate da Dracula, si sia trasmesso intatto dalla tavoletta di Ninive a Dom Calmet, alla cultura moderna. È un mito che nasce da un bisogno ancestrale dell’uomo: quello di continuare ad esistere al di là della morte, di perdurare nel tempo, di essere immortale.
Così un mondo contadino emarginato, lontano dai dogmi religiosi codificati, senza una precisa nozione del trascendente ha creato la figura dell’essere che si ribella alla morte e trova il modo di sopravvivere attraverso un atto materiale, l’assimilazione di linfa vitale, di sangue che ridà una sorta di vitalità all’etere cadaverico. È una forma rozza, terrena, di fede nella rinascita, presente in tutte le società primitive e che, in alcune, assume l’incarnazione del vampiro. Una fede confinata nel ghetto del male, perché le classi più evolute avevano più sofisticate forme di sopravvivenza da proporre alla massa, in paradisi angelici ed eterei nirvana. Il vampiro dei contadini resta una creatura di ordine differente, di classe inferiore rispetto al fantasma dei castelli aristocratici e perciò la cultura evoluta lo detesta, lo condanna come simbolo delle forze del male che si agitano, in una specie di vita, quando muore la luce del sole.
Il morto dissanguato dai canini del vampiro diviene vampiro a sua volta: egli trasmette agli altri, con il suo morso malefico, il beneficio dell’immortalità. I contadini che agghindano di collane d’aglio le porte di casa, i montanari che tramandano agghiaccianti racconti nell’Europa orientale, inconsapevolmente amano questa loro sanguinaria creatura perché, se esistesse, sarebbe la prova palpabile della loro immortalità, la prova che si può vincere la morte: una prova più vicina del confuso “al di là” spiegato dai dotti.
La prova che si può diventare immortali, com’era stato per il contadino ungherese Arnold, vampiro da un mese, prima che un magistrato crudele, rappresentante del potere costituito, non avesse fatto distruggere con un paletto appuntito la sopravvivenza larvale che aveva raggiunto.
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Re: thriller e co.
Jack lo Squartatore
Londra, 1888. Un venerdì di fine estate nello squallore dell’East End. Viene trovato il cadavere di Polly Nichols.
Nove giorni dopo, l’8 settembre, tocca ad Annie Chapman.
A un mese dal primo omicidio vengono massacrate, in una sola notte, Elizabeth Stride e Catharine Eddowes.
Passa un altro mese. Il 9 novembre, ancora venerdì, è la volta di Mary Jane Kelly. Poi il silenzio. Per sempre.
Erano tutte prostitute schedate, tutte massacrate nel raggio di un miglio dalla stessa persona. Non sappiamo chi fosse, quest’uomo (questa donna?). Come si è fatto per più d’un secolo, lo chiameremo col nome che si scelse da sé il 25 settembre di quel 1888, in una lettera inviata all’agenzia Central News e firmata Jack the Ripper. Jack lo Squartatore.
Modus operandi
Jack e la donna si trovano faccia a faccia, quasi sempre all’aperto. Sono al buio, in fondo a un vicolo o in un angolo appartato di Whitechapel. Lei, mezza ubriaca, solleva la gonna con entrambe le mani. Le mani di lui le corrono alla gola. Stringono. La donna tenta di resistere, ma presto perde i sensi. Se ha avuto fortuna è già morta, sennò è solo svenuta. Lo Squartatore adagia il corpo per terra, la testa abbandonata vicino alla propria mano sinistra. È a questo punto che taglia la gola della vittima e inizia il proprio terribile lavoro, con una meticolosità pari solo alla propria furia. Una volta rimuove un rene senza danneggiare gli altri organi. Un’altra volta asporta i genitali con un colpo netto della propria lama. Per questo si è spesso sospettato che Jack fosse un dottore, uno studente di medicina, o comunque una persona dotata di una buona cultura anatomica. Alla fine porta sempre via con sé un trofeo, un pezzo delle interiora della vittima.
Sospetti
Il primo rapporto confidenziale in cui si citi una persona sospettata di essere Jack lo Squartatore fu scritto nel 1894 da Sir Melville Macnaghten, all’epoca a capo della polizia, ma venne reso pubblico solo nel 1959. Macnaghten sospettava di M. J. Druitt, un procuratore legale che si era dato all’insegnamento e si era suicidato nel dicembre del 1888. Purtroppo però Macnaghten scrisse il proprio rapporto senza controllare accuratamente i dati sul sospetto, che si rivelarono completamente sbagliati. Secondo il capo della polizia, Druitt era un dottore quarantunenne suicidatosi subito dopo l’omicidio Kelly. In realtà il sospetto aveva 31 anni, non era affatto un dottore e si era suicidato quasi un mese dopo l’ultimo omicidio ufficiale. Ma Druitt è solo il primo di una catena pressoché infinita di sospetti, che vanno da frequentatori del sottobosco londinese a membri della famiglia reale, passando per complotti internazionali e mostri alla Stevenson.
Un caso aperto
Il caso di Jack lo Squartatore mostra come Internet possa essere il sogno (e anche l’incubo, ça va sans dire) di qualsiasi detective. In questo immenso schedario elettronico si possono trovare documenti ufficiali, referti di autopsie, ricostruzioni delle scene dei delitti, schede su vittime e sospetti, lettere e cartoline attribuite alla mano dell’assassino e soprattutto testimonianze. Il che pone in evidenza anche un altro aspetto della rete: la scarsa controllabilità delle informazioni. Sul caso di Jack lo Squartatore è stata prodotta – nel corso degli oltre cent’anni passati dagli omicidi di Whitechapel – un’enorme quantità di spazzatura informativa. E Internet, lo si dice sempre, è in grado di trasformare il rumore bianco della disinformazione in un rombo capace di stordire ogni ragionevole certezza. C’è però qualche ripperologist (così si chiamano gli studiosi fuori tempo massimo del caso dello Squartatore) convinto che l’accesso a questa indiscriminata massa d’informazioni da parte di menti fresche (e abituate dalla palestra di Internet a imporre un ordine al brodo primordiale dei dati e degli indizi) potrebbe rendere possibili nuove teorie sull’identità del più famoso serial killer del mondo e, chissà, una svolta di fine millennio nel mistero degli omicidi del 1888.
La sfida per l’internauta (tipicamente estiva, da accettarsi magari sotto l’ombrellone cablato d'una spiaggia più o meno virtuale) è allora questa: sarete in grado di scoprire chi si celava sotto la cappa di Jack lo Squartatore?
Più misericordiosi del buon Ripper, vi allunghiamo sottobanco (come si farebbe a un esame di maturità) alcuni indizi di partenza, degli indirizzi da cui muovervi per iniziare la cernita delle informazioni.
Londra, 1888. Un venerdì di fine estate nello squallore dell’East End. Viene trovato il cadavere di Polly Nichols.
Nove giorni dopo, l’8 settembre, tocca ad Annie Chapman.
A un mese dal primo omicidio vengono massacrate, in una sola notte, Elizabeth Stride e Catharine Eddowes.
Passa un altro mese. Il 9 novembre, ancora venerdì, è la volta di Mary Jane Kelly. Poi il silenzio. Per sempre.
Erano tutte prostitute schedate, tutte massacrate nel raggio di un miglio dalla stessa persona. Non sappiamo chi fosse, quest’uomo (questa donna?). Come si è fatto per più d’un secolo, lo chiameremo col nome che si scelse da sé il 25 settembre di quel 1888, in una lettera inviata all’agenzia Central News e firmata Jack the Ripper. Jack lo Squartatore.
Modus operandi
Jack e la donna si trovano faccia a faccia, quasi sempre all’aperto. Sono al buio, in fondo a un vicolo o in un angolo appartato di Whitechapel. Lei, mezza ubriaca, solleva la gonna con entrambe le mani. Le mani di lui le corrono alla gola. Stringono. La donna tenta di resistere, ma presto perde i sensi. Se ha avuto fortuna è già morta, sennò è solo svenuta. Lo Squartatore adagia il corpo per terra, la testa abbandonata vicino alla propria mano sinistra. È a questo punto che taglia la gola della vittima e inizia il proprio terribile lavoro, con una meticolosità pari solo alla propria furia. Una volta rimuove un rene senza danneggiare gli altri organi. Un’altra volta asporta i genitali con un colpo netto della propria lama. Per questo si è spesso sospettato che Jack fosse un dottore, uno studente di medicina, o comunque una persona dotata di una buona cultura anatomica. Alla fine porta sempre via con sé un trofeo, un pezzo delle interiora della vittima.
Sospetti
Il primo rapporto confidenziale in cui si citi una persona sospettata di essere Jack lo Squartatore fu scritto nel 1894 da Sir Melville Macnaghten, all’epoca a capo della polizia, ma venne reso pubblico solo nel 1959. Macnaghten sospettava di M. J. Druitt, un procuratore legale che si era dato all’insegnamento e si era suicidato nel dicembre del 1888. Purtroppo però Macnaghten scrisse il proprio rapporto senza controllare accuratamente i dati sul sospetto, che si rivelarono completamente sbagliati. Secondo il capo della polizia, Druitt era un dottore quarantunenne suicidatosi subito dopo l’omicidio Kelly. In realtà il sospetto aveva 31 anni, non era affatto un dottore e si era suicidato quasi un mese dopo l’ultimo omicidio ufficiale. Ma Druitt è solo il primo di una catena pressoché infinita di sospetti, che vanno da frequentatori del sottobosco londinese a membri della famiglia reale, passando per complotti internazionali e mostri alla Stevenson.
Un caso aperto
Il caso di Jack lo Squartatore mostra come Internet possa essere il sogno (e anche l’incubo, ça va sans dire) di qualsiasi detective. In questo immenso schedario elettronico si possono trovare documenti ufficiali, referti di autopsie, ricostruzioni delle scene dei delitti, schede su vittime e sospetti, lettere e cartoline attribuite alla mano dell’assassino e soprattutto testimonianze. Il che pone in evidenza anche un altro aspetto della rete: la scarsa controllabilità delle informazioni. Sul caso di Jack lo Squartatore è stata prodotta – nel corso degli oltre cent’anni passati dagli omicidi di Whitechapel – un’enorme quantità di spazzatura informativa. E Internet, lo si dice sempre, è in grado di trasformare il rumore bianco della disinformazione in un rombo capace di stordire ogni ragionevole certezza. C’è però qualche ripperologist (così si chiamano gli studiosi fuori tempo massimo del caso dello Squartatore) convinto che l’accesso a questa indiscriminata massa d’informazioni da parte di menti fresche (e abituate dalla palestra di Internet a imporre un ordine al brodo primordiale dei dati e degli indizi) potrebbe rendere possibili nuove teorie sull’identità del più famoso serial killer del mondo e, chissà, una svolta di fine millennio nel mistero degli omicidi del 1888.
La sfida per l’internauta (tipicamente estiva, da accettarsi magari sotto l’ombrellone cablato d'una spiaggia più o meno virtuale) è allora questa: sarete in grado di scoprire chi si celava sotto la cappa di Jack lo Squartatore?
Più misericordiosi del buon Ripper, vi allunghiamo sottobanco (come si farebbe a un esame di maturità) alcuni indizi di partenza, degli indirizzi da cui muovervi per iniziare la cernita delle informazioni.
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Re: thriller e co.
AREA 51
"Nei consigli di Stato dobbiamo metterci in guardia contro l'acquisizione di influenze ingiustificate, volute o meno, da parte del complesso dell'industria militare. Il potenziale per una disastrosa avanzata di un mal riposto potere insiste e persiste. Non dovremo mai lasciare che il peso di questa combinazione minacci la nostra libertà o la nostra democrazia. Non dobbiamo dare niente per scontato."
- Discorso di addio del presidente uscente Dwight Eisenhower, 17 Gennaio 1961
Fin dalla seconda guerra mondiale, i servizi militari e i servizi segreti statunitensi sono sempre stati ossessionati dall'idea della segretezza. Hanno sempre pensato che l'opinione pubblica non avesse alcuna necessità di sapere come queste agenzie erano solite condurre operazioni che sarebbero potute risultare imbarazzanti o avessero costi il cui ordine di grandezza era del miliardo di dollari. Questo conduce ad attività come la guerra in Cambogia, ufficialmente non dichiarata (durante il conflitto in Vietnam), allo scandalo dell'Iran Gate, e alla recente causa federale avviata dal professor Jonathan Turley, che sosteneva come gli operatori della base di Groom Lake fossero stati seriamente contaminati (e in alcuni casi uccisi) dall'esposizione ad agenti chimici altamente pericolosi.
Il caso Turley fu sospeso nella primavera del 1996, principalmente perchè il Presidente Clinton decise che sarebbe stato meglio sacrificare i lavoratori della base che compromettere la "sicurezza nazionale" ed emanò il decreto presidenziale 95-45 che di fatto esonerava la base di Groom Lake da tutte le leggi in vigore. Vediamo ora di cosa si occupa questo misterioso complesso.
Per più di 40 anni, è esistita una base segreta nel lago prosciugato di Groom Lake, in Nevada, che si occupava di sperimentare prototipi di aerei non convenzionali. Costruita in origine dalla CIA, ora opera sotto il controllo delle Forze Aeree come parte del complesso locato sulle alture Nellis. In passato velivoli come gli U-2, gli SR-71 e gli F-117, solo per citarne alcuni, sono stati testati qui. Inoltre, in seguito a questa controversia legale, la Air Force ha deciso di espropriare 3.972 acri di suolo pubblico per evitare ai civili di osservare la base da alcune catene montuose situate a dieci miglia di distanza. L'Area 51 è situata nella catena montuosa Nellis, nel sud del Nevada, e questa base governativa occupa una grande porzione del suolo di questo stato. Oltre ai già citati studi, qui avverrebbero anche test di artiglieria, ma nel lato nord-est la gente crede che il governo stia facendo qualcos'altro oltre a normali studi su aerei. Gli abitanti della piccola città di Rachel, in Nevada, hanno segnalato avvistamenti di UFO.
Un altra considerazione riguardo a questa installazione segreta è che la proprietà governativa intorno alla base si estende a macchia d'olio. Man mano che la gente si avvicina, la base si allontana. Nessun artificio magico in tutto questo, a meno che l'esproprio non possa essere considerato una sorta di magia. Il governo sta infatti sequestrando tutto il terreno intorno alla base, e in particolar modo le formazioni naturali (come le catene montuose) che possono offrire un ottimo punto di osservazione per occhi indiscreti. Ormai la proprietà del governo è così estesa che non è possibile recintarla. La zona off-limits viene indicata da bandiere arancioni sostenute da paletti verdi. Le strade polverose che conducono alla base sono segnate con grandi segnali che avvertono di non proseguire nel cammino. Alcuni cittadini che avevano concessioni governative all'interno di queste aree ristrette se le sono visti aggiungere alla proprietà demaniale, e viene concesso loro di accedere a queste aree soltanto, senza sconfinare. Da tutto questo emerge che il governo stà cercando in ogni modo di mantenere qualsiasi cosa si trovi in questo luogo un segreto. Ma quello che la gente è interessata a sapere è cosa sia talmente importante da dover essere tenuto segreto a tutti i costi.
Nei primi mesi del 1995, Roy Neighbors, membro dell'Assemblea di Stato, inoltrò un progetto di legge per rinominare la Stada Statale 375 in "Autostrada degli Alieni". Si ebbe anche una udienza in proposito, ma i residenti non ebbero nessuna notizia ufficiale. In realtà la proposta passò di stretta misura, ma fu bocciata al Senato perchè giudicata frivola e come uno spreco delle risorse statali. Nel mese di Febbraio, il governatore Bob Miller fece nuovamente avanzare questa proposta senza alcun avviso ai residenti, che passò nel corso di una riunione del ministero dei trasporti, che egli presiedeva.
Majestic-12
OGGETTO: Operazione Majestic-12
DOCUMENTO PRELIMINARE PER IL PRESIDENTE EISENHOWER
DOCUMENTO PREPARATO IL 18 NOVEMBRE 1952.
RELATORE UFFICIALE: AMMIRAGLIO ROSCOE H. HILLENKOETTER (MJ-1)
NOTE: Questo documento venne preparato solo come relazione preliminare. Doveva servire come introduzione ad una operazione segreta che sarebbe stata resa operativa in seguito. Non intendo parlare in questo contesto del gruppo Majority, le cui caratteristiche e finalità possono essere lette nell' articolo specifico.
Il 24 Giugno 1947 un pilota civile che si trovava sopra le Cascate Mountainsnello stato di Washington osservò nove oggetti volanti a forma di piatto che si muovevano in formazione ad alta velocità. Sebbene questo non fosse il primo caso di avvistamento di oggetti di questo tipo, fu il primo caso in cui la notizia fu diffusa al pubblico. Dopo questo seguirono centinaia di avvistamenti, veri o presunti, molti dei quali provenivano da fonti ritenute più che attendibili, sia civili che militari. Questo fenomeno attirò subito l'attenzione dei militari, interessati ad accertarsi della natura e degli obbiettivi di questi oggetti nell'interesse della difesa nazionale. Un grande numero di testimoni venne intervistato e seguirono numerosi tentativi, risultati tutti vani, di utilizzare aerei col compito di studiare i dischi in volo. Nonostante la curiosità, anche da parte dell'opinione pubblica, poco si seppe su questi misteriosi oggetti, fino a quando un mandriano del posto affermò che uno di questi misteriosi oggetti si era schiantato al suolo in una zona remota del Nuovo Messico, a circa 75 miglia a Nord Est dalla base militare di Roswell (ora Walker Field). Il 7 Luglio 1947 ebbe inizio una operazione segreta atta a recuperare i rottami di questo velivolo per studi scientifici. Nel corso di queste operazioni, ricognizioni aeree scoprirono anche la presenza di quattro piccoli corpi di sembianze umanoidi, apparentemente espulsi da mezzo prima dell'impatto col suolo, e situati circa due miglia ad est del relitto. Tutti e quattro erano deceduti e in avanzato stato di decomposizione a causa della loro esposizione per oltre una settimana agli agenti atmosferici e all'azione di predatori. Uno scienziato specializzato assunse il compito di rimuovere questi corpi per poterli studiare. Furono rimossi anche i resti dell'ipotetico disco volante, e furono portati in diversi centri segreti. I testimoni, civili o militari, furono diffidati dal fare parola alcuna sull'accaduto, e l'avvenimento fu liquidato come un banale incidente dovuto alla caduta di un pallone sonda.
In un rapporto presentato dal Generale Twining e dal Dr. Bush, che agivano per ordine diretto del presidente, evidenziò che il disco in questione sembrava essere un velivolo da ricognizione a corto raggio. Queste conclusioni si basavano sulla forma del mezzo e sulla apparente mancanza di qualsiasi forma di propulsione. Una analisi simile, condotta sui corpi dei quattro occupanti, concluse che queste forma di vita erano umanoidi nell'apparenza, anche se i processi biologici ed evolutivi responsabili del loro sviluppo sembravano essere assai diversi da quelli che caratterizzavano l'Homo Sapiens. Il Dottor Bronk, autore delle analisi, suggerì quindi il termine "Extra-terrestri, Biological Entities", o "EBE", che venne quindi adottato come standard per queste creature fino a che non fosse stato possibile classificarle in maniera più precisa. Anche se è pressoché certo che nessuno dei reperti recuperati in Nuovo Messico provenga da una qualsiasi zona del nostro pianeta, furono fatte numerose ipotesi sul luogo di origine di questi esseri. Marte fu una delle prime congetture, ma la maggior parte degli scienziati ritengono più probabile che questi 'visitatori' provengano da un altro sistema solare. Numerosi esempi di quella che appariva come un forma di scrittura furono rinvenuti nel luogo dell'impatto, e tutti i tentativi finora fatti per decifrarla non hanno avuto alcun esito. Lo stesso insuccesso hanno avuto tutti i tentativi fatti per determinare il metodo di propulsione o i metodi di trasmissione usati dal motore del disco volante. Le ricerche condotte a questo fine sono state ulteriormente complicate dall'assenza di ali, jet o qualsiasi altro metodo convenzionale di alimentazione o guida, e perfino dalla mancanza di un impianto elettrico, condotti di aspirazione o componenti riconoscibili come elettronici. Venne assunta come spiegazione di comodo che l'unità di propulsione andò completamente distrutta nell'esplosione che seguì la caduta del velivolo. Queste operazioni continuarono anche in tempi più recenti sotto il nome in codice di progetto BLUE BOOK. Nel 1950 un secondo oggetto, probabilmente di simile origine, si schiantò al suolo ad alta velocità nella zona di El Indio - Guerrero, al confine fra Texas e Messico, dopo aver lascito una lunga scia nell'atmosfera. Ma quando arrivarono le squadre di recupero, tutto ciò che era rimasto del misterioso oggetto era un' ammasso di resti inceneriti, che vennero ugualmente portati nel Nuovo Messico per studi. Le motivazioni e le intenzioni finali di questi visitatori rimangono completamente sconosciute. In aggiunta a questo, l'improvviso aumento di avvistamenti di questi oggetti volanti cominciato in Maggio e continuato fino all'autunno dello stesso anno causò una improvvisa convinzione che nuovi sviluppi non si sarebbero fatti attendere. Per queste ragioni, oltre che ovviamente per implicazioni Internazionali e tecnologiche ed esigenze di non diffondere il panico fra la popolazione, tutti le informazioni riguardo a quanto descritto in questo documento sono state coperte da segreto.
"Nei consigli di Stato dobbiamo metterci in guardia contro l'acquisizione di influenze ingiustificate, volute o meno, da parte del complesso dell'industria militare. Il potenziale per una disastrosa avanzata di un mal riposto potere insiste e persiste. Non dovremo mai lasciare che il peso di questa combinazione minacci la nostra libertà o la nostra democrazia. Non dobbiamo dare niente per scontato."
- Discorso di addio del presidente uscente Dwight Eisenhower, 17 Gennaio 1961
Fin dalla seconda guerra mondiale, i servizi militari e i servizi segreti statunitensi sono sempre stati ossessionati dall'idea della segretezza. Hanno sempre pensato che l'opinione pubblica non avesse alcuna necessità di sapere come queste agenzie erano solite condurre operazioni che sarebbero potute risultare imbarazzanti o avessero costi il cui ordine di grandezza era del miliardo di dollari. Questo conduce ad attività come la guerra in Cambogia, ufficialmente non dichiarata (durante il conflitto in Vietnam), allo scandalo dell'Iran Gate, e alla recente causa federale avviata dal professor Jonathan Turley, che sosteneva come gli operatori della base di Groom Lake fossero stati seriamente contaminati (e in alcuni casi uccisi) dall'esposizione ad agenti chimici altamente pericolosi.
Il caso Turley fu sospeso nella primavera del 1996, principalmente perchè il Presidente Clinton decise che sarebbe stato meglio sacrificare i lavoratori della base che compromettere la "sicurezza nazionale" ed emanò il decreto presidenziale 95-45 che di fatto esonerava la base di Groom Lake da tutte le leggi in vigore. Vediamo ora di cosa si occupa questo misterioso complesso.
Per più di 40 anni, è esistita una base segreta nel lago prosciugato di Groom Lake, in Nevada, che si occupava di sperimentare prototipi di aerei non convenzionali. Costruita in origine dalla CIA, ora opera sotto il controllo delle Forze Aeree come parte del complesso locato sulle alture Nellis. In passato velivoli come gli U-2, gli SR-71 e gli F-117, solo per citarne alcuni, sono stati testati qui. Inoltre, in seguito a questa controversia legale, la Air Force ha deciso di espropriare 3.972 acri di suolo pubblico per evitare ai civili di osservare la base da alcune catene montuose situate a dieci miglia di distanza. L'Area 51 è situata nella catena montuosa Nellis, nel sud del Nevada, e questa base governativa occupa una grande porzione del suolo di questo stato. Oltre ai già citati studi, qui avverrebbero anche test di artiglieria, ma nel lato nord-est la gente crede che il governo stia facendo qualcos'altro oltre a normali studi su aerei. Gli abitanti della piccola città di Rachel, in Nevada, hanno segnalato avvistamenti di UFO.
Un altra considerazione riguardo a questa installazione segreta è che la proprietà governativa intorno alla base si estende a macchia d'olio. Man mano che la gente si avvicina, la base si allontana. Nessun artificio magico in tutto questo, a meno che l'esproprio non possa essere considerato una sorta di magia. Il governo sta infatti sequestrando tutto il terreno intorno alla base, e in particolar modo le formazioni naturali (come le catene montuose) che possono offrire un ottimo punto di osservazione per occhi indiscreti. Ormai la proprietà del governo è così estesa che non è possibile recintarla. La zona off-limits viene indicata da bandiere arancioni sostenute da paletti verdi. Le strade polverose che conducono alla base sono segnate con grandi segnali che avvertono di non proseguire nel cammino. Alcuni cittadini che avevano concessioni governative all'interno di queste aree ristrette se le sono visti aggiungere alla proprietà demaniale, e viene concesso loro di accedere a queste aree soltanto, senza sconfinare. Da tutto questo emerge che il governo stà cercando in ogni modo di mantenere qualsiasi cosa si trovi in questo luogo un segreto. Ma quello che la gente è interessata a sapere è cosa sia talmente importante da dover essere tenuto segreto a tutti i costi.
Nei primi mesi del 1995, Roy Neighbors, membro dell'Assemblea di Stato, inoltrò un progetto di legge per rinominare la Stada Statale 375 in "Autostrada degli Alieni". Si ebbe anche una udienza in proposito, ma i residenti non ebbero nessuna notizia ufficiale. In realtà la proposta passò di stretta misura, ma fu bocciata al Senato perchè giudicata frivola e come uno spreco delle risorse statali. Nel mese di Febbraio, il governatore Bob Miller fece nuovamente avanzare questa proposta senza alcun avviso ai residenti, che passò nel corso di una riunione del ministero dei trasporti, che egli presiedeva.
Majestic-12
OGGETTO: Operazione Majestic-12
DOCUMENTO PRELIMINARE PER IL PRESIDENTE EISENHOWER
DOCUMENTO PREPARATO IL 18 NOVEMBRE 1952.
RELATORE UFFICIALE: AMMIRAGLIO ROSCOE H. HILLENKOETTER (MJ-1)
NOTE: Questo documento venne preparato solo come relazione preliminare. Doveva servire come introduzione ad una operazione segreta che sarebbe stata resa operativa in seguito. Non intendo parlare in questo contesto del gruppo Majority, le cui caratteristiche e finalità possono essere lette nell' articolo specifico.
Il 24 Giugno 1947 un pilota civile che si trovava sopra le Cascate Mountainsnello stato di Washington osservò nove oggetti volanti a forma di piatto che si muovevano in formazione ad alta velocità. Sebbene questo non fosse il primo caso di avvistamento di oggetti di questo tipo, fu il primo caso in cui la notizia fu diffusa al pubblico. Dopo questo seguirono centinaia di avvistamenti, veri o presunti, molti dei quali provenivano da fonti ritenute più che attendibili, sia civili che militari. Questo fenomeno attirò subito l'attenzione dei militari, interessati ad accertarsi della natura e degli obbiettivi di questi oggetti nell'interesse della difesa nazionale. Un grande numero di testimoni venne intervistato e seguirono numerosi tentativi, risultati tutti vani, di utilizzare aerei col compito di studiare i dischi in volo. Nonostante la curiosità, anche da parte dell'opinione pubblica, poco si seppe su questi misteriosi oggetti, fino a quando un mandriano del posto affermò che uno di questi misteriosi oggetti si era schiantato al suolo in una zona remota del Nuovo Messico, a circa 75 miglia a Nord Est dalla base militare di Roswell (ora Walker Field). Il 7 Luglio 1947 ebbe inizio una operazione segreta atta a recuperare i rottami di questo velivolo per studi scientifici. Nel corso di queste operazioni, ricognizioni aeree scoprirono anche la presenza di quattro piccoli corpi di sembianze umanoidi, apparentemente espulsi da mezzo prima dell'impatto col suolo, e situati circa due miglia ad est del relitto. Tutti e quattro erano deceduti e in avanzato stato di decomposizione a causa della loro esposizione per oltre una settimana agli agenti atmosferici e all'azione di predatori. Uno scienziato specializzato assunse il compito di rimuovere questi corpi per poterli studiare. Furono rimossi anche i resti dell'ipotetico disco volante, e furono portati in diversi centri segreti. I testimoni, civili o militari, furono diffidati dal fare parola alcuna sull'accaduto, e l'avvenimento fu liquidato come un banale incidente dovuto alla caduta di un pallone sonda.
In un rapporto presentato dal Generale Twining e dal Dr. Bush, che agivano per ordine diretto del presidente, evidenziò che il disco in questione sembrava essere un velivolo da ricognizione a corto raggio. Queste conclusioni si basavano sulla forma del mezzo e sulla apparente mancanza di qualsiasi forma di propulsione. Una analisi simile, condotta sui corpi dei quattro occupanti, concluse che queste forma di vita erano umanoidi nell'apparenza, anche se i processi biologici ed evolutivi responsabili del loro sviluppo sembravano essere assai diversi da quelli che caratterizzavano l'Homo Sapiens. Il Dottor Bronk, autore delle analisi, suggerì quindi il termine "Extra-terrestri, Biological Entities", o "EBE", che venne quindi adottato come standard per queste creature fino a che non fosse stato possibile classificarle in maniera più precisa. Anche se è pressoché certo che nessuno dei reperti recuperati in Nuovo Messico provenga da una qualsiasi zona del nostro pianeta, furono fatte numerose ipotesi sul luogo di origine di questi esseri. Marte fu una delle prime congetture, ma la maggior parte degli scienziati ritengono più probabile che questi 'visitatori' provengano da un altro sistema solare. Numerosi esempi di quella che appariva come un forma di scrittura furono rinvenuti nel luogo dell'impatto, e tutti i tentativi finora fatti per decifrarla non hanno avuto alcun esito. Lo stesso insuccesso hanno avuto tutti i tentativi fatti per determinare il metodo di propulsione o i metodi di trasmissione usati dal motore del disco volante. Le ricerche condotte a questo fine sono state ulteriormente complicate dall'assenza di ali, jet o qualsiasi altro metodo convenzionale di alimentazione o guida, e perfino dalla mancanza di un impianto elettrico, condotti di aspirazione o componenti riconoscibili come elettronici. Venne assunta come spiegazione di comodo che l'unità di propulsione andò completamente distrutta nell'esplosione che seguì la caduta del velivolo. Queste operazioni continuarono anche in tempi più recenti sotto il nome in codice di progetto BLUE BOOK. Nel 1950 un secondo oggetto, probabilmente di simile origine, si schiantò al suolo ad alta velocità nella zona di El Indio - Guerrero, al confine fra Texas e Messico, dopo aver lascito una lunga scia nell'atmosfera. Ma quando arrivarono le squadre di recupero, tutto ciò che era rimasto del misterioso oggetto era un' ammasso di resti inceneriti, che vennero ugualmente portati nel Nuovo Messico per studi. Le motivazioni e le intenzioni finali di questi visitatori rimangono completamente sconosciute. In aggiunta a questo, l'improvviso aumento di avvistamenti di questi oggetti volanti cominciato in Maggio e continuato fino all'autunno dello stesso anno causò una improvvisa convinzione che nuovi sviluppi non si sarebbero fatti attendere. Per queste ragioni, oltre che ovviamente per implicazioni Internazionali e tecnologiche ed esigenze di non diffondere il panico fra la popolazione, tutti le informazioni riguardo a quanto descritto in questo documento sono state coperte da segreto.
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Re: thriller e co.
RAPIMENTO UFO
Il Rapimento dei Coniugi Hill
Una delle storie di rapimento più interessanti e documentate di tutta la casistica ufologica, fu di certo quella che accadde ai coniugi Barney e Betty Hill nella notte tra il 19 e 20 settembre 1961.
Tutto iniziò verso le 22.00 di un venerdì sera, mentre i 2 coniugi ritornavano da un viaggio in Canada. Attraversando le White Mountains, per raggiungere la loro casa nel New Hampshire, la loro attenzione venne attratta da una luce in direzione di Lancaster, il cui comportamento era anomalo. Barney, incuriosito dal fenomeno, decise di fermare l’auto e di osservare la luce con il binocolo che portava sempre con se. In un primo momento pensò che doveva trattarsi di un satellite o di una stella ma una volta inquadrato l’oggetto, non riuscì a percepirne la struttura e le conformità grazie alle sue incredibili capacità prestazionali di volo.
Decise allora di continuare a guidare senza però perdere di vista l’oggetto. Dopo quasi 2 ore però, non resistette più alla sua curiosità e decise di fermarsi di nuovo per riosservare quella strana luce col suo binocolo. Questa volta era chiaro, l’oggetto non somigliava a niente di conosciuto: era enorme e lasciava vedere nettamente due file di finestrini con forme umanoidi dietro
gli stessi.
A questo punto Barney, fu preso da uno stato di eccitazione tale da sfiorare l’isterismo: subito rientrò in macchina asserendo a gran voce che degli individui volevano catturarlo. Decise quindi di ripartire al più presto per cercare di seminare l’oggetto; ma, mentre era alla guida dell’auto, lui e Betty avvertirono un leggero e allo stesso tempo strano sibilo che si trasformò in un “bip-bip” lancinante.
Da quel momento la loro memoria si offuscò! Ripresero conoscenza soltanto 2 ore dopo ma esattamente a 60 km a sud da dove avvertirono quello strano rumore. In questo breve tragitto, Betty e Barney hanno perso 2 ore della loro vita. Fu forse proprio in queste due ore che I coniugi Hill furono rapite da forme di vita esogene?
Il giorno seguente alla loro esperienza, Betty decise di raccontare tutto alla U.S. Air Force e così, pochi giorni dopo, vennero interrogati dal maggiore P. W. Enderson il quale, dopo un lungo interrogatorio, decise di mandare un rapporto all’ allora Project Blue Book dichiarando fra le note che non vi era alcun dubbio sulla buona fede dei testimoni.
Dopo l’incontro avuto con il maggiore Enderson, gli Hill (in particolar modo Betty), decisero di documentarsi sul problema Ufo procurandosi il libro del Maggiore D. Keyhoe( The Flying Saucer Conspiracy ). Dopo aver letto il libro, Betty decise di scrivere a Keyhoe raccontandogli nei minimi termini l’esperienza vissuta da lei e suo marito. Tre settimane dopo, gli Hill ricevettero la visita di Walter Webb, inviato dal NICAP ( National Investigation Committee on Aerial Phenomena) su richiesta del Maggiore Keyhoe.
Il ricercatore W. Webb ebbe modo di poterli interrogare per diverse ore senza però riuscire a farli cadere in contraddizione. Nel suo rapporto scrisse: “ ...sono convinto che dicano la verità e malgrado non esercitino professioni che esigono l’acutezza di osservazione dello scienziato, sono stato particolarmente impressionato dalla loro intelligenza, dalla loro apparente onestà e dalla loro voglia evidente di attenersi ai fatti, diminuendone il loro dato sensazionale”.
Pochi mesi più tardi, esattamente nell’estate del ‘62, Barney incominciò ad avere problemi di salute accusando degli stati di ipertensione e una forte ulcera al duodeno. Decise così di rivolgersi al Dr. D. Stephens a Exeter. Quest’ ultimo infine, dopo una lunga serie di analisi, fece notare a Barney che il suo stato generale era assai complesso e che a causa di problemi di ordine psicologico, in lui si creavano conflitti interni responsabili di uno stato depressivo. Il Dr. Stephens consigliò quindi a Barney di consultare uno dei migliori neuropsichiatri di Boston, il Dr. Benjamin Simon.
Il loro incontro ebbe luogo nel dicembre del ‘63 e proseguì insieme alla moglie Betty fino al marzo del ‘64. Alla fine di questo lungo periodo di sedute, nel quale si è potuto estrapolare anche il bozzetto di una mappa stellare studiata ed analizzata in seguito dalla dr.ssa Marjory Fish il Dr. Simon concluse che i coniugi Hill furono oggetto di rapimento da parte di entità sconosciute che, seppur trattenendoli per un periodo di circa due ore, non fecero loro alcun male.
Ora facciamo qualche passo indietro, e ritorniamo al bozzetto estrapolato dal Dr. Simon mentre sotto ipnosi la signora Betty Hill. descriveva e disegnava in modo così preciso quella strana mappa. Cosa voleva poter significare quello strano disegno? Per poterlo capire ripercorriamo l’intera storia leggendo la testimonianza lasciata dalla signora Hill in un noto documentario della Columbia Tristar dal titolo: “UFO Contact Alien Abduction”. Purtroppo per ragioni di spazio, la storia di seguito riportata, non sarà del tutto completa. Saranno indicati solo i passi più importanti dell’intera vicenda.
Prima testimonianza di Betty Hill:
” L’oggetto apparve in cielo come una nuova stella, poi all’improvviso
incominciò a muoversi. Passò davanti al disco lunare e allora fermammo la
macchina per guardare meglio... Barney decise di prendere il binocolo per
cercare di identificare quell’oggetto strano, ma quello che vide gli destò
molta preoccupazione e paura. Asserì di aver visto degli esseri molto simili
a noi che lo guardavano da dietro i finestrini e che, a quel punto, il
veicolo incominciò a scendere. Barney ebbe la sensazione che stessero
cercando di catturarlo, quindi risalì in auto e partimmo a tutta velocità
verso l’autostrada per evitare di essere presi.
Udimmo una serie di suoni intermittenti quindi, per motivi inspiegabili,
Barney prese ad imboccare una stradina secondaria, dove vedemmo quello che
pensavamo essere la Luna al tramonto. Poi ci rimettemmo in autostrada e di
li a poco, udimmo di nuovo quei suoni intermittenti ma proseguimmo, senza
più fermarci, verso casa”.
Seconda testimonianza di Betty Hill:
” Gli esseri erano 11 ma ce ne era uno che per identificarlo meglio
decidemmo che doveva essere il capo, infatti era quello che si esprimeva in
inglese. Poi c’era l’esaminatore che faceva i test, poi gli altri 9 che
secondo noi facevano parte dell’equipaggio. Le fattezze dei miei esaminatori
erano essenzialmente simili: minuti, glabri, macrocefali e con una
fisionomica simile a un incrocio tra suino e uomo. Mi ispezionarono il
naso, la gola, gli occhi, le orecchie, prelevarono campioni di capelli, di
pelle ed erano molto interessati ai nostri piedi. Mi stesero sul tavolo e
cercarono di infilarmi uno strumento appuntito nella vagina dicendomi che
era un test di gravidanza, allorché io replicai che non esistevano test di
gravidanza e che simili cose erano per me sconosciute.
Barney era di vedute alquanto ristrette e fu per lui uno choc emotivo
notevole; iniziò ad avere problemi di salute, stati d’ansia, pressione a
sbalzi, problemi di stomaco e non rispondeva alle cure. Il suo medico pensò
che forse l’impatto emotivo dovuto a un forte choc, gli impediva di guarire
e decise di mandare mio marito da uno psichiatra che esercitava nel suo
stesso edificio. Barney iniziò a frequentarlo regolarmente e a parlare della
sua infanzia e di tutto il resto. Il dottore lo analizzò a lungo e dopo
qualche seduta ci indirizzò, Barney ed io, dal dottor Benjamin Simon di
Boston”.
Terza testimonianza di Betty Hill:
” Dopo varie sedute il dottor Simon mi fece vedere il bozzetto di una mappa
stellare che il capo degli alieni mi aveva mostrato. Non sò se c’era una
apertura nello scafo o cosa fosse, ma ad un tratto ecco la mappa con alcuni
degli oggetti che sembravano muoversi realmente. L’essere però non aveva
attivato uno schermo o quant’altro ma era così realistica, proprio come
guardare il cielo stellato.
Mi chiese se dalla mappa potevo dire dove ci trovavamo, allorché io risposi
di no . Mi disse che era un’informazione importante senza la quale non
potevano mostrarmi da dove venivano”.
Quindi ciò che vide la signora B. Hill non era una mappa bidimensionale ma era sostanzialmente un ologramma a tre dimensioni.
Per lei le due stelle più grandi apparivano come oggetti sullo sfondo, dunque dovevano essere alquanto vicine...probabilmente le stelle base. Erano visibili alcune linee più marcate fra le due stelle che indicavano (forse) traffici intensi, rotte commerciali o almeno così spiegò quello che per lei sembrava il più alto in carica. Altre linee piene raggiungevano le stelle che gli alieni avevano apparentemente visitato, mentre quelle tratteggiate indicavano gli avamposti più remoti dove forse gli alieni erano stati
raramente o una volta sola.
Quarta testimonianza di Betty Hill:
” Riguardo alla mappa stellare posso dire che successivamente venni
contattata da un’ insegnante dell’ Oahio, tale Marjory Fish. Iniziammo una
serrata corrispondenza epistolare finché mi disse che voleva venire a casa
per parlarmi. Passammo giorni interi a parlare di quella mappa e mi fece
molte domande.
Incominciò poi a costruire modellini usando scatole e corde, mettendo il
nostro sistema solare al centro e iniziò a calcolare la distanza in anni
luce. Al termine aveva disposto quasi tutte le stelle nella stessa posizione
che avevo visto su quella mappa, ma ne mancavano due. Non fu in grado di
completare la ricerca fin quando gli astronomi non scoprirono quelle due
stelle nel ‘69”.Anni dopo, quindi, questa insegnante dell’Oahio decise di verificare se la mappa corrispondeva alla realtà e stabilire se davvero esisteva una configurazione a dodici stelle simile a quella di B.Hill.
In un periodo di circa sei anni costruì modellini tridimensionali degli agglomerati stellari in movimento più prossimi al Sole. All’inizio pensò che avrebbe trovato vari posizionamenti casuali in grado di duplicare caratteristiche simili alla descrizione fatta da B. Hill. Ma non andò così, per sei anni non riuscì a trovare un nesso finché, un giorno, sdraiandosi sulla schiena, guardò in alto da una angolazione particolare e per magia l’intero quadro delle dodici stelle apparve ai suoi occhi! Tutte le stelle erano state identificate e dunque sembrava poco probabile che si trattasse di una coincidenza casuale. Le dodici stelle che erano
collegate da linee intere o tratteggiate si rivelarono potenziali stelle adatte alla vita; il loro spettro era molto simile a quello del nostro Sole e nelle loro orbite potrebbero esserci dei pianeti sui quali la vita si sarebbe potuta sviluppare.
Non è improbabile che lì ci siano forme di vita! Quante sono le probabilità di trovare dodici stelle collegate in questo modo? Solo quelle dodici in quella zona sembrano ospitali e, per giunta, tutte collegate tra loro come a voler dire che sono state tutte visitate da intelligenze aliene.
Nel 1967 gli Hill chiesero di nuovo di essere interrogati sotto controllo scientifico.Vennero quindi di nuovo ipnotizzati dal dr. Simon, in presenza del dr. J. Allen Hynek (maggiore consigliere del Project Blue Book) e di numerosi consiglieri scientifici dell’ U.S. Air Force.
Nonostante le domande tecniche che furono loro rivolte, il racconto degli Hill non mutò di una virgola.Una delle tante ragioni, per cui oggi la stragrande maggioranza degli ufologi credeche il caso degli H. sia vero, è perché accadde troppo all’inizio del fenomeno Ufo, quando le persone che riferirono dell’esperienza ( Betty e
Barney per l’appunto ), non potevano avere preconcetti in merito.
Oggi il rapimento degli Hill rappresenta una pietra miliare, e fu in quel caso che si accertò per la prima volta il fenomeno del “Missing Time” ossia vuoto temporale, che poi, col passar del tempo, divenne un parametro per i rapimenti successivi.
Il caso degli Hill è stato un interessante concomitanza di fattori; infatti se Barney non avesse reagito così male a quell’esperienza evidenziando problemi psicologici, insonnia, ulcera ecc forse non avrebbe consultato un
medico e il medico non gli avrebbe consigliato lo psichiatra per portare alla luce un trauma sepolto.
Ci furono quindi inquietanti coincidenze attinenti questo interessante caso di rapimento.
Betty Hill occupa attualmente un posto importante in una organizzazione sociale dello Stato del New Hampshire. Barney Hill morì di infatro il 25 febbraio 1969 all’età di 46 anni.
Il Rapimento dei Coniugi Hill
Una delle storie di rapimento più interessanti e documentate di tutta la casistica ufologica, fu di certo quella che accadde ai coniugi Barney e Betty Hill nella notte tra il 19 e 20 settembre 1961.
Tutto iniziò verso le 22.00 di un venerdì sera, mentre i 2 coniugi ritornavano da un viaggio in Canada. Attraversando le White Mountains, per raggiungere la loro casa nel New Hampshire, la loro attenzione venne attratta da una luce in direzione di Lancaster, il cui comportamento era anomalo. Barney, incuriosito dal fenomeno, decise di fermare l’auto e di osservare la luce con il binocolo che portava sempre con se. In un primo momento pensò che doveva trattarsi di un satellite o di una stella ma una volta inquadrato l’oggetto, non riuscì a percepirne la struttura e le conformità grazie alle sue incredibili capacità prestazionali di volo.
Decise allora di continuare a guidare senza però perdere di vista l’oggetto. Dopo quasi 2 ore però, non resistette più alla sua curiosità e decise di fermarsi di nuovo per riosservare quella strana luce col suo binocolo. Questa volta era chiaro, l’oggetto non somigliava a niente di conosciuto: era enorme e lasciava vedere nettamente due file di finestrini con forme umanoidi dietro
gli stessi.
A questo punto Barney, fu preso da uno stato di eccitazione tale da sfiorare l’isterismo: subito rientrò in macchina asserendo a gran voce che degli individui volevano catturarlo. Decise quindi di ripartire al più presto per cercare di seminare l’oggetto; ma, mentre era alla guida dell’auto, lui e Betty avvertirono un leggero e allo stesso tempo strano sibilo che si trasformò in un “bip-bip” lancinante.
Da quel momento la loro memoria si offuscò! Ripresero conoscenza soltanto 2 ore dopo ma esattamente a 60 km a sud da dove avvertirono quello strano rumore. In questo breve tragitto, Betty e Barney hanno perso 2 ore della loro vita. Fu forse proprio in queste due ore che I coniugi Hill furono rapite da forme di vita esogene?
Il giorno seguente alla loro esperienza, Betty decise di raccontare tutto alla U.S. Air Force e così, pochi giorni dopo, vennero interrogati dal maggiore P. W. Enderson il quale, dopo un lungo interrogatorio, decise di mandare un rapporto all’ allora Project Blue Book dichiarando fra le note che non vi era alcun dubbio sulla buona fede dei testimoni.
Dopo l’incontro avuto con il maggiore Enderson, gli Hill (in particolar modo Betty), decisero di documentarsi sul problema Ufo procurandosi il libro del Maggiore D. Keyhoe( The Flying Saucer Conspiracy ). Dopo aver letto il libro, Betty decise di scrivere a Keyhoe raccontandogli nei minimi termini l’esperienza vissuta da lei e suo marito. Tre settimane dopo, gli Hill ricevettero la visita di Walter Webb, inviato dal NICAP ( National Investigation Committee on Aerial Phenomena) su richiesta del Maggiore Keyhoe.
Il ricercatore W. Webb ebbe modo di poterli interrogare per diverse ore senza però riuscire a farli cadere in contraddizione. Nel suo rapporto scrisse: “ ...sono convinto che dicano la verità e malgrado non esercitino professioni che esigono l’acutezza di osservazione dello scienziato, sono stato particolarmente impressionato dalla loro intelligenza, dalla loro apparente onestà e dalla loro voglia evidente di attenersi ai fatti, diminuendone il loro dato sensazionale”.
Pochi mesi più tardi, esattamente nell’estate del ‘62, Barney incominciò ad avere problemi di salute accusando degli stati di ipertensione e una forte ulcera al duodeno. Decise così di rivolgersi al Dr. D. Stephens a Exeter. Quest’ ultimo infine, dopo una lunga serie di analisi, fece notare a Barney che il suo stato generale era assai complesso e che a causa di problemi di ordine psicologico, in lui si creavano conflitti interni responsabili di uno stato depressivo. Il Dr. Stephens consigliò quindi a Barney di consultare uno dei migliori neuropsichiatri di Boston, il Dr. Benjamin Simon.
Il loro incontro ebbe luogo nel dicembre del ‘63 e proseguì insieme alla moglie Betty fino al marzo del ‘64. Alla fine di questo lungo periodo di sedute, nel quale si è potuto estrapolare anche il bozzetto di una mappa stellare studiata ed analizzata in seguito dalla dr.ssa Marjory Fish il Dr. Simon concluse che i coniugi Hill furono oggetto di rapimento da parte di entità sconosciute che, seppur trattenendoli per un periodo di circa due ore, non fecero loro alcun male.
Ora facciamo qualche passo indietro, e ritorniamo al bozzetto estrapolato dal Dr. Simon mentre sotto ipnosi la signora Betty Hill. descriveva e disegnava in modo così preciso quella strana mappa. Cosa voleva poter significare quello strano disegno? Per poterlo capire ripercorriamo l’intera storia leggendo la testimonianza lasciata dalla signora Hill in un noto documentario della Columbia Tristar dal titolo: “UFO Contact Alien Abduction”. Purtroppo per ragioni di spazio, la storia di seguito riportata, non sarà del tutto completa. Saranno indicati solo i passi più importanti dell’intera vicenda.
Prima testimonianza di Betty Hill:
” L’oggetto apparve in cielo come una nuova stella, poi all’improvviso
incominciò a muoversi. Passò davanti al disco lunare e allora fermammo la
macchina per guardare meglio... Barney decise di prendere il binocolo per
cercare di identificare quell’oggetto strano, ma quello che vide gli destò
molta preoccupazione e paura. Asserì di aver visto degli esseri molto simili
a noi che lo guardavano da dietro i finestrini e che, a quel punto, il
veicolo incominciò a scendere. Barney ebbe la sensazione che stessero
cercando di catturarlo, quindi risalì in auto e partimmo a tutta velocità
verso l’autostrada per evitare di essere presi.
Udimmo una serie di suoni intermittenti quindi, per motivi inspiegabili,
Barney prese ad imboccare una stradina secondaria, dove vedemmo quello che
pensavamo essere la Luna al tramonto. Poi ci rimettemmo in autostrada e di
li a poco, udimmo di nuovo quei suoni intermittenti ma proseguimmo, senza
più fermarci, verso casa”.
Seconda testimonianza di Betty Hill:
” Gli esseri erano 11 ma ce ne era uno che per identificarlo meglio
decidemmo che doveva essere il capo, infatti era quello che si esprimeva in
inglese. Poi c’era l’esaminatore che faceva i test, poi gli altri 9 che
secondo noi facevano parte dell’equipaggio. Le fattezze dei miei esaminatori
erano essenzialmente simili: minuti, glabri, macrocefali e con una
fisionomica simile a un incrocio tra suino e uomo. Mi ispezionarono il
naso, la gola, gli occhi, le orecchie, prelevarono campioni di capelli, di
pelle ed erano molto interessati ai nostri piedi. Mi stesero sul tavolo e
cercarono di infilarmi uno strumento appuntito nella vagina dicendomi che
era un test di gravidanza, allorché io replicai che non esistevano test di
gravidanza e che simili cose erano per me sconosciute.
Barney era di vedute alquanto ristrette e fu per lui uno choc emotivo
notevole; iniziò ad avere problemi di salute, stati d’ansia, pressione a
sbalzi, problemi di stomaco e non rispondeva alle cure. Il suo medico pensò
che forse l’impatto emotivo dovuto a un forte choc, gli impediva di guarire
e decise di mandare mio marito da uno psichiatra che esercitava nel suo
stesso edificio. Barney iniziò a frequentarlo regolarmente e a parlare della
sua infanzia e di tutto il resto. Il dottore lo analizzò a lungo e dopo
qualche seduta ci indirizzò, Barney ed io, dal dottor Benjamin Simon di
Boston”.
Terza testimonianza di Betty Hill:
” Dopo varie sedute il dottor Simon mi fece vedere il bozzetto di una mappa
stellare che il capo degli alieni mi aveva mostrato. Non sò se c’era una
apertura nello scafo o cosa fosse, ma ad un tratto ecco la mappa con alcuni
degli oggetti che sembravano muoversi realmente. L’essere però non aveva
attivato uno schermo o quant’altro ma era così realistica, proprio come
guardare il cielo stellato.
Mi chiese se dalla mappa potevo dire dove ci trovavamo, allorché io risposi
di no . Mi disse che era un’informazione importante senza la quale non
potevano mostrarmi da dove venivano”.
Quindi ciò che vide la signora B. Hill non era una mappa bidimensionale ma era sostanzialmente un ologramma a tre dimensioni.
Per lei le due stelle più grandi apparivano come oggetti sullo sfondo, dunque dovevano essere alquanto vicine...probabilmente le stelle base. Erano visibili alcune linee più marcate fra le due stelle che indicavano (forse) traffici intensi, rotte commerciali o almeno così spiegò quello che per lei sembrava il più alto in carica. Altre linee piene raggiungevano le stelle che gli alieni avevano apparentemente visitato, mentre quelle tratteggiate indicavano gli avamposti più remoti dove forse gli alieni erano stati
raramente o una volta sola.
Quarta testimonianza di Betty Hill:
” Riguardo alla mappa stellare posso dire che successivamente venni
contattata da un’ insegnante dell’ Oahio, tale Marjory Fish. Iniziammo una
serrata corrispondenza epistolare finché mi disse che voleva venire a casa
per parlarmi. Passammo giorni interi a parlare di quella mappa e mi fece
molte domande.
Incominciò poi a costruire modellini usando scatole e corde, mettendo il
nostro sistema solare al centro e iniziò a calcolare la distanza in anni
luce. Al termine aveva disposto quasi tutte le stelle nella stessa posizione
che avevo visto su quella mappa, ma ne mancavano due. Non fu in grado di
completare la ricerca fin quando gli astronomi non scoprirono quelle due
stelle nel ‘69”.Anni dopo, quindi, questa insegnante dell’Oahio decise di verificare se la mappa corrispondeva alla realtà e stabilire se davvero esisteva una configurazione a dodici stelle simile a quella di B.Hill.
In un periodo di circa sei anni costruì modellini tridimensionali degli agglomerati stellari in movimento più prossimi al Sole. All’inizio pensò che avrebbe trovato vari posizionamenti casuali in grado di duplicare caratteristiche simili alla descrizione fatta da B. Hill. Ma non andò così, per sei anni non riuscì a trovare un nesso finché, un giorno, sdraiandosi sulla schiena, guardò in alto da una angolazione particolare e per magia l’intero quadro delle dodici stelle apparve ai suoi occhi! Tutte le stelle erano state identificate e dunque sembrava poco probabile che si trattasse di una coincidenza casuale. Le dodici stelle che erano
collegate da linee intere o tratteggiate si rivelarono potenziali stelle adatte alla vita; il loro spettro era molto simile a quello del nostro Sole e nelle loro orbite potrebbero esserci dei pianeti sui quali la vita si sarebbe potuta sviluppare.
Non è improbabile che lì ci siano forme di vita! Quante sono le probabilità di trovare dodici stelle collegate in questo modo? Solo quelle dodici in quella zona sembrano ospitali e, per giunta, tutte collegate tra loro come a voler dire che sono state tutte visitate da intelligenze aliene.
Nel 1967 gli Hill chiesero di nuovo di essere interrogati sotto controllo scientifico.Vennero quindi di nuovo ipnotizzati dal dr. Simon, in presenza del dr. J. Allen Hynek (maggiore consigliere del Project Blue Book) e di numerosi consiglieri scientifici dell’ U.S. Air Force.
Nonostante le domande tecniche che furono loro rivolte, il racconto degli Hill non mutò di una virgola.Una delle tante ragioni, per cui oggi la stragrande maggioranza degli ufologi credeche il caso degli H. sia vero, è perché accadde troppo all’inizio del fenomeno Ufo, quando le persone che riferirono dell’esperienza ( Betty e
Barney per l’appunto ), non potevano avere preconcetti in merito.
Oggi il rapimento degli Hill rappresenta una pietra miliare, e fu in quel caso che si accertò per la prima volta il fenomeno del “Missing Time” ossia vuoto temporale, che poi, col passar del tempo, divenne un parametro per i rapimenti successivi.
Il caso degli Hill è stato un interessante concomitanza di fattori; infatti se Barney non avesse reagito così male a quell’esperienza evidenziando problemi psicologici, insonnia, ulcera ecc forse non avrebbe consultato un
medico e il medico non gli avrebbe consigliato lo psichiatra per portare alla luce un trauma sepolto.
Ci furono quindi inquietanti coincidenze attinenti questo interessante caso di rapimento.
Betty Hill occupa attualmente un posto importante in una organizzazione sociale dello Stato del New Hampshire. Barney Hill morì di infatro il 25 febbraio 1969 all’età di 46 anni.
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Re: thriller e co.
Nella galleria Tremonzelli, in Sicilia, le auto si spengono e si riaccendono misteriosamente
Il caso occupò gli spazi di giornali e telegiornali nazionali per diverso tempo.
Misteriosi incendi ai quali, a tutt’oggi, non si è ancora data una spiegazione definitiva e certa.
Ma sempre in Sicilia esiste un altro posto altrettanto misterioso.
Da circa 20 anni, infatti, accade che all’interno di una galleria accadano cose strane: auto e moto si spengono improvvisamente per poi riprender vita qualche secondo piuttardi.
Fortunatamente le vittime di tale bizzarro evento sono state appena 5 o 6 in ben 20 anni, tuttavia è un fenomeno che indubbiamente si è verificato e si verifica ancora.
L’ultimo episodio, infatti, è avvenuto sabato 21 agosto: un’auto entra in galleria, quando all’improvviso subentra un black-out, i fari e il motore si spengono e chi è alla guida perde il controllo del veicolo, sbandando. Poi, sempre all’improvviso, il motore riparte e le luci si riaccendono. Tanta paura e fortunatamente nessun danno per gli occupanti del mezzo.
La galleria del mistero è la Tremonzelli, ubicata lungo l’autostrada A19 Palermo-Catania.
Al momento l’ANAS assicura che la galleria è dotata di un impianto di illuminazione con alimentazione elettrica tradizionale ed è stata sottoposta negli anni a periodici controlli di manutenzione che non hanno evidenziato stranezze di alcun tipo. In ogni caso, assicurano, la zona verrà tenuta sotto controllo.
E c’è persino il gruppo ufologico della zona di Palermo che sta seguendo le vicende.
Secondo loro la causa di quanto accade potrebbe essere una forte esposizione a campi elettromagnetici provocati da una fonte misteriosa.
Fonte: http://www.crashdown.it/2010/08/14491-nella-galleria-tremonzelli-in-sicilia-le-auto-si-spengono-e-si-riaccendono-misteriosamente/
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Re: thriller e co.
IL MISTERO DEI CERCHI NEL GRANO
Il 15 Agosto del 1972 a Warminster, nel sud dell'Inghilterra, Bryce Bond (giornalista radiofonico americano) e Arthur Shuttlewood (ufologo britannico, figura importante nella storia del fenomeno quale testimone di molti avvistamenti e apparizioni di cerchi) si recarono sulla Stars Hill, la Collina delle Stelle, dopo il tramonto; da lì, mentre osservavano il cielo, videro due oggetti splendenti danzare in cielo.
In seguito l'americano riferì che uno di questi oggetti, di forma triangolare e lungo circa sette metri, si avvicinò e cominciò a muoversi sopra un vicino campo di grano. Sotto l'oggetto le spighe si adagiarono con grazia, a spirale, gli steli uniformemente piegati in senso orario, e in meno di un minuto si formò un grande disegno di forma triangolare, avente un diametro di 7 metri; Bond conclude il racconto dicendo che poi apparvero un secondo cerchio di 10 metri di diametro e un'ellisse affusolata. Terminato il suo disegno l'oggetto schizzò via e scomparve.
Quello di Warminster era il primo Crop Circle della storia ad avere dei testimoni; da quel giorno i cerchi comparvero regolarmente; poi nel 1990 apparvero disegni più complicati, non più singoli cerchi ma "pittogrammi" o "agroglifici".
Si è a conoscenza del fenomeno dagli Anni Settanta (testimonianze di Cerchi nel Grano ci arrivano dall'Australia nel 1966 e dagli Stati Uniti negli anni '30 e '40, ma, senza un corredo fotografico, non possono essere prese in considerazione), da quando alcuni piloti, dai loro aerei, videro stagliarsi cerchi di straordinaria bellezza e simmetria sui campi di grano maturo dell'Inghilterra meridionale. Dapprima solamente cerchi, perfettamente geometrici, questi fenomeni sono diventati sempre più complessi nella loro architettura, evolvendo di anno in anno fino a formare splendide figure.
L'esempio più stupefacente è la formazione del 13 Agosto 2001, a Milk Hill, vicino Alton Barnes, Wiltshire, Inghilterra del sud: 300 metri di diametro, formata da 409 cerchi perfettamente misurati (nella fotografia).
Il fenomeno si sviluppò anche in altri paesi e nel 1991 apparvero i primi "pittogrammi" in Germania. Ma il posto in cui vi sono stati più avvistamenti UFO e apparizioni di cerchi (quasi sempre tra aprile ed agosto) è sicuramente il Sud dell' Inghilterra, presso Warminster, una delle regioni più belle e misteriose del pianeta.
Il fatto sorprendente è che Warminster giace esattamente al centro del famoso triangolo formato da Glastonbury (collegato alla profezia biblica della "Nuova Gerusalemme", secondo cui una nuova era avrebbe avuto inizio dalla "Engelland, nome divenuto col tempo England), Avebury .
Che cosa sono dunque i cerchi nel grano? Gli investigatori partorirono diverse ipotesi sull'origine dei "Crop Circles": era la Madre Terra che reagiva in quel modo alla distruzione dell'ambiente? Erano "turbini di vento", "campi morfogenetici", "poteri telecinetici" dei ricercatori o "forze geomagnetiche"? Era stato l'atterraggio di dischi volanti a lasciare quei segni oppure, secondo la spiegazione più divertente, i cerchi erano stati impressi da ricci e porcospini nel momento della copula e in presenza dei rivali in amore che, spettatori involontari della scena, correvano in tondo a una certa distanza dalla coppia, marcando il bordo esterno dei cerchi?
Secondo gli Ufologi sono messaggi di entità extraterrestri, da decrittare prima del loro "arrivo"; pittogrammi che, attingendo dalle nostre culture, dovrebbero mediare pensiero umano e alieno permettendoci di capire queste entità senza essere scossi da uno shock culturale che minerebbe le basi delle nostre società e religioni.
Secondo Michael Hesemann (uno dei maggiori esperti in questo campo) la soluzione del mistero dei cerchi nel grano è connessa proprio con la venuta degli UFO: "I cerchi non sono che un nuovo modo con cui gli extraterrestri vogliono annunciarci il loro ritorno e, per risparmiare alla nostra cultura un terribile shock, hanno scelto questo mezzo così blando, raffinato e di grande bellezza, che prepara le nostre coscienze per gradi, ampliandone gli orizzonti". La scoperta improvvisa di intelligenze extraterrestri potrebbe infatti avere un effetto devastante che provocherebbe ansia, panico, isterismo di massa e governi in crisi.
Secondo gli scettici sono grandi opere d'arte create dall'uomo, attraverso una tecnica ancora segreta, ma certo non "aliena".
Molte associazioni si sono premurate di "creare" segni nel grano per dimostrare che era possibile realizzarli. Tra di esse il Team Satan inglese, certamente il più esperto, ha raggiunto un discreto livello realizzativo, ancora lontano però da quello dei cerchi considerati "autentici".
Lo stesso vale per i numerosi ed anzianotti signori inglesi che hanno millantato la creazione dei segni sostenendo di essersi fatti beffe del mondo intero per anni: nessuno è stato in grado di costruire un'opera convincente davanti alle telecamere.
I mezzi più diffusi sono una scala o un palo posto a centro del cerchio, una corda legata a questo perno alla quale far svolgere un giro di 360 gradi mentre uomini armati di assi la seguono piegando quattro o cinque steli alla volta con cautela, senza spezzarli. Con questo si ottengono ottimi cerchi, quasi perfetti.
Le caratteristiche dei cerchi sono molte e vanno elencate scrupolosamente per comprendere il fenomeno in tutte le sue sfumature:
*
I cerchi compaiono in una notte, qualunque sia la loro dimensione, ma si sono riscontrati casi di aggiunte fatte in notti successive, anche piuttosto distanti da quella della creazione.
*
I cerchi hanno un forte legame geografico con le aree preistoriche, in particolare gli antichi cerchi di pietre megalitiche, uno per tutti: Stonehenge, nel Wiltshire.
*
Il grano è piegato, mai spezzato, in senso orario o antiorario, con una linea di spighe piegata nel senso opposto, sul margine, per rendere più netto il disegno. A volte, oltre che piegato, il grano è anche intrecciato, molto raramente presenta lievi bruciature. Gli insetti tra le spighe sono tutti morti, secondo alcuni studi letteralmente "esplosi", come se fossero stati esposti ad un forte calore. Un povero porcospino, trovato in un cerchio in Canada il 22 Agosto 1992 a Milestone, Saskatchewan, era schiacciato fino a raggiungere uno spessore di due centimetri e gli aculei ancora presenti sul corpo erano piegati nello stesso senso del grano.
*
Non ci sono impronte tra il grano né vicino ad esso, le spighe, inoltre, si spezzano e rovinano sotto i piedi dei primi visitatori del sito.
*
Si contano cerchi formatisi su tutte le specie di cereali, su comune erba, su neve, ghiaccio, sabbia ed una moltitudine di altri terreni.
*
All'interno di alcuni cerchi sono riscontrate anomalie dello spettro elettromagnetico e radioattivo che suscitano nausee e mal di testa. Molti sostengono che all'interno dei cerchi appena formati si può sentire un basso ronzio o, a volte, un fischio costante ed ipnotico. Le spighe piegate presentano mutazioni genetiche, con deformazione dei chicchi, ingrossamento dei nodi, esplosione dei pori delle cellule, riproducibile mettendo le spighe in un comune forno a microonde per due minuti.
*
I cerchi compaiono sempre in zone in cui gli avvistamenti UFO sono più frequenti del normale. Molti testimoni, senza prove a confermare le loro affermazioni, confermano di aver visto "sfere luminose" volare basse sui campi ad alta velocità.
I cerchi che sappiamo essere stati fatti dall'uomo presentano indizi inequivocabili della loro manifattura: buchi nel centro dove sono posti i pali di misurazione, segni del passaggio di piedi, imperfezione nei margini, dimensioni contenute, difficoltà a celare il lavoro durante la notte della creazione, spighe spesso spezzate, mai intrecciate.
Ed ora una lista di dubbi che hanno acceso la curiosità degli scettici negli ultimi anni e, speriamo, anche la vostra spingendovi ad approfondire l'argomento:
*
I cerchi fino ad oggi sono comparsi in: Inghilterra, Germania, Svezia, Irlanda, Paesi Bassi, Belgio, Francia, Italia (Agosto 1985, Zoppola, Friuli Venezia Giulia; Grosseto, Toscana, 1990, non confermato; Sicilia 1990 avvistato da un turista straniero su un aereo da turismo, località non specificata, non confermato), Spagna, Svizzera, Ungheria, Bulgaria, Russia, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Afghanistan, Turchia, Egitto, Portorico, Canada, Usa (questa lista è del 1992). Erano legati a luoghi di interesse archeologico, in particolare preistorico, solo in Inghilterra e in Germania. La coincidenza tra Gran Bretagna e Germania, essendo i cerchi tedeschi comparsi molti anni dopo quelli inglesi, potrebbe essere dovuta alla speculazione da parte degli autori dei cerchi sulla stampa Europea. Questa infatti ipotizzava un legame tra i cerchi e i monumenti preistorici già da molti anni.
*
L'aumento progressivo della complessità dei disegni sembra la prova più interessante da valutare nel caso di una manifattura umana. La raffinazione di una tecnica che di anno in anno diventa sempre più articolata è decisamente più plausibile nel caso dell'evoluzione di un arte terrestre piuttosto che aliena. La tesi degli Ufologi su un messaggio comunicato per gradi, allo scopo di non sconvolgerci, visto che comunque nessuno ha ancora interpretato i segni, appare debole ed infondata. Posto che essi vogliano parlarci attraverso formule matematiche applicate a pittogrammi di chiara ispirazione culturale - religiosa - geometrica terrestre, perché mai, se essi conoscono così bene le nostre culture, non riescono a comunicare niente al di là della loro bravura nell'esecuzione?
*
I campi di grano sono attraversati da sentieri sterrati per il passaggio dei trattori. Non esiste cerchio che non si sovrapponga ad uno di questi sentieri, perlomeno nelle centinaia di foto esistenti. Se gli autori usassero questi sentieri per cominciare l'opera si potrebbe giustificare almeno l'assenza di impronte al di fuori dei cerchi. I campi di granoturco, al contrario, non hanno questi sentieri.
*
Perché nessuno ha pensato di monitorare i campi di giorno? Essi sono tutti localizzati in aree pianeggianti, circondate da colline molto basse [la più alta (200 metri) è nell'Inghilterra del sud, mentre la Silsbury Hill, costruzione megalitica piramidale di 150 metri, attorno alla quale compaiono centinaia di segni è chiusa durante la notte]. L’eventuale attività umana nei campi nelle ore diurne passerebbe sicuramente inosservata anche se vista dall'alto. Gli autori potrebbero inoltre metterci più di una notte o di un giorno, basterebbe coprire le aree lavorate con teli mimetici, difficili da notare anche dai (pochi) aerei da turismo che ogni giorno sorvolano la zona, sempre di prima mattina, in cerca dei segni.
*
Durante l'estate migliaia di persone si recano nello Wiltshire ed organizzano veglie notturne armati di telecamere. Con loro ci sono altrettante numerose troupes di scienziati e giornalisti. Se l'apparizione dei segni coincide con l'avvistamento di queste sfere luminose, perché non esiste un solo filmato convincente del fenomeno?
*
Nausee, mal di testa e ronzii possono essere facilmente causati da autosuggestione.
Detto questo, i misteri restano molti, moltissimi, troppi, per lasciarci rassicurare da una necessaria dose di sano scetticismo. Nessuno, in definitiva, ha ancora capito come e perché questo fenomeno si verifichi in parti del mondo così lontane, attraverso il medesimo modus operandi. L'interesse dimostrato dall'esercito inglese e da quello statunitense per il fenomeno è documentato e piuttosto sospetto. Come se non bastasse i cerchi hanno la brutta tendenza ad apparire molto vicino a basi militari: il Wiltshire ne è letteralmente disseminato. Questo, naturalmente, ha dato adito ad altre speculazioni che coinvolgono armi segrete e nuove tecnologie testate sul territorio, ma qui si entra in un territorio cedevole in cui è facile cadere nel ridicolo e nell'ipotesi di complotto.
Ecco alcune foto di cerchi nel grano:
Il 15 Agosto del 1972 a Warminster, nel sud dell'Inghilterra, Bryce Bond (giornalista radiofonico americano) e Arthur Shuttlewood (ufologo britannico, figura importante nella storia del fenomeno quale testimone di molti avvistamenti e apparizioni di cerchi) si recarono sulla Stars Hill, la Collina delle Stelle, dopo il tramonto; da lì, mentre osservavano il cielo, videro due oggetti splendenti danzare in cielo.
In seguito l'americano riferì che uno di questi oggetti, di forma triangolare e lungo circa sette metri, si avvicinò e cominciò a muoversi sopra un vicino campo di grano. Sotto l'oggetto le spighe si adagiarono con grazia, a spirale, gli steli uniformemente piegati in senso orario, e in meno di un minuto si formò un grande disegno di forma triangolare, avente un diametro di 7 metri; Bond conclude il racconto dicendo che poi apparvero un secondo cerchio di 10 metri di diametro e un'ellisse affusolata. Terminato il suo disegno l'oggetto schizzò via e scomparve.
Quello di Warminster era il primo Crop Circle della storia ad avere dei testimoni; da quel giorno i cerchi comparvero regolarmente; poi nel 1990 apparvero disegni più complicati, non più singoli cerchi ma "pittogrammi" o "agroglifici".
Si è a conoscenza del fenomeno dagli Anni Settanta (testimonianze di Cerchi nel Grano ci arrivano dall'Australia nel 1966 e dagli Stati Uniti negli anni '30 e '40, ma, senza un corredo fotografico, non possono essere prese in considerazione), da quando alcuni piloti, dai loro aerei, videro stagliarsi cerchi di straordinaria bellezza e simmetria sui campi di grano maturo dell'Inghilterra meridionale. Dapprima solamente cerchi, perfettamente geometrici, questi fenomeni sono diventati sempre più complessi nella loro architettura, evolvendo di anno in anno fino a formare splendide figure.
L'esempio più stupefacente è la formazione del 13 Agosto 2001, a Milk Hill, vicino Alton Barnes, Wiltshire, Inghilterra del sud: 300 metri di diametro, formata da 409 cerchi perfettamente misurati (nella fotografia).
Il fenomeno si sviluppò anche in altri paesi e nel 1991 apparvero i primi "pittogrammi" in Germania. Ma il posto in cui vi sono stati più avvistamenti UFO e apparizioni di cerchi (quasi sempre tra aprile ed agosto) è sicuramente il Sud dell' Inghilterra, presso Warminster, una delle regioni più belle e misteriose del pianeta.
Il fatto sorprendente è che Warminster giace esattamente al centro del famoso triangolo formato da Glastonbury (collegato alla profezia biblica della "Nuova Gerusalemme", secondo cui una nuova era avrebbe avuto inizio dalla "Engelland, nome divenuto col tempo England), Avebury .
Che cosa sono dunque i cerchi nel grano? Gli investigatori partorirono diverse ipotesi sull'origine dei "Crop Circles": era la Madre Terra che reagiva in quel modo alla distruzione dell'ambiente? Erano "turbini di vento", "campi morfogenetici", "poteri telecinetici" dei ricercatori o "forze geomagnetiche"? Era stato l'atterraggio di dischi volanti a lasciare quei segni oppure, secondo la spiegazione più divertente, i cerchi erano stati impressi da ricci e porcospini nel momento della copula e in presenza dei rivali in amore che, spettatori involontari della scena, correvano in tondo a una certa distanza dalla coppia, marcando il bordo esterno dei cerchi?
Secondo gli Ufologi sono messaggi di entità extraterrestri, da decrittare prima del loro "arrivo"; pittogrammi che, attingendo dalle nostre culture, dovrebbero mediare pensiero umano e alieno permettendoci di capire queste entità senza essere scossi da uno shock culturale che minerebbe le basi delle nostre società e religioni.
Secondo Michael Hesemann (uno dei maggiori esperti in questo campo) la soluzione del mistero dei cerchi nel grano è connessa proprio con la venuta degli UFO: "I cerchi non sono che un nuovo modo con cui gli extraterrestri vogliono annunciarci il loro ritorno e, per risparmiare alla nostra cultura un terribile shock, hanno scelto questo mezzo così blando, raffinato e di grande bellezza, che prepara le nostre coscienze per gradi, ampliandone gli orizzonti". La scoperta improvvisa di intelligenze extraterrestri potrebbe infatti avere un effetto devastante che provocherebbe ansia, panico, isterismo di massa e governi in crisi.
Secondo gli scettici sono grandi opere d'arte create dall'uomo, attraverso una tecnica ancora segreta, ma certo non "aliena".
Molte associazioni si sono premurate di "creare" segni nel grano per dimostrare che era possibile realizzarli. Tra di esse il Team Satan inglese, certamente il più esperto, ha raggiunto un discreto livello realizzativo, ancora lontano però da quello dei cerchi considerati "autentici".
Lo stesso vale per i numerosi ed anzianotti signori inglesi che hanno millantato la creazione dei segni sostenendo di essersi fatti beffe del mondo intero per anni: nessuno è stato in grado di costruire un'opera convincente davanti alle telecamere.
I mezzi più diffusi sono una scala o un palo posto a centro del cerchio, una corda legata a questo perno alla quale far svolgere un giro di 360 gradi mentre uomini armati di assi la seguono piegando quattro o cinque steli alla volta con cautela, senza spezzarli. Con questo si ottengono ottimi cerchi, quasi perfetti.
Le caratteristiche dei cerchi sono molte e vanno elencate scrupolosamente per comprendere il fenomeno in tutte le sue sfumature:
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I cerchi compaiono in una notte, qualunque sia la loro dimensione, ma si sono riscontrati casi di aggiunte fatte in notti successive, anche piuttosto distanti da quella della creazione.
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I cerchi hanno un forte legame geografico con le aree preistoriche, in particolare gli antichi cerchi di pietre megalitiche, uno per tutti: Stonehenge, nel Wiltshire.
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Il grano è piegato, mai spezzato, in senso orario o antiorario, con una linea di spighe piegata nel senso opposto, sul margine, per rendere più netto il disegno. A volte, oltre che piegato, il grano è anche intrecciato, molto raramente presenta lievi bruciature. Gli insetti tra le spighe sono tutti morti, secondo alcuni studi letteralmente "esplosi", come se fossero stati esposti ad un forte calore. Un povero porcospino, trovato in un cerchio in Canada il 22 Agosto 1992 a Milestone, Saskatchewan, era schiacciato fino a raggiungere uno spessore di due centimetri e gli aculei ancora presenti sul corpo erano piegati nello stesso senso del grano.
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Non ci sono impronte tra il grano né vicino ad esso, le spighe, inoltre, si spezzano e rovinano sotto i piedi dei primi visitatori del sito.
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Si contano cerchi formatisi su tutte le specie di cereali, su comune erba, su neve, ghiaccio, sabbia ed una moltitudine di altri terreni.
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All'interno di alcuni cerchi sono riscontrate anomalie dello spettro elettromagnetico e radioattivo che suscitano nausee e mal di testa. Molti sostengono che all'interno dei cerchi appena formati si può sentire un basso ronzio o, a volte, un fischio costante ed ipnotico. Le spighe piegate presentano mutazioni genetiche, con deformazione dei chicchi, ingrossamento dei nodi, esplosione dei pori delle cellule, riproducibile mettendo le spighe in un comune forno a microonde per due minuti.
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I cerchi compaiono sempre in zone in cui gli avvistamenti UFO sono più frequenti del normale. Molti testimoni, senza prove a confermare le loro affermazioni, confermano di aver visto "sfere luminose" volare basse sui campi ad alta velocità.
I cerchi che sappiamo essere stati fatti dall'uomo presentano indizi inequivocabili della loro manifattura: buchi nel centro dove sono posti i pali di misurazione, segni del passaggio di piedi, imperfezione nei margini, dimensioni contenute, difficoltà a celare il lavoro durante la notte della creazione, spighe spesso spezzate, mai intrecciate.
Ed ora una lista di dubbi che hanno acceso la curiosità degli scettici negli ultimi anni e, speriamo, anche la vostra spingendovi ad approfondire l'argomento:
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I cerchi fino ad oggi sono comparsi in: Inghilterra, Germania, Svezia, Irlanda, Paesi Bassi, Belgio, Francia, Italia (Agosto 1985, Zoppola, Friuli Venezia Giulia; Grosseto, Toscana, 1990, non confermato; Sicilia 1990 avvistato da un turista straniero su un aereo da turismo, località non specificata, non confermato), Spagna, Svizzera, Ungheria, Bulgaria, Russia, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Afghanistan, Turchia, Egitto, Portorico, Canada, Usa (questa lista è del 1992). Erano legati a luoghi di interesse archeologico, in particolare preistorico, solo in Inghilterra e in Germania. La coincidenza tra Gran Bretagna e Germania, essendo i cerchi tedeschi comparsi molti anni dopo quelli inglesi, potrebbe essere dovuta alla speculazione da parte degli autori dei cerchi sulla stampa Europea. Questa infatti ipotizzava un legame tra i cerchi e i monumenti preistorici già da molti anni.
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L'aumento progressivo della complessità dei disegni sembra la prova più interessante da valutare nel caso di una manifattura umana. La raffinazione di una tecnica che di anno in anno diventa sempre più articolata è decisamente più plausibile nel caso dell'evoluzione di un arte terrestre piuttosto che aliena. La tesi degli Ufologi su un messaggio comunicato per gradi, allo scopo di non sconvolgerci, visto che comunque nessuno ha ancora interpretato i segni, appare debole ed infondata. Posto che essi vogliano parlarci attraverso formule matematiche applicate a pittogrammi di chiara ispirazione culturale - religiosa - geometrica terrestre, perché mai, se essi conoscono così bene le nostre culture, non riescono a comunicare niente al di là della loro bravura nell'esecuzione?
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I campi di grano sono attraversati da sentieri sterrati per il passaggio dei trattori. Non esiste cerchio che non si sovrapponga ad uno di questi sentieri, perlomeno nelle centinaia di foto esistenti. Se gli autori usassero questi sentieri per cominciare l'opera si potrebbe giustificare almeno l'assenza di impronte al di fuori dei cerchi. I campi di granoturco, al contrario, non hanno questi sentieri.
*
Perché nessuno ha pensato di monitorare i campi di giorno? Essi sono tutti localizzati in aree pianeggianti, circondate da colline molto basse [la più alta (200 metri) è nell'Inghilterra del sud, mentre la Silsbury Hill, costruzione megalitica piramidale di 150 metri, attorno alla quale compaiono centinaia di segni è chiusa durante la notte]. L’eventuale attività umana nei campi nelle ore diurne passerebbe sicuramente inosservata anche se vista dall'alto. Gli autori potrebbero inoltre metterci più di una notte o di un giorno, basterebbe coprire le aree lavorate con teli mimetici, difficili da notare anche dai (pochi) aerei da turismo che ogni giorno sorvolano la zona, sempre di prima mattina, in cerca dei segni.
*
Durante l'estate migliaia di persone si recano nello Wiltshire ed organizzano veglie notturne armati di telecamere. Con loro ci sono altrettante numerose troupes di scienziati e giornalisti. Se l'apparizione dei segni coincide con l'avvistamento di queste sfere luminose, perché non esiste un solo filmato convincente del fenomeno?
*
Nausee, mal di testa e ronzii possono essere facilmente causati da autosuggestione.
Detto questo, i misteri restano molti, moltissimi, troppi, per lasciarci rassicurare da una necessaria dose di sano scetticismo. Nessuno, in definitiva, ha ancora capito come e perché questo fenomeno si verifichi in parti del mondo così lontane, attraverso il medesimo modus operandi. L'interesse dimostrato dall'esercito inglese e da quello statunitense per il fenomeno è documentato e piuttosto sospetto. Come se non bastasse i cerchi hanno la brutta tendenza ad apparire molto vicino a basi militari: il Wiltshire ne è letteralmente disseminato. Questo, naturalmente, ha dato adito ad altre speculazioni che coinvolgono armi segrete e nuove tecnologie testate sul territorio, ma qui si entra in un territorio cedevole in cui è facile cadere nel ridicolo e nell'ipotesi di complotto.
Ecco alcune foto di cerchi nel grano:
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Re: thriller e co.
Le streghe
Le Streghe e la Stregoneria Diabolica Le Streghe e la Stregoneria Diabolica
All'inizio dell'Era Cristana, la Chiesa fu relativamente tollerante circa le pratiche magiche. Tutti coloro che erano ritenuti praticare la stregoneria, erano solamente condannati a pagare un'ammenda. Ma nel Medio Evo (dal tredicesimo al quattordicesimo secolo) l'opposizione verso la stregoneria crebbe particolarmente, come risultato della crescente credenza che ogni magia o miracolo non operato con certezza da Dio, era operato dal Diavolo ed era pertanto una manifestazione perversa.
Coloro i quali praticavano la stregoneria come le donne sapienti dei villaggi, furono sempre più guardate come delle praticanti la stregoneria diabolica. Esse furono viste come individui in connessione con Satana.
Quasi tutte le persone che furono sospettate di praticare la stregoneria erano donne, evidentemente percepite come streghe suscettibili di ricevere la benedizione del Diavolo.
Emersero nel pensiero popolare delle visioni spettrali dell'attivitá delle streghe, quale il patto con il Diavolo e le sedute con Satana. L'immagine popolare delle streghe, forse ispirata da fatti dell'occultismo, da cerimonie magiche e dalla teologia riguardante il Diavolo e il suo mondo delle tenebre, prese forma dall'immaginazione infiammata degli inquisitori e fu confermata da confessioni ottenute sotto la tortura.
Le Streghe e la Stregoneria Diabolica Le Streghe e l'Inquisizione
La medioevale e moderna immagine della stregoneria diabolica può essere attribuita a diverse cause. La prima, dall'esperianza della Chiesa con questi religiosi dissidenti, quali gli Albigeni ed i Catari, i quali credevano in un radicale dualismo Dio e Diavolo, la quale condusse a credere che certe persone erano alleate con Satana. Come risultato del confronto di tale eresia, fu instaurata l'Inquisizione con una serie di decreti papali fra il 1227 ed il 1235. Il Papa Innocente IV autorizzò l'uso della tortura nel 1252 ed il Papa Alessandro IV diede all'Inquisizione ogni autoritá circa ogni caso di stregoneria coinvolgente l'eresia, sebbene molte persecuzioni di streghe furono condotte da corti locali.
Nello stesso tempo, altri sviluppi crearono un clima nel quale le streghe furono stigmatizzate come rappresentanti del Diavolo. Sino dalla metá dell'undicesimo secolo, il lavoro teologico e filosofico dello scolasticismo fu raffinato dal concetto cristiano di Satana e del Diavolo. I teologi, influenzati dal razionalismo aristoteliano, rifiutarono sempre più il fatto che potessero avverarsi dei miracoli "naturali" e pertanto ritennero che qualsiasi manifestazione sovrannaturale e non di Dio dovesse essere dovuta al commercio con Satana o dai suoi protetti.
Le Streghe e la Stregoneria Diabolica La Caccia alle Streghe
Alla fine del Rinascimento (dal quindicesimo al sedicesimo secolo) alcuni di questi pensieri iniziarono a coalizzarsi nell "caccia alle streghe" che infiammò l'Europa fra il 1450 ed il 1700. Durante questo periodo furono messe a morte migliaia di donne innocenti, sulla base di "prove" o "confessioni" di essere streghe o di praticare la stregoneria in congiunzione con Satana, ottenute ricorrendo ad atroci torture.
L'impeto maggiore per questa isteria fu la bolla papale Summis Desiderantes emessa dal Papa Innocente III (il martello delle streghe) pubblicato da due inquisitori dominicani nel 1486. Questo lavolo, caratterizzato da un particolare astio verso le donne, descriveva dettagliatamente l'abominio satanico e sessuale delle streghe. Il libro fu tradotto in molte lingue e apparse in parecchie edizioni sia cattoliche che protestanti, vendendo più ogni altro scritto, eccetto la Bibbia.
Le Streghe e la Stregoneria Diabolica La Persecuzione alle Streghe
Durante gli anni della caccia alle streghe, la gente fu incoraggiata a denunciarsi vicendevolmente. Cacciatori di streghe professionisti identificavano e testavano i sospetti di stregoneria e venivano retribuiti a fronte di ogni confessione di essere una strega o di praticare la stregoneria. Il test più comune fu quello di trafiggere: ogni strega fu supposta avere un marchio del Diavolo da qualche parte nel loro corpo che era insensibile al dolore; se questo punto veniva trovato, veniva preso come prova di essere una strega.
Altri test includevano l'identificazione di seni addizionali (supposti essere usati per allattare i familiari), l'incapacitá di stare a galla (la donna veniva immersa in un recipiente pieno d'acqua: se annegava era considerata innocente, ma se stava a galla era considerata colpevole!
La persecuzione delle streghe declinò verso il 1700 bandita dall'era dell'Illuminismo che vedeva queste cose con scetticismo. Una delle ultime caccia alle streghe fu operata nella colonia del Massachusetts nel 1692 quando la credenza delle streghe diaboliche era ben in declino in Europa. Furono uccise venti persone durante un tentativo di operare un rituale Salem di streghe che fu eseguito dopo che un gruppo di giovani donne divenne isterico operando della magia; venne pertanto loro proposto di divenire streghe. La seguente caccia alle streghe ebbe corso nel contesto di una profonda divisione della Chiesa ed i suoi controversi ministri. Si esacerbarono le differenze personali in una piccola ed isolata comunitá nella quale le credenze religiose legate alla presenza di streghe diaboliche erano fortemente presenti.
La credenza circa le streghe diaboliche remane presente in India, Africa, America Latina ed altri paesi. La credenza nella possibilitá che qualcuno possa operare atti diabolici di stregoneria, puó essere ancora trovata in taluni Cristiani conservatori.
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Le Streghe e la Stregoneria Diabolica Le Streghe e la Stregoneria Diabolica
All'inizio dell'Era Cristana, la Chiesa fu relativamente tollerante circa le pratiche magiche. Tutti coloro che erano ritenuti praticare la stregoneria, erano solamente condannati a pagare un'ammenda. Ma nel Medio Evo (dal tredicesimo al quattordicesimo secolo) l'opposizione verso la stregoneria crebbe particolarmente, come risultato della crescente credenza che ogni magia o miracolo non operato con certezza da Dio, era operato dal Diavolo ed era pertanto una manifestazione perversa.
Coloro i quali praticavano la stregoneria come le donne sapienti dei villaggi, furono sempre più guardate come delle praticanti la stregoneria diabolica. Esse furono viste come individui in connessione con Satana.
Quasi tutte le persone che furono sospettate di praticare la stregoneria erano donne, evidentemente percepite come streghe suscettibili di ricevere la benedizione del Diavolo.
Emersero nel pensiero popolare delle visioni spettrali dell'attivitá delle streghe, quale il patto con il Diavolo e le sedute con Satana. L'immagine popolare delle streghe, forse ispirata da fatti dell'occultismo, da cerimonie magiche e dalla teologia riguardante il Diavolo e il suo mondo delle tenebre, prese forma dall'immaginazione infiammata degli inquisitori e fu confermata da confessioni ottenute sotto la tortura.
Le Streghe e la Stregoneria Diabolica Le Streghe e l'Inquisizione
La medioevale e moderna immagine della stregoneria diabolica può essere attribuita a diverse cause. La prima, dall'esperianza della Chiesa con questi religiosi dissidenti, quali gli Albigeni ed i Catari, i quali credevano in un radicale dualismo Dio e Diavolo, la quale condusse a credere che certe persone erano alleate con Satana. Come risultato del confronto di tale eresia, fu instaurata l'Inquisizione con una serie di decreti papali fra il 1227 ed il 1235. Il Papa Innocente IV autorizzò l'uso della tortura nel 1252 ed il Papa Alessandro IV diede all'Inquisizione ogni autoritá circa ogni caso di stregoneria coinvolgente l'eresia, sebbene molte persecuzioni di streghe furono condotte da corti locali.
Nello stesso tempo, altri sviluppi crearono un clima nel quale le streghe furono stigmatizzate come rappresentanti del Diavolo. Sino dalla metá dell'undicesimo secolo, il lavoro teologico e filosofico dello scolasticismo fu raffinato dal concetto cristiano di Satana e del Diavolo. I teologi, influenzati dal razionalismo aristoteliano, rifiutarono sempre più il fatto che potessero avverarsi dei miracoli "naturali" e pertanto ritennero che qualsiasi manifestazione sovrannaturale e non di Dio dovesse essere dovuta al commercio con Satana o dai suoi protetti.
Le Streghe e la Stregoneria Diabolica La Caccia alle Streghe
Alla fine del Rinascimento (dal quindicesimo al sedicesimo secolo) alcuni di questi pensieri iniziarono a coalizzarsi nell "caccia alle streghe" che infiammò l'Europa fra il 1450 ed il 1700. Durante questo periodo furono messe a morte migliaia di donne innocenti, sulla base di "prove" o "confessioni" di essere streghe o di praticare la stregoneria in congiunzione con Satana, ottenute ricorrendo ad atroci torture.
L'impeto maggiore per questa isteria fu la bolla papale Summis Desiderantes emessa dal Papa Innocente III (il martello delle streghe) pubblicato da due inquisitori dominicani nel 1486. Questo lavolo, caratterizzato da un particolare astio verso le donne, descriveva dettagliatamente l'abominio satanico e sessuale delle streghe. Il libro fu tradotto in molte lingue e apparse in parecchie edizioni sia cattoliche che protestanti, vendendo più ogni altro scritto, eccetto la Bibbia.
Le Streghe e la Stregoneria Diabolica La Persecuzione alle Streghe
Durante gli anni della caccia alle streghe, la gente fu incoraggiata a denunciarsi vicendevolmente. Cacciatori di streghe professionisti identificavano e testavano i sospetti di stregoneria e venivano retribuiti a fronte di ogni confessione di essere una strega o di praticare la stregoneria. Il test più comune fu quello di trafiggere: ogni strega fu supposta avere un marchio del Diavolo da qualche parte nel loro corpo che era insensibile al dolore; se questo punto veniva trovato, veniva preso come prova di essere una strega.
Altri test includevano l'identificazione di seni addizionali (supposti essere usati per allattare i familiari), l'incapacitá di stare a galla (la donna veniva immersa in un recipiente pieno d'acqua: se annegava era considerata innocente, ma se stava a galla era considerata colpevole!
La persecuzione delle streghe declinò verso il 1700 bandita dall'era dell'Illuminismo che vedeva queste cose con scetticismo. Una delle ultime caccia alle streghe fu operata nella colonia del Massachusetts nel 1692 quando la credenza delle streghe diaboliche era ben in declino in Europa. Furono uccise venti persone durante un tentativo di operare un rituale Salem di streghe che fu eseguito dopo che un gruppo di giovani donne divenne isterico operando della magia; venne pertanto loro proposto di divenire streghe. La seguente caccia alle streghe ebbe corso nel contesto di una profonda divisione della Chiesa ed i suoi controversi ministri. Si esacerbarono le differenze personali in una piccola ed isolata comunitá nella quale le credenze religiose legate alla presenza di streghe diaboliche erano fortemente presenti.
La credenza circa le streghe diaboliche remane presente in India, Africa, America Latina ed altri paesi. La credenza nella possibilitá che qualcuno possa operare atti diabolici di stregoneria, puó essere ancora trovata in taluni Cristiani conservatori.
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Il mostro di Lockness
La storia del mostro più famoso del mondo nasce nel lontano marzo del 1933, quando fra gli abitanti dei villaggi scozzesi comincia a circolare una leggenda tramandata fin dal 665 dopo Cristo. Eccola: nel Loch Ness (Loch, nell' antico dialetto locale gaelico, significa "lago") vive un essere enorme e misterioso. Per scoprire se la storia è vera, qualche mese dopo il giornale inglese Daily Mail ingaggia un famoso esploratore, dallo stravagante nome di Marmaduke Wetherell.
Pieno di entusiasmo, il grand' uomo si precipita in Scozia e in poco tempo, praticamente nel giro di tre giorni, riesce in una straordinaria impresa: fotografare le orme del mostro! Si tratta di due impronte chiarissime, del diametro di una ventina di centimetri, che potrebbero essere state lasciate solo da un animale alto almeno sei metri. E così, il 18 dicembre, il Daily Mail pubblica in prima pagina la grande notizia: "Il mostro di Loch Ness è un fatto, non una leggenda". Incauta affermazione! Neanche una settimana dopo, il Museo londinese di Storia Naturale, a cui erano stati inviati i calchi delle impronte, comunica che le suddette non hanno nulla a che vedere con mostri, ma sono state lasciate da zoccoli essiccati di ippopotamo (che ai quei tempi erano usati come sostegno per gli ombrelloni da spiaggia). Per Marmaduke è uno smacco terribile. Ma la riabilitazione è vicina: tre mesi dopo un medico londinese, Robert Wilson, consegna al Daily Mail una prova inconfutabile: la storica foto in cui dalla superficie del lago emerge il collo lunghissimo di una specie di sauro preistorico.L'ha scattata, dice, per caso. Per questo l'immagine non è molto chiara. Ma tanto basta per far nascere ufficialmente "Nessie". Da quel giorno il lago non ha più avuto pace: curiosi e scienziati si sono avvicendati sulle sue rive per trovare altre prove dell' esistenza del mostro. Sonar e palombari, sommergibili e scandagli hanno percorso in lungo e in largo le acque misteriose, ma ogni volta Nessie si è fatto beffe dei suoi cacciatori e delle loro apparecchiature. Sì, qualche volta è ancora apparso in qualche immagine poco nitida o è spuntato in mezzo al lago in una sera nebbiosa, ma nessuno è mai riuscito a mettergli il laccio al collo. Né, probabilmente, mai ci riuscirà. Sì, perché l'ultimo discendente di Marmaduke, il figliastro Christian Spurling, scomparso novantenne nel novembre del 1993, prima di morire ha confessato che la famosa foto di Nessie era un trucco: il mostro altro non era che un sottomarino giocattolo a cui era stato incollato un collo serpentino fatto di pasta di legno! Lo scherzo era stato ideato da Marmaduke stesso per vendicarsi di coloro che avevano riso delle sue impronte.
La storia del mostro più famoso del mondo nasce nel lontano marzo del 1933, quando fra gli abitanti dei villaggi scozzesi comincia a circolare una leggenda tramandata fin dal 665 dopo Cristo. Eccola: nel Loch Ness (Loch, nell' antico dialetto locale gaelico, significa "lago") vive un essere enorme e misterioso. Per scoprire se la storia è vera, qualche mese dopo il giornale inglese Daily Mail ingaggia un famoso esploratore, dallo stravagante nome di Marmaduke Wetherell.
Pieno di entusiasmo, il grand' uomo si precipita in Scozia e in poco tempo, praticamente nel giro di tre giorni, riesce in una straordinaria impresa: fotografare le orme del mostro! Si tratta di due impronte chiarissime, del diametro di una ventina di centimetri, che potrebbero essere state lasciate solo da un animale alto almeno sei metri. E così, il 18 dicembre, il Daily Mail pubblica in prima pagina la grande notizia: "Il mostro di Loch Ness è un fatto, non una leggenda". Incauta affermazione! Neanche una settimana dopo, il Museo londinese di Storia Naturale, a cui erano stati inviati i calchi delle impronte, comunica che le suddette non hanno nulla a che vedere con mostri, ma sono state lasciate da zoccoli essiccati di ippopotamo (che ai quei tempi erano usati come sostegno per gli ombrelloni da spiaggia). Per Marmaduke è uno smacco terribile. Ma la riabilitazione è vicina: tre mesi dopo un medico londinese, Robert Wilson, consegna al Daily Mail una prova inconfutabile: la storica foto in cui dalla superficie del lago emerge il collo lunghissimo di una specie di sauro preistorico.L'ha scattata, dice, per caso. Per questo l'immagine non è molto chiara. Ma tanto basta per far nascere ufficialmente "Nessie". Da quel giorno il lago non ha più avuto pace: curiosi e scienziati si sono avvicendati sulle sue rive per trovare altre prove dell' esistenza del mostro. Sonar e palombari, sommergibili e scandagli hanno percorso in lungo e in largo le acque misteriose, ma ogni volta Nessie si è fatto beffe dei suoi cacciatori e delle loro apparecchiature. Sì, qualche volta è ancora apparso in qualche immagine poco nitida o è spuntato in mezzo al lago in una sera nebbiosa, ma nessuno è mai riuscito a mettergli il laccio al collo. Né, probabilmente, mai ci riuscirà. Sì, perché l'ultimo discendente di Marmaduke, il figliastro Christian Spurling, scomparso novantenne nel novembre del 1993, prima di morire ha confessato che la famosa foto di Nessie era un trucco: il mostro altro non era che un sottomarino giocattolo a cui era stato incollato un collo serpentino fatto di pasta di legno! Lo scherzo era stato ideato da Marmaduke stesso per vendicarsi di coloro che avevano riso delle sue impronte.
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L' abominevole uomo delle nevi
Passo di Lapka, a quota 6.800 metri. Una gelida mattina del 22 settembre 1921. Gli uomini della spedizione del colonnello Howard Bury stanno tentando il primo assalto all'Everest. Procedono a fatica, affondando i piedi nella neve sottile. Qua e là appaiono ancora le orme lasciate da lepri e volpi. A un tratto i portatori guida nepalesi, i famosi sherpa, lanciano un urlo e si fermano rifiutando decisamente di proseguire. Hanno visto una strana impronta: è diversa da tutte le altre ma loro la conoscono bene e ne sono spaventati: l'ha lasciata, dicono, lo Yeti, l'essere che temono di più fra le montagne. Nessuno della spedizione riuscirà mai a scorgerlo, ma la notizia si diffonde e arriva ben presto ai quotidiani di tutto il mondo: milioni di persone vengono così a scoprire un personaggio inquietante il cui stesso nome, Yeti, indica nella lingua del Nepal qualcosa di selvaggio, di mostruoso.Ma la misteriosa creatura è chiamata dai nepalesi anche Migo, cioè" uomo sporco", e Metch kangmi, cioè "puzzolente essere delle nevi". Il che, detto da chi vive coperto di pellicce mal conciate, sembrerebbe indicare due cose: , che chi l'ha "battezzato" così gli è andato molto vicino; , che la "bestia" misteriosa deve avere proprio un odore speciale. Tanto bastò agli europei per accettarne l'esistenza e, quindi, coniarne il nome scientifico Homo nivens disgustans, poi diventato il più celebre "abominevole uomo delle nevi". Abominevole, dunque, a causa del suo odore terribile. Come se fosse facile procurarsi una saponetta sull'Himalaya! Da quel famoso giorno di settembre si apre la "caccia" allo Yeti e i ritrovamenti sono numerosi. Molti sono senza fondamento, come lo strano scalpo che un lama sostiene appartenere al "mostro" e invece si rivela un semplice pezzo di pelle di capra. Altri invece sono più concreti, come le impronte di un piede nudo (brrr...) fotografate nel 1951, a oltre 5.000 metri di quota, dallo scalatore inglese Eric Shipton: hanno una forma insolita e sono lunghe ben 33 centimetri (corrisponderebbero a una "scarpina" numero 52!).
È questa forse l'unica prova dell' esistenza lassù di qualcosa di strano... Poi ci sono le testimonianze degli abitanti di quelle aspre montagne. Si scopre così che in realtà secondo gli sherpa gli Yeti appartengono a tre tipi: il Chutrey, dal pellame scuro, alto anche tre metri ma vegetariano e del tutto innocuo; il Mithe, più basso e di pelo rossiccio, che si nutre di piccoli mammiferi e fugge di fronte all' uomo; e infine il Metrey, che sarebbe il vero Yeti. Quest'ultimo è alto circa due metri, ha il corpo ricoperto di fitti peli bruni o grigi e un cranio appuntito. È molto agile, ha lunghe braccia, mani e piedi enormi. Sa grugnire e fischiare e non teme l'uomo, anzi: se disturbato può aggredirlo e addirittura mangiarlo. Non mancano infine gli avvistamenti compiuti da personaggi illustri, primo fra tutti quello dell' alpinista Reinhold Messner che ha promesso in futuro importanti rivelazioni! Dobbiamo dunque credere o dubitare dell' esistenza dello Yeti? E se esiste, di cosa si tratta esattamente? Secondo alcuni lo Yeti sarebbe il discendente di una scimmia enorme, il gigantopiteco, vissuto fra 8 e 1 milione di anni fa nelle pianure dell'India e della Cina e che da lì si sarebbe rifugiato nelle regioni himalayane.Dite che è un'ipotesi troppo fantasiosa? No, ribattono i suoi sostenitori, se si pensa che il panda era suo contemporaneo, che è ancora vivo e che è stato scoperto solo il secolo scorso! Altri sostengono che si tratterebbe di uno degli ultimi esemplari dell' uomo di Neanderthal, che circa 10.000 anni fa scomparve misteriosamente, forse per sfuggire l' Homo sapiens sapiens, cioè la nostra stessa specie. (In proposito, lo scienziato Vlaclimir Tschernesky ha confrontato le impronte di uno Yeti con quelle dei neanderthaliani che abitarono la grotta di Toirano, nel Savonese: e ci credereste? combaciano!). Questi superstiti avrebbero cercato scampo sull'Himalaya e in altri luoghi inospitali che, dunque, darebbero rifugio ad altrettanti" cugini" del più famoso Yeti. Fra questi spicca il simpatico Bigfoot, o "Piedone" americano, un essere enorme e peloso che, secondo i pochi testimoni che lo hanno scorto, se la dà a gambe non appena si imbatte in un uomo. Come se lui, al pari dei suoi strani simili, avesse paura di noi e della nostra civiltà. Voi che ne dite? Potreste onestamente dargli torto?
Passo di Lapka, a quota 6.800 metri. Una gelida mattina del 22 settembre 1921. Gli uomini della spedizione del colonnello Howard Bury stanno tentando il primo assalto all'Everest. Procedono a fatica, affondando i piedi nella neve sottile. Qua e là appaiono ancora le orme lasciate da lepri e volpi. A un tratto i portatori guida nepalesi, i famosi sherpa, lanciano un urlo e si fermano rifiutando decisamente di proseguire. Hanno visto una strana impronta: è diversa da tutte le altre ma loro la conoscono bene e ne sono spaventati: l'ha lasciata, dicono, lo Yeti, l'essere che temono di più fra le montagne. Nessuno della spedizione riuscirà mai a scorgerlo, ma la notizia si diffonde e arriva ben presto ai quotidiani di tutto il mondo: milioni di persone vengono così a scoprire un personaggio inquietante il cui stesso nome, Yeti, indica nella lingua del Nepal qualcosa di selvaggio, di mostruoso.Ma la misteriosa creatura è chiamata dai nepalesi anche Migo, cioè" uomo sporco", e Metch kangmi, cioè "puzzolente essere delle nevi". Il che, detto da chi vive coperto di pellicce mal conciate, sembrerebbe indicare due cose: , che chi l'ha "battezzato" così gli è andato molto vicino; , che la "bestia" misteriosa deve avere proprio un odore speciale. Tanto bastò agli europei per accettarne l'esistenza e, quindi, coniarne il nome scientifico Homo nivens disgustans, poi diventato il più celebre "abominevole uomo delle nevi". Abominevole, dunque, a causa del suo odore terribile. Come se fosse facile procurarsi una saponetta sull'Himalaya! Da quel famoso giorno di settembre si apre la "caccia" allo Yeti e i ritrovamenti sono numerosi. Molti sono senza fondamento, come lo strano scalpo che un lama sostiene appartenere al "mostro" e invece si rivela un semplice pezzo di pelle di capra. Altri invece sono più concreti, come le impronte di un piede nudo (brrr...) fotografate nel 1951, a oltre 5.000 metri di quota, dallo scalatore inglese Eric Shipton: hanno una forma insolita e sono lunghe ben 33 centimetri (corrisponderebbero a una "scarpina" numero 52!).
È questa forse l'unica prova dell' esistenza lassù di qualcosa di strano... Poi ci sono le testimonianze degli abitanti di quelle aspre montagne. Si scopre così che in realtà secondo gli sherpa gli Yeti appartengono a tre tipi: il Chutrey, dal pellame scuro, alto anche tre metri ma vegetariano e del tutto innocuo; il Mithe, più basso e di pelo rossiccio, che si nutre di piccoli mammiferi e fugge di fronte all' uomo; e infine il Metrey, che sarebbe il vero Yeti. Quest'ultimo è alto circa due metri, ha il corpo ricoperto di fitti peli bruni o grigi e un cranio appuntito. È molto agile, ha lunghe braccia, mani e piedi enormi. Sa grugnire e fischiare e non teme l'uomo, anzi: se disturbato può aggredirlo e addirittura mangiarlo. Non mancano infine gli avvistamenti compiuti da personaggi illustri, primo fra tutti quello dell' alpinista Reinhold Messner che ha promesso in futuro importanti rivelazioni! Dobbiamo dunque credere o dubitare dell' esistenza dello Yeti? E se esiste, di cosa si tratta esattamente? Secondo alcuni lo Yeti sarebbe il discendente di una scimmia enorme, il gigantopiteco, vissuto fra 8 e 1 milione di anni fa nelle pianure dell'India e della Cina e che da lì si sarebbe rifugiato nelle regioni himalayane.Dite che è un'ipotesi troppo fantasiosa? No, ribattono i suoi sostenitori, se si pensa che il panda era suo contemporaneo, che è ancora vivo e che è stato scoperto solo il secolo scorso! Altri sostengono che si tratterebbe di uno degli ultimi esemplari dell' uomo di Neanderthal, che circa 10.000 anni fa scomparve misteriosamente, forse per sfuggire l' Homo sapiens sapiens, cioè la nostra stessa specie. (In proposito, lo scienziato Vlaclimir Tschernesky ha confrontato le impronte di uno Yeti con quelle dei neanderthaliani che abitarono la grotta di Toirano, nel Savonese: e ci credereste? combaciano!). Questi superstiti avrebbero cercato scampo sull'Himalaya e in altri luoghi inospitali che, dunque, darebbero rifugio ad altrettanti" cugini" del più famoso Yeti. Fra questi spicca il simpatico Bigfoot, o "Piedone" americano, un essere enorme e peloso che, secondo i pochi testimoni che lo hanno scorto, se la dà a gambe non appena si imbatte in un uomo. Come se lui, al pari dei suoi strani simili, avesse paura di noi e della nostra civiltà. Voi che ne dite? Potreste onestamente dargli torto?
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Re: thriller e co.
SPETTRI
I fantasmi, nella tradizione, sono spiriti di morti che non hanno trovato la pace per qualche motivo e che di conseguenza continuano a vagare su questa terra, in genere nel luogo dove avvenne il fatto (spesso una morte violenta) che generò la loro inquietudine.
Il fenomeno "infestazione" è antico come la storia dell'umanità (si narra che lo spettro di Giulio Cesare sia apparso a Bruto prima della battaglia di Filippi) e la prima testimonianza scritta è arrivata già nel primo secolo in una lettera di Plinio il Giovane (61-113 d.C.) in cui si racconta come il filosofo Atenodoro avesse risolto un caso di infestazione ad Atene, dando la giusta sepoltura alle ossa del fantasma che appariva nella casa.
Da allora moltissime sono le testimonianze e leggende che hanno accompagnato la storia dell'uomo.
Ma quanto c'è di vero in queste storie?
Ovviamente nessuno può dirlo ma secondo recenti statistiche almeno il dieci per cento della popolazione mondiale ha visto o sentito qualcosa. Nel corso dei secoli, diversi autorevoli studiosi hanno esaminato con molta attenzione il problema e hanno stilato una casistica, dato che i fantasmi e le manifestazioni non sono tutte uguali.
L'inghilterra vanta una lunga tradizione di fantasmi, di case infestate e di cacciatori di fantasmi.
Harry Price 1881-1948 studiò i fenomeni del Rettorato di Borley, la casa più infestata in Inghilterra. Peter Underwood appartenente al Ghost Club, dopo 40 anni di ricerche e appostamenti notturni in case infestate è diventato una vera e propria autorità in materia e ha scritto moltissimi libri. Nella sua Guida al Cacciatore di Fantasmi egli scrive che esistono differenti spettri:
1) Residui psichici. Questi spettri appaiono sempre nello stesso identico modo, riproducono gli stessi gesti, ripetono gli stessi suoni come in un film. Essi seguono i percorsi del vecchio edificio; ad esempio passano un muro se una volta lì esisteva una porta che in seguito è stata murata. Forse si tratta del residuo psichico di un vivente che in condizioni favorevoli può essere percepito da un osservatore sensitivo. Appena l'osservatore si sposta lo spettro scompare perché cambia l'angolo di visuale.
2) Spettri storici. Sono spettri che sembrano legati ad antiche dimore e che sono diventati famosi. Es. la "Dama Bianca".
3) Spettri ciclici. Sono spettri che appaiono solo in un certo periodo di tempo seguendo ricorrenze annuali, decennali, secolari...
4) Spettri moderni. Si tratta di spettri di persone morte recentemente. Esempio lo spettro del pilota Bob Loft visto circa 20 volte dopo che il suo aereo dell'Eastern Airline Volo 401 si è fracassato in Florida nel dicembre 1979 uccidendo 101 persone.
5) Spettri dei viventi. Gli spettri di persone addormentate o in stato di incoscienza sono stati visti da parenti o amici. A volte durante il sonno lo spirito (il doppio) del dormiente lascia momentaneamente il corpo.
6) Spettri di moribondi. Categoria molto comune. Spettri di persone in punto di morte appaiono talvolta ai parenti, ed essi comprendono che il loro familiare è in pericolo.
7) Spettri di famiglia. Sono apparizioni di figure simboliche (es. Dame velate, Banshee che piangono in Scozia...) che preannunciano la morte di un familiare.
8) Oggetti infestati. Sono gli oggetti che ritengono l'influenza, buona o malvagia, del loro possessore (es. il teschio di Bettiscombe Manor, che urlava ogni volta che veniva allontanato dalla sua villa).
9) Spettri fraudolenti. Sono frutto di frode per burla o gioco.
10) Spettri dei morti. Sono spettri di persone decedute da poco che appaiono per un breve periodo ai familiari o amici con uno scopo ben preciso: riparare un torto, rivelare l'esistenza di un testamento, ecc.
11) Spettri di animali. Molti spettri di cavalli,cani sono stati visti negli Stati Uniti e in Europa, e anche di gatti, pecore, uccelli, animali selvatici e perfino lo spettro di un maiale.
12) Poltergeist. E' una parola tedesca e significa: spirito rumoroso. Non bisogna confondere i fenomeni poltergeist con gli spettri. Il poltergeist comprende manifestazioni paranormali tipo: sollevamento di oggetti, movimento di oggetti, lampadine che esplodono, acqua che sgorga dai muri, pioggia di pietre, ecc. Il fenomeno è documentatissimo e fotografato. Il poltergeist avviene in presenza di un adolescente psichico con conflitti, insoddisfazioni, frustrazioni. L'adolescente (o il giovane, o l'handicappato) scatena senza volerlo una energia sconosciuta e questa energia va a colpire gli oggetti. Il poltergeist scompare da solo con il tempo e non è mai pericoloso.
13) Infestazione. E' la presenza, in un luogo, di manifestazioni paranormali tipo: venti freddi, odori, colpi battuti, ecc. Nel poltergeist quando l'adolescente in crisi va via, i fenomeni cessano subito. Nell'infestazione i fenomeni rimangono.
I fantasmi, nella tradizione, sono spiriti di morti che non hanno trovato la pace per qualche motivo e che di conseguenza continuano a vagare su questa terra, in genere nel luogo dove avvenne il fatto (spesso una morte violenta) che generò la loro inquietudine.
Il fenomeno "infestazione" è antico come la storia dell'umanità (si narra che lo spettro di Giulio Cesare sia apparso a Bruto prima della battaglia di Filippi) e la prima testimonianza scritta è arrivata già nel primo secolo in una lettera di Plinio il Giovane (61-113 d.C.) in cui si racconta come il filosofo Atenodoro avesse risolto un caso di infestazione ad Atene, dando la giusta sepoltura alle ossa del fantasma che appariva nella casa.
Da allora moltissime sono le testimonianze e leggende che hanno accompagnato la storia dell'uomo.
Ma quanto c'è di vero in queste storie?
Ovviamente nessuno può dirlo ma secondo recenti statistiche almeno il dieci per cento della popolazione mondiale ha visto o sentito qualcosa. Nel corso dei secoli, diversi autorevoli studiosi hanno esaminato con molta attenzione il problema e hanno stilato una casistica, dato che i fantasmi e le manifestazioni non sono tutte uguali.
L'inghilterra vanta una lunga tradizione di fantasmi, di case infestate e di cacciatori di fantasmi.
Harry Price 1881-1948 studiò i fenomeni del Rettorato di Borley, la casa più infestata in Inghilterra. Peter Underwood appartenente al Ghost Club, dopo 40 anni di ricerche e appostamenti notturni in case infestate è diventato una vera e propria autorità in materia e ha scritto moltissimi libri. Nella sua Guida al Cacciatore di Fantasmi egli scrive che esistono differenti spettri:
1) Residui psichici. Questi spettri appaiono sempre nello stesso identico modo, riproducono gli stessi gesti, ripetono gli stessi suoni come in un film. Essi seguono i percorsi del vecchio edificio; ad esempio passano un muro se una volta lì esisteva una porta che in seguito è stata murata. Forse si tratta del residuo psichico di un vivente che in condizioni favorevoli può essere percepito da un osservatore sensitivo. Appena l'osservatore si sposta lo spettro scompare perché cambia l'angolo di visuale.
2) Spettri storici. Sono spettri che sembrano legati ad antiche dimore e che sono diventati famosi. Es. la "Dama Bianca".
3) Spettri ciclici. Sono spettri che appaiono solo in un certo periodo di tempo seguendo ricorrenze annuali, decennali, secolari...
4) Spettri moderni. Si tratta di spettri di persone morte recentemente. Esempio lo spettro del pilota Bob Loft visto circa 20 volte dopo che il suo aereo dell'Eastern Airline Volo 401 si è fracassato in Florida nel dicembre 1979 uccidendo 101 persone.
5) Spettri dei viventi. Gli spettri di persone addormentate o in stato di incoscienza sono stati visti da parenti o amici. A volte durante il sonno lo spirito (il doppio) del dormiente lascia momentaneamente il corpo.
6) Spettri di moribondi. Categoria molto comune. Spettri di persone in punto di morte appaiono talvolta ai parenti, ed essi comprendono che il loro familiare è in pericolo.
7) Spettri di famiglia. Sono apparizioni di figure simboliche (es. Dame velate, Banshee che piangono in Scozia...) che preannunciano la morte di un familiare.
8) Oggetti infestati. Sono gli oggetti che ritengono l'influenza, buona o malvagia, del loro possessore (es. il teschio di Bettiscombe Manor, che urlava ogni volta che veniva allontanato dalla sua villa).
9) Spettri fraudolenti. Sono frutto di frode per burla o gioco.
10) Spettri dei morti. Sono spettri di persone decedute da poco che appaiono per un breve periodo ai familiari o amici con uno scopo ben preciso: riparare un torto, rivelare l'esistenza di un testamento, ecc.
11) Spettri di animali. Molti spettri di cavalli,cani sono stati visti negli Stati Uniti e in Europa, e anche di gatti, pecore, uccelli, animali selvatici e perfino lo spettro di un maiale.
12) Poltergeist. E' una parola tedesca e significa: spirito rumoroso. Non bisogna confondere i fenomeni poltergeist con gli spettri. Il poltergeist comprende manifestazioni paranormali tipo: sollevamento di oggetti, movimento di oggetti, lampadine che esplodono, acqua che sgorga dai muri, pioggia di pietre, ecc. Il fenomeno è documentatissimo e fotografato. Il poltergeist avviene in presenza di un adolescente psichico con conflitti, insoddisfazioni, frustrazioni. L'adolescente (o il giovane, o l'handicappato) scatena senza volerlo una energia sconosciuta e questa energia va a colpire gli oggetti. Il poltergeist scompare da solo con il tempo e non è mai pericoloso.
13) Infestazione. E' la presenza, in un luogo, di manifestazioni paranormali tipo: venti freddi, odori, colpi battuti, ecc. Nel poltergeist quando l'adolescente in crisi va via, i fenomeni cessano subito. Nell'infestazione i fenomeni rimangono.
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Re: thriller e co.
Lupi mannari
Il licantropo detto anche uomo-lupo o lupo mannaro, è una delle creature mostruose della mitologia e del folclore poi divenute tipiche della letteratura horror e successivamente del cinema horror.
Secondo la leggenda, il licantropo è un uomo condannato da una maledizione a trasformarsi in una bestia feroce ad ogni plenilunio: la forma di cui si racconta più spesso è quella del lupo, ma in determinate culture prevalgono l'orso o il gatto selvatico (si veda in seguito). Nella narrativa e nella cinematografia horror sono stati aggiunti altri elementi che invece mancavano nella tradizione popolare, quali il fatto che lo si può uccidere solo con un'arma d'argento, oppure che il licantropo trasmetta la propria condizione ad un altro essere umano dopo averlo morso. Alcuni credevano che uccidendo il lupo prima della prima trasformazione la maledizione veniva infranta. Altre volte, invece, per "licantropo" non si intende il lupo mannaro: quest'ultimo infatti, si trasformerebbe contro la propria volontà, mentre il licantropo si potrebbe trasformare ogni volta che lo desidera e senza perdere la ragione (la componente umana).
Origini
Il lupo è stato un animale soggetto ad un radicale processo di demonizzazione e successiva rivalutazione, dimostrando la sua intima connessione all'immaginario umano. Il lupo è un simbolo ambivalente: amato per gli stessi pregi che hanno fatto dei suoi discendenti l'animale domestico per eccellenza, invocato nei riti sciamanici come guida sul terreno di caccia, ammirato per la forza e l'astuzia, addomesticato per diventare un alleato, ma poi cacciato per impedirgli di predare le greggi e infine addirittura demonizzato durante il Medioevo.
Il modo di considerare il lupo muta, in maniera piuttosto brusca e radicale, col passaggio dell'uomo dal nomadismo, basato sulla caccia, alla cultura stanziale ed agricola. Il cacciatore ha bisogno della forza dell'animale totemico e del predatore, che lo può portare a scovare e a uccidere la preda, e il lupo è il predatore per eccellenza. Per i cacciatori nomadi delle steppe dell'Asia centrale era rappresentativo della tribù e suo protettore. L'agricoltore, invece, ha un rapporto radicalmente diverso con esso: il lupo diviene minaccia per le greggi ma, contemporaneamente, i suoi cuccioli, debitamente addestrati, possono divenire preziosi alleati contro i loro stessi simili.
Il mito dell'uomo che si trasforma in lupo o viceversa è antico e presente in molte culture. I miti che riguardano la figura del lupo hanno origine, con buona probabilità, nella prima età del bronzo, quando le migrazioni delle tribù nomadi indo–ariane le portarono in contatto con le popolazioni stanziali europee. Il substrato di religioni e miti "lunari" e femminili degli antichi europei si innestò nel complesso delle religioni "solari" e maschili dei nuovi arrivati, dando vita ai miti delle origini, in cui spesso il lupo è protagonista. La sovrapposizione tra i culti solari della caccia e quelli lunari della fertilità si riscontra nei miti che vedono il lupo come animale propiziatore della fecondazione. In Anatolia, fino ad epoca contemporanea, le donne sterili invocavano il lupo per avere figli. In Kamčatka, i contadini, nelle feste ottobrali, realizzavano con il fieno il simulacro di un lupo a cui recavano voti, perché le ragazze in età da marito si sposassero entro l'anno. Questo intimo legame, nel bene e nel male, tra l'uomo e i canidi ha fatto sì che tra tutti i mannari proprio quelli di stirpe lupina siano tra le specie con le origini documentabili più antiche.
Le leggende riguardo gli uomini–lupo si moltiplicano in tutta Europa dall'Alto Medioevo in poi. Il corpus mitologico che ne scaturisce si manterrà sostanzialmente in costante espansione fino al XVIII secolo, con punte di massima crescita tra il XIV e il XVII secolo, in coincidenza delle più grandi cacce alle streghe dell'Inquisizione. Dal Settecento in poi si tenderà a sconfessare apertamente la possibilità che un essere umano si muti fisicamente in un lupo, e la licantropia rimarrà contemplata solamente dalla psichiatria come affezione patologica che porta il malato già "lunatico" a credersi bestia a tutti gli effetti. Nel folclore locale manterrà, invece, solide radici.
Antico Egitto
Nell'antico Egitto, le prime raffigurazioni di un incrocio tra un canide e un uomo riguardano lo sciacallo. Anubi, infatti, compare tra le principali divinità venerate dagli antichi egizi, sia nell'Alto che nel Basso Egitto, fin dalle prime dinastie. Il dio viene propriamente raffigurato come uno sciacallo, il più delle volte accucciato ma, quando deve presiedere ai riti del trapasso, assume la forma di un uomo con la testa di sciacallo. Le sue raffigurazioni, sebbene compaiano già all'inizio della storia egizia, si fanno più frequenti a partire dal Medio Regno (2134 a.C.-1991 a.C.), quando si diffondono maggiormente le tombe ipogee riccamente decorate. Anubi è il protettore degli imbalsamatori; presiede al processo di conservazione del defunto e guida il suo akh (l'equivalente dell'anima cristiana) nel regno delle ombre. Lo conduce fino a Osiride, a cui era deputato il giudizio dell'anima. Anubi, inoltre, presiede insieme ad Horus alla pesatura del cuore del defunto, il risultato del quale è uno degli elementi per il giudizio stesso. In questo caso non si può parlare di mannarismo vero e proprio perché manca l'aspetto della trasformazione, volontaria o involontaria; semplicemente, le due forme del dio convivono nell'immaginario egizio. La convivenza contemporanea di due o più forme per le divinità è caratteristica della religione egiziana e probabile traccia di un tentativo di unificazione di vari pantheon separati, nati indipendentemente lungo il corso del Nilo.
Antica Grecia
Licaone punito da Giove, incisione di Hendrik Goltzius.
Nell'Antica Grecia compaiono altre raffigurazioni, rispettivamente, Zeus, Febo e Licaone.
Zeus è un appassionato mutaforma e più volte si serve della sua facoltà per sedurre donne mortali eludendo la sorveglianza di Hera. Nel suo repertorio di trasformazioni (che, in effetti, si può ritenere illimitato, essendo egli un dio), vi è anche quella in lupo. Proprio in questa forma, e col nome di Liceo era adorato in Argo. In questa città, e sotto forma di lupo, Zeus era comparso per appoggiare il malcontento popolare nei confronti del re Gelanore e appoggiare l'eroe Danao, che al re fu sostituito.
Febo, insieme a sua sorella Artemide, viene partorito da Latona, trasformata in lupa. Inoltre, tra le facoltà attribuite al dio Febo-Apollo vi è quella di mutare forma; una delle sue trasformazioni è appunto in lupo. A Febo Lykos viene anche dedicato un boschetto nei pressi del suo tempio ad Atene, nel quale soleva tener lezione ai suoi discepoli Aristotele (il Liceo di Aristotele, da cui prende il nome l'ordine scolastico, detto, appunto, liceo). Il lupo diviene quindi animale della sapienza.
Il mito di Licaone documenta, nelle sue varie versioni, il passaggio del lupo da creatura degna di venerazione a essere da temere. Nella versione originaria, Licaone, re dei Pelasgi, fonda sul monte Liceo la città di Licosura, la prima città di questo popolo. Nelle versioni successive Licaone diviene un feroce re dell'Arcadia. Un giorno dette ospitalità a un mendicante ma, per burlarsi di lui, lo sfamò con le carni d'uno schiavo ucciso (secondo altre versioni, la portata principale era uno dei suoi stessi figli). Il mendicante, che era in realtà Zeus travestito, si indignò per il gesto sacrilego, e dopo aver fulminato i suoi numerosi figli lo trasformò in lupo, costringendolo a vagare per i boschi in forma di bestia. L'economia nella zona dell'Arcadia in cui ha origine la seconda versione del mito è molto più legata all'allevamento di quanto non fossero Atene o Argo. Si riflette quindi, in questa visione del predatore, l'atteggiamento di diffidenza che poteva assumere una società pastorale; il lupo viene visto, qui, come negativo, essere trasformati in esso è una punizione, non più una qualità divina. Il "lupo cattivo" stesso, nemesi dell'eroe in duemila anni di favole, ha i suoi natali nella Grecia antica. La lupa Mormolice, demone femminile, diviene lo spauracchio dei bambini cattivi, che, secondo le madri greche, fa diventare zoppi.
Antica Roma
La figura del lupo, in qualche modo antropomorfa, fa la sua comparsa indipendente anche in altre zone europee. Presso le tribù galliche è un carnivoro necrofago, e viene raffigurato seduto come un uomo nell'atto di divorare un morto. Presso gli etruschi è Ajta a incarnare in qualche modo le sembianze del mannaro; il dio etrusco degli inferi ama portare un elmo di pelle di lupo, che lo rende invisibile.
È difficile stabilire quando si abbiano le prime leggende che parlino esplicitamente di licantropi. Di certo, la figura del lupo mannaro compare, ancora in epoca classica, nel I secolo nella narrativa della Roma antica. Ne parla Gaio Petronio Arbitro nel frammento LXII del Satyricon ed è la prima novella in cui appare questa figura:
arrivati a certe tombe il mio uomo si nascose a fare i suoi bisogni tra le pietre, mentre io continuo a camminare canticchiando e mi metto a contarle. Mi volto e che ti vedo? Il mio compagno si spogliava e buttava le vesti sul ciglio della strada. Mi sentii venir meno il respiro e cominciai a sudare freddo. Sennonché quello si mette ad inzuppare di orina le vesti e diventa d’improvviso un lupo. appena diventato lupo, si mette ad ululare ed entra nel bosco. Mi faccio forza e, snudata la spada, comincio a sciabolare le ombre fino a che non arrivo alla villa dove abitava la mia amica. La mia Melissa pareva stupita al vedermi in giro a un’ora simile e aggiunse: "Se tu fossi arrivato poco fa, ci avresti dato una mano: un lupo è entrato nella villa e ha scannato tutte le pecore peggio di un macellaio. Ma anche se è riuscito a fuggire, l’ha pagata cara, perché uno schiavo gli ha trapassato il collo con una lancia". Al sentire questo non riuscii a chiudere occhio durante la notte e, a giorno fatto, me ne tornai di volata a casa di Gaio, il nostro padrone, come un mercante svaligiato. quando entrai in casa, vidi il soldato che giaceva disteso sul mio letto, sanguinante come un bue, e un medico gli curava il collo. Capii finalmente che si trattava di un lupo mannaro. »
Nella cultura romana, il lupo non è visto solo con sospetto, ma anche con ammirazione. È un simbolo di forza, e la sua pelle viene indossata da importanti figure all'interno dell'esercito. I vexillifer, sottufficiali incaricati di portare le insegne di ogni legione, indossavano infatti una pelle di lupo che copriva l'elmo e parte della corazza. Il licantropo veniva chiamato versipellis, in quanto si riteneva che la pelliccia del lupo rimanesse nascosta all'interno del corpo di un uomo, che poi si "rivoltava" assumendo le fattezze bestiali.
Il rapporto tra il lupo e i Romani antichi è positivo, come testimoniato anche da altre tradizioni: a parte la lupa nutrice di Romolo e Remo, il 15 febbraio si svolgeva la cerimonia dei Lupercali, in onore del dio Luperco (identificato dai Greci con il loro Pan), nel corso della quale il sacerdote, vestito da lupo, passava un coltello bagnato di sangue sulla fronte di due adolescenti (questo aspetto della cerimonia era probabilmente derivato da un originario sacrificio umano). Luperco era il protettore delle greggi e il rito era stato ereditato dai Sabini. Essi identificavano se stessi nel lupo, animale da cui pensavano avessero origine le loro caratteristiche originarie di guerrieri e cacciatori. Il termine "lupo mannaro" ha origine dal basso latino lupus hominarius, il cui significato etimologico è "lupo che si comporta come un uomo".
I Romani colti sembrano piuttosto consapevoli che la licantropia è concepita soprattutto come affezione psichiatrica piuttosto che come reale condizione fisica, e in ambito ellenico lo stesso Claudio Galeno nella sua Ars medica dà una descrizione più realistica di questa malattia, prescrivendo anche dei rimedi:
« Coloro i quali vengono colti dal morbo, chiamato lupino o canino, escono di notte nel mese di febbraio, imitano in tutto i lupi o i cani, e fino al sorgere del giorno di preferenza scoprono le tombe. Tuttavia si possono riconoscere le persone affette da tale malattia da questi sintomi. Sono pallidi e malaticci d'aspetto, e hanno gli occhi secchi e non lacrimano. Si può notare che hanno anche gli occhi incavati e la lingua arida, e non emettono saliva per nulla. Sono anche assetati e hanno le tibie piagate in modo inguaribile a causa delle continue cadute e dei morsi dei cani; e tali sono i sintomi. È opportuno invero sapere che questo morbo è della specie della melanconia: che si potrà curare, se si inciderà la vena nel periodo dell'accesso e si farà evacuare il sangue fino alla perdita dei sensi, e si nutrirà l'infermo con cibi molto succosi. Ci si può avvalere d'altra parte di bagni d'acqua dolce: quindi il siero di latte per un periodo di tre giorni, parimenti si purgherà con la colloquinta di Rufo o di Archigene o di Giusto, presa ripetutamente ad intervalli. Dopo le purgazioni si può anche usare la teriarca estratta dalle vipere e le altre da applicare nella melanconia già in precedenza ricordate »
Nel latino medievale, infine, wargus designa il lupo (normale, in questo caso) ma deriva da una parola germanica che indica l'uomo che viene punito per un crimine. Nella società germanica questi veniva allontanato dalla civiltà e dalla protezione che essa offre, divenendo simile all'essere selvatico per eccellenza. "Criminale" è detto dunque wearg in Antico Inglese, warag in Antico Sassone, warc(h), in Antico Alto Tedesco, vargr in Norreno e wargus in Latino medievale (come prestito dal Germanico).
Nord Europa
Incisione tedesca in legno raffigurante un licantropo del 1722.
Nelle tradizioni del Nord Europa compaiono figure di guerrieri consacrati a Odino, i berserker, che nella furia della battaglia si diceva si trasformassero in orsi o lupi.
Fenrir è il prototipo del lupo mannaro scandinavo. È uno dei tre mostruosi figli di Loki, il dio vichingo degli inganni. Fenrir non è un lupo mannaro vero e proprio, perché non può trasformarsi e si presenta sempre in forma di lupo; tuttavia, è grosso al punto di essere deforme, ferocissimo, scaltro e dotato di parola come un uomo, tutte caratteristiche che lo avvicinano fortemente alla stirpe dei mannari. Gli dei vichinghi, man mano che cresce, iniziano a temerlo. Cercano di imprigionarlo, ma la belva è troppo forte e riesce a liberarsi. Per bloccarlo definitivamente devono ricorrere all'inganno e alla magia (altra analogia con molti miti riguardanti licantropi): lo legano con un laccio fabbricato dai nani intrecciando barba di donna, rumore di passi di gatto, radici di un monte, respiro di pesce, tendini d'orso e sputo d'uccello.
Ha forma di lupo anche l'innaturale progenie di una vecchia gigantessa. Due dei suoi figli lupi, Skoll e Hati, inseguono dall'alba dei tempi il sole e la luna (ed è per questo motivo, secondo il mito, che i due astri si muovono) e finiranno per divorarli nell'ultimo giorno del mondo.
I lupi mannari propriamente detti compaiono anche nell'epica vichinga, in particolare nella saga dei Volsunghi, in almeno due occasioni. Nel canto quinto, a trasformarsi in lupo è la madre di re Sigger, facendo uso delle sue arti magiche. La regina-lupa si diverte, nella leggenda, a infierire sui figli di Volsung, che erano stati fatti prigionieri in battaglia da suo figlio; dei dieci uomini, nove vengono uccisi. Sopravvive Sigmund, aiutato dalla gemella Signi, che è anche moglie di re Sigger. Questa gli unge il volto di miele e la notte il lupo mannaro si ingolosisce, sentendo l'odore, ma gli lecca il volto anziché sbranarlo. Prontamente Sigmund gli afferra la lingua con i denti e la belva se la strappa per liberarsi. Nel tentativo, si procura una ferita che la uccide e, contemporaneamente, spezza i ceppi di Sigmund, liberandolo. Il tema del lupo mannaro ricompare nel canto ottavo; qui Sigmund e il nipote Sinfjotli giungono, attraverso una foresta, a una casa dove dormono due uomini di nobile stirpe. Sopra di loro sono appese delle pelli di lupo, due principi stregati da un incantesimo: devono sempre mostrarsi in forma di lupo, e solo una volta ogni cinque giorni possono riprendere sembianze umane. Sigmund e il nipote, incuriositi dalle pelli, le rubano, facendo ricadere su di loro la maledizione. Assumono sia le sembianze che la natura di lupi, e iniziano a aggredire uomini. In particolare, Sinfjotli si dimostra aggressivo e furbo.
quando nel più folto della foresta si imbatté a sua volta in un gruppo di undici uomini. Invece di chiamare lo zio [si erano accordati di non aggredire più di sette uomini contemporaneamente senza chiedere l'aiuto dell'altro], aspettò il momento più opportuno per coglierli di sorpresa, poi li assalì tutti insieme e li sbranò. Lo zio lo sorprende stanco a sonnecchiare presso i corpi degli uomini uccisi e si adira "Non rispetti i nostri accordi, Sinfjotli". »
Sigmund e Sinfjotli riescono poi a liberarsi dalla maledizione del lupo mannaro dando fuoco alle pelli.
Il mito del licantropo si ritrova nel nord Europa anche in altre zone, oltre alla Scandinavia. Compaiono nella tradizione dei popoli germanici e delle isole britanniche a fianco, di volta in volta, dell'orso mannaro o del gatto selvatico. La diffusione di queste credenze è testimoniata da Olaus Magnus nella sua Historia de gentibus septentrionalis. Magnus racconta come, nella notte di Natale, si radunino in un certo luogo molti uomini-lupo:
li quali la notte medesima, con meravigliosa ferocità incrudeliscono, e contro la generazione umana, e contro gl'altri animali, che non son di feroce natura, che gl'abitatori di quelle regioni patiscono molto di più danno da costoro, che da quei che naturali Lupi sono, non fanno. Perciochè, come s'è trovato impugnato con meravigliosa ferocità a le case de gl'uomini, che stanno nelle selve, e sforzansi di romperle le porte, per poter consumare gl'uomini e le bestie che vi son dentro »
(traduzione dal latino di Remigio Fiorentino, Venezia, 1561)
Il carattere di questi licantropi si differenzia quindi notevolmente dai lupi genuini, che ne escono quasi riabilitati. I mostri descritti da Magnus hanno anche spiccata tendenza all'alcolismo; dopo essere entrati nelle cantine:
« quivi si bevono molte botti [di birra] e di quella e d'altre bevande, e poi lasciano le botti vote, l'una sopra l'altra, in mezzo alla cantina. E in questa parte sono disformi dai naturali, e veri Lupi »
Ulfhendhnir è il nome dato in molte regioni settentrionali a questi esseri, e il suo significato è "dalla casacca di lupo".
Altre culture europee
In Italia il lupo mannaro assume nomi diversi da regione a regione: lupi minari in Calabria, lupenari in Irpinia, lupom'n in Puglia, luponari in Sicilia, Luv Ravas nel cuneese, Loup Ravat nelle valli valdesi.
Nella Francia centrale e meridionale il lupo mannaro è il loup garou. L'etimologia è incerta; secondo alcuni, garou contiene una radice che significa "uomo", mentre secondo altri deriva da loup dont il faut se garer, ovvero "lupo dal quale bisogna guardarsi". Nella Francia settentrionale, in particolare in Bretagna, è il bisclavert.
In Germania e in Gran Bretagna ci sono i werwulf e i werewolf, la cui origine etimologica è la medesima: wer, dalla stessa radice del latino vir (uomo) e wulf o wolf (lupo).
Nell'Europa dell'est compare una figura ambigua, a metà tra il lupo mannaro e un demone in grado di risucchiare la forza vitale (che, più tardi, si identificherà col vampiro). Il suo nome cambia a seconda della regione, ma l'origine del nome rimane sempre la stessa.
È detto oboroten in Russia, wilkolak in Polonia, vulkolak in Bulgaria, varcolac' (la forma forse più nota), in Romania.
Oriente e Americhe
In Oriente, si diceva che Gengis Khan fosse discendente del "grande lupo grigio".
Nelle pianure degli Stati Uniti, erano gli indiani Pawnee a ritenersi imparentati con i lupi. Usavano anche ricoprirsi delle pelli di questi animali per andare a caccia. Un simile comportamento può avere un valore esclusivamente simbolico (la volontà di impadronirsi delle doti del predatore) e non certo mimetico: le potenziali prede degli uomini sono anche, da altrettanto tempo se non di più, prede del lupo, e sono quindi molto ben allenate a distinguerne il manto. Inoltre poco dopo la scoperta delle Americhe i coloni sostenevano che la licantropia fosse una maledizione dei "pelle rossa" dovuta all'"incrocio" di sangue tra coloni e indiani dovuti a matrimoni misti o ad altre motivazioni come gli stupri compiuti meschinamente da coloni nei confronti degli indiani. Ed altri sostenevano fosse la punizione di Dio per aver accettato scambi con gli indiani. Mentre i nativi americani sostenevano che la licantropia fosse una malattia o maledizione portata dai coloni.
Epidemie medievali
Dal Basso Medioevo in avanti, il rogo è una soluzione usata a profusione per sbarazzarsi dei sempre più numerosi mutaforme, che paiono moltiplicarsi, specialmente in Francia e Germania. Il fenomeno arriva a toccare dimensioni gigantesche negli anni successivi alla controriforma, sia nei Paesi cattolici che protestanti. Redigere una contabilità precisa di quanti siano finiti al rogo con l'accusa di mannarismo, da sola o in congiunzione con quella di stregoneria, è molto difficile. Le fonti più prudenti parlano di circa ventimila processi e condanne di licantropi tra il 1300 e il 1600, ma alcuni si sbilanciano fino a suggerire un numero prossimo alle centomila vittime. La storia più famosa è quella di un certo Peter Stubbe, che forse era effettivamente un serial killer. Per secoli si è comunque in presenza di una sorta di isteria collettiva, che è ben testimoniata dagli studi di Jacques Collin de Plancy. De Plancy, studioso francese dell'Ottocento che si dedicò animatamente a studi di spirito volterriano per spazzare la superstizione residua nella gente, raccoglie molte testimonianze dei secoli precedenti nel suo Dictionnaire Infernal, dando un quadro abbastanza preciso di quella che era la situazione in Europa nei secoli citati:
« L'imperatore Sigismondo fece discutere in sua presenza, da un conclave di sapienti, la questione dei lupi mannari, e fu unanimemente stabilito che la mostruosa metamorfosi era un fatto accertato e costante. Un malfattore che volesse compiere qualche soperchieria, non aveva che da spacciarsi per Lupo Mannaro per terrorizzare e mettere in fuga chiunque. A tale scopo non aveva bisogno di trasformarsi davanti a tutti in lupo: bastava la fama. Molti delinquenti vennero arrestati come lupi mannari, pur rimanendo sempre con sembianze umane. Pencer, nella seconda metà del Cinquecento, riferisce che in Livonia, sul finire del mese di dicembre, ogni anno si trova qualche sinistro personaggio che intima agli stregoni di trovarsi in un certo luogo: e, se loro si rifiutano, il Diavolo stesso ve li conduce, distribuendo nerbate così bene assestate da lasciare immancabilmente il segno. Il loro capo va avanti per primo, e migliaia di Stregoni vanno dietro di lui; infine attraversano un fiume, varcato il quale si cambiano in lupi e si gettano su uomini e greggi, menando strage »
Plancy riferisce anche un episodio italiano, la cui fonte prima dice essere un certo Fincel:
« Un giorno venne preso al laccio un lupo mannaro che correva per le vie di Padova; gli si tagliarono le zampe, e il mostro riprese tosto forma d’uomo, ma con piedi e mani mozzati »
Questa sorta di isteria collettiva porta a episodi terribili e grotteschi insieme. A tal medico Pomponace, sempre secondo Plancy, venne portato un contadino affetto da licantropia; questi gridava ai suoi vicini di fuggire se non volevano essere divorati. Siccome lo sventurato non aveva affatto la forma di lupo, i villici avevano cominciato a scorticarlo per vedere se per caso non avesse il pelo sotto la pelle. Non avendone trovato traccia, lo avevano portato dal medico. Pomponace, con maggior buon senso, stabilì che si trattava di un ipocondriaco.
Morfologia licantropica
Per lo più, tutte le storie e le leggende sono concordi nell'affermare l'origine diabolica del mostro, che viene spesso associato con streghe ed eretici. A parte questo punto in comune, è impossibile tracciare una morfologia univoca del licantropo. Normalmente lo si trova rappresentato in forma di lupo (e non una creatura ibrida tra l'uomo e la bestia, come nei film horror), che può però assumere un'ampia gamma di aspetti e dimensioni, dal normale lupo, da cui si distingue solo per l'intelligenza e la ferocia, a una mostruosità grossa come una vacca e deforme, dalla forza spaventosa e dalla ferocia senza pari. Taluni affermano anche che il licantropo è privo di coda, perché le creazioni del diavolo, per quanto ben riuscite, sono necessariamente imperfette. Altri ritengono che sia necessariamente di colore nero. Un possibile tratto distintivo sta nelle sue impronte: in alcune leggende, il lupo mannaro lascia a terra il segno di cinque unghie (i canidi normali lasciano solo quattro tacche. Il pollice si è atrofizzato e non tocca il terreno). Alcuni di questi uomini bestia conservano la possibilità di parlare e ragionare come normali esseri umani, altri la perdono completamente. Anche alla regola secondo cui non vengono mai rappresentati come ibridi ci sono delle eccezioni, sia pure rare e parziali. Infatti, a volte il lupo mannaro sembra poter procedere su due zampe, o conservare una certa prensilità degli arti anteriori, cosa che gli consente, all'occorrenza, di intrufolarsi nelle case scassinando le porte chiuse. Altro tratto distintivo è l'immenso gusto del licantropo per la carne fresca.
Il demonologo francese Pierre Delancre (Bordeaux 1565 (?) – Parigi 1630), lo descrive così:
« Essi sgozzano li cani e li bambini e li divoran con eccellente appetito; camminano a quattro zampe; ululano come veraci [lupi]; hanno ampia bocca, occhi di fuoco e zanne acuminate »
Diventa imperativo, per la possibile vittima medievale, cercare di capire anche come si presenta il mannaro in forma umana, per individuarlo e guardarsene. Il compito non è facile, perché esistono quasi tanti segni indicatori quante sono le versioni della bestia. Bisogna guardarsi da chi ha sopracciglia troppo folte e unite al centro, oppure il volto ferino, i canini troppo affilati, pelo sia sul dorso che sul palmo delle mani. Il dito indice più lungo del medio è sicuro indizio di licantropia, così pure un insano appetito per la carne cruda. È opportuno anche sospettare di chi sia troppo in forze senza che lo si veda mai mangiare; quasi di sicuro è un lupo mannaro che uccide persone la notte e le divora di nascosto.
Personaggio a metà tra lo stregone e l'uomo–lupo è il francese mener de loups o "pastore di lupi". È una sorta di incantatore che, pur non trasformandosi personalmente in lupo, è in grado di radunare e guidare un branco di queste bestie per i suoi scellerati fini. La capacità di comandare un branco di normali lupi è spesso riconosciuta anche al licantropo. Alla testa dei suoi "simili", poi, il lupo mannaro può dare l'assalto a paesi o, addirittura, a roccaforti, facendo strage degli abitanti e divorando gli armenti. Talvolta, questi branchi misti si presteranno anche a fare da cavalcatura alle streghe, e a portarle ai luoghi del sabba.
Nel Medioevo si completa l'opera di demonizzazione del lupo, che viene assimilato al suo "doppio" innaturale e visto come servo delle streghe (il mannaro è una loro possibile incarnazione). I lupi sono vicini a Satana, e devono cominciare a guardarsi con molta attenzione dagli uomini, che talvolta arriveranno a fare dei veri e propri roghi di queste bestie, a fianco di sventurati accusati di stregonerie o eresia.
Diventare licantropo
Molti sono i modi per diventare licantropi. L'unico che non figura nella tradizione è il morso: chi viene morso da un lupo mannaro non diventa lupo mannaro esso stesso. Il morso come veicolo dell'infezione muta forma è una trovata narrativa relativamente moderna, dovuta, quasi certamente, a una contaminazione proveniente dalle storie sul vampirismo.
Per tutto il Medioevo invece, per trasformarsi in lupi il modo più sicuro rimane ricorrere alla magia. Ciò, ovviamente, implica che la trasformazione sia volontaria. Per compierla ci si deve spogliare della propria pelle e indossare una pelle di lupo. Se si è restii ad autoscorticarsi, può bastare indossare una cintura confezionata con la pelle di questo animale. Caratteristica fondamentale perché la pelle possa funzionare è che la testa sia sostanzialmente intatta, se possibile con ancora il cranio inserito a supporto dei denti. La pelle, ovviamente, non può essere quella di un comune lupo, ma deve essere una sorta di veste maledetta. Questa deve essere consegnata dal diavolo, che volentieri la fornisce a persone esecrabili, oppure, secondo consolidata tradizione, in cambio dell'anima. Un'alternativa all'uso della pelle è il ricorso a unguenti o filtri magici. Uno dei componenti fondamentali è quasi sempre il grasso di lupo. A volte questo viene mescolato con sostanze tossiche (come la belladonna) o dagli effetti psicotropi. Una delle più note ricette di filtro magico prevede di mescolare cicuta, semi di papavero, oppio, zafferano, assafetida, solano, prezzemolo e giusquiamo. Parte andava spalmata sul corpo e parte bevuta. Non è quindi improbabile che una persona, se assume un simile intruglio e sopravvive, si comporti come un animale invasato, arrivando ad essere pericoloso. Un ulteriore sistema per trasformarsi è bere "acqua licantropica", cioè raccolta nelle impronte lasciate da un uomo–lupo.
La volontarietà di queste trasformazioni fa sì che possano avvenire in ogni ora del giorno o della notte e in ogni momento. Questo significa che, secondo molte tradizioni, non basta guardarsi dalla luna piena per essere in salvo dai lupi mannari. Il plenilunio assume importanza, anche se non sempre risulta fondamentale, nelle trasformazioni involontarie. Il primo autore ad associare la trasformazione alle fasi lunari è stato presumibilmente Gervasio di Tilbury, uno scrittore medievale. L'idea dell'influsso della luna piena viene ripreso e ritenuto fondamentale dalla maggior parte delle leggende. Vi sono tradizioni (ad esempio in Calabria) secondo cui il licantropo si può trasformare anche sotto l'influsso della luna nuova. L'involontarietà della trasformazione non si ricollega solo al fatto che si verifichi in particolari congiunzioni astrali, ma anche alle sue cause: è solitamente dovuta agli effetti di una maledizione o ad altro accidente. Infatti, anche il venir maledetti da una strega, come pure da un santo o da persona venerabile può portare alla licantropia. San Patrizio, secondo la tradizione, si dedicò a maledire e trasformare in lupi intere popolazioni, così come San Natale. I motivi per cui si può venire maledetti sono molteplici: eresia, empietà, antropofagia (qui ritorna il mito di Licaone), al limite anche solo essere nati in certi periodi dell'anno. Chi nasce la notte di Natale a cavallo della mezzanotte o il giorno dell'Epifania, per esempio, ha buone probabilità di divenire lupo mannaro. Si tratterebbe di una sorta di maledizione divina per punire un gesto quasi blasfemo. Per salvare il figlio dalla crudele sorte, il padre, utilizzando un ferro rovente, deve incidere una croce sotto la pianta di un piede del bambino per i tre Natali successivi. La maledizione può essere dovuta anche a incidenti o piante velenose. Vi è una tradizione abruzzese secondo cui dormire sotto la luna piena (in alcune zone deve essere anche un mercoledì notte) porta al licantropismo. Per le piante, la credenza più diffusa proviene dall'est europeo e avverte di stare lontani dai fiori neri (secondo la versione moldava, questi crescerebbero di preferenza vicino a cimiteri). Il nero è un colore che le infiorescenze in natura non assumono, tranne in casi particolarissimi (non attira gli insetti o altri animali impollinatori), quindi indica soprannaturalità e probabile matrice diabolica.
Difendersi dal licantropo
Tra le scarse difese contro questo essere forte e feroce la più efficace pare essere l'argento. Questo metallo può uccidere tutte le creature sovrannaturali (anche i vampiri, nonostante la tradizione cinematografica prediliga il paletto di frassino). Bisogna perciò trafiggere il mannaro con una lama di argento o sparargli con una pallottola dello stesso materiale. La credenza si deve alle proprietà di disinfettante che fin dall'epoca greca erano associate a questo metallo. Secondo alcune versioni del mito, l'arma d’argento deve anche essere benedetta, o addirittura fusa da un crocifisso d'argento. Le più complesse sono una versione piemontese e una francese della Saintogne; secondo quella piemontese, la fusione deve provenire non solo da un crocifisso d'argento benedetto, ma deve essere realizzata la notte di Natale. La versione della Saintogne non prevede espressamente l'argento, ma le pallottole devono essere benedette in particolari ore della notte in una cappella dedicata a Sant'Uberto (protettore dei cacciatori). Un'alternativa che sembra funzionare bene, almeno con quelli che usano una pelle per trasformarsi, è la distruzione della pelle stessa. Opzionalmente, dopo aver ucciso l'uomo-lupo, si può procedere al taglio della testa prima del seppellimento. Questo eviterà che il mostro, dopo morto, si tramuti in vampiro (tradizione slava).
La licantropia si fronteggia un po' meglio sul fronte della cura e della dissuasione. Se uccidere un lupo mannaro è complicato, si può sempre riuscire a sfuggirgli o a guarirlo. Ad esempio, l'uomo – lupo siciliano non è in grado di salire le scale che, di conseguenza, costituiscono un sicuro riparo e per curare il malcapitato da tale stato di affezione bisogna colpirgli la testa in modo da far zampillare fuori un quantitativo sufficiente di "sangu malatu" (sangue malato). Anche lo zolfo messo sulla soglia di casa costituisce un valido deterrente. Il lupo mannaro abruzzese potrà arrestare la trasformazione se gli si lascia a disposizione un recipiente con acqua pura, nel quale si possa bagnare. In alternativa, si può indurre il licantropo a riassumere la forma umana spillandogli tre gocce di sangue dalla fronte o facendolo ferire da un suo familiare che brandisce un forcone, oppure ancora colpendolo con una chiave priva di buchi. Buona efficacia ha anche l'aconito (in inglese prende il nome di wolfsbain, "bandisci-lupi") che risulta particolarmente sgradito.
La soluzione definitiva e radicale rimane il fuoco, da usarsi, preferibilmente, sul licantropo ancora in forma umana.
Il licantropo detto anche uomo-lupo o lupo mannaro, è una delle creature mostruose della mitologia e del folclore poi divenute tipiche della letteratura horror e successivamente del cinema horror.
Secondo la leggenda, il licantropo è un uomo condannato da una maledizione a trasformarsi in una bestia feroce ad ogni plenilunio: la forma di cui si racconta più spesso è quella del lupo, ma in determinate culture prevalgono l'orso o il gatto selvatico (si veda in seguito). Nella narrativa e nella cinematografia horror sono stati aggiunti altri elementi che invece mancavano nella tradizione popolare, quali il fatto che lo si può uccidere solo con un'arma d'argento, oppure che il licantropo trasmetta la propria condizione ad un altro essere umano dopo averlo morso. Alcuni credevano che uccidendo il lupo prima della prima trasformazione la maledizione veniva infranta. Altre volte, invece, per "licantropo" non si intende il lupo mannaro: quest'ultimo infatti, si trasformerebbe contro la propria volontà, mentre il licantropo si potrebbe trasformare ogni volta che lo desidera e senza perdere la ragione (la componente umana).
Origini
Il lupo è stato un animale soggetto ad un radicale processo di demonizzazione e successiva rivalutazione, dimostrando la sua intima connessione all'immaginario umano. Il lupo è un simbolo ambivalente: amato per gli stessi pregi che hanno fatto dei suoi discendenti l'animale domestico per eccellenza, invocato nei riti sciamanici come guida sul terreno di caccia, ammirato per la forza e l'astuzia, addomesticato per diventare un alleato, ma poi cacciato per impedirgli di predare le greggi e infine addirittura demonizzato durante il Medioevo.
Il modo di considerare il lupo muta, in maniera piuttosto brusca e radicale, col passaggio dell'uomo dal nomadismo, basato sulla caccia, alla cultura stanziale ed agricola. Il cacciatore ha bisogno della forza dell'animale totemico e del predatore, che lo può portare a scovare e a uccidere la preda, e il lupo è il predatore per eccellenza. Per i cacciatori nomadi delle steppe dell'Asia centrale era rappresentativo della tribù e suo protettore. L'agricoltore, invece, ha un rapporto radicalmente diverso con esso: il lupo diviene minaccia per le greggi ma, contemporaneamente, i suoi cuccioli, debitamente addestrati, possono divenire preziosi alleati contro i loro stessi simili.
Il mito dell'uomo che si trasforma in lupo o viceversa è antico e presente in molte culture. I miti che riguardano la figura del lupo hanno origine, con buona probabilità, nella prima età del bronzo, quando le migrazioni delle tribù nomadi indo–ariane le portarono in contatto con le popolazioni stanziali europee. Il substrato di religioni e miti "lunari" e femminili degli antichi europei si innestò nel complesso delle religioni "solari" e maschili dei nuovi arrivati, dando vita ai miti delle origini, in cui spesso il lupo è protagonista. La sovrapposizione tra i culti solari della caccia e quelli lunari della fertilità si riscontra nei miti che vedono il lupo come animale propiziatore della fecondazione. In Anatolia, fino ad epoca contemporanea, le donne sterili invocavano il lupo per avere figli. In Kamčatka, i contadini, nelle feste ottobrali, realizzavano con il fieno il simulacro di un lupo a cui recavano voti, perché le ragazze in età da marito si sposassero entro l'anno. Questo intimo legame, nel bene e nel male, tra l'uomo e i canidi ha fatto sì che tra tutti i mannari proprio quelli di stirpe lupina siano tra le specie con le origini documentabili più antiche.
Le leggende riguardo gli uomini–lupo si moltiplicano in tutta Europa dall'Alto Medioevo in poi. Il corpus mitologico che ne scaturisce si manterrà sostanzialmente in costante espansione fino al XVIII secolo, con punte di massima crescita tra il XIV e il XVII secolo, in coincidenza delle più grandi cacce alle streghe dell'Inquisizione. Dal Settecento in poi si tenderà a sconfessare apertamente la possibilità che un essere umano si muti fisicamente in un lupo, e la licantropia rimarrà contemplata solamente dalla psichiatria come affezione patologica che porta il malato già "lunatico" a credersi bestia a tutti gli effetti. Nel folclore locale manterrà, invece, solide radici.
Antico Egitto
Nell'antico Egitto, le prime raffigurazioni di un incrocio tra un canide e un uomo riguardano lo sciacallo. Anubi, infatti, compare tra le principali divinità venerate dagli antichi egizi, sia nell'Alto che nel Basso Egitto, fin dalle prime dinastie. Il dio viene propriamente raffigurato come uno sciacallo, il più delle volte accucciato ma, quando deve presiedere ai riti del trapasso, assume la forma di un uomo con la testa di sciacallo. Le sue raffigurazioni, sebbene compaiano già all'inizio della storia egizia, si fanno più frequenti a partire dal Medio Regno (2134 a.C.-1991 a.C.), quando si diffondono maggiormente le tombe ipogee riccamente decorate. Anubi è il protettore degli imbalsamatori; presiede al processo di conservazione del defunto e guida il suo akh (l'equivalente dell'anima cristiana) nel regno delle ombre. Lo conduce fino a Osiride, a cui era deputato il giudizio dell'anima. Anubi, inoltre, presiede insieme ad Horus alla pesatura del cuore del defunto, il risultato del quale è uno degli elementi per il giudizio stesso. In questo caso non si può parlare di mannarismo vero e proprio perché manca l'aspetto della trasformazione, volontaria o involontaria; semplicemente, le due forme del dio convivono nell'immaginario egizio. La convivenza contemporanea di due o più forme per le divinità è caratteristica della religione egiziana e probabile traccia di un tentativo di unificazione di vari pantheon separati, nati indipendentemente lungo il corso del Nilo.
Antica Grecia
Licaone punito da Giove, incisione di Hendrik Goltzius.
Nell'Antica Grecia compaiono altre raffigurazioni, rispettivamente, Zeus, Febo e Licaone.
Zeus è un appassionato mutaforma e più volte si serve della sua facoltà per sedurre donne mortali eludendo la sorveglianza di Hera. Nel suo repertorio di trasformazioni (che, in effetti, si può ritenere illimitato, essendo egli un dio), vi è anche quella in lupo. Proprio in questa forma, e col nome di Liceo era adorato in Argo. In questa città, e sotto forma di lupo, Zeus era comparso per appoggiare il malcontento popolare nei confronti del re Gelanore e appoggiare l'eroe Danao, che al re fu sostituito.
Febo, insieme a sua sorella Artemide, viene partorito da Latona, trasformata in lupa. Inoltre, tra le facoltà attribuite al dio Febo-Apollo vi è quella di mutare forma; una delle sue trasformazioni è appunto in lupo. A Febo Lykos viene anche dedicato un boschetto nei pressi del suo tempio ad Atene, nel quale soleva tener lezione ai suoi discepoli Aristotele (il Liceo di Aristotele, da cui prende il nome l'ordine scolastico, detto, appunto, liceo). Il lupo diviene quindi animale della sapienza.
Il mito di Licaone documenta, nelle sue varie versioni, il passaggio del lupo da creatura degna di venerazione a essere da temere. Nella versione originaria, Licaone, re dei Pelasgi, fonda sul monte Liceo la città di Licosura, la prima città di questo popolo. Nelle versioni successive Licaone diviene un feroce re dell'Arcadia. Un giorno dette ospitalità a un mendicante ma, per burlarsi di lui, lo sfamò con le carni d'uno schiavo ucciso (secondo altre versioni, la portata principale era uno dei suoi stessi figli). Il mendicante, che era in realtà Zeus travestito, si indignò per il gesto sacrilego, e dopo aver fulminato i suoi numerosi figli lo trasformò in lupo, costringendolo a vagare per i boschi in forma di bestia. L'economia nella zona dell'Arcadia in cui ha origine la seconda versione del mito è molto più legata all'allevamento di quanto non fossero Atene o Argo. Si riflette quindi, in questa visione del predatore, l'atteggiamento di diffidenza che poteva assumere una società pastorale; il lupo viene visto, qui, come negativo, essere trasformati in esso è una punizione, non più una qualità divina. Il "lupo cattivo" stesso, nemesi dell'eroe in duemila anni di favole, ha i suoi natali nella Grecia antica. La lupa Mormolice, demone femminile, diviene lo spauracchio dei bambini cattivi, che, secondo le madri greche, fa diventare zoppi.
Antica Roma
La figura del lupo, in qualche modo antropomorfa, fa la sua comparsa indipendente anche in altre zone europee. Presso le tribù galliche è un carnivoro necrofago, e viene raffigurato seduto come un uomo nell'atto di divorare un morto. Presso gli etruschi è Ajta a incarnare in qualche modo le sembianze del mannaro; il dio etrusco degli inferi ama portare un elmo di pelle di lupo, che lo rende invisibile.
È difficile stabilire quando si abbiano le prime leggende che parlino esplicitamente di licantropi. Di certo, la figura del lupo mannaro compare, ancora in epoca classica, nel I secolo nella narrativa della Roma antica. Ne parla Gaio Petronio Arbitro nel frammento LXII del Satyricon ed è la prima novella in cui appare questa figura:
arrivati a certe tombe il mio uomo si nascose a fare i suoi bisogni tra le pietre, mentre io continuo a camminare canticchiando e mi metto a contarle. Mi volto e che ti vedo? Il mio compagno si spogliava e buttava le vesti sul ciglio della strada. Mi sentii venir meno il respiro e cominciai a sudare freddo. Sennonché quello si mette ad inzuppare di orina le vesti e diventa d’improvviso un lupo. appena diventato lupo, si mette ad ululare ed entra nel bosco. Mi faccio forza e, snudata la spada, comincio a sciabolare le ombre fino a che non arrivo alla villa dove abitava la mia amica. La mia Melissa pareva stupita al vedermi in giro a un’ora simile e aggiunse: "Se tu fossi arrivato poco fa, ci avresti dato una mano: un lupo è entrato nella villa e ha scannato tutte le pecore peggio di un macellaio. Ma anche se è riuscito a fuggire, l’ha pagata cara, perché uno schiavo gli ha trapassato il collo con una lancia". Al sentire questo non riuscii a chiudere occhio durante la notte e, a giorno fatto, me ne tornai di volata a casa di Gaio, il nostro padrone, come un mercante svaligiato. quando entrai in casa, vidi il soldato che giaceva disteso sul mio letto, sanguinante come un bue, e un medico gli curava il collo. Capii finalmente che si trattava di un lupo mannaro. »
Nella cultura romana, il lupo non è visto solo con sospetto, ma anche con ammirazione. È un simbolo di forza, e la sua pelle viene indossata da importanti figure all'interno dell'esercito. I vexillifer, sottufficiali incaricati di portare le insegne di ogni legione, indossavano infatti una pelle di lupo che copriva l'elmo e parte della corazza. Il licantropo veniva chiamato versipellis, in quanto si riteneva che la pelliccia del lupo rimanesse nascosta all'interno del corpo di un uomo, che poi si "rivoltava" assumendo le fattezze bestiali.
Il rapporto tra il lupo e i Romani antichi è positivo, come testimoniato anche da altre tradizioni: a parte la lupa nutrice di Romolo e Remo, il 15 febbraio si svolgeva la cerimonia dei Lupercali, in onore del dio Luperco (identificato dai Greci con il loro Pan), nel corso della quale il sacerdote, vestito da lupo, passava un coltello bagnato di sangue sulla fronte di due adolescenti (questo aspetto della cerimonia era probabilmente derivato da un originario sacrificio umano). Luperco era il protettore delle greggi e il rito era stato ereditato dai Sabini. Essi identificavano se stessi nel lupo, animale da cui pensavano avessero origine le loro caratteristiche originarie di guerrieri e cacciatori. Il termine "lupo mannaro" ha origine dal basso latino lupus hominarius, il cui significato etimologico è "lupo che si comporta come un uomo".
I Romani colti sembrano piuttosto consapevoli che la licantropia è concepita soprattutto come affezione psichiatrica piuttosto che come reale condizione fisica, e in ambito ellenico lo stesso Claudio Galeno nella sua Ars medica dà una descrizione più realistica di questa malattia, prescrivendo anche dei rimedi:
« Coloro i quali vengono colti dal morbo, chiamato lupino o canino, escono di notte nel mese di febbraio, imitano in tutto i lupi o i cani, e fino al sorgere del giorno di preferenza scoprono le tombe. Tuttavia si possono riconoscere le persone affette da tale malattia da questi sintomi. Sono pallidi e malaticci d'aspetto, e hanno gli occhi secchi e non lacrimano. Si può notare che hanno anche gli occhi incavati e la lingua arida, e non emettono saliva per nulla. Sono anche assetati e hanno le tibie piagate in modo inguaribile a causa delle continue cadute e dei morsi dei cani; e tali sono i sintomi. È opportuno invero sapere che questo morbo è della specie della melanconia: che si potrà curare, se si inciderà la vena nel periodo dell'accesso e si farà evacuare il sangue fino alla perdita dei sensi, e si nutrirà l'infermo con cibi molto succosi. Ci si può avvalere d'altra parte di bagni d'acqua dolce: quindi il siero di latte per un periodo di tre giorni, parimenti si purgherà con la colloquinta di Rufo o di Archigene o di Giusto, presa ripetutamente ad intervalli. Dopo le purgazioni si può anche usare la teriarca estratta dalle vipere e le altre da applicare nella melanconia già in precedenza ricordate »
Nel latino medievale, infine, wargus designa il lupo (normale, in questo caso) ma deriva da una parola germanica che indica l'uomo che viene punito per un crimine. Nella società germanica questi veniva allontanato dalla civiltà e dalla protezione che essa offre, divenendo simile all'essere selvatico per eccellenza. "Criminale" è detto dunque wearg in Antico Inglese, warag in Antico Sassone, warc(h), in Antico Alto Tedesco, vargr in Norreno e wargus in Latino medievale (come prestito dal Germanico).
Nord Europa
Incisione tedesca in legno raffigurante un licantropo del 1722.
Nelle tradizioni del Nord Europa compaiono figure di guerrieri consacrati a Odino, i berserker, che nella furia della battaglia si diceva si trasformassero in orsi o lupi.
Fenrir è il prototipo del lupo mannaro scandinavo. È uno dei tre mostruosi figli di Loki, il dio vichingo degli inganni. Fenrir non è un lupo mannaro vero e proprio, perché non può trasformarsi e si presenta sempre in forma di lupo; tuttavia, è grosso al punto di essere deforme, ferocissimo, scaltro e dotato di parola come un uomo, tutte caratteristiche che lo avvicinano fortemente alla stirpe dei mannari. Gli dei vichinghi, man mano che cresce, iniziano a temerlo. Cercano di imprigionarlo, ma la belva è troppo forte e riesce a liberarsi. Per bloccarlo definitivamente devono ricorrere all'inganno e alla magia (altra analogia con molti miti riguardanti licantropi): lo legano con un laccio fabbricato dai nani intrecciando barba di donna, rumore di passi di gatto, radici di un monte, respiro di pesce, tendini d'orso e sputo d'uccello.
Ha forma di lupo anche l'innaturale progenie di una vecchia gigantessa. Due dei suoi figli lupi, Skoll e Hati, inseguono dall'alba dei tempi il sole e la luna (ed è per questo motivo, secondo il mito, che i due astri si muovono) e finiranno per divorarli nell'ultimo giorno del mondo.
I lupi mannari propriamente detti compaiono anche nell'epica vichinga, in particolare nella saga dei Volsunghi, in almeno due occasioni. Nel canto quinto, a trasformarsi in lupo è la madre di re Sigger, facendo uso delle sue arti magiche. La regina-lupa si diverte, nella leggenda, a infierire sui figli di Volsung, che erano stati fatti prigionieri in battaglia da suo figlio; dei dieci uomini, nove vengono uccisi. Sopravvive Sigmund, aiutato dalla gemella Signi, che è anche moglie di re Sigger. Questa gli unge il volto di miele e la notte il lupo mannaro si ingolosisce, sentendo l'odore, ma gli lecca il volto anziché sbranarlo. Prontamente Sigmund gli afferra la lingua con i denti e la belva se la strappa per liberarsi. Nel tentativo, si procura una ferita che la uccide e, contemporaneamente, spezza i ceppi di Sigmund, liberandolo. Il tema del lupo mannaro ricompare nel canto ottavo; qui Sigmund e il nipote Sinfjotli giungono, attraverso una foresta, a una casa dove dormono due uomini di nobile stirpe. Sopra di loro sono appese delle pelli di lupo, due principi stregati da un incantesimo: devono sempre mostrarsi in forma di lupo, e solo una volta ogni cinque giorni possono riprendere sembianze umane. Sigmund e il nipote, incuriositi dalle pelli, le rubano, facendo ricadere su di loro la maledizione. Assumono sia le sembianze che la natura di lupi, e iniziano a aggredire uomini. In particolare, Sinfjotli si dimostra aggressivo e furbo.
quando nel più folto della foresta si imbatté a sua volta in un gruppo di undici uomini. Invece di chiamare lo zio [si erano accordati di non aggredire più di sette uomini contemporaneamente senza chiedere l'aiuto dell'altro], aspettò il momento più opportuno per coglierli di sorpresa, poi li assalì tutti insieme e li sbranò. Lo zio lo sorprende stanco a sonnecchiare presso i corpi degli uomini uccisi e si adira "Non rispetti i nostri accordi, Sinfjotli". »
Sigmund e Sinfjotli riescono poi a liberarsi dalla maledizione del lupo mannaro dando fuoco alle pelli.
Il mito del licantropo si ritrova nel nord Europa anche in altre zone, oltre alla Scandinavia. Compaiono nella tradizione dei popoli germanici e delle isole britanniche a fianco, di volta in volta, dell'orso mannaro o del gatto selvatico. La diffusione di queste credenze è testimoniata da Olaus Magnus nella sua Historia de gentibus septentrionalis. Magnus racconta come, nella notte di Natale, si radunino in un certo luogo molti uomini-lupo:
li quali la notte medesima, con meravigliosa ferocità incrudeliscono, e contro la generazione umana, e contro gl'altri animali, che non son di feroce natura, che gl'abitatori di quelle regioni patiscono molto di più danno da costoro, che da quei che naturali Lupi sono, non fanno. Perciochè, come s'è trovato impugnato con meravigliosa ferocità a le case de gl'uomini, che stanno nelle selve, e sforzansi di romperle le porte, per poter consumare gl'uomini e le bestie che vi son dentro »
(traduzione dal latino di Remigio Fiorentino, Venezia, 1561)
Il carattere di questi licantropi si differenzia quindi notevolmente dai lupi genuini, che ne escono quasi riabilitati. I mostri descritti da Magnus hanno anche spiccata tendenza all'alcolismo; dopo essere entrati nelle cantine:
« quivi si bevono molte botti [di birra] e di quella e d'altre bevande, e poi lasciano le botti vote, l'una sopra l'altra, in mezzo alla cantina. E in questa parte sono disformi dai naturali, e veri Lupi »
Ulfhendhnir è il nome dato in molte regioni settentrionali a questi esseri, e il suo significato è "dalla casacca di lupo".
Altre culture europee
In Italia il lupo mannaro assume nomi diversi da regione a regione: lupi minari in Calabria, lupenari in Irpinia, lupom'n in Puglia, luponari in Sicilia, Luv Ravas nel cuneese, Loup Ravat nelle valli valdesi.
Nella Francia centrale e meridionale il lupo mannaro è il loup garou. L'etimologia è incerta; secondo alcuni, garou contiene una radice che significa "uomo", mentre secondo altri deriva da loup dont il faut se garer, ovvero "lupo dal quale bisogna guardarsi". Nella Francia settentrionale, in particolare in Bretagna, è il bisclavert.
In Germania e in Gran Bretagna ci sono i werwulf e i werewolf, la cui origine etimologica è la medesima: wer, dalla stessa radice del latino vir (uomo) e wulf o wolf (lupo).
Nell'Europa dell'est compare una figura ambigua, a metà tra il lupo mannaro e un demone in grado di risucchiare la forza vitale (che, più tardi, si identificherà col vampiro). Il suo nome cambia a seconda della regione, ma l'origine del nome rimane sempre la stessa.
È detto oboroten in Russia, wilkolak in Polonia, vulkolak in Bulgaria, varcolac' (la forma forse più nota), in Romania.
Oriente e Americhe
In Oriente, si diceva che Gengis Khan fosse discendente del "grande lupo grigio".
Nelle pianure degli Stati Uniti, erano gli indiani Pawnee a ritenersi imparentati con i lupi. Usavano anche ricoprirsi delle pelli di questi animali per andare a caccia. Un simile comportamento può avere un valore esclusivamente simbolico (la volontà di impadronirsi delle doti del predatore) e non certo mimetico: le potenziali prede degli uomini sono anche, da altrettanto tempo se non di più, prede del lupo, e sono quindi molto ben allenate a distinguerne il manto. Inoltre poco dopo la scoperta delle Americhe i coloni sostenevano che la licantropia fosse una maledizione dei "pelle rossa" dovuta all'"incrocio" di sangue tra coloni e indiani dovuti a matrimoni misti o ad altre motivazioni come gli stupri compiuti meschinamente da coloni nei confronti degli indiani. Ed altri sostenevano fosse la punizione di Dio per aver accettato scambi con gli indiani. Mentre i nativi americani sostenevano che la licantropia fosse una malattia o maledizione portata dai coloni.
Epidemie medievali
Dal Basso Medioevo in avanti, il rogo è una soluzione usata a profusione per sbarazzarsi dei sempre più numerosi mutaforme, che paiono moltiplicarsi, specialmente in Francia e Germania. Il fenomeno arriva a toccare dimensioni gigantesche negli anni successivi alla controriforma, sia nei Paesi cattolici che protestanti. Redigere una contabilità precisa di quanti siano finiti al rogo con l'accusa di mannarismo, da sola o in congiunzione con quella di stregoneria, è molto difficile. Le fonti più prudenti parlano di circa ventimila processi e condanne di licantropi tra il 1300 e il 1600, ma alcuni si sbilanciano fino a suggerire un numero prossimo alle centomila vittime. La storia più famosa è quella di un certo Peter Stubbe, che forse era effettivamente un serial killer. Per secoli si è comunque in presenza di una sorta di isteria collettiva, che è ben testimoniata dagli studi di Jacques Collin de Plancy. De Plancy, studioso francese dell'Ottocento che si dedicò animatamente a studi di spirito volterriano per spazzare la superstizione residua nella gente, raccoglie molte testimonianze dei secoli precedenti nel suo Dictionnaire Infernal, dando un quadro abbastanza preciso di quella che era la situazione in Europa nei secoli citati:
« L'imperatore Sigismondo fece discutere in sua presenza, da un conclave di sapienti, la questione dei lupi mannari, e fu unanimemente stabilito che la mostruosa metamorfosi era un fatto accertato e costante. Un malfattore che volesse compiere qualche soperchieria, non aveva che da spacciarsi per Lupo Mannaro per terrorizzare e mettere in fuga chiunque. A tale scopo non aveva bisogno di trasformarsi davanti a tutti in lupo: bastava la fama. Molti delinquenti vennero arrestati come lupi mannari, pur rimanendo sempre con sembianze umane. Pencer, nella seconda metà del Cinquecento, riferisce che in Livonia, sul finire del mese di dicembre, ogni anno si trova qualche sinistro personaggio che intima agli stregoni di trovarsi in un certo luogo: e, se loro si rifiutano, il Diavolo stesso ve li conduce, distribuendo nerbate così bene assestate da lasciare immancabilmente il segno. Il loro capo va avanti per primo, e migliaia di Stregoni vanno dietro di lui; infine attraversano un fiume, varcato il quale si cambiano in lupi e si gettano su uomini e greggi, menando strage »
Plancy riferisce anche un episodio italiano, la cui fonte prima dice essere un certo Fincel:
« Un giorno venne preso al laccio un lupo mannaro che correva per le vie di Padova; gli si tagliarono le zampe, e il mostro riprese tosto forma d’uomo, ma con piedi e mani mozzati »
Questa sorta di isteria collettiva porta a episodi terribili e grotteschi insieme. A tal medico Pomponace, sempre secondo Plancy, venne portato un contadino affetto da licantropia; questi gridava ai suoi vicini di fuggire se non volevano essere divorati. Siccome lo sventurato non aveva affatto la forma di lupo, i villici avevano cominciato a scorticarlo per vedere se per caso non avesse il pelo sotto la pelle. Non avendone trovato traccia, lo avevano portato dal medico. Pomponace, con maggior buon senso, stabilì che si trattava di un ipocondriaco.
Morfologia licantropica
Per lo più, tutte le storie e le leggende sono concordi nell'affermare l'origine diabolica del mostro, che viene spesso associato con streghe ed eretici. A parte questo punto in comune, è impossibile tracciare una morfologia univoca del licantropo. Normalmente lo si trova rappresentato in forma di lupo (e non una creatura ibrida tra l'uomo e la bestia, come nei film horror), che può però assumere un'ampia gamma di aspetti e dimensioni, dal normale lupo, da cui si distingue solo per l'intelligenza e la ferocia, a una mostruosità grossa come una vacca e deforme, dalla forza spaventosa e dalla ferocia senza pari. Taluni affermano anche che il licantropo è privo di coda, perché le creazioni del diavolo, per quanto ben riuscite, sono necessariamente imperfette. Altri ritengono che sia necessariamente di colore nero. Un possibile tratto distintivo sta nelle sue impronte: in alcune leggende, il lupo mannaro lascia a terra il segno di cinque unghie (i canidi normali lasciano solo quattro tacche. Il pollice si è atrofizzato e non tocca il terreno). Alcuni di questi uomini bestia conservano la possibilità di parlare e ragionare come normali esseri umani, altri la perdono completamente. Anche alla regola secondo cui non vengono mai rappresentati come ibridi ci sono delle eccezioni, sia pure rare e parziali. Infatti, a volte il lupo mannaro sembra poter procedere su due zampe, o conservare una certa prensilità degli arti anteriori, cosa che gli consente, all'occorrenza, di intrufolarsi nelle case scassinando le porte chiuse. Altro tratto distintivo è l'immenso gusto del licantropo per la carne fresca.
Il demonologo francese Pierre Delancre (Bordeaux 1565 (?) – Parigi 1630), lo descrive così:
« Essi sgozzano li cani e li bambini e li divoran con eccellente appetito; camminano a quattro zampe; ululano come veraci [lupi]; hanno ampia bocca, occhi di fuoco e zanne acuminate »
Diventa imperativo, per la possibile vittima medievale, cercare di capire anche come si presenta il mannaro in forma umana, per individuarlo e guardarsene. Il compito non è facile, perché esistono quasi tanti segni indicatori quante sono le versioni della bestia. Bisogna guardarsi da chi ha sopracciglia troppo folte e unite al centro, oppure il volto ferino, i canini troppo affilati, pelo sia sul dorso che sul palmo delle mani. Il dito indice più lungo del medio è sicuro indizio di licantropia, così pure un insano appetito per la carne cruda. È opportuno anche sospettare di chi sia troppo in forze senza che lo si veda mai mangiare; quasi di sicuro è un lupo mannaro che uccide persone la notte e le divora di nascosto.
Personaggio a metà tra lo stregone e l'uomo–lupo è il francese mener de loups o "pastore di lupi". È una sorta di incantatore che, pur non trasformandosi personalmente in lupo, è in grado di radunare e guidare un branco di queste bestie per i suoi scellerati fini. La capacità di comandare un branco di normali lupi è spesso riconosciuta anche al licantropo. Alla testa dei suoi "simili", poi, il lupo mannaro può dare l'assalto a paesi o, addirittura, a roccaforti, facendo strage degli abitanti e divorando gli armenti. Talvolta, questi branchi misti si presteranno anche a fare da cavalcatura alle streghe, e a portarle ai luoghi del sabba.
Nel Medioevo si completa l'opera di demonizzazione del lupo, che viene assimilato al suo "doppio" innaturale e visto come servo delle streghe (il mannaro è una loro possibile incarnazione). I lupi sono vicini a Satana, e devono cominciare a guardarsi con molta attenzione dagli uomini, che talvolta arriveranno a fare dei veri e propri roghi di queste bestie, a fianco di sventurati accusati di stregonerie o eresia.
Diventare licantropo
Molti sono i modi per diventare licantropi. L'unico che non figura nella tradizione è il morso: chi viene morso da un lupo mannaro non diventa lupo mannaro esso stesso. Il morso come veicolo dell'infezione muta forma è una trovata narrativa relativamente moderna, dovuta, quasi certamente, a una contaminazione proveniente dalle storie sul vampirismo.
Per tutto il Medioevo invece, per trasformarsi in lupi il modo più sicuro rimane ricorrere alla magia. Ciò, ovviamente, implica che la trasformazione sia volontaria. Per compierla ci si deve spogliare della propria pelle e indossare una pelle di lupo. Se si è restii ad autoscorticarsi, può bastare indossare una cintura confezionata con la pelle di questo animale. Caratteristica fondamentale perché la pelle possa funzionare è che la testa sia sostanzialmente intatta, se possibile con ancora il cranio inserito a supporto dei denti. La pelle, ovviamente, non può essere quella di un comune lupo, ma deve essere una sorta di veste maledetta. Questa deve essere consegnata dal diavolo, che volentieri la fornisce a persone esecrabili, oppure, secondo consolidata tradizione, in cambio dell'anima. Un'alternativa all'uso della pelle è il ricorso a unguenti o filtri magici. Uno dei componenti fondamentali è quasi sempre il grasso di lupo. A volte questo viene mescolato con sostanze tossiche (come la belladonna) o dagli effetti psicotropi. Una delle più note ricette di filtro magico prevede di mescolare cicuta, semi di papavero, oppio, zafferano, assafetida, solano, prezzemolo e giusquiamo. Parte andava spalmata sul corpo e parte bevuta. Non è quindi improbabile che una persona, se assume un simile intruglio e sopravvive, si comporti come un animale invasato, arrivando ad essere pericoloso. Un ulteriore sistema per trasformarsi è bere "acqua licantropica", cioè raccolta nelle impronte lasciate da un uomo–lupo.
La volontarietà di queste trasformazioni fa sì che possano avvenire in ogni ora del giorno o della notte e in ogni momento. Questo significa che, secondo molte tradizioni, non basta guardarsi dalla luna piena per essere in salvo dai lupi mannari. Il plenilunio assume importanza, anche se non sempre risulta fondamentale, nelle trasformazioni involontarie. Il primo autore ad associare la trasformazione alle fasi lunari è stato presumibilmente Gervasio di Tilbury, uno scrittore medievale. L'idea dell'influsso della luna piena viene ripreso e ritenuto fondamentale dalla maggior parte delle leggende. Vi sono tradizioni (ad esempio in Calabria) secondo cui il licantropo si può trasformare anche sotto l'influsso della luna nuova. L'involontarietà della trasformazione non si ricollega solo al fatto che si verifichi in particolari congiunzioni astrali, ma anche alle sue cause: è solitamente dovuta agli effetti di una maledizione o ad altro accidente. Infatti, anche il venir maledetti da una strega, come pure da un santo o da persona venerabile può portare alla licantropia. San Patrizio, secondo la tradizione, si dedicò a maledire e trasformare in lupi intere popolazioni, così come San Natale. I motivi per cui si può venire maledetti sono molteplici: eresia, empietà, antropofagia (qui ritorna il mito di Licaone), al limite anche solo essere nati in certi periodi dell'anno. Chi nasce la notte di Natale a cavallo della mezzanotte o il giorno dell'Epifania, per esempio, ha buone probabilità di divenire lupo mannaro. Si tratterebbe di una sorta di maledizione divina per punire un gesto quasi blasfemo. Per salvare il figlio dalla crudele sorte, il padre, utilizzando un ferro rovente, deve incidere una croce sotto la pianta di un piede del bambino per i tre Natali successivi. La maledizione può essere dovuta anche a incidenti o piante velenose. Vi è una tradizione abruzzese secondo cui dormire sotto la luna piena (in alcune zone deve essere anche un mercoledì notte) porta al licantropismo. Per le piante, la credenza più diffusa proviene dall'est europeo e avverte di stare lontani dai fiori neri (secondo la versione moldava, questi crescerebbero di preferenza vicino a cimiteri). Il nero è un colore che le infiorescenze in natura non assumono, tranne in casi particolarissimi (non attira gli insetti o altri animali impollinatori), quindi indica soprannaturalità e probabile matrice diabolica.
Difendersi dal licantropo
Tra le scarse difese contro questo essere forte e feroce la più efficace pare essere l'argento. Questo metallo può uccidere tutte le creature sovrannaturali (anche i vampiri, nonostante la tradizione cinematografica prediliga il paletto di frassino). Bisogna perciò trafiggere il mannaro con una lama di argento o sparargli con una pallottola dello stesso materiale. La credenza si deve alle proprietà di disinfettante che fin dall'epoca greca erano associate a questo metallo. Secondo alcune versioni del mito, l'arma d’argento deve anche essere benedetta, o addirittura fusa da un crocifisso d'argento. Le più complesse sono una versione piemontese e una francese della Saintogne; secondo quella piemontese, la fusione deve provenire non solo da un crocifisso d'argento benedetto, ma deve essere realizzata la notte di Natale. La versione della Saintogne non prevede espressamente l'argento, ma le pallottole devono essere benedette in particolari ore della notte in una cappella dedicata a Sant'Uberto (protettore dei cacciatori). Un'alternativa che sembra funzionare bene, almeno con quelli che usano una pelle per trasformarsi, è la distruzione della pelle stessa. Opzionalmente, dopo aver ucciso l'uomo-lupo, si può procedere al taglio della testa prima del seppellimento. Questo eviterà che il mostro, dopo morto, si tramuti in vampiro (tradizione slava).
La licantropia si fronteggia un po' meglio sul fronte della cura e della dissuasione. Se uccidere un lupo mannaro è complicato, si può sempre riuscire a sfuggirgli o a guarirlo. Ad esempio, l'uomo – lupo siciliano non è in grado di salire le scale che, di conseguenza, costituiscono un sicuro riparo e per curare il malcapitato da tale stato di affezione bisogna colpirgli la testa in modo da far zampillare fuori un quantitativo sufficiente di "sangu malatu" (sangue malato). Anche lo zolfo messo sulla soglia di casa costituisce un valido deterrente. Il lupo mannaro abruzzese potrà arrestare la trasformazione se gli si lascia a disposizione un recipiente con acqua pura, nel quale si possa bagnare. In alternativa, si può indurre il licantropo a riassumere la forma umana spillandogli tre gocce di sangue dalla fronte o facendolo ferire da un suo familiare che brandisce un forcone, oppure ancora colpendolo con una chiave priva di buchi. Buona efficacia ha anche l'aconito (in inglese prende il nome di wolfsbain, "bandisci-lupi") che risulta particolarmente sgradito.
La soluzione definitiva e radicale rimane il fuoco, da usarsi, preferibilmente, sul licantropo ancora in forma umana.
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Re: thriller e co.
Triangolo delle bermuda
Triangolo delle Bermuda Area geografica di circa 3.900.000 km², nota anche con i nomi di Triangolo maledetto e Limbo dei dispersi, compresa fra le Bermuda, Puerto Rico e Melbourne in Florida (dal 55°O all'85°O e dal 30°N al 40°N, nella quale sono inspiegabilmente scomparsi, dalla metà del XIX secolo, oltre cinquanta navi e venti aerei.
Uno degli episodi più celebri fu la scomparsa del volo 19: cinque aerosiluranti statunitensi, dopo aver lasciato Fort Lauderdale (Florida) il 5 dicembre 1945 per una normale esercitazione, non fecero più ritorno, come pure l'idrovolante inviato per le ricerche. Altri racconti sul Triangolo delle Bermuda includono navi trovate abbandonate con il cibo ancora caldo nei piatti o aerei spariti senza aver lanciato alcun segnale di soccorso. L'assenza di relitti viene spesso citata come prova del mistero che circonda la regione.
Varie sono state le ipotesi formulate per spiegare questi fenomeni, dai raggi mortali provenienti da Atlantide ai rapimenti da parte degli UFO. Secondo analisi meno fantasiose, il mancato ritrovamento di resti sarebbe da attribuire alle forti correnti e alla profondità marina. Inoltre, molti degli incidenti misteriosi si sarebbero in realtà verificati a oltre 1.000 km di distanza dalla zona del Triangolo. Con il miglioramento delle tecniche di immersione sarà forse possibile recuperare almeno in parte le navi scomparse, ma il mistero che avvolge il Triangolo delle Bermuda è tuttora radicato nell'immaginario collettivo.
...e ancora troviamo sul triangolo maledetto:
la zona prende anche il nome di "Triangolo maledetto" a causa di un lungo elenco di incidenti inspiegabili che vi sono accaduti. I fatti sono molti ed iniziano da molto lontano, ma proseguono con un crescendo impressionante fino ai giorni nostri. Se per quanto riguarda le prime cronache possiamo imputare imprecisioni e distorsioni, altrettanto non possiamo dire per ultimi e più recenti incidenti che, secondo una stima approssimativa, hanno causato addirittura più di mille vittime solo negli anni che vanno dal 1945 al 1975, un numero che, occorre precisare, tiene conto anche degli aerei che a partire dalla seconda guerra mondiale erano precipitati in questa area con impressionante frequenza. Da tenere presente è anche il fatto che non si trattava di una zona ai confini del mondo ma anzi una zona che comprendeva una regione sub tropicale molto frequentata per la dolcezza del clima e la bellezza del paesaggio. Florida Bahamas, Caraibi sono infatti nomi favolosi che evocano spiagge dorate e piacevoli vacanze, che non hanno assolutamente nulla di tetro e desolante. Ma questo dato, in apparenza contrastante, sembra confermare in qualche modo che un fondo di verità deve esserci; inoltre, un altro particolare che rende diverse le disgrazie accadute in quest'area da quelle che avvengono in altre parti del mondo, è il fatto che di tutti gli incidenti non è rimasta traccia. Nessun relitto, nessun superstite. Aerei, navi persone, risultano ogni volta letteralmente sparite. Di loro si sapeva con esattezza il luogo di partenza e la destinazione prevista; si sapevano addirittura minuti particolari relativi al viaggio trasmessi per radio durante la navigazione. Poi più nulla. Interrotti i collegamenti più o meno bruscamente, iniziavano ricerche sistematiche nella presumibile zona dell'incidente, ma sempre senza risultato. Uomini e mezzi erano così scomparsi, volatilizzati nel nulla. Leggende e racconti paurosi sono sempre esistiti sin dall'antichità su tutti i mari sconosciuti, ma la maggior parte si sono sgretolate nel corso degli anni, mentre il mistero del triangolo delle Bermude resiste tuttora. Di seguito verranno ora riportati gli episodi più significativi.
GLI EPISODI - Nel 1840 la Rosalie, una nave mercantile francese partita dall'Europa e diretta nei Caraibi venne ritrovata completamente deserta, mancavano infatti tutti gli uomini che si dovevano trovavano a bordo. Di vivo c'era solo un canarino nella sua gabbia. Ad aumentare il mistero c'era poi la circostanza che sulla Rosalie tutto appariva in perfetto ordine, sia sui ponti, sia sottocoperta, così come i locali dei passeggeri e tutto il carico nella stiva non erano stati manomessi.. A quel tempo gli atti di pirateria non erano certo infrequenti, ma sembrava strano che chi avesse assaltato la nave avesse rapito le persone senza impadronirsi della nave stessa e del carico. Anche le scialuppe erano al loro posto. Non si capiva perciò come la gente avesse potuto abbandonare lo scafo. Né il motivo per cui si sarebbe gettata in mare, come per un raptus collettivo.
La Mary Celeste è forse il caso più conosciuto di una nave ritrovata deserta nell'oceano. Nel 1872 venne avvistata da un bastimento inglese che la abbordò mentre andava alla deriva e la prese come bottino, senza porsi molti interrogativi sulla stranezza di quell'incontro. Anche qui era tutto in ordine, non mancava nulla; viveri, acqua, effetti personali dell'equipaggio. Solo la cabina del capitano appariva chiusa da travi, come se questi avesse voluto barricarsi all'interno. Da dove fosse poi uscito era comunque difficile immaginare. La Mary Celeste portava un carico di alcool stivato in botti, e così si pensò alla possibilità di un incendio a bordo, poi subito rientrato per la caratteristica dell'alcool di estinguersi dopo una breve fiammata. Forse tutti si erano gettati in mare presi dal panico alla vista del fuoco e non erano poi più risusciti a raggiungere la nave che si era allontanata con le vele al vento. Ma sinceramente rimane una ipotesi poco convincente incapace di dare una spiegazione convincente della tragedia avvenuta.
Sempre nella serie delle navi trovate abbandonate inspiegabilmente, c'è il racconto del 1881 del capitano della nave americana Ellen Austin. Viaggiando in pieno Atlantico del nord, in una regione che dovrebbe corrispondere al margine est del triangolo, la Ellen Austin incontrò un bastimento a due alberi chiaramente senza equipaggio. Anche questa volta era tutto in ordine, le vele erano ammainate ma perfettamente pronte per le manovre. Alcuni uomini della Ellen Austin vennero allora trasferiti a bordo per prenderne possesso e rimorchiarlo. Il viaggio in tandem era da poco iniziato quando le condizioni del mare peggiorarono, tanto che i cavi di rimorchio si ruppero e i due scafi si persero di vista. Solo alcuni giorni dopo l'Ellen Austin ritrovò il bastimento, che risultò però di nuovo deserto in quanto gli uomini trasbordati dalla Ellen Austin erano tutti scomparsi. Nessun segno fu trovato per far luce su quanto poteva essere accaduto. Per una seconda volta alcuni volontari salirono a bordo della goletta, evidentemente dietro le pressioni del capitano che voleva a tutti i costi impadronirsene attirato dal grosso guadagno. Ma anche questa volta le due navi non andarono molto lontano. Una seconda tempesta le divise e da allora né il secondo equipaggio né il bottino furono ritrovati.
La nave da guerra Atlanta scomparve invece insieme a tutti i 300 uomini che erano a bordo, proprio in quello stesso periodo. La nave era inglese e tornava in Europa dopo una lunga crociera di addestramento. L'ammiragliato inglese organizzo una ricerca sistematica per lungo tempo, ma senza alcun esito. Forse fu quella la prima volta nella storia in cui furono condotte delle ricerche organizzate con parecchie navi che perlustrarono l'oceano secondo un piano preordinato senza però trarne alcun risultato.
Anche la nave Cyclops scomparve misteriosamente nel marzo del 1918 mentre si trovava nel triangolo. C'erano a bordo più di 300 uomini, tutti della marina degli stati uniti. Si trattava di una nave da guerra e poiché si era in pieno conflitto mondiale, tra le ipotesi della scomparsa, varie prendevano in considerazione un possibile attacco di sommergibili tedeschi. Accurate indagini svolte dopo la fine della guerra portarono però a escludere questa eventualità. Anche la marina statunitense organizzò estese ricerche durate alcuni mesi, ma ogni tentativo fu inutile.
Venendo a tempi più recenti, non possiamo non partire dalla San Paolo, una vecchia nave da guerra brasiliana che viaggiava al seguito di due grossi rimorchiatori con un piccolo equipaggio addetto alle manovre indispensabili del traino. L'episodio accade ai primi di ottobre del 1951. Anche qui le condizioni del tempo consigliarono uno dei rimorchiatori di sganciare le gomene per essere più libero nell'affrontare il mare. La mattina dopo , gli uomini del secondo rimorchiatore si accorsero che anche i loro cavi erano sganciati e che la san paolo era scomparsa. Avvertite per radio, navi americane e inglesi aiutate da numerosi aeri iniziarono le ricerche, senza trovare alcun relitto. La sparizione della San paolo era stata preceduta nel 1926 dalla perdita analoga della nave da carico Cottopaxy e nel 1931 dal mercantile Stavenger che trasmise per l'ultima volta la propria posizione mentre si trovava ad est del Grande Banco della Bahamas. Tutto sembrava procedere regolarmente. I resoconti di incidenti analoghi proseguivano puntualmente anche negli anni sessanta e settanta. Qualcosa di misterioso e comunque inspiegabile toccò nel 1963 alla Marine Sulphur Queen, un grosso cargo americano con quaranta uomini a bordo. La nave viaggiava all'uscita dal golfo del Messico quando un suo messaggio fu ricevuto per l'ultima volta. Considerando che essa doveva raggiungere un porto nella Virginia, si può arguire che avrebbe in seguito percorso lo stretto della florida, seguendo la corrente del Golfo in quanto è un passaggio obbligato per tutti i mezzi diretti a nord, per giunta largo appena una cinquantina di miglia. Difficile svanire in questa zona, sempre piena di traffico. Tuttavia la Marine non fu più vista, né raggiunse mai la Virginia. Per due settimane molti mezzi della guardia costiera americana perlustrarono il mare a nord di cuba e questa volta almeno un salvagente venne ripescato. Apparteneva alla nave scomparsa e ciò dette l'avvio ad una seconda fase di ricerche, che non portò tuttavia ad altri risultati. Nel 1966 fu la volta di un grosso rimorchiatore, il Southern Cities che trainava una chiatta si sessantacinque metri, carica di prodotti chimici e fertilizzanti. Alcuni giorni dopo che il rimorchiatore aveva m smesso di dare notizie, alcuni aerei della guardia costiera riuscirono ad individuare la chiatta che non recava segni di danni. Nessuna traccia invece del Southern Cities e dei suoi uomini. Anche Anita, una carboniera tedesca che tornava in Europa svanì nel 1973 con 34 uomini a bordo. Un caso eclatante fu quello dello Scorpion, uno dei sottomarini atomici americani, che scomparve nel 1968 mentre viaggiava dalle Azzorre diretto alla base in virginia. Il pensiero di novantanove uomini imprigionati nello scafo tra tenne desta per molti giorni l'attenzione di tutto il mondo. Questa volta però la perdita era troppo importante, almeno per la marina degli stati uniti, che impegnò una serie impressionante di mezzi per rintracciare il sommergibile. Motivi militari e di prestigio spingevano a farlo. Bisognava sapere ad ogni costo cosa era accaduto. Solo dopo molti mesi si diffuse la notizia che una nave appositamente attrezzata aveva individuato il relitto un migliaio di chilometri a sud ovest delle Azzorre. Ne avevano dato conferma anche varie foto scattate sul fondale di oltre tremila metri su cui giaceva ciò che poteva essere lo Scorpion. In questo caso dunque non si poteva parlare di sparizione, ma le cause della sciagura come l'esito delle successive ricerche rimasero sempre chiuse in un geloso riserbo. Da quanto emerso tuttavia, sembra che la perdita del sottomarino non sia avvenuta propriamente dentro i limiti del cosiddetto triangolo, nel quale invece si continuò a non trovare traccia di relitti, e nemmeno di quelli degli aerei che nel frattempo sparivano con preoccupante regolarità. In questo contesto nel 1945 si verificò il più inspiegabile degli incidenti, che coinvolse un'intera squadriglia di apparecchi dell'aviazione statunitense. L'episodio accadde esattamente il 5 dicembre durante una missione addestrativa. Cinque apparecchi da caccia Grumman presero i volo dalla base di Fort Lauderdale, una ventina di chilometri a nord di Miami. Questi dovevano andare a bersagliare un pontone situato sul basso fondale corallino che circonda il Grande Banco delle Bahamas. Avrebbero poi percorso una rotta a nord, prima di tornare alla loro base. Una missione semplice senza rischi, di assoluta routine, come molte altre che venivano fatte ogni giorno. Questa volta invece le cose presero una piega imprevista e drammatica. Poco più di un'ora dopo il decollo, quando già l'esercitazione di tiro era stata compiuta e i cinque aeroplani erano sulla via del ritorno, arrivò a Fort Lauderdale un messaggio allarmante. Il comandante comunicava alla base che non riusciva a determinare la propria posizione. Gli strumenti di bordo di tutti gli apparecchi sembravano impazziti. Anche la costa della florida, presumibilmente vicina, era scomparsa dalla vista. Venne mantenuto il collegamento radio e a terra fu presto chiaro che qualcosa di molto strano stava accadendo ai caccia in volo. Il capo squadriglia non riusciva a dare alcuna indicazione sulla propria posizione e lo stesso accadeva anche agli altri quattro apparecchi che viaggiavano alla cieca, esaurendo fatalmente il carburante. A un certo punto il contatto radio finì. Dagli ultimi messaggi si poteva supporre che la squadriglia fosse finita sopra il golfo del Messico, ma in questo caso non si riusciva a capire come i piloti non avessero visto la terra sottostante, mentre sorvolavano la Florida da est ad ovest, dato che le condizioni del tempo erano buone e la visibilità era perfetta. Decollarono quello stesso pomeriggio vari aerei di soccorso, tra cui un grosso idrovolante Martin Mariner, che iniziarono a perlustrare la zona senza tuttavia sapere dove indirizzare esattamente le loro ricerche. I cinque Grumman potevano essere finiti da qualsiasi parte e certamente male, perché l'autonomia del carburante e si era esaurita. Una grave disgrazia sembrava ormai certa, a meno che qualcuno dei piloti non fosse riuscito ad ammarare e a mettersi in salvo con un tipo speciale di zatterino di cui ogni aereo era dotato. Se non bastasse tutto questo, poco dopo la partenza dei primi soccorsi giunse a terra un altro messaggio in cui il comandante dell'idrovolante Martin Mariner annunciava di essere in difficoltà a causa dei venti molto forti incontrati in quota. Nessun'altra comunicazione giunse dal Martin Mariner anch'esso scomparso come gli altri. Alla sera glia aerei perduti erano sei. Mancavano dieci uomini della squadriglia più altri tredici membri che componevano l'equipaggio del bimotore di soccorso. All'alba del giorno dopo iniziò un'operazione di ricerca senza precedenti, con centinaia di aerei, navi, sottomarini e vedette della guardia costiera. Ma pur continuando per diverse settimane, questa gigantesca operazione aeronavale non dette il minimo risultato e così il mistero crebbe, insieme al numero delle congetture che venivano tentate per spiegare in qualche modo l'accaduto. Di razionale, di logico, di comprovabile non c'era nulla. E allora si entrò inevitabilmente nel mistero. Si parlò di astronavi e di extraterrestri che avrebbero avuto imprecisati interessi a interferire nell'attività delle navi ed aerei prelevandoli letteralmente dal nostro pianeta per portarli chissà dove. Si citava Einstein e si parlava di altre dimensioni per suggerire la credibilità queste ipotesi che indubbiamente esercitavano una forte influenza sul pubblico. Un anno e mozzo dopo, cioè nel luglio del 1947, un incidente analogo colpì un altro aereo militare. Si trattava di un C-54 che scomparve con sei uomini a bordo mentre era diretto a una base in florida. Sei mesi più tardi fu la volta di un quadrimotore passeggeri che scomparve nei pressi delle Bermude. Le ultime comunicazioni radio non segnalavano nulla di anormale, ma in seguito i contatti cessarono e l'apparecchio non giunse mai a destinazione. Un quadrimotore del tutto identico a questo andò perduto nel 1949 mentre viaggiava dalle Bermude verso la Giamaica. Apparteneva come il precedente ad una compagnia aerea inglese che insinuò l'idea di un sabotaggio organizzato. Non esisteva però alcuna prova in proposito e del resto non furono i soli aerei a sparire in quel periodo. Poco tempo prima era andato perduto un DC-3 noleggiato da un'agenzia di viaggi di Miami che recava a bordo una quarantina di persone. Questo incidente fu tanto più clamoroso, perché si seppe che nell'ultimo contatto radio il pilota aveva comunicato di essere ormai prossimo all'arrivo, anzi di intravedere già le luci della città. Naturalmente, tutte le ricerche effettuate, anche in questo caso risultarono inutili. Un aereo da trasporto scomparve con trentacinque persone nel 1952 mentre era diretto a Kingston e nell'ottobre del 1954 toccò ancora a un aereo della marina degli stati uniti. Era un Super Constellation partito da Patuxent River nel Maryland, in viaggio verso le Azzorre.
1840 - ROSALIE (nave) ritrovata abbandonata in rotta tra la Francia e Cuba.
1843 - U.S.S. GRANPUS (nave) scomparsa al largo di S. Augustin con 48 persone.
1854 - BELLA (goletta) ritrovata abbandonata nei pressi delle Indie occidentali.
1855 - JAMES B. CHESTER (nave) ritrovata abbandonata a sud ovest delle Azzorre.
1872 - MARY CELESTE (brigantino) ritrovata a Nord delle Azzorre senza equipaggio (10 persone).
1880 - H.M.S. Atalanta (nave scuola) scomparsa sulla rotta Bermuda- Inghilterra con 290 persone.
1902 - FREYA (brigantino) ritrovato abbandonato sulla rotta Cuba-Cile.
1908 - BALTIMORE (brigantino) scomparso ad est di Hampton Roads, Virginia con 9 persone.
1908 - GEORGE F. VREELAND (goletta) scomparsa ad est di Hampton Roads, Virginia, 7 persone.
1909 - GEORGE TAULANE (goletta) scomparsa ad est della costa della Georgia con 7 persone.
1909 - SPRAY (barca) scomparsa sulla rotta Miami-Indie occidentali con 1 persona a bordo.
1909 - MARTHA S. BEMENT (goletta) scomparsa ad est di Jacksonville, Florida con 7 persone.
1909 - MAGGIE S. HART (goletta) scomparsa ad est di Jacksonville, Florida con 8 persone.
1909 - AUBURN (goletta) scomparsa ad est di Jacksonville, Florida con 9 persone.
1909 - ANNA R, BISHOP (goletta) scomparsa ad est di Jacksonville, Florida con 7 persone.
1910 - U.S.S. NINA (piroscafo a vapore) scomparso a Sud di Savannah, Georgia.
1910 - CHARLES W. PARKER (batt. a vapore) scomparso a est della costa del Jersey ,17 persone.
1913 - GEORGE A. LAWRY (goletta) scomparsa ad est di Jacksonville, Florida con 6 persone.
1914 - BENJAMINE F. POOLE (goletta) scomp. ad est di Wilmington, Carolina del Nord, 8 persone.
1914 - FITZ J. BABSON (goletta) scomparsa ad est di Jacksonville, Florida con 7 persone.
1915 - BERTHA L. BASKER (nave-cargo) scomparsa sulla rotta New York-St. Martin.
1915 - SILVA (nave-cargo) scomparsa sulla rotta New York-Antille olandesi.
1915 - MAUDE B. KRUM (goletta) scomparsa ad est di St. Andrews, Florida, con 7 persone.
1916 - BROWN BROS. (brigantino) scomparso ad est di Savannah, Georgia con 12 persone.
1917 - TIMANDRA (nave-cargo) scomparsa ad est di Norfolk, Virginia con 19 persone.
1918 - U.S.S. CYCLOPS (nave-cargo) scomparsa sulla rotta Barbados-Norfolk con 309 persone.
1919 - BAYARD HOPKINS (goletta) scomparsa ad est di Norfolk, Virginia con 6 persone.
1920 - AMELIA ZEMAN (goletta) scomparsa ad est di Norfolk, virginia con 9 persone.
1920 - HEWITT (nave-cargo) scomparsa sulla rotta New York-Europa.
1921 - CARROL A. DEERING (nave) ritrovata abbandonata eccetto che per 2 gatti, a Capo Hatteras.
1921 - BAGDAD (goletta) scomparsa al largo di Key West, Florida, con 8 persone
1921 - MONTE S. MICHELE (piroscafo a vapore) scomparso sulla rotta New York-Europa.
1921 - ESPERANZA DE LARRINAGA (piroscafo a vapore) scomparso sulla rotta New York-Europa.
1921 - OTTAWA (nave cisterna) scomparsa sulla rotta New York-Europa.
1921 - CABEDELLO (nave-cargo) scomparsa sulla rotta New York-Europa.
1921 - STEINSUND (nave-cargo) scomparsa sulla rotta New York-Europa.
1921 - FLORINO (nave-cargo) scomparsa sulla rotta New York-Europa.
1921 - SWARTSKOG (nave-cargo) scomparsa sulla rotta New York-Europa.
1921 - ALBYAN (brigantino) scomparso sulla rotta New York-Europa.
1921 - YUTE (piroscafo a vapore) scomparso sulla rotta New York-Europa.
1922 - SEDGWICK (goletta) scomparsa ad est di Charleston, Carolina del Sud con 6 persone.
1922 - RAIFUKU MARU (nave-cargo) scomparsa ad est delle Bahamas.
1925 - COTOPAXI (nave-cargo) scomparsa sulla rotta Charleston-L' Avana.
1926 - PORTA NOCA (nave passeggeri) scomparsa tra l' Isola dei Pini e Grand Cayman.
1926- SUDUFFCO (nave-cargo) scomparsa a sud di Port Newark con 29 persone.
1931 - STAVANGER (nave-cargo) scomparsa a sud di Cat Island, Bahamas, con 43 persone.
1931 - CURTIS ROBIN (aereo) scomparso al largo di Palm Beach, Florida con 2 persone.
1932 - JOHN & MARY (goletta) ritrovata abbandonata 50 miglia a sud delle Bermuda.
1935 - WRIGHT WHIRLWIND (aereo) scomparso sulla rotta L' Avana-Isola dei Pini con 3 persone.
1938 - ANGLO AUSTRALIAN (nave-cargo) scomparsa a sud ovest delle Azzorre con 39 persone.
1940 - GLORIA COLITE (goletta) ritrovata abbandonata 200 miglia a sud di Mobile, Alabama.
1941 - PROTEUS (nave-cargo gemello della Cyclops) scomp. sulla rotta St.Thomas-Norfolk, Virginia
1941 - NEREUS (nave-cargo gemello della Cyclops) scomp. sulla rotta St. Thomas-Norfolk, Virginia
1941 - MAHUKONA (nave-cargo) scomparsa 600 miglia ad est di Jacksonville, Florida.
1942 - PAULUS (nave passeggeri) scomparsa sulla rotta Indie occidentali-Halifax.
1943 - MARTIN MARINER (nave) scomparsa 150 miglia a sud di Norfolk, Virginia, con 19 persone.
1944 - RUBICON (nave-cargo) ritrovato abbandonata, eccetto che per un cane, al largo della Florida.
1945 - B-25 (aereo) scomparso sulla rotta tra le Bermuda e le Azzorre, con 9 persone.
1945 - PB-4YM (aereo) scomparso sulla rotta tra Miami e le Bahamas, con 15 persone.
1945 - Cinque TBM AVENGERS (aerei) scomparsi 225 miglia nordest di Fort Lauderdale, 14 persone.
1945 - MARTIN MARINER (idrovolante) scomp. 225 miglia nordest di Fort Lauderdale, 13 persone.
1945 - VALMORE (goletta) scomparsa al largo della Carolina del Nord con 4 persone.
1946 - CYTI BELLE (goletta) ritrovata abbandonata 300 miglia a sudest di Miami, Florida, 22 persone.
1947 - Superfortezza C-54 (aereo) scomparso 100 miglia dalle Bermuda.
1948 - STAR TIGER (aereo) scomparso a nord est delle Bermuda, con 31 persone.
1948 - SAM KEY (nave) scomparsa a nord ovest delle Azzorre, con 43 persone.
1948 - AL SNYDER (motoscafo) ritrovato abbandonato sulla rotta Sandy Key-Rabbit Key, 3 persone.
1948 - WILD GOOSE (natante a rimorchio) scomparso nei pressi di Tongue of the ocean, 4 persone.
1948 - DC-3 (aereo passeggeri) scomparso a 50 miglia da Miami, Florida, con 35 persone.
1949 - STAR ARIEL (aereo gemello dello Star Tiger) scomp. tra Bermuda e Giamaica, 20 persone.
1949 - DRIFTWOOD (peschereccio) scomparso tra Fort Lauderdale, Florida e Bimini, 5 persone.
1950 - GLOBEMASTER (aereo) scomparso nel lato settentrionale del Triangolo.
1950 - SANDRA (nave-cargo) scomparsa tra Puerto Cabello e Savannah, 15 persone.
1951 - SAO PAULO (incroc. a rimorchio, 20.000 tonn.) scomp. a sudovest delle Azzorre, 8 persone.
1952 - YORK TRANSPORT (aereo) scomparso a nord ovest delle Bermuda, 39 persone.
1952 - PBY della Marina (aereo) scomparso ad est della Giamaica, con 8 persone.
1954 - U.S. NAVY CONSTELLATION (aereo) scomparso a nord delle Bermuda, con 42 persone.
1954 - SOUTHERN DISTRICTS (nave-cisterna) scomparsa al largo della Carolina, con 23 persone.
1955 - HOME SWEET HOME (goletta) scomparsa sulla rotta Bermuda-Antigua con 7 persone.
1955 - CONNEMARA IV (yacht) scomparso 400 miglia a sud ovest della Bermuda.
1956 - B-25 (aereo) scomparso a sud est della Tongue of the Ocean con 3 persone.
1956 - BOUNTY (goletta) scomparsa sulla rotta tra Miami e Bimini, con 4 persone.
1956 - U.S. NAVY P5M (aereo) scomparso 300 miglia a sud delle Bermuda, con 10 persone.
1958 - REVONOC (yacht) scomparso sulla rotta tra Key West e Miami, Florida, con 5 persone.
1961 - CALLISTA III (nave) scomparsa sulla rotta tra le Bahamas e la Carolina del Nord, 5 persone.
1962 - KB-50 (aereo militare) scomparso ad est di Langley Field, Virginia, con 8 persone.
1962 - WINDFALL (goletta) scomparsa al largo delle Bermuda.
1962 - EVANGELINE (goletta) scomparsa sulla rotta Miami-Bahamas.
1963 - MARINE SULPHUR QUEEN (nave-cargo) scomparsa nello stretto della Florida, 39 persone.
1963 - SNO' BOY (peschereccio) scomparso a sud est della Giamaica, con 40 persone.
1963 - Due KC-135 (jet militari) scomparsi 300 miglia a sud ovest delle Bermuda, con 11 persone.
1963 - C-132 CARGOMASTER (aereo) scomparso ad ovest delle Azzorre, con 10 persone.
1965 - C-119 (aereo-cargo militare) scomp. nei pressi della Air Force Base Grand Turk, 10 persone.
1965 - EL GATO (battello) scomparso sulla rotta tra Great Inagua e Grand Turk, con 1 persona.
1966 - SOUTHERN CITIES (rimorchiatore) scomparso sulla rotta tra Texas e Messico, 6 persone.
1966 - Piper CHEROKEE (aereo) scomparso sulla rotta tra Bimini e Miami, Florida, con 2 persone.
1967 - CHASE YC-122 (aereo) scomp. sulla rotta tra Palm Beach, Florida-Grand Bahama, 4 persone.
1967 - BEECHCRAFT BONANZA (aereo) scomparso al largo di Key Largo, con 4 persone.
1967 - Bimotore BEECHCRAFT (aereo) scomparso sulla rotta Giamaica-Nassau, con 2 persone.
1967 - WITCHCRAFT (motoscafo) scomparso ad 1 miglio da Miami, Florida, con 2 persone.
1968 - ELIZABETH (nave-cargo) scomparsa nei pressi di Windward Passage.
1968 - ITHACA ISLAND (nave-cargo) scomparsa sulla rotta Norfolk-inghilterra, con 29 persone.
1969 - CESSNA 172 (aereo) scomparso vicino a Grand Turk, Bahamas, con 2 persone.
1969 - TEIGNMAUTH ELECTRON (catamarano) scomparso 700 miglia ad ovest delle Azzorre.
1969 - SOUTHERN CROSS (yacht) scomparso al largo di Capo May.
1970 - MILTON IATRIDIS (nave-cargo) scomp. sulla rotta New Orleans-Africa occ., 30 persone.
1971 - CARIBE (nave-cargo) scomparsa sulla rotta Colombia-Rep- Dominicana, con 28 persone.
1971 - LUCKY EDUR (peschereccio) ritrovato abbandonato al largo del Jersey, 10 persone.
1973 - ANITA (nave-cargo) scomparsa ad est di Norfolk, Virginia, con 32 persone.
1973 - DEFIANCE (yacht) ritrovato abbandonato e perso nuovamente a nord di S. Domingo, 4 pers.
1973 - NAVION 16 (aereo) scomparso sulla rotta tra Freeport e West Palm Beach, Florida, 2 persone.
1973 - BEECHCRAFT BONANZA (aereo) scomp. sulla rotta tra Fort Lauderdale e Gret Abaco, 4 pers.
1973 - MARTIN MARINER PBM (aereo) scomp. 150 miglia a sud di Norfolk, Virginia, con 19 persone.
1974 - SABA BANK (yacht) scomparso sulla rotta Nassau- Miami, Florida , con 4 persone.
1974 - CHEROKEE SIX (aereo) scomp. sulla rotta West Palm Beach, Florida-Bahamas, 6 persone.
1974 - DUTCH TREAT (yacht) scomparso sulla rotta Cat Cay-Miami, Florida.
1975 - LOCKEED LODESTAR (aereo) scomp. sulla rotta Grand Cayman- Fort Lauderdale, 4 pers.
1975 - DAWN (battello) scomparso ad est di Florida Keys, con 3 persone.
1975 - MAGNUM (fuoribordo) ritr. abbandonato con mot. acceso 20 miglia est West End, Bahamas.
1975 - MERIDIAN (battello a vela) scomparso sulla rotta Bermuda-Norfolk, Virginia, con 5 persone.
1975 - Bimotore BEECHCRAFT (aereo) scomparso ad ovest di Great inagua, Bahamas, 3 persone.
1975 - BOUNDLESS (rimorchiatore) scomparso sulla rotta Miami, Florida-San Juan, con 5 persone.
1975 - SPEED ARTIST (natante) scomparso sulla rotta Barbados-Guadalupe, con 5 persone.
1975 - IMBROSS (nave-cisterna) scomparsa al largo della Florida in rotta verso il Canada, 22 pers.
1975 - DROSIA (nave-cargo) scomparsa al largo di Cape Hatteras.
1976 - HIGH FLIGHT (veliero) scomparso sulla rotta Miami, Florida-Bimini.
Le cause di tutte queste misteriose sparizioni sono ancora ignote, anche se sono state formulate molte teorie, più o meno azzardate: chi sostiene che in quella zona vi siano i resti di un' antica civiltà; una civiltà sommersa da circa 12000 anni. Atlantide. E che i resti di misteriosi apparecchi generanti campi elettromagnetici costruiti da questa leggendaria civiltà siano ancora attivi, disturbando gli strumenti di bordo di navi ed aerei che si trovino a passare in quella zona.
Questo però non spiega completamente le sparizioni. In parte potrebbero essere dovute ad incidenti provocati dagli strumenti di bordo "impazziti", ma sicuramente non tutti. Alcuni studiosi sovietici hanno formulato l' ipotesi che questi campi elettromagnetici modificano il campo magnetico del nostro pianeta ed in determinate condizioni possono provocare spostamenti di navi ed aerei in altri punti del "continuum" spazio-temporale. In parole semplici, le imbarcazioni ed i velivoli spariti sarebbero stati "inghiottiti" da un' altra dimensione, in cui continuerebbero ad esistere.
In verità, qualcosa è stato ritrovato al largo di Paradise Point, la punta occidentale dell' isola di Bimini. Il professor J. Manson Valentine, zoologo ed archeologo dell' Istituto Oceanografico della stessa Bimini, in collaborazione con altri studiosi e con sommozzatori scientificamente preparati (tra cui Jacques Mayol) ha rinvenuto a 6 metri di profondità rovine risalenti ad almeno 8-10.000 anni fa. Blocchi di pietra indubbiamente lavorati dall' uomo, che avrebbero potuto far parte di strade ed edifici e che non è apparentemente assurdo collegare con il leggendario "continente sommerso".
C'è poi chi propende per la teoria degli UFO, come quel personaggio dei servizi costieri degli Stati Uniti, che dichiarò al giornalista italiano Stelvio Tomei di credere all'esistenza di una base extraterrestre nelle profondità oceaniche, e che questi esseri venuti da altri pianeti vivano in un villaggio sottomarino, e facciano scomparire uomini e mezzi terrestri per le loro ricerche (Gazzetta del Popolo, Torino, 2 febbraio 1975).
Altre ipotesi, ma meno azzardate, sono che queste sparizioni, o ritrovamenti di navi senza persone a bordo siano opera di pirati, anche se a volte le navi ritrovate non erano state depredate del carico o degli oggetti di valore ed a bordo non vi erano tracce di colluttazioni o azioni violente. Anche fosse, questa ipotesi non è valida per gli aeroplani, poichè se tutte le sparizioni fossero imputabili ad incidente aereo, quella del triangolo sarebbe effettivamente una zona "maledetta"!
C'è invece chi sostiene che la causa di tutte queste sparizioni sia da ricercarsi nelle correnti marine che creerebbero vortici giganteschi che risucchierebbero in fondo al mare sia piccole imbarcazioni che grandi navi, e nei cicloni che sviluppatisi all' improvviso farebbero precipitare gli aeroplani.
Ma queste ipotesi sembrano raccogliere meno consensi.
Il mistero rimane.
Triangolo delle Bermuda Area geografica di circa 3.900.000 km², nota anche con i nomi di Triangolo maledetto e Limbo dei dispersi, compresa fra le Bermuda, Puerto Rico e Melbourne in Florida (dal 55°O all'85°O e dal 30°N al 40°N, nella quale sono inspiegabilmente scomparsi, dalla metà del XIX secolo, oltre cinquanta navi e venti aerei.
Uno degli episodi più celebri fu la scomparsa del volo 19: cinque aerosiluranti statunitensi, dopo aver lasciato Fort Lauderdale (Florida) il 5 dicembre 1945 per una normale esercitazione, non fecero più ritorno, come pure l'idrovolante inviato per le ricerche. Altri racconti sul Triangolo delle Bermuda includono navi trovate abbandonate con il cibo ancora caldo nei piatti o aerei spariti senza aver lanciato alcun segnale di soccorso. L'assenza di relitti viene spesso citata come prova del mistero che circonda la regione.
Varie sono state le ipotesi formulate per spiegare questi fenomeni, dai raggi mortali provenienti da Atlantide ai rapimenti da parte degli UFO. Secondo analisi meno fantasiose, il mancato ritrovamento di resti sarebbe da attribuire alle forti correnti e alla profondità marina. Inoltre, molti degli incidenti misteriosi si sarebbero in realtà verificati a oltre 1.000 km di distanza dalla zona del Triangolo. Con il miglioramento delle tecniche di immersione sarà forse possibile recuperare almeno in parte le navi scomparse, ma il mistero che avvolge il Triangolo delle Bermuda è tuttora radicato nell'immaginario collettivo.
...e ancora troviamo sul triangolo maledetto:
la zona prende anche il nome di "Triangolo maledetto" a causa di un lungo elenco di incidenti inspiegabili che vi sono accaduti. I fatti sono molti ed iniziano da molto lontano, ma proseguono con un crescendo impressionante fino ai giorni nostri. Se per quanto riguarda le prime cronache possiamo imputare imprecisioni e distorsioni, altrettanto non possiamo dire per ultimi e più recenti incidenti che, secondo una stima approssimativa, hanno causato addirittura più di mille vittime solo negli anni che vanno dal 1945 al 1975, un numero che, occorre precisare, tiene conto anche degli aerei che a partire dalla seconda guerra mondiale erano precipitati in questa area con impressionante frequenza. Da tenere presente è anche il fatto che non si trattava di una zona ai confini del mondo ma anzi una zona che comprendeva una regione sub tropicale molto frequentata per la dolcezza del clima e la bellezza del paesaggio. Florida Bahamas, Caraibi sono infatti nomi favolosi che evocano spiagge dorate e piacevoli vacanze, che non hanno assolutamente nulla di tetro e desolante. Ma questo dato, in apparenza contrastante, sembra confermare in qualche modo che un fondo di verità deve esserci; inoltre, un altro particolare che rende diverse le disgrazie accadute in quest'area da quelle che avvengono in altre parti del mondo, è il fatto che di tutti gli incidenti non è rimasta traccia. Nessun relitto, nessun superstite. Aerei, navi persone, risultano ogni volta letteralmente sparite. Di loro si sapeva con esattezza il luogo di partenza e la destinazione prevista; si sapevano addirittura minuti particolari relativi al viaggio trasmessi per radio durante la navigazione. Poi più nulla. Interrotti i collegamenti più o meno bruscamente, iniziavano ricerche sistematiche nella presumibile zona dell'incidente, ma sempre senza risultato. Uomini e mezzi erano così scomparsi, volatilizzati nel nulla. Leggende e racconti paurosi sono sempre esistiti sin dall'antichità su tutti i mari sconosciuti, ma la maggior parte si sono sgretolate nel corso degli anni, mentre il mistero del triangolo delle Bermude resiste tuttora. Di seguito verranno ora riportati gli episodi più significativi.
GLI EPISODI - Nel 1840 la Rosalie, una nave mercantile francese partita dall'Europa e diretta nei Caraibi venne ritrovata completamente deserta, mancavano infatti tutti gli uomini che si dovevano trovavano a bordo. Di vivo c'era solo un canarino nella sua gabbia. Ad aumentare il mistero c'era poi la circostanza che sulla Rosalie tutto appariva in perfetto ordine, sia sui ponti, sia sottocoperta, così come i locali dei passeggeri e tutto il carico nella stiva non erano stati manomessi.. A quel tempo gli atti di pirateria non erano certo infrequenti, ma sembrava strano che chi avesse assaltato la nave avesse rapito le persone senza impadronirsi della nave stessa e del carico. Anche le scialuppe erano al loro posto. Non si capiva perciò come la gente avesse potuto abbandonare lo scafo. Né il motivo per cui si sarebbe gettata in mare, come per un raptus collettivo.
La Mary Celeste è forse il caso più conosciuto di una nave ritrovata deserta nell'oceano. Nel 1872 venne avvistata da un bastimento inglese che la abbordò mentre andava alla deriva e la prese come bottino, senza porsi molti interrogativi sulla stranezza di quell'incontro. Anche qui era tutto in ordine, non mancava nulla; viveri, acqua, effetti personali dell'equipaggio. Solo la cabina del capitano appariva chiusa da travi, come se questi avesse voluto barricarsi all'interno. Da dove fosse poi uscito era comunque difficile immaginare. La Mary Celeste portava un carico di alcool stivato in botti, e così si pensò alla possibilità di un incendio a bordo, poi subito rientrato per la caratteristica dell'alcool di estinguersi dopo una breve fiammata. Forse tutti si erano gettati in mare presi dal panico alla vista del fuoco e non erano poi più risusciti a raggiungere la nave che si era allontanata con le vele al vento. Ma sinceramente rimane una ipotesi poco convincente incapace di dare una spiegazione convincente della tragedia avvenuta.
Sempre nella serie delle navi trovate abbandonate inspiegabilmente, c'è il racconto del 1881 del capitano della nave americana Ellen Austin. Viaggiando in pieno Atlantico del nord, in una regione che dovrebbe corrispondere al margine est del triangolo, la Ellen Austin incontrò un bastimento a due alberi chiaramente senza equipaggio. Anche questa volta era tutto in ordine, le vele erano ammainate ma perfettamente pronte per le manovre. Alcuni uomini della Ellen Austin vennero allora trasferiti a bordo per prenderne possesso e rimorchiarlo. Il viaggio in tandem era da poco iniziato quando le condizioni del mare peggiorarono, tanto che i cavi di rimorchio si ruppero e i due scafi si persero di vista. Solo alcuni giorni dopo l'Ellen Austin ritrovò il bastimento, che risultò però di nuovo deserto in quanto gli uomini trasbordati dalla Ellen Austin erano tutti scomparsi. Nessun segno fu trovato per far luce su quanto poteva essere accaduto. Per una seconda volta alcuni volontari salirono a bordo della goletta, evidentemente dietro le pressioni del capitano che voleva a tutti i costi impadronirsene attirato dal grosso guadagno. Ma anche questa volta le due navi non andarono molto lontano. Una seconda tempesta le divise e da allora né il secondo equipaggio né il bottino furono ritrovati.
La nave da guerra Atlanta scomparve invece insieme a tutti i 300 uomini che erano a bordo, proprio in quello stesso periodo. La nave era inglese e tornava in Europa dopo una lunga crociera di addestramento. L'ammiragliato inglese organizzo una ricerca sistematica per lungo tempo, ma senza alcun esito. Forse fu quella la prima volta nella storia in cui furono condotte delle ricerche organizzate con parecchie navi che perlustrarono l'oceano secondo un piano preordinato senza però trarne alcun risultato.
Anche la nave Cyclops scomparve misteriosamente nel marzo del 1918 mentre si trovava nel triangolo. C'erano a bordo più di 300 uomini, tutti della marina degli stati uniti. Si trattava di una nave da guerra e poiché si era in pieno conflitto mondiale, tra le ipotesi della scomparsa, varie prendevano in considerazione un possibile attacco di sommergibili tedeschi. Accurate indagini svolte dopo la fine della guerra portarono però a escludere questa eventualità. Anche la marina statunitense organizzò estese ricerche durate alcuni mesi, ma ogni tentativo fu inutile.
Venendo a tempi più recenti, non possiamo non partire dalla San Paolo, una vecchia nave da guerra brasiliana che viaggiava al seguito di due grossi rimorchiatori con un piccolo equipaggio addetto alle manovre indispensabili del traino. L'episodio accade ai primi di ottobre del 1951. Anche qui le condizioni del tempo consigliarono uno dei rimorchiatori di sganciare le gomene per essere più libero nell'affrontare il mare. La mattina dopo , gli uomini del secondo rimorchiatore si accorsero che anche i loro cavi erano sganciati e che la san paolo era scomparsa. Avvertite per radio, navi americane e inglesi aiutate da numerosi aeri iniziarono le ricerche, senza trovare alcun relitto. La sparizione della San paolo era stata preceduta nel 1926 dalla perdita analoga della nave da carico Cottopaxy e nel 1931 dal mercantile Stavenger che trasmise per l'ultima volta la propria posizione mentre si trovava ad est del Grande Banco della Bahamas. Tutto sembrava procedere regolarmente. I resoconti di incidenti analoghi proseguivano puntualmente anche negli anni sessanta e settanta. Qualcosa di misterioso e comunque inspiegabile toccò nel 1963 alla Marine Sulphur Queen, un grosso cargo americano con quaranta uomini a bordo. La nave viaggiava all'uscita dal golfo del Messico quando un suo messaggio fu ricevuto per l'ultima volta. Considerando che essa doveva raggiungere un porto nella Virginia, si può arguire che avrebbe in seguito percorso lo stretto della florida, seguendo la corrente del Golfo in quanto è un passaggio obbligato per tutti i mezzi diretti a nord, per giunta largo appena una cinquantina di miglia. Difficile svanire in questa zona, sempre piena di traffico. Tuttavia la Marine non fu più vista, né raggiunse mai la Virginia. Per due settimane molti mezzi della guardia costiera americana perlustrarono il mare a nord di cuba e questa volta almeno un salvagente venne ripescato. Apparteneva alla nave scomparsa e ciò dette l'avvio ad una seconda fase di ricerche, che non portò tuttavia ad altri risultati. Nel 1966 fu la volta di un grosso rimorchiatore, il Southern Cities che trainava una chiatta si sessantacinque metri, carica di prodotti chimici e fertilizzanti. Alcuni giorni dopo che il rimorchiatore aveva m smesso di dare notizie, alcuni aerei della guardia costiera riuscirono ad individuare la chiatta che non recava segni di danni. Nessuna traccia invece del Southern Cities e dei suoi uomini. Anche Anita, una carboniera tedesca che tornava in Europa svanì nel 1973 con 34 uomini a bordo. Un caso eclatante fu quello dello Scorpion, uno dei sottomarini atomici americani, che scomparve nel 1968 mentre viaggiava dalle Azzorre diretto alla base in virginia. Il pensiero di novantanove uomini imprigionati nello scafo tra tenne desta per molti giorni l'attenzione di tutto il mondo. Questa volta però la perdita era troppo importante, almeno per la marina degli stati uniti, che impegnò una serie impressionante di mezzi per rintracciare il sommergibile. Motivi militari e di prestigio spingevano a farlo. Bisognava sapere ad ogni costo cosa era accaduto. Solo dopo molti mesi si diffuse la notizia che una nave appositamente attrezzata aveva individuato il relitto un migliaio di chilometri a sud ovest delle Azzorre. Ne avevano dato conferma anche varie foto scattate sul fondale di oltre tremila metri su cui giaceva ciò che poteva essere lo Scorpion. In questo caso dunque non si poteva parlare di sparizione, ma le cause della sciagura come l'esito delle successive ricerche rimasero sempre chiuse in un geloso riserbo. Da quanto emerso tuttavia, sembra che la perdita del sottomarino non sia avvenuta propriamente dentro i limiti del cosiddetto triangolo, nel quale invece si continuò a non trovare traccia di relitti, e nemmeno di quelli degli aerei che nel frattempo sparivano con preoccupante regolarità. In questo contesto nel 1945 si verificò il più inspiegabile degli incidenti, che coinvolse un'intera squadriglia di apparecchi dell'aviazione statunitense. L'episodio accadde esattamente il 5 dicembre durante una missione addestrativa. Cinque apparecchi da caccia Grumman presero i volo dalla base di Fort Lauderdale, una ventina di chilometri a nord di Miami. Questi dovevano andare a bersagliare un pontone situato sul basso fondale corallino che circonda il Grande Banco delle Bahamas. Avrebbero poi percorso una rotta a nord, prima di tornare alla loro base. Una missione semplice senza rischi, di assoluta routine, come molte altre che venivano fatte ogni giorno. Questa volta invece le cose presero una piega imprevista e drammatica. Poco più di un'ora dopo il decollo, quando già l'esercitazione di tiro era stata compiuta e i cinque aeroplani erano sulla via del ritorno, arrivò a Fort Lauderdale un messaggio allarmante. Il comandante comunicava alla base che non riusciva a determinare la propria posizione. Gli strumenti di bordo di tutti gli apparecchi sembravano impazziti. Anche la costa della florida, presumibilmente vicina, era scomparsa dalla vista. Venne mantenuto il collegamento radio e a terra fu presto chiaro che qualcosa di molto strano stava accadendo ai caccia in volo. Il capo squadriglia non riusciva a dare alcuna indicazione sulla propria posizione e lo stesso accadeva anche agli altri quattro apparecchi che viaggiavano alla cieca, esaurendo fatalmente il carburante. A un certo punto il contatto radio finì. Dagli ultimi messaggi si poteva supporre che la squadriglia fosse finita sopra il golfo del Messico, ma in questo caso non si riusciva a capire come i piloti non avessero visto la terra sottostante, mentre sorvolavano la Florida da est ad ovest, dato che le condizioni del tempo erano buone e la visibilità era perfetta. Decollarono quello stesso pomeriggio vari aerei di soccorso, tra cui un grosso idrovolante Martin Mariner, che iniziarono a perlustrare la zona senza tuttavia sapere dove indirizzare esattamente le loro ricerche. I cinque Grumman potevano essere finiti da qualsiasi parte e certamente male, perché l'autonomia del carburante e si era esaurita. Una grave disgrazia sembrava ormai certa, a meno che qualcuno dei piloti non fosse riuscito ad ammarare e a mettersi in salvo con un tipo speciale di zatterino di cui ogni aereo era dotato. Se non bastasse tutto questo, poco dopo la partenza dei primi soccorsi giunse a terra un altro messaggio in cui il comandante dell'idrovolante Martin Mariner annunciava di essere in difficoltà a causa dei venti molto forti incontrati in quota. Nessun'altra comunicazione giunse dal Martin Mariner anch'esso scomparso come gli altri. Alla sera glia aerei perduti erano sei. Mancavano dieci uomini della squadriglia più altri tredici membri che componevano l'equipaggio del bimotore di soccorso. All'alba del giorno dopo iniziò un'operazione di ricerca senza precedenti, con centinaia di aerei, navi, sottomarini e vedette della guardia costiera. Ma pur continuando per diverse settimane, questa gigantesca operazione aeronavale non dette il minimo risultato e così il mistero crebbe, insieme al numero delle congetture che venivano tentate per spiegare in qualche modo l'accaduto. Di razionale, di logico, di comprovabile non c'era nulla. E allora si entrò inevitabilmente nel mistero. Si parlò di astronavi e di extraterrestri che avrebbero avuto imprecisati interessi a interferire nell'attività delle navi ed aerei prelevandoli letteralmente dal nostro pianeta per portarli chissà dove. Si citava Einstein e si parlava di altre dimensioni per suggerire la credibilità queste ipotesi che indubbiamente esercitavano una forte influenza sul pubblico. Un anno e mozzo dopo, cioè nel luglio del 1947, un incidente analogo colpì un altro aereo militare. Si trattava di un C-54 che scomparve con sei uomini a bordo mentre era diretto a una base in florida. Sei mesi più tardi fu la volta di un quadrimotore passeggeri che scomparve nei pressi delle Bermude. Le ultime comunicazioni radio non segnalavano nulla di anormale, ma in seguito i contatti cessarono e l'apparecchio non giunse mai a destinazione. Un quadrimotore del tutto identico a questo andò perduto nel 1949 mentre viaggiava dalle Bermude verso la Giamaica. Apparteneva come il precedente ad una compagnia aerea inglese che insinuò l'idea di un sabotaggio organizzato. Non esisteva però alcuna prova in proposito e del resto non furono i soli aerei a sparire in quel periodo. Poco tempo prima era andato perduto un DC-3 noleggiato da un'agenzia di viaggi di Miami che recava a bordo una quarantina di persone. Questo incidente fu tanto più clamoroso, perché si seppe che nell'ultimo contatto radio il pilota aveva comunicato di essere ormai prossimo all'arrivo, anzi di intravedere già le luci della città. Naturalmente, tutte le ricerche effettuate, anche in questo caso risultarono inutili. Un aereo da trasporto scomparve con trentacinque persone nel 1952 mentre era diretto a Kingston e nell'ottobre del 1954 toccò ancora a un aereo della marina degli stati uniti. Era un Super Constellation partito da Patuxent River nel Maryland, in viaggio verso le Azzorre.
1840 - ROSALIE (nave) ritrovata abbandonata in rotta tra la Francia e Cuba.
1843 - U.S.S. GRANPUS (nave) scomparsa al largo di S. Augustin con 48 persone.
1854 - BELLA (goletta) ritrovata abbandonata nei pressi delle Indie occidentali.
1855 - JAMES B. CHESTER (nave) ritrovata abbandonata a sud ovest delle Azzorre.
1872 - MARY CELESTE (brigantino) ritrovata a Nord delle Azzorre senza equipaggio (10 persone).
1880 - H.M.S. Atalanta (nave scuola) scomparsa sulla rotta Bermuda- Inghilterra con 290 persone.
1902 - FREYA (brigantino) ritrovato abbandonato sulla rotta Cuba-Cile.
1908 - BALTIMORE (brigantino) scomparso ad est di Hampton Roads, Virginia con 9 persone.
1908 - GEORGE F. VREELAND (goletta) scomparsa ad est di Hampton Roads, Virginia, 7 persone.
1909 - GEORGE TAULANE (goletta) scomparsa ad est della costa della Georgia con 7 persone.
1909 - SPRAY (barca) scomparsa sulla rotta Miami-Indie occidentali con 1 persona a bordo.
1909 - MARTHA S. BEMENT (goletta) scomparsa ad est di Jacksonville, Florida con 7 persone.
1909 - MAGGIE S. HART (goletta) scomparsa ad est di Jacksonville, Florida con 8 persone.
1909 - AUBURN (goletta) scomparsa ad est di Jacksonville, Florida con 9 persone.
1909 - ANNA R, BISHOP (goletta) scomparsa ad est di Jacksonville, Florida con 7 persone.
1910 - U.S.S. NINA (piroscafo a vapore) scomparso a Sud di Savannah, Georgia.
1910 - CHARLES W. PARKER (batt. a vapore) scomparso a est della costa del Jersey ,17 persone.
1913 - GEORGE A. LAWRY (goletta) scomparsa ad est di Jacksonville, Florida con 6 persone.
1914 - BENJAMINE F. POOLE (goletta) scomp. ad est di Wilmington, Carolina del Nord, 8 persone.
1914 - FITZ J. BABSON (goletta) scomparsa ad est di Jacksonville, Florida con 7 persone.
1915 - BERTHA L. BASKER (nave-cargo) scomparsa sulla rotta New York-St. Martin.
1915 - SILVA (nave-cargo) scomparsa sulla rotta New York-Antille olandesi.
1915 - MAUDE B. KRUM (goletta) scomparsa ad est di St. Andrews, Florida, con 7 persone.
1916 - BROWN BROS. (brigantino) scomparso ad est di Savannah, Georgia con 12 persone.
1917 - TIMANDRA (nave-cargo) scomparsa ad est di Norfolk, Virginia con 19 persone.
1918 - U.S.S. CYCLOPS (nave-cargo) scomparsa sulla rotta Barbados-Norfolk con 309 persone.
1919 - BAYARD HOPKINS (goletta) scomparsa ad est di Norfolk, Virginia con 6 persone.
1920 - AMELIA ZEMAN (goletta) scomparsa ad est di Norfolk, virginia con 9 persone.
1920 - HEWITT (nave-cargo) scomparsa sulla rotta New York-Europa.
1921 - CARROL A. DEERING (nave) ritrovata abbandonata eccetto che per 2 gatti, a Capo Hatteras.
1921 - BAGDAD (goletta) scomparsa al largo di Key West, Florida, con 8 persone
1921 - MONTE S. MICHELE (piroscafo a vapore) scomparso sulla rotta New York-Europa.
1921 - ESPERANZA DE LARRINAGA (piroscafo a vapore) scomparso sulla rotta New York-Europa.
1921 - OTTAWA (nave cisterna) scomparsa sulla rotta New York-Europa.
1921 - CABEDELLO (nave-cargo) scomparsa sulla rotta New York-Europa.
1921 - STEINSUND (nave-cargo) scomparsa sulla rotta New York-Europa.
1921 - FLORINO (nave-cargo) scomparsa sulla rotta New York-Europa.
1921 - SWARTSKOG (nave-cargo) scomparsa sulla rotta New York-Europa.
1921 - ALBYAN (brigantino) scomparso sulla rotta New York-Europa.
1921 - YUTE (piroscafo a vapore) scomparso sulla rotta New York-Europa.
1922 - SEDGWICK (goletta) scomparsa ad est di Charleston, Carolina del Sud con 6 persone.
1922 - RAIFUKU MARU (nave-cargo) scomparsa ad est delle Bahamas.
1925 - COTOPAXI (nave-cargo) scomparsa sulla rotta Charleston-L' Avana.
1926 - PORTA NOCA (nave passeggeri) scomparsa tra l' Isola dei Pini e Grand Cayman.
1926- SUDUFFCO (nave-cargo) scomparsa a sud di Port Newark con 29 persone.
1931 - STAVANGER (nave-cargo) scomparsa a sud di Cat Island, Bahamas, con 43 persone.
1931 - CURTIS ROBIN (aereo) scomparso al largo di Palm Beach, Florida con 2 persone.
1932 - JOHN & MARY (goletta) ritrovata abbandonata 50 miglia a sud delle Bermuda.
1935 - WRIGHT WHIRLWIND (aereo) scomparso sulla rotta L' Avana-Isola dei Pini con 3 persone.
1938 - ANGLO AUSTRALIAN (nave-cargo) scomparsa a sud ovest delle Azzorre con 39 persone.
1940 - GLORIA COLITE (goletta) ritrovata abbandonata 200 miglia a sud di Mobile, Alabama.
1941 - PROTEUS (nave-cargo gemello della Cyclops) scomp. sulla rotta St.Thomas-Norfolk, Virginia
1941 - NEREUS (nave-cargo gemello della Cyclops) scomp. sulla rotta St. Thomas-Norfolk, Virginia
1941 - MAHUKONA (nave-cargo) scomparsa 600 miglia ad est di Jacksonville, Florida.
1942 - PAULUS (nave passeggeri) scomparsa sulla rotta Indie occidentali-Halifax.
1943 - MARTIN MARINER (nave) scomparsa 150 miglia a sud di Norfolk, Virginia, con 19 persone.
1944 - RUBICON (nave-cargo) ritrovato abbandonata, eccetto che per un cane, al largo della Florida.
1945 - B-25 (aereo) scomparso sulla rotta tra le Bermuda e le Azzorre, con 9 persone.
1945 - PB-4YM (aereo) scomparso sulla rotta tra Miami e le Bahamas, con 15 persone.
1945 - Cinque TBM AVENGERS (aerei) scomparsi 225 miglia nordest di Fort Lauderdale, 14 persone.
1945 - MARTIN MARINER (idrovolante) scomp. 225 miglia nordest di Fort Lauderdale, 13 persone.
1945 - VALMORE (goletta) scomparsa al largo della Carolina del Nord con 4 persone.
1946 - CYTI BELLE (goletta) ritrovata abbandonata 300 miglia a sudest di Miami, Florida, 22 persone.
1947 - Superfortezza C-54 (aereo) scomparso 100 miglia dalle Bermuda.
1948 - STAR TIGER (aereo) scomparso a nord est delle Bermuda, con 31 persone.
1948 - SAM KEY (nave) scomparsa a nord ovest delle Azzorre, con 43 persone.
1948 - AL SNYDER (motoscafo) ritrovato abbandonato sulla rotta Sandy Key-Rabbit Key, 3 persone.
1948 - WILD GOOSE (natante a rimorchio) scomparso nei pressi di Tongue of the ocean, 4 persone.
1948 - DC-3 (aereo passeggeri) scomparso a 50 miglia da Miami, Florida, con 35 persone.
1949 - STAR ARIEL (aereo gemello dello Star Tiger) scomp. tra Bermuda e Giamaica, 20 persone.
1949 - DRIFTWOOD (peschereccio) scomparso tra Fort Lauderdale, Florida e Bimini, 5 persone.
1950 - GLOBEMASTER (aereo) scomparso nel lato settentrionale del Triangolo.
1950 - SANDRA (nave-cargo) scomparsa tra Puerto Cabello e Savannah, 15 persone.
1951 - SAO PAULO (incroc. a rimorchio, 20.000 tonn.) scomp. a sudovest delle Azzorre, 8 persone.
1952 - YORK TRANSPORT (aereo) scomparso a nord ovest delle Bermuda, 39 persone.
1952 - PBY della Marina (aereo) scomparso ad est della Giamaica, con 8 persone.
1954 - U.S. NAVY CONSTELLATION (aereo) scomparso a nord delle Bermuda, con 42 persone.
1954 - SOUTHERN DISTRICTS (nave-cisterna) scomparsa al largo della Carolina, con 23 persone.
1955 - HOME SWEET HOME (goletta) scomparsa sulla rotta Bermuda-Antigua con 7 persone.
1955 - CONNEMARA IV (yacht) scomparso 400 miglia a sud ovest della Bermuda.
1956 - B-25 (aereo) scomparso a sud est della Tongue of the Ocean con 3 persone.
1956 - BOUNTY (goletta) scomparsa sulla rotta tra Miami e Bimini, con 4 persone.
1956 - U.S. NAVY P5M (aereo) scomparso 300 miglia a sud delle Bermuda, con 10 persone.
1958 - REVONOC (yacht) scomparso sulla rotta tra Key West e Miami, Florida, con 5 persone.
1961 - CALLISTA III (nave) scomparsa sulla rotta tra le Bahamas e la Carolina del Nord, 5 persone.
1962 - KB-50 (aereo militare) scomparso ad est di Langley Field, Virginia, con 8 persone.
1962 - WINDFALL (goletta) scomparsa al largo delle Bermuda.
1962 - EVANGELINE (goletta) scomparsa sulla rotta Miami-Bahamas.
1963 - MARINE SULPHUR QUEEN (nave-cargo) scomparsa nello stretto della Florida, 39 persone.
1963 - SNO' BOY (peschereccio) scomparso a sud est della Giamaica, con 40 persone.
1963 - Due KC-135 (jet militari) scomparsi 300 miglia a sud ovest delle Bermuda, con 11 persone.
1963 - C-132 CARGOMASTER (aereo) scomparso ad ovest delle Azzorre, con 10 persone.
1965 - C-119 (aereo-cargo militare) scomp. nei pressi della Air Force Base Grand Turk, 10 persone.
1965 - EL GATO (battello) scomparso sulla rotta tra Great Inagua e Grand Turk, con 1 persona.
1966 - SOUTHERN CITIES (rimorchiatore) scomparso sulla rotta tra Texas e Messico, 6 persone.
1966 - Piper CHEROKEE (aereo) scomparso sulla rotta tra Bimini e Miami, Florida, con 2 persone.
1967 - CHASE YC-122 (aereo) scomp. sulla rotta tra Palm Beach, Florida-Grand Bahama, 4 persone.
1967 - BEECHCRAFT BONANZA (aereo) scomparso al largo di Key Largo, con 4 persone.
1967 - Bimotore BEECHCRAFT (aereo) scomparso sulla rotta Giamaica-Nassau, con 2 persone.
1967 - WITCHCRAFT (motoscafo) scomparso ad 1 miglio da Miami, Florida, con 2 persone.
1968 - ELIZABETH (nave-cargo) scomparsa nei pressi di Windward Passage.
1968 - ITHACA ISLAND (nave-cargo) scomparsa sulla rotta Norfolk-inghilterra, con 29 persone.
1969 - CESSNA 172 (aereo) scomparso vicino a Grand Turk, Bahamas, con 2 persone.
1969 - TEIGNMAUTH ELECTRON (catamarano) scomparso 700 miglia ad ovest delle Azzorre.
1969 - SOUTHERN CROSS (yacht) scomparso al largo di Capo May.
1970 - MILTON IATRIDIS (nave-cargo) scomp. sulla rotta New Orleans-Africa occ., 30 persone.
1971 - CARIBE (nave-cargo) scomparsa sulla rotta Colombia-Rep- Dominicana, con 28 persone.
1971 - LUCKY EDUR (peschereccio) ritrovato abbandonato al largo del Jersey, 10 persone.
1973 - ANITA (nave-cargo) scomparsa ad est di Norfolk, Virginia, con 32 persone.
1973 - DEFIANCE (yacht) ritrovato abbandonato e perso nuovamente a nord di S. Domingo, 4 pers.
1973 - NAVION 16 (aereo) scomparso sulla rotta tra Freeport e West Palm Beach, Florida, 2 persone.
1973 - BEECHCRAFT BONANZA (aereo) scomp. sulla rotta tra Fort Lauderdale e Gret Abaco, 4 pers.
1973 - MARTIN MARINER PBM (aereo) scomp. 150 miglia a sud di Norfolk, Virginia, con 19 persone.
1974 - SABA BANK (yacht) scomparso sulla rotta Nassau- Miami, Florida , con 4 persone.
1974 - CHEROKEE SIX (aereo) scomp. sulla rotta West Palm Beach, Florida-Bahamas, 6 persone.
1974 - DUTCH TREAT (yacht) scomparso sulla rotta Cat Cay-Miami, Florida.
1975 - LOCKEED LODESTAR (aereo) scomp. sulla rotta Grand Cayman- Fort Lauderdale, 4 pers.
1975 - DAWN (battello) scomparso ad est di Florida Keys, con 3 persone.
1975 - MAGNUM (fuoribordo) ritr. abbandonato con mot. acceso 20 miglia est West End, Bahamas.
1975 - MERIDIAN (battello a vela) scomparso sulla rotta Bermuda-Norfolk, Virginia, con 5 persone.
1975 - Bimotore BEECHCRAFT (aereo) scomparso ad ovest di Great inagua, Bahamas, 3 persone.
1975 - BOUNDLESS (rimorchiatore) scomparso sulla rotta Miami, Florida-San Juan, con 5 persone.
1975 - SPEED ARTIST (natante) scomparso sulla rotta Barbados-Guadalupe, con 5 persone.
1975 - IMBROSS (nave-cisterna) scomparsa al largo della Florida in rotta verso il Canada, 22 pers.
1975 - DROSIA (nave-cargo) scomparsa al largo di Cape Hatteras.
1976 - HIGH FLIGHT (veliero) scomparso sulla rotta Miami, Florida-Bimini.
Le cause di tutte queste misteriose sparizioni sono ancora ignote, anche se sono state formulate molte teorie, più o meno azzardate: chi sostiene che in quella zona vi siano i resti di un' antica civiltà; una civiltà sommersa da circa 12000 anni. Atlantide. E che i resti di misteriosi apparecchi generanti campi elettromagnetici costruiti da questa leggendaria civiltà siano ancora attivi, disturbando gli strumenti di bordo di navi ed aerei che si trovino a passare in quella zona.
Questo però non spiega completamente le sparizioni. In parte potrebbero essere dovute ad incidenti provocati dagli strumenti di bordo "impazziti", ma sicuramente non tutti. Alcuni studiosi sovietici hanno formulato l' ipotesi che questi campi elettromagnetici modificano il campo magnetico del nostro pianeta ed in determinate condizioni possono provocare spostamenti di navi ed aerei in altri punti del "continuum" spazio-temporale. In parole semplici, le imbarcazioni ed i velivoli spariti sarebbero stati "inghiottiti" da un' altra dimensione, in cui continuerebbero ad esistere.
In verità, qualcosa è stato ritrovato al largo di Paradise Point, la punta occidentale dell' isola di Bimini. Il professor J. Manson Valentine, zoologo ed archeologo dell' Istituto Oceanografico della stessa Bimini, in collaborazione con altri studiosi e con sommozzatori scientificamente preparati (tra cui Jacques Mayol) ha rinvenuto a 6 metri di profondità rovine risalenti ad almeno 8-10.000 anni fa. Blocchi di pietra indubbiamente lavorati dall' uomo, che avrebbero potuto far parte di strade ed edifici e che non è apparentemente assurdo collegare con il leggendario "continente sommerso".
C'è poi chi propende per la teoria degli UFO, come quel personaggio dei servizi costieri degli Stati Uniti, che dichiarò al giornalista italiano Stelvio Tomei di credere all'esistenza di una base extraterrestre nelle profondità oceaniche, e che questi esseri venuti da altri pianeti vivano in un villaggio sottomarino, e facciano scomparire uomini e mezzi terrestri per le loro ricerche (Gazzetta del Popolo, Torino, 2 febbraio 1975).
Altre ipotesi, ma meno azzardate, sono che queste sparizioni, o ritrovamenti di navi senza persone a bordo siano opera di pirati, anche se a volte le navi ritrovate non erano state depredate del carico o degli oggetti di valore ed a bordo non vi erano tracce di colluttazioni o azioni violente. Anche fosse, questa ipotesi non è valida per gli aeroplani, poichè se tutte le sparizioni fossero imputabili ad incidente aereo, quella del triangolo sarebbe effettivamente una zona "maledetta"!
C'è invece chi sostiene che la causa di tutte queste sparizioni sia da ricercarsi nelle correnti marine che creerebbero vortici giganteschi che risucchierebbero in fondo al mare sia piccole imbarcazioni che grandi navi, e nei cicloni che sviluppatisi all' improvviso farebbero precipitare gli aeroplani.
Ma queste ipotesi sembrano raccogliere meno consensi.
Il mistero rimane.
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Re: thriller e co.
IL DIAMANTE HOPE
Il famoso gioiello maledetto.
Come la storia del "teschio del destino", quella del diamante Hope sembra suggerire la possibilità che i cristalli abbiano il potere di assorbire le emozioni umane.
Il diamante venne acquistato nel 1688 da Luigi XIV da un commerciante francese di nome Jean-Baptiste Tavernier, che si raccontava l'avesse sottratto dall'incavo dell'occhio di un idolo in un tempio indiano. Subito dopo Tavernier faceva bancarotta e nella speranza di rifarsi una fortuna era ripartito alla volta dell'India, senza però mai arrivarci perché era morto durante il viaggio.
Luigi fece tagliare il diamante a forma di cuore per donarlo a Madame de Montespan, una delle sue amanti preferite, coinvolta nel celebre "intrigo dei veleni" in cui una serie di fattucchiere avevano distribuito a dame del bel mondo veleni per togliere di mezzo senza sospetti mariti ingombranti. Nella faccenda c'entrava la magia nera.
Era coinvolto anche un abate, un certo Guiborg, uso a sacrificare neonati sull'altare costituito dal corpo nudo della Montespan. Ovviamente lo scandalo venne soffocato, la cortigiana perse i favori regali e le fattucchiere, torturate nella chambre ardente furono messe al rogo. Così dopo Tavernier, la Montespan sembrò essere la seconda persona a danno della quale il "blu di Francia" (come veniva all'epoca chiamato il gioiello) aveva esercitato il suo nefando influsso.
Un secolo dopo il diamante venne donato da Luigi XVI alla sua regina e sposa Maria Antonietta. Il suo coinvolgimento nella perdita del collare della pietra fece ampiamente scemare la sua già scarsa simpatia presso il popolo e fu sicuramente uno dei motivi indiretti che contribuirono allo scoppio della Rivoluzione francese, nella quale la malcapitata regina venne ghigliottinata. La principessa di Lamballe, a cui Maria Antonietta aveva affidato il diamante, morì anch'ella linciata dalla folla.
Il diamante era ricomparso a Londra, ma già ampiamente ridotto nelle dimensioni, passato da 112,5 a 44,5 carati, meno della metà del suo peso originale. Nel 1830 venne acquistato dal banchiere Henry Thomas Hope per la bellezza di diciottomila sterline e da quel momento in avanti venne battezzalo "diamante Hope". Da quel che sappiamo il signor Hope non riportò alcun effetto collaterale dal possesso del gioiello, né nulla di brutto accadde ai membri della sua famiglia che se lo passarono, finché arrivò nella mani di una cantante, andata in sposa a Lord Francis Hope. La coppia ruppe subito. La donna riconobbe all'istante la tetra influenza del diamante e profetizzò che sarebbe stato la rovina di chiunque l'avesse posseduto. Lei stessa morì in povertà, maledicendo la pietra. Navigando in brutte acque, all'inizio del Novecento Lord Hope decise di vendere il diamante a un agente francese, Jacques Colot, il quale divenuto pazzo si suicidò, non prima però di aver a sua volta venduto la pietra a un russo, il principe Kanitovski che, dopo averla donata a una giovane ballerina, in un raptus di follia l'aveva uccisa la prima sera che la giovane l'aveva indossata. Il principe venne a sua volta giustiziato dai rivoluzionari. Poi era stata la volta di un gioielliere greco, Simon Matharides, il quale, a pochi giorni dall'acquisto, era precipitato da una rupe (secondo alcuni rapporti, venne fatto cadere). Nel 1908 la pietra fu acquistata dal sultano turco Abdul Hamid, noto come "Abdul il dannato". Combinazione, l'anno seguente venne deposto, e ne soffrì a tal punto da impazzire. Il successivo padrone, Habib Bey, morì annegato. Quindi il diamante, tramite il gioielliere francese Pierre Cartier, era finito in America, acquistato da Edward Beale Madean, proprietario del giornale "Washington Post». Non aveva fatto in tempo ad acquistarlo che gli moriva la madre e subito dopo le due fedeli cameriere di casa. Il figlio, il decenne Vinson, guardato a vista e tenuto sotto controllo continuamente da guardie del corpo, un giorno per gioco, elusa la loro sorveglianza, era scappato attraversando di corsa la strada davanti a casa. Proprio in quel momento un'auto che passava lo aveva travolto uccidendolo. Poi Maclean, divisosi dalla moglie Evelyn, era stato coinvolto in uno scandalo e aveva finito la sua vita da alcolizzato. Il diamante era finito alla moglie che lo indossava sovente, sfatando con ironia le brutte storie che tramandavano della sua fattura. Ma quando nel 1946 la figlia si suicidò - avvelenandosi con una dose massiccia di sonnifero - non si potè fare a meno di osservare che il giorno del suo matrimonio la giovane aveva indossato proprio il gioiello maledetto. Nel 1947, alla morte della signora Evelyn Maclean, il diamante venne comperato dal gioielliere newyorkese Harry Winston che lo fece suo per una cifra che si diceva avesse toccato il milione di dollari. Dopo averlo messo in mostra a New York, aveva deciso di consegnarlo allo Smithsonian Institute. Il fatto che lo spedisse all'istituzione dentro un semplicissimo pacco postale dimostra come non sospettava del maleficio gravante sull'oggetto. La busta della spedizione viene conservata ancora oggi insieme al diamante. Quando nel 1965 è stato testato alla luce ultravioletta presso i Laboratori De Beers di Johannesburg, il diamante ha continuato a luccicare e irradiare luce come un pezzo di carbone ardente per parecchi minuti, un fenomeno davvero unico per un diamante. Nel valutare il caso del diamante Hope gli scettici usano lo stesso metro di misura adottato per la cosiddetta maledizione del faraone Tutankhamon, sottolineando cioè come molti fra i proprietari non ebbero a subire alcun danno dal possesso dell'oggetto. Tuttavia, per quanto una giusta dose di prudenza sia senz'altro l'atteggiamento migliore da adottare in casi come questo, liquidare la questione con un'alzata di spalle come una mera superstizione parrebbe un po' troppo frettoloso. T.C. Lethbridge era convinto che tragedie e fatti gravi possono lasciare, come dire, la loro "impronta" nei luoghi dove si consumano, ipotesi descritta per la prima volta all'inizio del XX secolo da Sir Oliver Lodge, che ipotizzava che certe "infestazioni" potrebbero ben spiegarsi come una sorta di "registrazione". Lethbridge chiamava queste infestazioni "demoni" per meglio significare la spiacevole sensazione che essi erano in grado di provocare infestando certi luoghi. Quando aveva diciotto anni, un giorno assieme con la madre stava passeggiando nel grande bosco di Workingham quando, all'improvviso, ambedue si erano sentiti depressi. In seguito erano venuti a sapere che nei pressi del luogo in cui avevano provato quella inspiegabile sensazione una volta era stato rinvenuto il cadavere di un suicida. Lethbridge era convinto che la disperazione di quell'uomo era stata in qualche modo "registrata" dal posto che, a sua volta, era in grado di trasmetterla a persone particolarmente sensibili. Circa quarant’anni dopo, Lethbridge e la moglie Mina erano usciti un pomeriggio lungo la spiaggia per raccogliere conchiglie, in località Ladram nel Devon. Mentre stavano passeggiando ad un tratto Lethbridge aveva nuovamente sperimentato la stessa sensazione di "depressione" e sgomento, come quando si è costretti a avanzare in mezzo alla nebbia. Qualche minuto dopo, Mina gli aveva detto, lei pure in preda al panico: «Non posso stare in questo posto per un minuto di più» e così si erano allontanati in tutta fretta. Il fine settimana successivo avevano appositamente rivisitato quel tratto di spiaggia e di nuovo erano stati assaliti da grande disagio. Quella seconda volta, Mina si era spinta fin sul ciglio di un crepaccio dove all'improvviso aveva sentito il forte desiderio di gettarsi nel vuoto, come se ci fosse stato qualcuno che la incitasse a farlo. Qualche tempo dopo Lethbridge aveva scoperto che proprio di recente un uomo si era suicidalo gettandosi da quel medesimo punto in cui Mina si era sentita minacciata Quello era stato il motivo della depressione. La tristezza dell'uomo che aveva deciso di togliersi la vita aveva impregnato quel posto della sua aura negativa, prontamente "registrata" anche grazie alla presenza dell'elemento catalizzatore dell'acqua. (Ambedue le giornate erano state umide e piovigginose e Lethbridge aveva notato un piccolo ruscello che andava a sfociare in mare proprio nel punto della spiaggia in cui il senso di desolazione si avvertiva con maggiore intensità). Non era stato tanto lo spettro del suicida a spingere Mina a gettarsi dal dirupo, quanto piuttosto era stato il suo spirito sensibile a rispondere alla suggestione negativa registrata dal posto. Questa ipotesi del "nastro registrato" è quella che sottende al concetto di psicometria, vale a dire la capacità che alcune persone particolarmente sensibili hanno di "leggere" la storia di un oggetto semplicemente tenendolo stretto fra le mani. I chiaroveggenti sono convinti che i cristalli posseggano a un grado molto elevato la capacità di assorbire: da qui la grande popolarità delle palle a sfera di cristallo, che debbono sempre essere tenute coperte da un drappo scuro per proteggerle dalla luce e dal calore (per lo stesso principio per cui un nastro magnetico non deve essere esposto alla luce del Sole o a qualche radiazione). La documentazione sulle cosiddette "maledizioni" legate a oggetti che "portano sfortuna" è molto abbondante. Esemplare in merito, è, per esempio, la storia di una nave maledetta, la “The Great Eastern” - sulla quale sono stati scritti addirittura dei libri - una grande nave costruita nel XIX secolo dall'ingegnere Isambard Brunel. Durante la costruzione un rivettatore ed il suo apprendista sparirono e nessuno riuscì più a trovarli: i poveretti erano stati rinchiusi inavvertitamente nel corpo dello scafo. La nave (la più grande mai costruita fino a quel momento) era rimasta incagliata il giorno del varo e ci erano voluti tre mesi per liberarla. Da quel momento la sua "carriera" era stata costellata da continui infortuni. Cinque operai erano morti per lo scoppio di una ciminiera. Una volta in un porto era stata danneggiata da un fulmine. Un capitano era annegato su una scialuppa assieme con il mozzo di cabina. Un marinaio era stato stritolato dalle pale e un altro si era perso in alto mare. La lunga serie dei disastri era continuata fino al disarmo della nave e al suo smantellamento, quindici anni dopo il travagliato varo. Quando le lamiere vennero tagliate per la demolizione, gli allibiti operai si erano trovati di fronte gli scheletri del povero rivettatore e del suo assistente, sigillati nello scafo.
Storie simili relative a navi, case, aerei e automobili maledette non si contano. Per esempio, l'auto sulla quale l'arciduca Ferdinando venne assassinato a Sarajevo (fatto che fece precipitare l'Europa verso il primo conflitto mondiale) provocò la morte dei suoi successivi sette proprietari.
Ora, se Lethbridge ha ragione e la presunta maledizione è semplicemente una sorta di registrazione negativa di fatti incresciosi, e non un fatto di per sé assoluto, si spiegherebbe anche perché alcuni sono sensibili a questo fenomeno mentre altri non se curano affatto né ne vengono affetti. Lethbridge afferma che individui sensibili, come lui e la moglie - ma anche i rabdomanti, per esempio - sono soggetti particolarmente recettivi, mentre tante altre persone prive di questa sensibilità possono tranquillamente non accorgersi di nulla.
Se gli oggetti fisici - come i cristalli - sono sensibili alle vibrazioni della mente umana, ne potrebbe anche conseguire che in certe circostanze una sorta di "maledizione" possa esservi impressa in modo voluto e deliberato, un po' come contraddistinguerli con una penna invisibile. Certamente gli antichi Egizi credevano in questo fenomeno ed erano convinti che le loro tombe potessero essere segnate dal marchio di una "maledizione" al fine di proteggerle dagli intrusi. Non è detto che i sacerdoti del tempio di Rama-sitra non abbiano fatto lo stesso con il meraviglioso, ma maledetto, diamante Hope.
Il famoso gioiello maledetto.
Come la storia del "teschio del destino", quella del diamante Hope sembra suggerire la possibilità che i cristalli abbiano il potere di assorbire le emozioni umane.
Il diamante venne acquistato nel 1688 da Luigi XIV da un commerciante francese di nome Jean-Baptiste Tavernier, che si raccontava l'avesse sottratto dall'incavo dell'occhio di un idolo in un tempio indiano. Subito dopo Tavernier faceva bancarotta e nella speranza di rifarsi una fortuna era ripartito alla volta dell'India, senza però mai arrivarci perché era morto durante il viaggio.
Luigi fece tagliare il diamante a forma di cuore per donarlo a Madame de Montespan, una delle sue amanti preferite, coinvolta nel celebre "intrigo dei veleni" in cui una serie di fattucchiere avevano distribuito a dame del bel mondo veleni per togliere di mezzo senza sospetti mariti ingombranti. Nella faccenda c'entrava la magia nera.
Era coinvolto anche un abate, un certo Guiborg, uso a sacrificare neonati sull'altare costituito dal corpo nudo della Montespan. Ovviamente lo scandalo venne soffocato, la cortigiana perse i favori regali e le fattucchiere, torturate nella chambre ardente furono messe al rogo. Così dopo Tavernier, la Montespan sembrò essere la seconda persona a danno della quale il "blu di Francia" (come veniva all'epoca chiamato il gioiello) aveva esercitato il suo nefando influsso.
Un secolo dopo il diamante venne donato da Luigi XVI alla sua regina e sposa Maria Antonietta. Il suo coinvolgimento nella perdita del collare della pietra fece ampiamente scemare la sua già scarsa simpatia presso il popolo e fu sicuramente uno dei motivi indiretti che contribuirono allo scoppio della Rivoluzione francese, nella quale la malcapitata regina venne ghigliottinata. La principessa di Lamballe, a cui Maria Antonietta aveva affidato il diamante, morì anch'ella linciata dalla folla.
Il diamante era ricomparso a Londra, ma già ampiamente ridotto nelle dimensioni, passato da 112,5 a 44,5 carati, meno della metà del suo peso originale. Nel 1830 venne acquistato dal banchiere Henry Thomas Hope per la bellezza di diciottomila sterline e da quel momento in avanti venne battezzalo "diamante Hope". Da quel che sappiamo il signor Hope non riportò alcun effetto collaterale dal possesso del gioiello, né nulla di brutto accadde ai membri della sua famiglia che se lo passarono, finché arrivò nella mani di una cantante, andata in sposa a Lord Francis Hope. La coppia ruppe subito. La donna riconobbe all'istante la tetra influenza del diamante e profetizzò che sarebbe stato la rovina di chiunque l'avesse posseduto. Lei stessa morì in povertà, maledicendo la pietra. Navigando in brutte acque, all'inizio del Novecento Lord Hope decise di vendere il diamante a un agente francese, Jacques Colot, il quale divenuto pazzo si suicidò, non prima però di aver a sua volta venduto la pietra a un russo, il principe Kanitovski che, dopo averla donata a una giovane ballerina, in un raptus di follia l'aveva uccisa la prima sera che la giovane l'aveva indossata. Il principe venne a sua volta giustiziato dai rivoluzionari. Poi era stata la volta di un gioielliere greco, Simon Matharides, il quale, a pochi giorni dall'acquisto, era precipitato da una rupe (secondo alcuni rapporti, venne fatto cadere). Nel 1908 la pietra fu acquistata dal sultano turco Abdul Hamid, noto come "Abdul il dannato". Combinazione, l'anno seguente venne deposto, e ne soffrì a tal punto da impazzire. Il successivo padrone, Habib Bey, morì annegato. Quindi il diamante, tramite il gioielliere francese Pierre Cartier, era finito in America, acquistato da Edward Beale Madean, proprietario del giornale "Washington Post». Non aveva fatto in tempo ad acquistarlo che gli moriva la madre e subito dopo le due fedeli cameriere di casa. Il figlio, il decenne Vinson, guardato a vista e tenuto sotto controllo continuamente da guardie del corpo, un giorno per gioco, elusa la loro sorveglianza, era scappato attraversando di corsa la strada davanti a casa. Proprio in quel momento un'auto che passava lo aveva travolto uccidendolo. Poi Maclean, divisosi dalla moglie Evelyn, era stato coinvolto in uno scandalo e aveva finito la sua vita da alcolizzato. Il diamante era finito alla moglie che lo indossava sovente, sfatando con ironia le brutte storie che tramandavano della sua fattura. Ma quando nel 1946 la figlia si suicidò - avvelenandosi con una dose massiccia di sonnifero - non si potè fare a meno di osservare che il giorno del suo matrimonio la giovane aveva indossato proprio il gioiello maledetto. Nel 1947, alla morte della signora Evelyn Maclean, il diamante venne comperato dal gioielliere newyorkese Harry Winston che lo fece suo per una cifra che si diceva avesse toccato il milione di dollari. Dopo averlo messo in mostra a New York, aveva deciso di consegnarlo allo Smithsonian Institute. Il fatto che lo spedisse all'istituzione dentro un semplicissimo pacco postale dimostra come non sospettava del maleficio gravante sull'oggetto. La busta della spedizione viene conservata ancora oggi insieme al diamante. Quando nel 1965 è stato testato alla luce ultravioletta presso i Laboratori De Beers di Johannesburg, il diamante ha continuato a luccicare e irradiare luce come un pezzo di carbone ardente per parecchi minuti, un fenomeno davvero unico per un diamante. Nel valutare il caso del diamante Hope gli scettici usano lo stesso metro di misura adottato per la cosiddetta maledizione del faraone Tutankhamon, sottolineando cioè come molti fra i proprietari non ebbero a subire alcun danno dal possesso dell'oggetto. Tuttavia, per quanto una giusta dose di prudenza sia senz'altro l'atteggiamento migliore da adottare in casi come questo, liquidare la questione con un'alzata di spalle come una mera superstizione parrebbe un po' troppo frettoloso. T.C. Lethbridge era convinto che tragedie e fatti gravi possono lasciare, come dire, la loro "impronta" nei luoghi dove si consumano, ipotesi descritta per la prima volta all'inizio del XX secolo da Sir Oliver Lodge, che ipotizzava che certe "infestazioni" potrebbero ben spiegarsi come una sorta di "registrazione". Lethbridge chiamava queste infestazioni "demoni" per meglio significare la spiacevole sensazione che essi erano in grado di provocare infestando certi luoghi. Quando aveva diciotto anni, un giorno assieme con la madre stava passeggiando nel grande bosco di Workingham quando, all'improvviso, ambedue si erano sentiti depressi. In seguito erano venuti a sapere che nei pressi del luogo in cui avevano provato quella inspiegabile sensazione una volta era stato rinvenuto il cadavere di un suicida. Lethbridge era convinto che la disperazione di quell'uomo era stata in qualche modo "registrata" dal posto che, a sua volta, era in grado di trasmetterla a persone particolarmente sensibili. Circa quarant’anni dopo, Lethbridge e la moglie Mina erano usciti un pomeriggio lungo la spiaggia per raccogliere conchiglie, in località Ladram nel Devon. Mentre stavano passeggiando ad un tratto Lethbridge aveva nuovamente sperimentato la stessa sensazione di "depressione" e sgomento, come quando si è costretti a avanzare in mezzo alla nebbia. Qualche minuto dopo, Mina gli aveva detto, lei pure in preda al panico: «Non posso stare in questo posto per un minuto di più» e così si erano allontanati in tutta fretta. Il fine settimana successivo avevano appositamente rivisitato quel tratto di spiaggia e di nuovo erano stati assaliti da grande disagio. Quella seconda volta, Mina si era spinta fin sul ciglio di un crepaccio dove all'improvviso aveva sentito il forte desiderio di gettarsi nel vuoto, come se ci fosse stato qualcuno che la incitasse a farlo. Qualche tempo dopo Lethbridge aveva scoperto che proprio di recente un uomo si era suicidalo gettandosi da quel medesimo punto in cui Mina si era sentita minacciata Quello era stato il motivo della depressione. La tristezza dell'uomo che aveva deciso di togliersi la vita aveva impregnato quel posto della sua aura negativa, prontamente "registrata" anche grazie alla presenza dell'elemento catalizzatore dell'acqua. (Ambedue le giornate erano state umide e piovigginose e Lethbridge aveva notato un piccolo ruscello che andava a sfociare in mare proprio nel punto della spiaggia in cui il senso di desolazione si avvertiva con maggiore intensità). Non era stato tanto lo spettro del suicida a spingere Mina a gettarsi dal dirupo, quanto piuttosto era stato il suo spirito sensibile a rispondere alla suggestione negativa registrata dal posto. Questa ipotesi del "nastro registrato" è quella che sottende al concetto di psicometria, vale a dire la capacità che alcune persone particolarmente sensibili hanno di "leggere" la storia di un oggetto semplicemente tenendolo stretto fra le mani. I chiaroveggenti sono convinti che i cristalli posseggano a un grado molto elevato la capacità di assorbire: da qui la grande popolarità delle palle a sfera di cristallo, che debbono sempre essere tenute coperte da un drappo scuro per proteggerle dalla luce e dal calore (per lo stesso principio per cui un nastro magnetico non deve essere esposto alla luce del Sole o a qualche radiazione). La documentazione sulle cosiddette "maledizioni" legate a oggetti che "portano sfortuna" è molto abbondante. Esemplare in merito, è, per esempio, la storia di una nave maledetta, la “The Great Eastern” - sulla quale sono stati scritti addirittura dei libri - una grande nave costruita nel XIX secolo dall'ingegnere Isambard Brunel. Durante la costruzione un rivettatore ed il suo apprendista sparirono e nessuno riuscì più a trovarli: i poveretti erano stati rinchiusi inavvertitamente nel corpo dello scafo. La nave (la più grande mai costruita fino a quel momento) era rimasta incagliata il giorno del varo e ci erano voluti tre mesi per liberarla. Da quel momento la sua "carriera" era stata costellata da continui infortuni. Cinque operai erano morti per lo scoppio di una ciminiera. Una volta in un porto era stata danneggiata da un fulmine. Un capitano era annegato su una scialuppa assieme con il mozzo di cabina. Un marinaio era stato stritolato dalle pale e un altro si era perso in alto mare. La lunga serie dei disastri era continuata fino al disarmo della nave e al suo smantellamento, quindici anni dopo il travagliato varo. Quando le lamiere vennero tagliate per la demolizione, gli allibiti operai si erano trovati di fronte gli scheletri del povero rivettatore e del suo assistente, sigillati nello scafo.
Storie simili relative a navi, case, aerei e automobili maledette non si contano. Per esempio, l'auto sulla quale l'arciduca Ferdinando venne assassinato a Sarajevo (fatto che fece precipitare l'Europa verso il primo conflitto mondiale) provocò la morte dei suoi successivi sette proprietari.
Ora, se Lethbridge ha ragione e la presunta maledizione è semplicemente una sorta di registrazione negativa di fatti incresciosi, e non un fatto di per sé assoluto, si spiegherebbe anche perché alcuni sono sensibili a questo fenomeno mentre altri non se curano affatto né ne vengono affetti. Lethbridge afferma che individui sensibili, come lui e la moglie - ma anche i rabdomanti, per esempio - sono soggetti particolarmente recettivi, mentre tante altre persone prive di questa sensibilità possono tranquillamente non accorgersi di nulla.
Se gli oggetti fisici - come i cristalli - sono sensibili alle vibrazioni della mente umana, ne potrebbe anche conseguire che in certe circostanze una sorta di "maledizione" possa esservi impressa in modo voluto e deliberato, un po' come contraddistinguerli con una penna invisibile. Certamente gli antichi Egizi credevano in questo fenomeno ed erano convinti che le loro tombe potessero essere segnate dal marchio di una "maledizione" al fine di proteggerle dagli intrusi. Non è detto che i sacerdoti del tempio di Rama-sitra non abbiano fatto lo stesso con il meraviglioso, ma maledetto, diamante Hope.
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IL MISTERO DI EILEAN MORE
L’isola degli uomini scomparsi
In pieno oceano Atlantico, a poco più di 100 km dalle isole Ebridi, si trovano le Isole Flannan, note ai viaggiatori come i ''sette cacciatori".
La più grande e la più settentrionale si chiama Eilean More, nome che, per l'appunto, significa "grande isola".
Al pari della nave Mary Celeste, questo nome è diventato sinonimo di uno dei grandi misteri del mare. Questo gruppo di isole desolate, venne battezzato San Flannan, da un vescovo del XVII secolo, il quale aveva eretto una cappella su Eilean More.
I pastori delle Ebridi erano soliti trasferire le loro greggi di pecore su queste isole per via dei ricchi pascoli erbosi, ma non c'era uomo che si azzardasse a trascorrervi anche una sola notte, poiché si raccontava che quei luoghi erano infestati dagli spiriti e abitati dal "piccolo popolo". A partire dagli ultimi decenni del XIX secolo, con il notevole incremento delle attività inglesi lungo i muri, capitava sempre più spesso che molte navi dirette da sud o da nord sulla rotta di Clydebank, andassero a schiantarsi contro le Flannan, tanto che nel 1895 la sezione settentrionale della sovrintendenza ai fari annunciò che sull'isola di Eilean More sarebbe sorto un faro di riferimento per quella zona di mare. Prima di dare il via ai lavori passarono due anni e quando iniziarono fu impossibile rispettare i tempi progettati. Il mare in continua tempesta e la difficoltà di costruire su un picco a oltre 60 m di altezza resero l'impresa difficile; e così il faro di Eilean More venne inaugurato soltanto a dicembre del 1899. Dall'anno successivo il suo potente fascio di luce avrebbe illuminato la striscia di mare compresa fra Lewis e le Flannan. Però, undici giorni prima di Natale del 1900 il faro era già spento. Che era successo?
Il tempo era troppo brutto e minaccioso per l'ispettore della sovrintendenza, per poter raggiungere sin da subito il faro spento anche se, per precauzione, due erano i possibili accessi, contrapposti fra loro per evitare il vento prevalente, che consentivano di raggiungere la costruzione. Mentre l'uomo, si avvicinava al posto, venne preso da un senso di estrema solitudine quando, osservando da Long Roag, lo sguardo gli si era posato sul gruppo delle Flannan. Un bel mistero: era impossibile che i tre guardiani del faro di Eilean More si fossero ammalati tutti insieme contemporaneamente o che il faro fosse stato distrutto dalla violenza della tempesta.
Il giorno di santo Stefano del 1900 l'alba si presentava chiara e limpida e il mare si era finalmente placato. L’imbarcazione poteva così lasciare il porto alle prime luci. L’ispettore era così ansioso e agitato da rifiutare persine la colazione pur di puntare senza esitazione verso l'isola. Quell'enigma davvero incomprensibile lo tormentava e non vedeva l'ora di poterlo risolvere. All'isola il mare era ancora grosso e ci erano voluti ben tre tentativi prima di poter attraccare al molo orientale. Ai segnali inviati dalla nave, non si era alzata alcuna bandiera di risposta, non un segno di vita. L’ispettore fu il primo a raggiungere l'inferriata che delimitava il recinto del faro. Il cancello era chiuso. Fatto imbuto con le mani aveva chiamato a gran voce, poi si era inerpicato lungo la salita. Al faro la porta principale era sbarrata. Nessuna risposta ai suoi richiami. Nella stanza principale l'orologio a muro era fermo e le braci del camino fredde. Ai piani alti, dove c'erano le stanze da letto che egli visitò solo dopo essere stato raggiunto da due marinai, per la paura di trovare chissà quale terribile spettacolo - tutto era in ordine, a posto, i letti curati e rifatti. L'addetto anziano del faro, era solito scrivere annotazioni su una lavagnetta d'ardesia. L'ultima era datata 15 dicembre alle 9,00 del mattino, proprio il giorno in cui il faro si era misteriosamente spento. Una cosa apparve sicura: non era accaduto per la mancanza di olio. I grandi stoppini erano imbevuti e tutto era predisposto per l'accensione. Insomma, tutto era in perfetto ordine. Risultava evidente che anche il giorno della loro scomparsa i tre uomini si erano preoccupati di assolvere a ogni incombenza; peccato che giunta la sera erano spariti e sull'isola non c'era stato più nessuno per poter accendere la luce del faro. Eppure, il 15 dicembre era stata una giornata calma...
E così l’ispettore era rientrato con i regali natalizi ancora a bordo, perché sull'isola non c'era nessuno. Dopo un paio di giorni, due investigatori avevano raggiunto Eilean More, per cercare di ricostruire ciò che era accaduto. A prima vista la soluzione sembrò facile e lineare. Nell'attracco occidentale, infatti, erano evidentissimi i segni distruttivi di una tempesta. Una grande gru che sovrastava le rocce, aveva tutte le funi avvoltolate in un groviglio inestricabile. Una dozzina di metri sotto, in un crepaccio, venne trovata una grande cassa di attrezzi, scaraventata laggiù da una qualche violenta forza. Era come se un'ondata gigantesca di trenta metri e più si fosse all'improvviso abbattuta sull'isola spazzando via ogni cosa, compresi i tre uomini, ipotesi suffragata dal fatto che gli indumenti protettivi che erano soliti indossare nei sopralluoghi agli attracchi, erano spariti, insomma, l'ipotesi immediatamente intessuta dagli investigatori era piuttosto plausibile. I due uomini, resisi conto che la tempesta stava irreparabilmente danneggiando la gru, indossati i teli impermeabili, erano andati al molo, ma solo per essere investiti da un'ondata gigantesca che li aveva trascinati in mare... Ma che ne era stato del terzo uomo? Aveva forse tentato di aiutare i compagni e pure lui era stato spazzato via dalla cieca furia delle onde?
Ipotesi centrata, ragionevole. Il caso sembrava risolto, salvo saltare tutti in aria quando qualcuno fece osservare che il 15 dicembre era stata una giornata calma e con mare quieto. La tempesta era scoppiata soltanto il giorno dopo. Forse che uno dei tre guardiani si era sbagliato nell'apporre la data del 15 sulla sua lavagnetta degli appunti? Neppure questo. Infatti, rientrato a terra, il capitano della nave testimoniò che proprio quella notte era transitato, in piena calma di mare, nei pressi dell'isola e il faro già era spento.
Anche se quel giorno il mare era calmo, la cosa non escludeva comunque che uno di loro potesse essere egualmente caduto nell'oceano, cosa che spiegherebbe perché il terzo dei tre uomini non aveva indossato il telo impermeabile. Evidentemente, i due compagni avevano tentato di salvarlo, ma erano stati inghiottiti dai marosi ed erano annegati. Eppure, sul molo erano state trovate funi di aggancio e cinture di sicurezza. Possibile che uomini esperti come loro non avessero usato i mezzi di protezione?
Forse l'uomo caduto in mare era svenuto e non avrebbe potuto in alcun modo aggrapparsi a una fune di salvataggio. In questa situazione, però, uno solo si sarebbe gettato in soccorso, lasciando il terzo ben ancorato al molo... e questo che fine aveva fatto...
Un'altra teoria prevedeva l'improvvisa pazzia di uno dei tre, l'uccisione dei due compagni gettati in mare e il successivo suo suicidio. A quel punto, era tutto possibile. Gli investigatori però non trovarono una sola traccia che la potesse in qualche modo suffragare.
Ma la teoria forse più plausibile è quella che venne esposta in un libro. Nel 1947 un giornalista scozzese visitò Eilean More. Era una giornata bellissima e calma. Ad un tratto, d'improvviso, proprio mentre stava per raggiungere l'attracco occidentale, come dal nulla si era levala un'onda gigantesca che aveva sovrastato il molo, alta e terribile. Un attimo dopo tutto si era acquietato e il mare era tornato calmo, come se nulla fosse accaduto. In giornalista aveva subito pensato a qualche misterioso riflusso di marea oppure a un terremoto scatenatosi sott'acqua. Stando alla sua testimonianza, chiunque si fosse per caso trovato in quel preciso momento sul molo non avrebbe certamente potuto salvarsi davanti a tanta violenza. Dai pescatori del posto aveva poi saputo che quelle ondate improvvise e terribili comparivano periodicamente senza apparente motivo e molti erano coloro che avevano perduto la vita.
Tuttavia, anche a fronte di queste ipotesi, continua a sembrare davvero molto strano che tre uomini esperti siano stati contemporaneamente travolti in un incidente. Poiché uno di loro non indossava il telo impermeabile che era stato trovato al suo posto - molto probabilmente si trovava all'interno del faro, quando era successo il disastro; ma che cosa era capitato? E poi quand'anche avesse visto i suoi due compagni travolti dal mare, sarebbe stato così stupido da precipitarsi senza precauzioni al molo, gettandosi fra i marosi per salvarli?
Mistero. La sola cosa certa sta nel fatto che in quel calmo e quieto giorno di dicembre di fine secolo, qualcosa, qualche singolare accadimento si era verificato e i tre uomini del faro di Eilean More erano spariti, lasciandosi dietro soltanto l'alone terribile di un enigma agghiacciante.
L’isola degli uomini scomparsi
In pieno oceano Atlantico, a poco più di 100 km dalle isole Ebridi, si trovano le Isole Flannan, note ai viaggiatori come i ''sette cacciatori".
La più grande e la più settentrionale si chiama Eilean More, nome che, per l'appunto, significa "grande isola".
Al pari della nave Mary Celeste, questo nome è diventato sinonimo di uno dei grandi misteri del mare. Questo gruppo di isole desolate, venne battezzato San Flannan, da un vescovo del XVII secolo, il quale aveva eretto una cappella su Eilean More.
I pastori delle Ebridi erano soliti trasferire le loro greggi di pecore su queste isole per via dei ricchi pascoli erbosi, ma non c'era uomo che si azzardasse a trascorrervi anche una sola notte, poiché si raccontava che quei luoghi erano infestati dagli spiriti e abitati dal "piccolo popolo". A partire dagli ultimi decenni del XIX secolo, con il notevole incremento delle attività inglesi lungo i muri, capitava sempre più spesso che molte navi dirette da sud o da nord sulla rotta di Clydebank, andassero a schiantarsi contro le Flannan, tanto che nel 1895 la sezione settentrionale della sovrintendenza ai fari annunciò che sull'isola di Eilean More sarebbe sorto un faro di riferimento per quella zona di mare. Prima di dare il via ai lavori passarono due anni e quando iniziarono fu impossibile rispettare i tempi progettati. Il mare in continua tempesta e la difficoltà di costruire su un picco a oltre 60 m di altezza resero l'impresa difficile; e così il faro di Eilean More venne inaugurato soltanto a dicembre del 1899. Dall'anno successivo il suo potente fascio di luce avrebbe illuminato la striscia di mare compresa fra Lewis e le Flannan. Però, undici giorni prima di Natale del 1900 il faro era già spento. Che era successo?
Il tempo era troppo brutto e minaccioso per l'ispettore della sovrintendenza, per poter raggiungere sin da subito il faro spento anche se, per precauzione, due erano i possibili accessi, contrapposti fra loro per evitare il vento prevalente, che consentivano di raggiungere la costruzione. Mentre l'uomo, si avvicinava al posto, venne preso da un senso di estrema solitudine quando, osservando da Long Roag, lo sguardo gli si era posato sul gruppo delle Flannan. Un bel mistero: era impossibile che i tre guardiani del faro di Eilean More si fossero ammalati tutti insieme contemporaneamente o che il faro fosse stato distrutto dalla violenza della tempesta.
Il giorno di santo Stefano del 1900 l'alba si presentava chiara e limpida e il mare si era finalmente placato. L’imbarcazione poteva così lasciare il porto alle prime luci. L’ispettore era così ansioso e agitato da rifiutare persine la colazione pur di puntare senza esitazione verso l'isola. Quell'enigma davvero incomprensibile lo tormentava e non vedeva l'ora di poterlo risolvere. All'isola il mare era ancora grosso e ci erano voluti ben tre tentativi prima di poter attraccare al molo orientale. Ai segnali inviati dalla nave, non si era alzata alcuna bandiera di risposta, non un segno di vita. L’ispettore fu il primo a raggiungere l'inferriata che delimitava il recinto del faro. Il cancello era chiuso. Fatto imbuto con le mani aveva chiamato a gran voce, poi si era inerpicato lungo la salita. Al faro la porta principale era sbarrata. Nessuna risposta ai suoi richiami. Nella stanza principale l'orologio a muro era fermo e le braci del camino fredde. Ai piani alti, dove c'erano le stanze da letto che egli visitò solo dopo essere stato raggiunto da due marinai, per la paura di trovare chissà quale terribile spettacolo - tutto era in ordine, a posto, i letti curati e rifatti. L'addetto anziano del faro, era solito scrivere annotazioni su una lavagnetta d'ardesia. L'ultima era datata 15 dicembre alle 9,00 del mattino, proprio il giorno in cui il faro si era misteriosamente spento. Una cosa apparve sicura: non era accaduto per la mancanza di olio. I grandi stoppini erano imbevuti e tutto era predisposto per l'accensione. Insomma, tutto era in perfetto ordine. Risultava evidente che anche il giorno della loro scomparsa i tre uomini si erano preoccupati di assolvere a ogni incombenza; peccato che giunta la sera erano spariti e sull'isola non c'era stato più nessuno per poter accendere la luce del faro. Eppure, il 15 dicembre era stata una giornata calma...
E così l’ispettore era rientrato con i regali natalizi ancora a bordo, perché sull'isola non c'era nessuno. Dopo un paio di giorni, due investigatori avevano raggiunto Eilean More, per cercare di ricostruire ciò che era accaduto. A prima vista la soluzione sembrò facile e lineare. Nell'attracco occidentale, infatti, erano evidentissimi i segni distruttivi di una tempesta. Una grande gru che sovrastava le rocce, aveva tutte le funi avvoltolate in un groviglio inestricabile. Una dozzina di metri sotto, in un crepaccio, venne trovata una grande cassa di attrezzi, scaraventata laggiù da una qualche violenta forza. Era come se un'ondata gigantesca di trenta metri e più si fosse all'improvviso abbattuta sull'isola spazzando via ogni cosa, compresi i tre uomini, ipotesi suffragata dal fatto che gli indumenti protettivi che erano soliti indossare nei sopralluoghi agli attracchi, erano spariti, insomma, l'ipotesi immediatamente intessuta dagli investigatori era piuttosto plausibile. I due uomini, resisi conto che la tempesta stava irreparabilmente danneggiando la gru, indossati i teli impermeabili, erano andati al molo, ma solo per essere investiti da un'ondata gigantesca che li aveva trascinati in mare... Ma che ne era stato del terzo uomo? Aveva forse tentato di aiutare i compagni e pure lui era stato spazzato via dalla cieca furia delle onde?
Ipotesi centrata, ragionevole. Il caso sembrava risolto, salvo saltare tutti in aria quando qualcuno fece osservare che il 15 dicembre era stata una giornata calma e con mare quieto. La tempesta era scoppiata soltanto il giorno dopo. Forse che uno dei tre guardiani si era sbagliato nell'apporre la data del 15 sulla sua lavagnetta degli appunti? Neppure questo. Infatti, rientrato a terra, il capitano della nave testimoniò che proprio quella notte era transitato, in piena calma di mare, nei pressi dell'isola e il faro già era spento.
Anche se quel giorno il mare era calmo, la cosa non escludeva comunque che uno di loro potesse essere egualmente caduto nell'oceano, cosa che spiegherebbe perché il terzo dei tre uomini non aveva indossato il telo impermeabile. Evidentemente, i due compagni avevano tentato di salvarlo, ma erano stati inghiottiti dai marosi ed erano annegati. Eppure, sul molo erano state trovate funi di aggancio e cinture di sicurezza. Possibile che uomini esperti come loro non avessero usato i mezzi di protezione?
Forse l'uomo caduto in mare era svenuto e non avrebbe potuto in alcun modo aggrapparsi a una fune di salvataggio. In questa situazione, però, uno solo si sarebbe gettato in soccorso, lasciando il terzo ben ancorato al molo... e questo che fine aveva fatto...
Un'altra teoria prevedeva l'improvvisa pazzia di uno dei tre, l'uccisione dei due compagni gettati in mare e il successivo suo suicidio. A quel punto, era tutto possibile. Gli investigatori però non trovarono una sola traccia che la potesse in qualche modo suffragare.
Ma la teoria forse più plausibile è quella che venne esposta in un libro. Nel 1947 un giornalista scozzese visitò Eilean More. Era una giornata bellissima e calma. Ad un tratto, d'improvviso, proprio mentre stava per raggiungere l'attracco occidentale, come dal nulla si era levala un'onda gigantesca che aveva sovrastato il molo, alta e terribile. Un attimo dopo tutto si era acquietato e il mare era tornato calmo, come se nulla fosse accaduto. In giornalista aveva subito pensato a qualche misterioso riflusso di marea oppure a un terremoto scatenatosi sott'acqua. Stando alla sua testimonianza, chiunque si fosse per caso trovato in quel preciso momento sul molo non avrebbe certamente potuto salvarsi davanti a tanta violenza. Dai pescatori del posto aveva poi saputo che quelle ondate improvvise e terribili comparivano periodicamente senza apparente motivo e molti erano coloro che avevano perduto la vita.
Tuttavia, anche a fronte di queste ipotesi, continua a sembrare davvero molto strano che tre uomini esperti siano stati contemporaneamente travolti in un incidente. Poiché uno di loro non indossava il telo impermeabile che era stato trovato al suo posto - molto probabilmente si trovava all'interno del faro, quando era successo il disastro; ma che cosa era capitato? E poi quand'anche avesse visto i suoi due compagni travolti dal mare, sarebbe stato così stupido da precipitarsi senza precauzioni al molo, gettandosi fra i marosi per salvarli?
Mistero. La sola cosa certa sta nel fatto che in quel calmo e quieto giorno di dicembre di fine secolo, qualcosa, qualche singolare accadimento si era verificato e i tre uomini del faro di Eilean More erano spariti, lasciandosi dietro soltanto l'alone terribile di un enigma agghiacciante.
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Re: thriller e co.
La grande esplosione di Tunguska
II 30 giugno del 1908 gli abitanti di Nizhne-Karelinsk, un piccolo villaggio nel cuore della Siberia, spaventati e affascinati, videro una vivida striscia bluastra solcare il cielo di nordovest a folle velocità. Quello che all'inizio era sembrato un solo punto luminoso si era mantenuto tale per non più di dieci minuti, poi si era spaccato in due. All'impatto con la Terra la "cosa" aveva sollevato una intensa e spessa coltre di fumo e detriti. Qualche secondo ancora e c'erano state delle violente detonazioni che avevano fatto tremare le case.
Credendo fosse arrivato il giorno del giudizio divino, molti si erano gettati a terra in ginocchio, implorando il perdono di Dio.
A posteriori, si deve tutto sommato riconoscere che non si trattò di una reazione spropositata, dal momento che quella gente terrorizzata aveva assistito alla più grande catastrofe naturale rovesciatasi sul pianeta che la storia ufficiale ricordi. Se l'oggetto che provocò l'evento - che noi oggi siamo soliti definire "la grande esplosione siberiana" - fosse sopraggiunto solo poche ore prima o dopo avrebbe potuto impattare in qualche regione abitata e popolosa provocando danni e distruzioni neppure immaginabili.
Come si venne poi a sapere a seguito delle vaste indagini, il villaggio di Nizhne-Karelinsk distava quasi 400 km dal punto dell'urto, tuttavia i tetti delle case avevano abbondantemente tremato, scrollandosi di dosso la polvere del tempo. Il treno della Transiberiana si era fermato, perché il conducente aveva avuto l'impressione che fosse deragliato; mentre i sismografi della cittadina di Irkutsk, segnalavano senz'altro un terremoto di vaste e potenti dimensioni. E pensare che sia la città sia il treno in quel momento distavano circa 1200 km dall'epicentro del fenomeno.
Qualunque cosa sia stata a cadere nella regione siberiana, era esplosa sprigionando un'energia strepitosa. Le onde d'urto avevano fatto due volte l'intero giro del pianeta prima di acquietarsi e gli effetti meteorologici sull'emisfero settentrionale ebbero strascichi a lunga gittata oltre che singolari. Per tutta la restante parte del mese di giugno, per esempio, a mezzanotte a Londra si potevano leggere con tutta tranquillità gli articoli del «Times», notoriamente scritti in caratteri a dir poco minuscoli. Sui quotidiani circolavano fotografie notturne di Stoccolma che sembravano scattate di giorno ed invece erano state prese nel cuore della notte senza alcun altro ausilio, vale a dire utilizzando la luce naturale; ma anche celebre era diventata l'immagine della città russa di Navrochat scattata a mezzanotte e limpida e chiara come una qualsiasi presa in un bel pomeriggio estivo.
Per alcuni mesi il mondo intero potè assistere a tramonti e aurore spettacolari, almeno tanto belle e impressionanti quali quelle generate dal vulcano Krakatoa a seguito della spettacolare esplosione del 1883. Da qui, oltre alle solite immense nubi vulcaniche, si era sollevata nell'atmosfera terrestre una grande quantità di polvere, come avviene nelle esplosioni nucleari.
Ma la cosa più singolare di questo evento sta nel fatto che all'epoca non ci fu nessuno che gli prestò attenzione. Nei giornali locali erano comparsi alcuni trafiletti, ma al di là di questo non era successo null'altro. I meteorologi si interrogavano sugli strani fenomeni celesti e climatici, ma a nessuno venne in mente di risalire alla vera causa di tutto quel pandemonio.
Fu solo dopo la fine della prima guerra mondiale e dopo che l'impero zarista era stato rovesciato dalla rivoluzione che lo straordinario evento venne finalmente portato all'attenzione del mondo della scienza e della ricerca. Nel 1921, come parte del piano più generale previsto da Lenin per collocare in prima fila nel campo scientifico la sua Russia davanti agli occhi del mondo, l'Accademia sovietica delle Scienze assegnò al professor Leonid Kulik il compito di investigare in modo appropriato sulle precipitazioni di meteoriti sul territorio russo. Kulik fu il primo, dunque, a cercare di ricostruire ciò che era accaduto. Dopo aver messo insieme i pochi rapporti giornalistici redatti all'epoca, si era senz'altro convinto che qualcosa di veramente importante doveva essere accaduto nel cuore della Siberia in quella estate del 1908.
I rapporti e i resoconti raccolti suonavano però contraddittori e confusi. Non ce n'erano due che concordassero sull'esatto punto dello schianto. In alcuni, invece, si diceva che il meteorite era stato persine trovato. Insomma, una grande confusione. Tuttavia, quando i suoi collaboratori avevano incominciato a raccogliere testimonianze, Kulik aveva trovato nuovamente conferma dell'eccezionalità del fenomeno. Doveva indagare, assolutamente, perché non si trattava di un "normale" meteorite.
Tutti i rapporti erano per lo meno concordi su di un aspetto: quando l'oggetto si era schiantato al suolo, aveva creato un cratere enorme, dal quale si era innalzata una colonna di fumo e fuoco ardente più del Sole stesso. Capanne distanti erano state spazzate via e le mandrie di renne si erano disperse terrorizzate. Un uomo, intento ad arare nel suo piccolo campo, aveva avvertito un forte calore sulle spalle, mentre altri dichiararono di aver subito delle evidenti scottature sul viso, ma solo da un lato. Altri erano diventati temporaneamente sordi per il gran frastuono ed altri ancora avevano riportato per un lungo periodo i segni degli effetti termici legati al misterioso fenomeno. Ciò malgrado, molto stranamente, non si aveva avuto notizia di vittime o di persone ferite in modo serio. La "cosa" piombata dal cielo aveva scelto uno dei rari luoghi del pianeta in cui gli effetti della sua caduta sarebbero stati contenuti e non catastrofici. Si fosse presentata all'impatto con la Terra qualche ora più tardi, si sarebbe schiantata su San Pietroburgo, Londra o New York. Anche se fosse sprofondata nell'oceano, le gigantesche ondate che si sarebbero sollevate avrebbero devastato e cancellato dalla faccia della Terra tutte le zone costiere. Insomma, quel fatidico giorno l'umanità aveva corso il rischio del più terrificante disastro della Storia e non se n'era neppure resa conto.
Dopo tanto cercare, però, alla fine Kulik era riuscito a mettere le mani sul rapporto di un meteorologo locale, il quale, bontà sua, si era preoccupato di segnare le coordinate del punto di impatto. Ricevuta conferma dall'archivio dati dell'Accademia delle Scienze, il professore aveva così potuto organizzare la spedizione e muoversi per raggiungere il luogo dell'impatto con la necessaria cognizione di causa.
L'immensa foresta siberiana è uno dei luoghi più desolati di tutto il pianeta. Ancora oggi è in gran parte inesplorata e ci sono zone che l'occhio umano ha solo visto dall'alto, tramite ricognizioni aeree. I pochi insediamenti esistenti sono tutti raggruppati lungo le rive dei grandi fiumi, alcuni tanto larghi da non riuscire a occhio nudo a guardare da una sponda all'altra. Gli inverni sono gelidi, mentre in estate il terreno si fa paludoso e l'aria è infestata da sciami di insetti. Kulik era atteso da un'impresa molto difficile. L'unica possibilità per muoversi erano cavalli e muli oppure zattere per spostarsi lungo i fiumi, senza, per di più, sapere dove andare a parare o che cosa cercare esattamente.
Nel marzo del 1927 Kulik era dunque pronto. Nel gruppo c'erano anche due guide locali che dicevano di aver assistito all'evento. Dopo non poche traversie, ad aprile, la spedizione era approdata sul fiume Mekirta, il corso d'acqua più vicino al punto dell'impatto, all'epoca una sorta di barriera naturale fra la foresta intoccata e vergine e una devastazione pressoché totale. Raggiunto finalmente il posto della catastrofe, per prima cosa Kulik era salito su di una vicina altura per osservare la zona dall'alto. Per quanto gli riusciva di spingere lo sguardo lontano in direzione nord - una distanza di quasi venti chilometri - non si scorgeva un solo albero rimasto in piedi. Erano stati tutti atterrati dall'esplosione e ora giacevano distesi come tanti soldatini abbattuti, tutti rivolti verso di lui. Era inoltre chiaro che lo spettacolo che stava osservando era soltanto una parte della totalità della devastazione, visto che a perdita d'occhio gli alberi risultavano tutti coricati, allineati nella medesima direzione. La catastrofe doveva essere stata ben più grande di quanto anche i rapporti più generosi avevano riportato.
Quando Kulik aveva deciso che si sarebbe perlustrata l'intera zona devastala, le due guide si erano spaventate e avevano rifiutato di seguirlo. Anzi minacciavano di lasciare il luogo, abbandonandolo al suo destino. Era stato costretto a tornare indietro e soltanto in giugno era riuscito a tornare sul posto con due nuove guide.
La spedizione era quindi entrata in azione. Per alcuni giorni la carovana si era spostata lungo la traiettoria indicata dagli alberi caduti, poi aveva raggiunto un grande anfiteatro in mezzo alle colline e qui era stato collocato il campo base. I giorni successivi Kulik li aveva impegnati a monitorare la zona, arrivando a concludere che quello era il grande cratere, il centro dove si era scatenato l'inferno dell'impatto. Tutto attorno, gli alberi giacevano a terra la punta rivolta verso l’esterno, mentre se n’erano preservati alcuni gruppi incredibilmente rimasti dritti. Proprio nel centro del grande cratere, molti alberi erano rimasti in piedi, anche se spogli e carbonizzati. Adesso l'immensità della devastazione cominciava ad apparire in tutta la sua interezza, se solo si considerava che dalle sponde del fiume al centro del cratere correvano la bellezza di 60 km. In altre parole, l'impatto aveva devastato un'area di foresta superiore a 10.000 km quadrati. Sempre lavorando sull'ipotesi che la catastrofe fosse stata provocata da un gigantesco meteorite, Kulik si era messo a ricercarne i resti, credendo di averne trovata traccia quando si era imbattuto in una serie di cavità piene d'acqua che egli riteneva causate dai frammenti del meteorite esploso nell'impatto. Ma quando alcune di quelle cavità erano state prosciugate si erano rivelate desolatamente vuote. Una presentava sul fondo addirittura dei ceppi d'albero, prova evidente che non poteva essere stata provocata dall'impatto con un blocco meteorico. Kulik era destinato a compiere ben quattro spedizioni nella zona dell'esplosione e fino alla morte rimase convinto che si era trattato di un gigantesco meteorite, anche se non rintracciò mai i frammenti di ferro e roccia che avrebbero in qualche modo confermato la sua teoria. Perché, alla resa dei conti, malgrado i tanti sforzi, Kulik non riuscì a dimostrare che qualcosa aveva impattato il terreno. Si notava il segno di almeno due onde esplosive - quella vera e propria e quella balistica - ma non si poteva riconoscere un cratere impattivo vero e proprio.
Quella nuova evidenza non faceva che rafforzare il già fitto mistero. Da una ricognizione aerea effettuata nel 1938 si rilevò che in verità soltanto 2.000 km quadrati di foresta erano stati abbattuti e che il punto centrale della zona disastrata era chiaramente segnato dalla singolare presenza di alcuni alberi conservatisi misteriosamente in piedi. Questo particolare rispondeva allo schema distruttivo tipico dell'esplosione di una bomba piuttosto che a quello di un meteorite, tipo quello che a Winslow, in Arizona, ha lasciato dietro di sé un cratere profondo più di 200 m. Anche il modo in cui l'oggetto era precipitato sulla Terra era in discussione. Oltre settecento testimoni riferirono che ad un tratto aveva cambiato rotta. La direzione originale, infatti, l'avrebbe portato a precipitare nei pressi del lago Baikal, ma ciò non era avvenuto per via del mutamento di traiettoria. Non esiste alcun corpo celeste in grado di manovrare mentre precipita, né è possibile ai fisici spiegare come potrebbe farlo, pur mettendo in campo tutte le teorie conosciute.
Un altro effetto degno di nota derivato dalla catastrofe è quello esercitato sugli alberi e sugli insetti della zona colpita. Gli alberi che non erano stati abbattuti avevano però interrotto la crescita o, al contrario, si erano sviluppati in modo rapido e anomalo. Studi zoologici hanno rivelato la presenza di nuovi tipi di formiche e insetti, esseri viventi tipici soltanto della regione di Tunguska dopo l'incidente.
Non erano trascorsi che pochi anni da quando il professor Kulik era morto in un campo di concentramento tedesco, che anche i Giapponesi ebbero modo di sperimentare analoghi, ma ancora più terribili, effetti simili a quelli dell'esplosione di Tunguska con la distruzione delle città di Hiroshima e Nagasaki a causa della bomba atomica.
Le conoscenze di cui disponiamo ci aiutano a chiarire in parte il mistero che lauto ha angustiato il povero professor Kulik. La ragione dell'assenza del cratere d'impatto è dovuta al fatto che l'esplosione non è avvenuta a terra ma in aria, proprio come capita con la bomba atomica. La conferma viene dagli alberi mantenutisi eretti proprio nel cuore del cratere. Anche nelle due città giapponesi disintegrate dalle bombe le case direttamente collocate sotto la linea d'arrivo degli ordigni non sono crollate, dal momento che la spinta d'urlo dell'esplosione è radiale, si espande cioè verso l'esterno. Le numerose mutazioni genetiche osservate nella flora e nella fauna giapponese locale sono le stesse constatate in Siberia, mentre le piaghe rintracciate con alta frequenza nei cani selvatici e nelle renne della zona di Tunguska possono oggi essere riconosciute come bruciature prodotte da radiazioni.
Un'esplosione atomica produce forti disturbi nel campo magnetico terrestre e ancora oggi tutto il territorio interessato rivela una situazione di "caos magnetico". Sotto questo profilo, è più che evidente come quel lontano giorno di giugno un vero e proprio cataclisma elettromagnetico si sia scaricato sulla superficie del nostro pianeta, alterando e modificando in modo evidente il naturale campo magnetico terrestre locale.
Le testimonianze oculari che parlano di una grande nuvola, ancora una volta inducono a pensare ad un marchingegno nucleare, anche perché una delle descrizioni ricorrenti era proprio quella di una "grande nuvola a forma di fungo". Sfortunatamente però, il particolare conclusivo che avrebbe definitivamente bollato come veritiera la teoria nucleare non corrisponde: da quando, circa cinquant'anni orsono, sono stati misurati per la prima volta i livelli di radioattività non sono mai andati incontro a mutamenti o variazioni di alcun genere.
Investigazioni successive hanno dimostrato che Kulik si sbagliava nel ritenere i crateri provocati dall'impatto al suolo dei grossi blocchi in cui il meteorite si era frantumato al contatto con la superficie. Non erano stati frammenti rocciosi a crearli, bensì enormi blocchi di ghiaccio che si erano aperti la strada nel terreno e che durante l'estate si erano poi sciolti. L'immensa fatica compiuta dalla spedizione Kulik per svuotare alcune di queste cavità era stata per davvero un'impresa ciclopica quanto del tutto inutile. Sfortunatamente, nessuna fra le molte spedizioni sovietiche - ma anche americane - ha gettato un minimo di luce sulla causa che ha provocato questo immane sconvolgimento. I fautori degli UFO non hanno dubbi nel sostenere che l'oggetto misterioso era in realtà un'astronave aliena, sospinta da energia atomica, sfuggita al controllo dei suoi piloti al momento dell'ingresso nella nostra atmosfera. Qualcuno si è spinto anche oltre, affermando che la vera meta dell'astronave era il lago Baikal dove potersi rifornire di acqua per il raffreddamento dei reattori nucleari; solo che questi si erano surriscaldati troppo e prima di raggiungere le acque del lago erano esplosi.
Ovviamente, gli scienziati respingono ipotesi come queste che ritengono frutto di una fantasia troppo spigliata. Ma quella che segue non è certo da meno. Secondo i professori A. A. Jackson e M.P. Ryan della Università del Texas, la causa della deflagrazione sarebbe stato un piccolo buco nero, una sorta di potente vortice spaziale che scaturisce dal collasso totale delle particelle interne all'atomo. Questo buco nero in miniatura avrebbe trapassato tutta la Terra per uscire dall'estremità opposta. L'ipotesi deve aver impressionato non poco i Russi, se è vero che tra le molte ricerche ne avviarono anche una per verificare se in quel fatidico 1908 erano stati registrati dalla stampa strani fenomeni in territori dall'altra parte del mondo. Non essendo emerso nulla, la spiegazione sul mistero di Tunguska proposta da Jackson e Ryan sembra non reggere.
Altri ricercatori statunitensi chiamano in causa l'antimateria, uno speciale tipo di materia composta da particelle caratterizzate da cariche elettriche contrarie e opposte a quelle che contraddistinguono la materia normale, quella che conosciamo. Al contatto con la materia, l'antimateria esplode e genera un processo di annichilimento, lasciandosi dietro soltanto tracce di radiazioni atomiche. Un'ipotesi interessante, ma solo a livello teorico, dal momento che, al pari della precedente, non esiste una sola, seppur piccola, prova che la corrobori.
Lievemente più accettabile - per quanto, anch'essa, improbabile - risulta invece la teoria di uno studioso inglese, Frank Whipple secondo la quale la Terra si scontrò con una cometa. Ancora oggi gli astronomi non sanno come si formano le comete. Le due principali obiezioni alla ipotesi della cometa sono che non avrebbe potuto scatenare una esplosione nucleare e gli astronomi avrebbero potuto scorgere il suo approssimarsi al pianeta con largo anticipo. I sostenitori di questa visione affermano che una cometa che puntasse dritta verso la Terra in perfetto allineamento col Sole difficilmente sarebbe osservabile e la sua esplosione potrebbe generare effetti simili a quelli determinati dalle tempeste solari, con un'alta produzione di radioattività. Nessuno degli oltre centoventi osservatori astronomici consultati dagli scienziati russi ha però segnalato di avere nei propri archivi qualche registrazione a proposito dell'avvicinarsi di una cometa che potrebbe identificarsi con la "cosa" di Tunguska.
Più recentemente, si è osservato che l'esatto giorno in cui si è verificata la catastrofe era il 30 di giugno. Ogni anno, come gli astronomi ben sanno, proprio in questo giorno l'orbita terrestre viene interessata dall'incrocio con la scia di una cometa detta Beta Taurids, fenomeno che da origine a uno spettacolo di pirotecnica celeste, un vero e proprio "show di meteoriti". Se una di queste, particolarmente grande, superata la barriera d'attrito causata dall'ingresso nell'atmosfera, si fosse schiantata sulla superficie del nostro pianeta, la sua parte esterna miscelandosi con quella interna ghiacciata si sarebbe sciolta istantaneamente per solidificarsi subito dopo in grossi blocchi di durissimo ghiaccio. Se fosse andata per davvero così, ebbene il buon Kulik, dopo tutto, non avrebbe poi tanto sbagliato, anche se, non lo dobbiamo dimenticare, non gli riuscì in alcun modo di mettere insieme neppure uno straccio di prova. A quasi un secolo dall'evento, sembra impossibile che su ciò che accadde a Tunguska continui a persistere un enigma, e che quella immane esplosione sia ancora oggi relegata nel dizionario dei misteri irrisolti.
II 30 giugno del 1908 gli abitanti di Nizhne-Karelinsk, un piccolo villaggio nel cuore della Siberia, spaventati e affascinati, videro una vivida striscia bluastra solcare il cielo di nordovest a folle velocità. Quello che all'inizio era sembrato un solo punto luminoso si era mantenuto tale per non più di dieci minuti, poi si era spaccato in due. All'impatto con la Terra la "cosa" aveva sollevato una intensa e spessa coltre di fumo e detriti. Qualche secondo ancora e c'erano state delle violente detonazioni che avevano fatto tremare le case.
Credendo fosse arrivato il giorno del giudizio divino, molti si erano gettati a terra in ginocchio, implorando il perdono di Dio.
A posteriori, si deve tutto sommato riconoscere che non si trattò di una reazione spropositata, dal momento che quella gente terrorizzata aveva assistito alla più grande catastrofe naturale rovesciatasi sul pianeta che la storia ufficiale ricordi. Se l'oggetto che provocò l'evento - che noi oggi siamo soliti definire "la grande esplosione siberiana" - fosse sopraggiunto solo poche ore prima o dopo avrebbe potuto impattare in qualche regione abitata e popolosa provocando danni e distruzioni neppure immaginabili.
Come si venne poi a sapere a seguito delle vaste indagini, il villaggio di Nizhne-Karelinsk distava quasi 400 km dal punto dell'urto, tuttavia i tetti delle case avevano abbondantemente tremato, scrollandosi di dosso la polvere del tempo. Il treno della Transiberiana si era fermato, perché il conducente aveva avuto l'impressione che fosse deragliato; mentre i sismografi della cittadina di Irkutsk, segnalavano senz'altro un terremoto di vaste e potenti dimensioni. E pensare che sia la città sia il treno in quel momento distavano circa 1200 km dall'epicentro del fenomeno.
Qualunque cosa sia stata a cadere nella regione siberiana, era esplosa sprigionando un'energia strepitosa. Le onde d'urto avevano fatto due volte l'intero giro del pianeta prima di acquietarsi e gli effetti meteorologici sull'emisfero settentrionale ebbero strascichi a lunga gittata oltre che singolari. Per tutta la restante parte del mese di giugno, per esempio, a mezzanotte a Londra si potevano leggere con tutta tranquillità gli articoli del «Times», notoriamente scritti in caratteri a dir poco minuscoli. Sui quotidiani circolavano fotografie notturne di Stoccolma che sembravano scattate di giorno ed invece erano state prese nel cuore della notte senza alcun altro ausilio, vale a dire utilizzando la luce naturale; ma anche celebre era diventata l'immagine della città russa di Navrochat scattata a mezzanotte e limpida e chiara come una qualsiasi presa in un bel pomeriggio estivo.
Per alcuni mesi il mondo intero potè assistere a tramonti e aurore spettacolari, almeno tanto belle e impressionanti quali quelle generate dal vulcano Krakatoa a seguito della spettacolare esplosione del 1883. Da qui, oltre alle solite immense nubi vulcaniche, si era sollevata nell'atmosfera terrestre una grande quantità di polvere, come avviene nelle esplosioni nucleari.
Ma la cosa più singolare di questo evento sta nel fatto che all'epoca non ci fu nessuno che gli prestò attenzione. Nei giornali locali erano comparsi alcuni trafiletti, ma al di là di questo non era successo null'altro. I meteorologi si interrogavano sugli strani fenomeni celesti e climatici, ma a nessuno venne in mente di risalire alla vera causa di tutto quel pandemonio.
Fu solo dopo la fine della prima guerra mondiale e dopo che l'impero zarista era stato rovesciato dalla rivoluzione che lo straordinario evento venne finalmente portato all'attenzione del mondo della scienza e della ricerca. Nel 1921, come parte del piano più generale previsto da Lenin per collocare in prima fila nel campo scientifico la sua Russia davanti agli occhi del mondo, l'Accademia sovietica delle Scienze assegnò al professor Leonid Kulik il compito di investigare in modo appropriato sulle precipitazioni di meteoriti sul territorio russo. Kulik fu il primo, dunque, a cercare di ricostruire ciò che era accaduto. Dopo aver messo insieme i pochi rapporti giornalistici redatti all'epoca, si era senz'altro convinto che qualcosa di veramente importante doveva essere accaduto nel cuore della Siberia in quella estate del 1908.
I rapporti e i resoconti raccolti suonavano però contraddittori e confusi. Non ce n'erano due che concordassero sull'esatto punto dello schianto. In alcuni, invece, si diceva che il meteorite era stato persine trovato. Insomma, una grande confusione. Tuttavia, quando i suoi collaboratori avevano incominciato a raccogliere testimonianze, Kulik aveva trovato nuovamente conferma dell'eccezionalità del fenomeno. Doveva indagare, assolutamente, perché non si trattava di un "normale" meteorite.
Tutti i rapporti erano per lo meno concordi su di un aspetto: quando l'oggetto si era schiantato al suolo, aveva creato un cratere enorme, dal quale si era innalzata una colonna di fumo e fuoco ardente più del Sole stesso. Capanne distanti erano state spazzate via e le mandrie di renne si erano disperse terrorizzate. Un uomo, intento ad arare nel suo piccolo campo, aveva avvertito un forte calore sulle spalle, mentre altri dichiararono di aver subito delle evidenti scottature sul viso, ma solo da un lato. Altri erano diventati temporaneamente sordi per il gran frastuono ed altri ancora avevano riportato per un lungo periodo i segni degli effetti termici legati al misterioso fenomeno. Ciò malgrado, molto stranamente, non si aveva avuto notizia di vittime o di persone ferite in modo serio. La "cosa" piombata dal cielo aveva scelto uno dei rari luoghi del pianeta in cui gli effetti della sua caduta sarebbero stati contenuti e non catastrofici. Si fosse presentata all'impatto con la Terra qualche ora più tardi, si sarebbe schiantata su San Pietroburgo, Londra o New York. Anche se fosse sprofondata nell'oceano, le gigantesche ondate che si sarebbero sollevate avrebbero devastato e cancellato dalla faccia della Terra tutte le zone costiere. Insomma, quel fatidico giorno l'umanità aveva corso il rischio del più terrificante disastro della Storia e non se n'era neppure resa conto.
Dopo tanto cercare, però, alla fine Kulik era riuscito a mettere le mani sul rapporto di un meteorologo locale, il quale, bontà sua, si era preoccupato di segnare le coordinate del punto di impatto. Ricevuta conferma dall'archivio dati dell'Accademia delle Scienze, il professore aveva così potuto organizzare la spedizione e muoversi per raggiungere il luogo dell'impatto con la necessaria cognizione di causa.
L'immensa foresta siberiana è uno dei luoghi più desolati di tutto il pianeta. Ancora oggi è in gran parte inesplorata e ci sono zone che l'occhio umano ha solo visto dall'alto, tramite ricognizioni aeree. I pochi insediamenti esistenti sono tutti raggruppati lungo le rive dei grandi fiumi, alcuni tanto larghi da non riuscire a occhio nudo a guardare da una sponda all'altra. Gli inverni sono gelidi, mentre in estate il terreno si fa paludoso e l'aria è infestata da sciami di insetti. Kulik era atteso da un'impresa molto difficile. L'unica possibilità per muoversi erano cavalli e muli oppure zattere per spostarsi lungo i fiumi, senza, per di più, sapere dove andare a parare o che cosa cercare esattamente.
Nel marzo del 1927 Kulik era dunque pronto. Nel gruppo c'erano anche due guide locali che dicevano di aver assistito all'evento. Dopo non poche traversie, ad aprile, la spedizione era approdata sul fiume Mekirta, il corso d'acqua più vicino al punto dell'impatto, all'epoca una sorta di barriera naturale fra la foresta intoccata e vergine e una devastazione pressoché totale. Raggiunto finalmente il posto della catastrofe, per prima cosa Kulik era salito su di una vicina altura per osservare la zona dall'alto. Per quanto gli riusciva di spingere lo sguardo lontano in direzione nord - una distanza di quasi venti chilometri - non si scorgeva un solo albero rimasto in piedi. Erano stati tutti atterrati dall'esplosione e ora giacevano distesi come tanti soldatini abbattuti, tutti rivolti verso di lui. Era inoltre chiaro che lo spettacolo che stava osservando era soltanto una parte della totalità della devastazione, visto che a perdita d'occhio gli alberi risultavano tutti coricati, allineati nella medesima direzione. La catastrofe doveva essere stata ben più grande di quanto anche i rapporti più generosi avevano riportato.
Quando Kulik aveva deciso che si sarebbe perlustrata l'intera zona devastala, le due guide si erano spaventate e avevano rifiutato di seguirlo. Anzi minacciavano di lasciare il luogo, abbandonandolo al suo destino. Era stato costretto a tornare indietro e soltanto in giugno era riuscito a tornare sul posto con due nuove guide.
La spedizione era quindi entrata in azione. Per alcuni giorni la carovana si era spostata lungo la traiettoria indicata dagli alberi caduti, poi aveva raggiunto un grande anfiteatro in mezzo alle colline e qui era stato collocato il campo base. I giorni successivi Kulik li aveva impegnati a monitorare la zona, arrivando a concludere che quello era il grande cratere, il centro dove si era scatenato l'inferno dell'impatto. Tutto attorno, gli alberi giacevano a terra la punta rivolta verso l’esterno, mentre se n’erano preservati alcuni gruppi incredibilmente rimasti dritti. Proprio nel centro del grande cratere, molti alberi erano rimasti in piedi, anche se spogli e carbonizzati. Adesso l'immensità della devastazione cominciava ad apparire in tutta la sua interezza, se solo si considerava che dalle sponde del fiume al centro del cratere correvano la bellezza di 60 km. In altre parole, l'impatto aveva devastato un'area di foresta superiore a 10.000 km quadrati. Sempre lavorando sull'ipotesi che la catastrofe fosse stata provocata da un gigantesco meteorite, Kulik si era messo a ricercarne i resti, credendo di averne trovata traccia quando si era imbattuto in una serie di cavità piene d'acqua che egli riteneva causate dai frammenti del meteorite esploso nell'impatto. Ma quando alcune di quelle cavità erano state prosciugate si erano rivelate desolatamente vuote. Una presentava sul fondo addirittura dei ceppi d'albero, prova evidente che non poteva essere stata provocata dall'impatto con un blocco meteorico. Kulik era destinato a compiere ben quattro spedizioni nella zona dell'esplosione e fino alla morte rimase convinto che si era trattato di un gigantesco meteorite, anche se non rintracciò mai i frammenti di ferro e roccia che avrebbero in qualche modo confermato la sua teoria. Perché, alla resa dei conti, malgrado i tanti sforzi, Kulik non riuscì a dimostrare che qualcosa aveva impattato il terreno. Si notava il segno di almeno due onde esplosive - quella vera e propria e quella balistica - ma non si poteva riconoscere un cratere impattivo vero e proprio.
Quella nuova evidenza non faceva che rafforzare il già fitto mistero. Da una ricognizione aerea effettuata nel 1938 si rilevò che in verità soltanto 2.000 km quadrati di foresta erano stati abbattuti e che il punto centrale della zona disastrata era chiaramente segnato dalla singolare presenza di alcuni alberi conservatisi misteriosamente in piedi. Questo particolare rispondeva allo schema distruttivo tipico dell'esplosione di una bomba piuttosto che a quello di un meteorite, tipo quello che a Winslow, in Arizona, ha lasciato dietro di sé un cratere profondo più di 200 m. Anche il modo in cui l'oggetto era precipitato sulla Terra era in discussione. Oltre settecento testimoni riferirono che ad un tratto aveva cambiato rotta. La direzione originale, infatti, l'avrebbe portato a precipitare nei pressi del lago Baikal, ma ciò non era avvenuto per via del mutamento di traiettoria. Non esiste alcun corpo celeste in grado di manovrare mentre precipita, né è possibile ai fisici spiegare come potrebbe farlo, pur mettendo in campo tutte le teorie conosciute.
Un altro effetto degno di nota derivato dalla catastrofe è quello esercitato sugli alberi e sugli insetti della zona colpita. Gli alberi che non erano stati abbattuti avevano però interrotto la crescita o, al contrario, si erano sviluppati in modo rapido e anomalo. Studi zoologici hanno rivelato la presenza di nuovi tipi di formiche e insetti, esseri viventi tipici soltanto della regione di Tunguska dopo l'incidente.
Non erano trascorsi che pochi anni da quando il professor Kulik era morto in un campo di concentramento tedesco, che anche i Giapponesi ebbero modo di sperimentare analoghi, ma ancora più terribili, effetti simili a quelli dell'esplosione di Tunguska con la distruzione delle città di Hiroshima e Nagasaki a causa della bomba atomica.
Le conoscenze di cui disponiamo ci aiutano a chiarire in parte il mistero che lauto ha angustiato il povero professor Kulik. La ragione dell'assenza del cratere d'impatto è dovuta al fatto che l'esplosione non è avvenuta a terra ma in aria, proprio come capita con la bomba atomica. La conferma viene dagli alberi mantenutisi eretti proprio nel cuore del cratere. Anche nelle due città giapponesi disintegrate dalle bombe le case direttamente collocate sotto la linea d'arrivo degli ordigni non sono crollate, dal momento che la spinta d'urlo dell'esplosione è radiale, si espande cioè verso l'esterno. Le numerose mutazioni genetiche osservate nella flora e nella fauna giapponese locale sono le stesse constatate in Siberia, mentre le piaghe rintracciate con alta frequenza nei cani selvatici e nelle renne della zona di Tunguska possono oggi essere riconosciute come bruciature prodotte da radiazioni.
Un'esplosione atomica produce forti disturbi nel campo magnetico terrestre e ancora oggi tutto il territorio interessato rivela una situazione di "caos magnetico". Sotto questo profilo, è più che evidente come quel lontano giorno di giugno un vero e proprio cataclisma elettromagnetico si sia scaricato sulla superficie del nostro pianeta, alterando e modificando in modo evidente il naturale campo magnetico terrestre locale.
Le testimonianze oculari che parlano di una grande nuvola, ancora una volta inducono a pensare ad un marchingegno nucleare, anche perché una delle descrizioni ricorrenti era proprio quella di una "grande nuvola a forma di fungo". Sfortunatamente però, il particolare conclusivo che avrebbe definitivamente bollato come veritiera la teoria nucleare non corrisponde: da quando, circa cinquant'anni orsono, sono stati misurati per la prima volta i livelli di radioattività non sono mai andati incontro a mutamenti o variazioni di alcun genere.
Investigazioni successive hanno dimostrato che Kulik si sbagliava nel ritenere i crateri provocati dall'impatto al suolo dei grossi blocchi in cui il meteorite si era frantumato al contatto con la superficie. Non erano stati frammenti rocciosi a crearli, bensì enormi blocchi di ghiaccio che si erano aperti la strada nel terreno e che durante l'estate si erano poi sciolti. L'immensa fatica compiuta dalla spedizione Kulik per svuotare alcune di queste cavità era stata per davvero un'impresa ciclopica quanto del tutto inutile. Sfortunatamente, nessuna fra le molte spedizioni sovietiche - ma anche americane - ha gettato un minimo di luce sulla causa che ha provocato questo immane sconvolgimento. I fautori degli UFO non hanno dubbi nel sostenere che l'oggetto misterioso era in realtà un'astronave aliena, sospinta da energia atomica, sfuggita al controllo dei suoi piloti al momento dell'ingresso nella nostra atmosfera. Qualcuno si è spinto anche oltre, affermando che la vera meta dell'astronave era il lago Baikal dove potersi rifornire di acqua per il raffreddamento dei reattori nucleari; solo che questi si erano surriscaldati troppo e prima di raggiungere le acque del lago erano esplosi.
Ovviamente, gli scienziati respingono ipotesi come queste che ritengono frutto di una fantasia troppo spigliata. Ma quella che segue non è certo da meno. Secondo i professori A. A. Jackson e M.P. Ryan della Università del Texas, la causa della deflagrazione sarebbe stato un piccolo buco nero, una sorta di potente vortice spaziale che scaturisce dal collasso totale delle particelle interne all'atomo. Questo buco nero in miniatura avrebbe trapassato tutta la Terra per uscire dall'estremità opposta. L'ipotesi deve aver impressionato non poco i Russi, se è vero che tra le molte ricerche ne avviarono anche una per verificare se in quel fatidico 1908 erano stati registrati dalla stampa strani fenomeni in territori dall'altra parte del mondo. Non essendo emerso nulla, la spiegazione sul mistero di Tunguska proposta da Jackson e Ryan sembra non reggere.
Altri ricercatori statunitensi chiamano in causa l'antimateria, uno speciale tipo di materia composta da particelle caratterizzate da cariche elettriche contrarie e opposte a quelle che contraddistinguono la materia normale, quella che conosciamo. Al contatto con la materia, l'antimateria esplode e genera un processo di annichilimento, lasciandosi dietro soltanto tracce di radiazioni atomiche. Un'ipotesi interessante, ma solo a livello teorico, dal momento che, al pari della precedente, non esiste una sola, seppur piccola, prova che la corrobori.
Lievemente più accettabile - per quanto, anch'essa, improbabile - risulta invece la teoria di uno studioso inglese, Frank Whipple secondo la quale la Terra si scontrò con una cometa. Ancora oggi gli astronomi non sanno come si formano le comete. Le due principali obiezioni alla ipotesi della cometa sono che non avrebbe potuto scatenare una esplosione nucleare e gli astronomi avrebbero potuto scorgere il suo approssimarsi al pianeta con largo anticipo. I sostenitori di questa visione affermano che una cometa che puntasse dritta verso la Terra in perfetto allineamento col Sole difficilmente sarebbe osservabile e la sua esplosione potrebbe generare effetti simili a quelli determinati dalle tempeste solari, con un'alta produzione di radioattività. Nessuno degli oltre centoventi osservatori astronomici consultati dagli scienziati russi ha però segnalato di avere nei propri archivi qualche registrazione a proposito dell'avvicinarsi di una cometa che potrebbe identificarsi con la "cosa" di Tunguska.
Più recentemente, si è osservato che l'esatto giorno in cui si è verificata la catastrofe era il 30 di giugno. Ogni anno, come gli astronomi ben sanno, proprio in questo giorno l'orbita terrestre viene interessata dall'incrocio con la scia di una cometa detta Beta Taurids, fenomeno che da origine a uno spettacolo di pirotecnica celeste, un vero e proprio "show di meteoriti". Se una di queste, particolarmente grande, superata la barriera d'attrito causata dall'ingresso nell'atmosfera, si fosse schiantata sulla superficie del nostro pianeta, la sua parte esterna miscelandosi con quella interna ghiacciata si sarebbe sciolta istantaneamente per solidificarsi subito dopo in grossi blocchi di durissimo ghiaccio. Se fosse andata per davvero così, ebbene il buon Kulik, dopo tutto, non avrebbe poi tanto sbagliato, anche se, non lo dobbiamo dimenticare, non gli riuscì in alcun modo di mettere insieme neppure uno straccio di prova. A quasi un secolo dall'evento, sembra impossibile che su ciò che accadde a Tunguska continui a persistere un enigma, e che quella immane esplosione sia ancora oggi relegata nel dizionario dei misteri irrisolti.
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Re: thriller e co.
La grande esplosione di Tunguska
II 30 giugno del 1908 gli abitanti di Nizhne-Karelinsk, un piccolo villaggio nel cuore della Siberia, spaventati e affascinati, videro una vivida striscia bluastra solcare il cielo di nordovest a folle velocità. Quello che all'inizio era sembrato un solo punto luminoso si era mantenuto tale per non più di dieci minuti, poi si era spaccato in due. All'impatto con la Terra la "cosa" aveva sollevato una intensa e spessa coltre di fumo e detriti. Qualche secondo ancora e c'erano state delle violente detonazioni che avevano fatto tremare le case.
Credendo fosse arrivato il giorno del giudizio divino, molti si erano gettati a terra in ginocchio, implorando il perdono di Dio.
A posteriori, si deve tutto sommato riconoscere che non si trattò di una reazione spropositata, dal momento che quella gente terrorizzata aveva assistito alla più grande catastrofe naturale rovesciatasi sul pianeta che la storia ufficiale ricordi. Se l'oggetto che provocò l'evento - che noi oggi siamo soliti definire "la grande esplosione siberiana" - fosse sopraggiunto solo poche ore prima o dopo avrebbe potuto impattare in qualche regione abitata e popolosa provocando danni e distruzioni neppure immaginabili.
Come si venne poi a sapere a seguito delle vaste indagini, il villaggio di Nizhne-Karelinsk distava quasi 400 km dal punto dell'urto, tuttavia i tetti delle case avevano abbondantemente tremato, scrollandosi di dosso la polvere del tempo. Il treno della Transiberiana si era fermato, perché il conducente aveva avuto l'impressione che fosse deragliato; mentre i sismografi della cittadina di Irkutsk, segnalavano senz'altro un terremoto di vaste e potenti dimensioni. E pensare che sia la città sia il treno in quel momento distavano circa 1200 km dall'epicentro del fenomeno.
Qualunque cosa sia stata a cadere nella regione siberiana, era esplosa sprigionando un'energia strepitosa. Le onde d'urto avevano fatto due volte l'intero giro del pianeta prima di acquietarsi e gli effetti meteorologici sull'emisfero settentrionale ebbero strascichi a lunga gittata oltre che singolari. Per tutta la restante parte del mese di giugno, per esempio, a mezzanotte a Londra si potevano leggere con tutta tranquillità gli articoli del «Times», notoriamente scritti in caratteri a dir poco minuscoli. Sui quotidiani circolavano fotografie notturne di Stoccolma che sembravano scattate di giorno ed invece erano state prese nel cuore della notte senza alcun altro ausilio, vale a dire utilizzando la luce naturale; ma anche celebre era diventata l'immagine della città russa di Navrochat scattata a mezzanotte e limpida e chiara come una qualsiasi presa in un bel pomeriggio estivo.
Per alcuni mesi il mondo intero potè assistere a tramonti e aurore spettacolari, almeno tanto belle e impressionanti quali quelle generate dal vulcano Krakatoa a seguito della spettacolare esplosione del 1883. Da qui, oltre alle solite immense nubi vulcaniche, si era sollevata nell'atmosfera terrestre una grande quantità di polvere, come avviene nelle esplosioni nucleari.
Ma la cosa più singolare di questo evento sta nel fatto che all'epoca non ci fu nessuno che gli prestò attenzione. Nei giornali locali erano comparsi alcuni trafiletti, ma al di là di questo non era successo null'altro. I meteorologi si interrogavano sugli strani fenomeni celesti e climatici, ma a nessuno venne in mente di risalire alla vera causa di tutto quel pandemonio.
Fu solo dopo la fine della prima guerra mondiale e dopo che l'impero zarista era stato rovesciato dalla rivoluzione che lo straordinario evento venne finalmente portato all'attenzione del mondo della scienza e della ricerca. Nel 1921, come parte del piano più generale previsto da Lenin per collocare in prima fila nel campo scientifico la sua Russia davanti agli occhi del mondo, l'Accademia sovietica delle Scienze assegnò al professor Leonid Kulik il compito di investigare in modo appropriato sulle precipitazioni di meteoriti sul territorio russo. Kulik fu il primo, dunque, a cercare di ricostruire ciò che era accaduto. Dopo aver messo insieme i pochi rapporti giornalistici redatti all'epoca, si era senz'altro convinto che qualcosa di veramente importante doveva essere accaduto nel cuore della Siberia in quella estate del 1908.
I rapporti e i resoconti raccolti suonavano però contraddittori e confusi. Non ce n'erano due che concordassero sull'esatto punto dello schianto. In alcuni, invece, si diceva che il meteorite era stato persine trovato. Insomma, una grande confusione. Tuttavia, quando i suoi collaboratori avevano incominciato a raccogliere testimonianze, Kulik aveva trovato nuovamente conferma dell'eccezionalità del fenomeno. Doveva indagare, assolutamente, perché non si trattava di un "normale" meteorite.
Tutti i rapporti erano per lo meno concordi su di un aspetto: quando l'oggetto si era schiantato al suolo, aveva creato un cratere enorme, dal quale si era innalzata una colonna di fumo e fuoco ardente più del Sole stesso. Capanne distanti erano state spazzate via e le mandrie di renne si erano disperse terrorizzate. Un uomo, intento ad arare nel suo piccolo campo, aveva avvertito un forte calore sulle spalle, mentre altri dichiararono di aver subito delle evidenti scottature sul viso, ma solo da un lato. Altri erano diventati temporaneamente sordi per il gran frastuono ed altri ancora avevano riportato per un lungo periodo i segni degli effetti termici legati al misterioso fenomeno. Ciò malgrado, molto stranamente, non si aveva avuto notizia di vittime o di persone ferite in modo serio. La "cosa" piombata dal cielo aveva scelto uno dei rari luoghi del pianeta in cui gli effetti della sua caduta sarebbero stati contenuti e non catastrofici. Si fosse presentata all'impatto con la Terra qualche ora più tardi, si sarebbe schiantata su San Pietroburgo, Londra o New York. Anche se fosse sprofondata nell'oceano, le gigantesche ondate che si sarebbero sollevate avrebbero devastato e cancellato dalla faccia della Terra tutte le zone costiere. Insomma, quel fatidico giorno l'umanità aveva corso il rischio del più terrificante disastro della Storia e non se n'era neppure resa conto.
Dopo tanto cercare, però, alla fine Kulik era riuscito a mettere le mani sul rapporto di un meteorologo locale, il quale, bontà sua, si era preoccupato di segnare le coordinate del punto di impatto. Ricevuta conferma dall'archivio dati dell'Accademia delle Scienze, il professore aveva così potuto organizzare la spedizione e muoversi per raggiungere il luogo dell'impatto con la necessaria cognizione di causa.
L'immensa foresta siberiana è uno dei luoghi più desolati di tutto il pianeta. Ancora oggi è in gran parte inesplorata e ci sono zone che l'occhio umano ha solo visto dall'alto, tramite ricognizioni aeree. I pochi insediamenti esistenti sono tutti raggruppati lungo le rive dei grandi fiumi, alcuni tanto larghi da non riuscire a occhio nudo a guardare da una sponda all'altra. Gli inverni sono gelidi, mentre in estate il terreno si fa paludoso e l'aria è infestata da sciami di insetti. Kulik era atteso da un'impresa molto difficile. L'unica possibilità per muoversi erano cavalli e muli oppure zattere per spostarsi lungo i fiumi, senza, per di più, sapere dove andare a parare o che cosa cercare esattamente.
Nel marzo del 1927 Kulik era dunque pronto. Nel gruppo c'erano anche due guide locali che dicevano di aver assistito all'evento. Dopo non poche traversie, ad aprile, la spedizione era approdata sul fiume Mekirta, il corso d'acqua più vicino al punto dell'impatto, all'epoca una sorta di barriera naturale fra la foresta intoccata e vergine e una devastazione pressoché totale. Raggiunto finalmente il posto della catastrofe, per prima cosa Kulik era salito su di una vicina altura per osservare la zona dall'alto. Per quanto gli riusciva di spingere lo sguardo lontano in direzione nord - una distanza di quasi venti chilometri - non si scorgeva un solo albero rimasto in piedi. Erano stati tutti atterrati dall'esplosione e ora giacevano distesi come tanti soldatini abbattuti, tutti rivolti verso di lui. Era inoltre chiaro che lo spettacolo che stava osservando era soltanto una parte della totalità della devastazione, visto che a perdita d'occhio gli alberi risultavano tutti coricati, allineati nella medesima direzione. La catastrofe doveva essere stata ben più grande di quanto anche i rapporti più generosi avevano riportato.
Quando Kulik aveva deciso che si sarebbe perlustrata l'intera zona devastala, le due guide si erano spaventate e avevano rifiutato di seguirlo. Anzi minacciavano di lasciare il luogo, abbandonandolo al suo destino. Era stato costretto a tornare indietro e soltanto in giugno era riuscito a tornare sul posto con due nuove guide.
La spedizione era quindi entrata in azione. Per alcuni giorni la carovana si era spostata lungo la traiettoria indicata dagli alberi caduti, poi aveva raggiunto un grande anfiteatro in mezzo alle colline e qui era stato collocato il campo base. I giorni successivi Kulik li aveva impegnati a monitorare la zona, arrivando a concludere che quello era il grande cratere, il centro dove si era scatenato l'inferno dell'impatto. Tutto attorno, gli alberi giacevano a terra la punta rivolta verso l’esterno, mentre se n’erano preservati alcuni gruppi incredibilmente rimasti dritti. Proprio nel centro del grande cratere, molti alberi erano rimasti in piedi, anche se spogli e carbonizzati. Adesso l'immensità della devastazione cominciava ad apparire in tutta la sua interezza, se solo si considerava che dalle sponde del fiume al centro del cratere correvano la bellezza di 60 km. In altre parole, l'impatto aveva devastato un'area di foresta superiore a 10.000 km quadrati. Sempre lavorando sull'ipotesi che la catastrofe fosse stata provocata da un gigantesco meteorite, Kulik si era messo a ricercarne i resti, credendo di averne trovata traccia quando si era imbattuto in una serie di cavità piene d'acqua che egli riteneva causate dai frammenti del meteorite esploso nell'impatto. Ma quando alcune di quelle cavità erano state prosciugate si erano rivelate desolatamente vuote. Una presentava sul fondo addirittura dei ceppi d'albero, prova evidente che non poteva essere stata provocata dall'impatto con un blocco meteorico. Kulik era destinato a compiere ben quattro spedizioni nella zona dell'esplosione e fino alla morte rimase convinto che si era trattato di un gigantesco meteorite, anche se non rintracciò mai i frammenti di ferro e roccia che avrebbero in qualche modo confermato la sua teoria. Perché, alla resa dei conti, malgrado i tanti sforzi, Kulik non riuscì a dimostrare che qualcosa aveva impattato il terreno. Si notava il segno di almeno due onde esplosive - quella vera e propria e quella balistica - ma non si poteva riconoscere un cratere impattivo vero e proprio.
Quella nuova evidenza non faceva che rafforzare il già fitto mistero. Da una ricognizione aerea effettuata nel 1938 si rilevò che in verità soltanto 2.000 km quadrati di foresta erano stati abbattuti e che il punto centrale della zona disastrata era chiaramente segnato dalla singolare presenza di alcuni alberi conservatisi misteriosamente in piedi. Questo particolare rispondeva allo schema distruttivo tipico dell'esplosione di una bomba piuttosto che a quello di un meteorite, tipo quello che a Winslow, in Arizona, ha lasciato dietro di sé un cratere profondo più di 200 m. Anche il modo in cui l'oggetto era precipitato sulla Terra era in discussione. Oltre settecento testimoni riferirono che ad un tratto aveva cambiato rotta. La direzione originale, infatti, l'avrebbe portato a precipitare nei pressi del lago Baikal, ma ciò non era avvenuto per via del mutamento di traiettoria. Non esiste alcun corpo celeste in grado di manovrare mentre precipita, né è possibile ai fisici spiegare come potrebbe farlo, pur mettendo in campo tutte le teorie conosciute.
Un altro effetto degno di nota derivato dalla catastrofe è quello esercitato sugli alberi e sugli insetti della zona colpita. Gli alberi che non erano stati abbattuti avevano però interrotto la crescita o, al contrario, si erano sviluppati in modo rapido e anomalo. Studi zoologici hanno rivelato la presenza di nuovi tipi di formiche e insetti, esseri viventi tipici soltanto della regione di Tunguska dopo l'incidente.
Non erano trascorsi che pochi anni da quando il professor Kulik era morto in un campo di concentramento tedesco, che anche i Giapponesi ebbero modo di sperimentare analoghi, ma ancora più terribili, effetti simili a quelli dell'esplosione di Tunguska con la distruzione delle città di Hiroshima e Nagasaki a causa della bomba atomica.
Le conoscenze di cui disponiamo ci aiutano a chiarire in parte il mistero che lauto ha angustiato il povero professor Kulik. La ragione dell'assenza del cratere d'impatto è dovuta al fatto che l'esplosione non è avvenuta a terra ma in aria, proprio come capita con la bomba atomica. La conferma viene dagli alberi mantenutisi eretti proprio nel cuore del cratere. Anche nelle due città giapponesi disintegrate dalle bombe le case direttamente collocate sotto la linea d'arrivo degli ordigni non sono crollate, dal momento che la spinta d'urlo dell'esplosione è radiale, si espande cioè verso l'esterno. Le numerose mutazioni genetiche osservate nella flora e nella fauna giapponese locale sono le stesse constatate in Siberia, mentre le piaghe rintracciate con alta frequenza nei cani selvatici e nelle renne della zona di Tunguska possono oggi essere riconosciute come bruciature prodotte da radiazioni.
Un'esplosione atomica produce forti disturbi nel campo magnetico terrestre e ancora oggi tutto il territorio interessato rivela una situazione di "caos magnetico". Sotto questo profilo, è più che evidente come quel lontano giorno di giugno un vero e proprio cataclisma elettromagnetico si sia scaricato sulla superficie del nostro pianeta, alterando e modificando in modo evidente il naturale campo magnetico terrestre locale.
Le testimonianze oculari che parlano di una grande nuvola, ancora una volta inducono a pensare ad un marchingegno nucleare, anche perché una delle descrizioni ricorrenti era proprio quella di una "grande nuvola a forma di fungo". Sfortunatamente però, il particolare conclusivo che avrebbe definitivamente bollato come veritiera la teoria nucleare non corrisponde: da quando, circa cinquant'anni orsono, sono stati misurati per la prima volta i livelli di radioattività non sono mai andati incontro a mutamenti o variazioni di alcun genere.
Investigazioni successive hanno dimostrato che Kulik si sbagliava nel ritenere i crateri provocati dall'impatto al suolo dei grossi blocchi in cui il meteorite si era frantumato al contatto con la superficie. Non erano stati frammenti rocciosi a crearli, bensì enormi blocchi di ghiaccio che si erano aperti la strada nel terreno e che durante l'estate si erano poi sciolti. L'immensa fatica compiuta dalla spedizione Kulik per svuotare alcune di queste cavità era stata per davvero un'impresa ciclopica quanto del tutto inutile. Sfortunatamente, nessuna fra le molte spedizioni sovietiche - ma anche americane - ha gettato un minimo di luce sulla causa che ha provocato questo immane sconvolgimento. I fautori degli UFO non hanno dubbi nel sostenere che l'oggetto misterioso era in realtà un'astronave aliena, sospinta da energia atomica, sfuggita al controllo dei suoi piloti al momento dell'ingresso nella nostra atmosfera. Qualcuno si è spinto anche oltre, affermando che la vera meta dell'astronave era il lago Baikal dove potersi rifornire di acqua per il raffreddamento dei reattori nucleari; solo che questi si erano surriscaldati troppo e prima di raggiungere le acque del lago erano esplosi.
Ovviamente, gli scienziati respingono ipotesi come queste che ritengono frutto di una fantasia troppo spigliata. Ma quella che segue non è certo da meno. Secondo i professori A. A. Jackson e M.P. Ryan della Università del Texas, la causa della deflagrazione sarebbe stato un piccolo buco nero, una sorta di potente vortice spaziale che scaturisce dal collasso totale delle particelle interne all'atomo. Questo buco nero in miniatura avrebbe trapassato tutta la Terra per uscire dall'estremità opposta. L'ipotesi deve aver impressionato non poco i Russi, se è vero che tra le molte ricerche ne avviarono anche una per verificare se in quel fatidico 1908 erano stati registrati dalla stampa strani fenomeni in territori dall'altra parte del mondo. Non essendo emerso nulla, la spiegazione sul mistero di Tunguska proposta da Jackson e Ryan sembra non reggere.
Altri ricercatori statunitensi chiamano in causa l'antimateria, uno speciale tipo di materia composta da particelle caratterizzate da cariche elettriche contrarie e opposte a quelle che contraddistinguono la materia normale, quella che conosciamo. Al contatto con la materia, l'antimateria esplode e genera un processo di annichilimento, lasciandosi dietro soltanto tracce di radiazioni atomiche. Un'ipotesi interessante, ma solo a livello teorico, dal momento che, al pari della precedente, non esiste una sola, seppur piccola, prova che la corrobori.
Lievemente più accettabile - per quanto, anch'essa, improbabile - risulta invece la teoria di uno studioso inglese, Frank Whipple secondo la quale la Terra si scontrò con una cometa. Ancora oggi gli astronomi non sanno come si formano le comete. Le due principali obiezioni alla ipotesi della cometa sono che non avrebbe potuto scatenare una esplosione nucleare e gli astronomi avrebbero potuto scorgere il suo approssimarsi al pianeta con largo anticipo. I sostenitori di questa visione affermano che una cometa che puntasse dritta verso la Terra in perfetto allineamento col Sole difficilmente sarebbe osservabile e la sua esplosione potrebbe generare effetti simili a quelli determinati dalle tempeste solari, con un'alta produzione di radioattività. Nessuno degli oltre centoventi osservatori astronomici consultati dagli scienziati russi ha però segnalato di avere nei propri archivi qualche registrazione a proposito dell'avvicinarsi di una cometa che potrebbe identificarsi con la "cosa" di Tunguska.
Più recentemente, si è osservato che l'esatto giorno in cui si è verificata la catastrofe era il 30 di giugno. Ogni anno, come gli astronomi ben sanno, proprio in questo giorno l'orbita terrestre viene interessata dall'incrocio con la scia di una cometa detta Beta Taurids, fenomeno che da origine a uno spettacolo di pirotecnica celeste, un vero e proprio "show di meteoriti". Se una di queste, particolarmente grande, superata la barriera d'attrito causata dall'ingresso nell'atmosfera, si fosse schiantata sulla superficie del nostro pianeta, la sua parte esterna miscelandosi con quella interna ghiacciata si sarebbe sciolta istantaneamente per solidificarsi subito dopo in grossi blocchi di durissimo ghiaccio. Se fosse andata per davvero così, ebbene il buon Kulik, dopo tutto, non avrebbe poi tanto sbagliato, anche se, non lo dobbiamo dimenticare, non gli riuscì in alcun modo di mettere insieme neppure uno straccio di prova. A quasi un secolo dall'evento, sembra impossibile che su ciò che accadde a Tunguska continui a persistere un enigma, e che quella immane esplosione sia ancora oggi relegata nel dizionario dei misteri irrisolti.
II 30 giugno del 1908 gli abitanti di Nizhne-Karelinsk, un piccolo villaggio nel cuore della Siberia, spaventati e affascinati, videro una vivida striscia bluastra solcare il cielo di nordovest a folle velocità. Quello che all'inizio era sembrato un solo punto luminoso si era mantenuto tale per non più di dieci minuti, poi si era spaccato in due. All'impatto con la Terra la "cosa" aveva sollevato una intensa e spessa coltre di fumo e detriti. Qualche secondo ancora e c'erano state delle violente detonazioni che avevano fatto tremare le case.
Credendo fosse arrivato il giorno del giudizio divino, molti si erano gettati a terra in ginocchio, implorando il perdono di Dio.
A posteriori, si deve tutto sommato riconoscere che non si trattò di una reazione spropositata, dal momento che quella gente terrorizzata aveva assistito alla più grande catastrofe naturale rovesciatasi sul pianeta che la storia ufficiale ricordi. Se l'oggetto che provocò l'evento - che noi oggi siamo soliti definire "la grande esplosione siberiana" - fosse sopraggiunto solo poche ore prima o dopo avrebbe potuto impattare in qualche regione abitata e popolosa provocando danni e distruzioni neppure immaginabili.
Come si venne poi a sapere a seguito delle vaste indagini, il villaggio di Nizhne-Karelinsk distava quasi 400 km dal punto dell'urto, tuttavia i tetti delle case avevano abbondantemente tremato, scrollandosi di dosso la polvere del tempo. Il treno della Transiberiana si era fermato, perché il conducente aveva avuto l'impressione che fosse deragliato; mentre i sismografi della cittadina di Irkutsk, segnalavano senz'altro un terremoto di vaste e potenti dimensioni. E pensare che sia la città sia il treno in quel momento distavano circa 1200 km dall'epicentro del fenomeno.
Qualunque cosa sia stata a cadere nella regione siberiana, era esplosa sprigionando un'energia strepitosa. Le onde d'urto avevano fatto due volte l'intero giro del pianeta prima di acquietarsi e gli effetti meteorologici sull'emisfero settentrionale ebbero strascichi a lunga gittata oltre che singolari. Per tutta la restante parte del mese di giugno, per esempio, a mezzanotte a Londra si potevano leggere con tutta tranquillità gli articoli del «Times», notoriamente scritti in caratteri a dir poco minuscoli. Sui quotidiani circolavano fotografie notturne di Stoccolma che sembravano scattate di giorno ed invece erano state prese nel cuore della notte senza alcun altro ausilio, vale a dire utilizzando la luce naturale; ma anche celebre era diventata l'immagine della città russa di Navrochat scattata a mezzanotte e limpida e chiara come una qualsiasi presa in un bel pomeriggio estivo.
Per alcuni mesi il mondo intero potè assistere a tramonti e aurore spettacolari, almeno tanto belle e impressionanti quali quelle generate dal vulcano Krakatoa a seguito della spettacolare esplosione del 1883. Da qui, oltre alle solite immense nubi vulcaniche, si era sollevata nell'atmosfera terrestre una grande quantità di polvere, come avviene nelle esplosioni nucleari.
Ma la cosa più singolare di questo evento sta nel fatto che all'epoca non ci fu nessuno che gli prestò attenzione. Nei giornali locali erano comparsi alcuni trafiletti, ma al di là di questo non era successo null'altro. I meteorologi si interrogavano sugli strani fenomeni celesti e climatici, ma a nessuno venne in mente di risalire alla vera causa di tutto quel pandemonio.
Fu solo dopo la fine della prima guerra mondiale e dopo che l'impero zarista era stato rovesciato dalla rivoluzione che lo straordinario evento venne finalmente portato all'attenzione del mondo della scienza e della ricerca. Nel 1921, come parte del piano più generale previsto da Lenin per collocare in prima fila nel campo scientifico la sua Russia davanti agli occhi del mondo, l'Accademia sovietica delle Scienze assegnò al professor Leonid Kulik il compito di investigare in modo appropriato sulle precipitazioni di meteoriti sul territorio russo. Kulik fu il primo, dunque, a cercare di ricostruire ciò che era accaduto. Dopo aver messo insieme i pochi rapporti giornalistici redatti all'epoca, si era senz'altro convinto che qualcosa di veramente importante doveva essere accaduto nel cuore della Siberia in quella estate del 1908.
I rapporti e i resoconti raccolti suonavano però contraddittori e confusi. Non ce n'erano due che concordassero sull'esatto punto dello schianto. In alcuni, invece, si diceva che il meteorite era stato persine trovato. Insomma, una grande confusione. Tuttavia, quando i suoi collaboratori avevano incominciato a raccogliere testimonianze, Kulik aveva trovato nuovamente conferma dell'eccezionalità del fenomeno. Doveva indagare, assolutamente, perché non si trattava di un "normale" meteorite.
Tutti i rapporti erano per lo meno concordi su di un aspetto: quando l'oggetto si era schiantato al suolo, aveva creato un cratere enorme, dal quale si era innalzata una colonna di fumo e fuoco ardente più del Sole stesso. Capanne distanti erano state spazzate via e le mandrie di renne si erano disperse terrorizzate. Un uomo, intento ad arare nel suo piccolo campo, aveva avvertito un forte calore sulle spalle, mentre altri dichiararono di aver subito delle evidenti scottature sul viso, ma solo da un lato. Altri erano diventati temporaneamente sordi per il gran frastuono ed altri ancora avevano riportato per un lungo periodo i segni degli effetti termici legati al misterioso fenomeno. Ciò malgrado, molto stranamente, non si aveva avuto notizia di vittime o di persone ferite in modo serio. La "cosa" piombata dal cielo aveva scelto uno dei rari luoghi del pianeta in cui gli effetti della sua caduta sarebbero stati contenuti e non catastrofici. Si fosse presentata all'impatto con la Terra qualche ora più tardi, si sarebbe schiantata su San Pietroburgo, Londra o New York. Anche se fosse sprofondata nell'oceano, le gigantesche ondate che si sarebbero sollevate avrebbero devastato e cancellato dalla faccia della Terra tutte le zone costiere. Insomma, quel fatidico giorno l'umanità aveva corso il rischio del più terrificante disastro della Storia e non se n'era neppure resa conto.
Dopo tanto cercare, però, alla fine Kulik era riuscito a mettere le mani sul rapporto di un meteorologo locale, il quale, bontà sua, si era preoccupato di segnare le coordinate del punto di impatto. Ricevuta conferma dall'archivio dati dell'Accademia delle Scienze, il professore aveva così potuto organizzare la spedizione e muoversi per raggiungere il luogo dell'impatto con la necessaria cognizione di causa.
L'immensa foresta siberiana è uno dei luoghi più desolati di tutto il pianeta. Ancora oggi è in gran parte inesplorata e ci sono zone che l'occhio umano ha solo visto dall'alto, tramite ricognizioni aeree. I pochi insediamenti esistenti sono tutti raggruppati lungo le rive dei grandi fiumi, alcuni tanto larghi da non riuscire a occhio nudo a guardare da una sponda all'altra. Gli inverni sono gelidi, mentre in estate il terreno si fa paludoso e l'aria è infestata da sciami di insetti. Kulik era atteso da un'impresa molto difficile. L'unica possibilità per muoversi erano cavalli e muli oppure zattere per spostarsi lungo i fiumi, senza, per di più, sapere dove andare a parare o che cosa cercare esattamente.
Nel marzo del 1927 Kulik era dunque pronto. Nel gruppo c'erano anche due guide locali che dicevano di aver assistito all'evento. Dopo non poche traversie, ad aprile, la spedizione era approdata sul fiume Mekirta, il corso d'acqua più vicino al punto dell'impatto, all'epoca una sorta di barriera naturale fra la foresta intoccata e vergine e una devastazione pressoché totale. Raggiunto finalmente il posto della catastrofe, per prima cosa Kulik era salito su di una vicina altura per osservare la zona dall'alto. Per quanto gli riusciva di spingere lo sguardo lontano in direzione nord - una distanza di quasi venti chilometri - non si scorgeva un solo albero rimasto in piedi. Erano stati tutti atterrati dall'esplosione e ora giacevano distesi come tanti soldatini abbattuti, tutti rivolti verso di lui. Era inoltre chiaro che lo spettacolo che stava osservando era soltanto una parte della totalità della devastazione, visto che a perdita d'occhio gli alberi risultavano tutti coricati, allineati nella medesima direzione. La catastrofe doveva essere stata ben più grande di quanto anche i rapporti più generosi avevano riportato.
Quando Kulik aveva deciso che si sarebbe perlustrata l'intera zona devastala, le due guide si erano spaventate e avevano rifiutato di seguirlo. Anzi minacciavano di lasciare il luogo, abbandonandolo al suo destino. Era stato costretto a tornare indietro e soltanto in giugno era riuscito a tornare sul posto con due nuove guide.
La spedizione era quindi entrata in azione. Per alcuni giorni la carovana si era spostata lungo la traiettoria indicata dagli alberi caduti, poi aveva raggiunto un grande anfiteatro in mezzo alle colline e qui era stato collocato il campo base. I giorni successivi Kulik li aveva impegnati a monitorare la zona, arrivando a concludere che quello era il grande cratere, il centro dove si era scatenato l'inferno dell'impatto. Tutto attorno, gli alberi giacevano a terra la punta rivolta verso l’esterno, mentre se n’erano preservati alcuni gruppi incredibilmente rimasti dritti. Proprio nel centro del grande cratere, molti alberi erano rimasti in piedi, anche se spogli e carbonizzati. Adesso l'immensità della devastazione cominciava ad apparire in tutta la sua interezza, se solo si considerava che dalle sponde del fiume al centro del cratere correvano la bellezza di 60 km. In altre parole, l'impatto aveva devastato un'area di foresta superiore a 10.000 km quadrati. Sempre lavorando sull'ipotesi che la catastrofe fosse stata provocata da un gigantesco meteorite, Kulik si era messo a ricercarne i resti, credendo di averne trovata traccia quando si era imbattuto in una serie di cavità piene d'acqua che egli riteneva causate dai frammenti del meteorite esploso nell'impatto. Ma quando alcune di quelle cavità erano state prosciugate si erano rivelate desolatamente vuote. Una presentava sul fondo addirittura dei ceppi d'albero, prova evidente che non poteva essere stata provocata dall'impatto con un blocco meteorico. Kulik era destinato a compiere ben quattro spedizioni nella zona dell'esplosione e fino alla morte rimase convinto che si era trattato di un gigantesco meteorite, anche se non rintracciò mai i frammenti di ferro e roccia che avrebbero in qualche modo confermato la sua teoria. Perché, alla resa dei conti, malgrado i tanti sforzi, Kulik non riuscì a dimostrare che qualcosa aveva impattato il terreno. Si notava il segno di almeno due onde esplosive - quella vera e propria e quella balistica - ma non si poteva riconoscere un cratere impattivo vero e proprio.
Quella nuova evidenza non faceva che rafforzare il già fitto mistero. Da una ricognizione aerea effettuata nel 1938 si rilevò che in verità soltanto 2.000 km quadrati di foresta erano stati abbattuti e che il punto centrale della zona disastrata era chiaramente segnato dalla singolare presenza di alcuni alberi conservatisi misteriosamente in piedi. Questo particolare rispondeva allo schema distruttivo tipico dell'esplosione di una bomba piuttosto che a quello di un meteorite, tipo quello che a Winslow, in Arizona, ha lasciato dietro di sé un cratere profondo più di 200 m. Anche il modo in cui l'oggetto era precipitato sulla Terra era in discussione. Oltre settecento testimoni riferirono che ad un tratto aveva cambiato rotta. La direzione originale, infatti, l'avrebbe portato a precipitare nei pressi del lago Baikal, ma ciò non era avvenuto per via del mutamento di traiettoria. Non esiste alcun corpo celeste in grado di manovrare mentre precipita, né è possibile ai fisici spiegare come potrebbe farlo, pur mettendo in campo tutte le teorie conosciute.
Un altro effetto degno di nota derivato dalla catastrofe è quello esercitato sugli alberi e sugli insetti della zona colpita. Gli alberi che non erano stati abbattuti avevano però interrotto la crescita o, al contrario, si erano sviluppati in modo rapido e anomalo. Studi zoologici hanno rivelato la presenza di nuovi tipi di formiche e insetti, esseri viventi tipici soltanto della regione di Tunguska dopo l'incidente.
Non erano trascorsi che pochi anni da quando il professor Kulik era morto in un campo di concentramento tedesco, che anche i Giapponesi ebbero modo di sperimentare analoghi, ma ancora più terribili, effetti simili a quelli dell'esplosione di Tunguska con la distruzione delle città di Hiroshima e Nagasaki a causa della bomba atomica.
Le conoscenze di cui disponiamo ci aiutano a chiarire in parte il mistero che lauto ha angustiato il povero professor Kulik. La ragione dell'assenza del cratere d'impatto è dovuta al fatto che l'esplosione non è avvenuta a terra ma in aria, proprio come capita con la bomba atomica. La conferma viene dagli alberi mantenutisi eretti proprio nel cuore del cratere. Anche nelle due città giapponesi disintegrate dalle bombe le case direttamente collocate sotto la linea d'arrivo degli ordigni non sono crollate, dal momento che la spinta d'urlo dell'esplosione è radiale, si espande cioè verso l'esterno. Le numerose mutazioni genetiche osservate nella flora e nella fauna giapponese locale sono le stesse constatate in Siberia, mentre le piaghe rintracciate con alta frequenza nei cani selvatici e nelle renne della zona di Tunguska possono oggi essere riconosciute come bruciature prodotte da radiazioni.
Un'esplosione atomica produce forti disturbi nel campo magnetico terrestre e ancora oggi tutto il territorio interessato rivela una situazione di "caos magnetico". Sotto questo profilo, è più che evidente come quel lontano giorno di giugno un vero e proprio cataclisma elettromagnetico si sia scaricato sulla superficie del nostro pianeta, alterando e modificando in modo evidente il naturale campo magnetico terrestre locale.
Le testimonianze oculari che parlano di una grande nuvola, ancora una volta inducono a pensare ad un marchingegno nucleare, anche perché una delle descrizioni ricorrenti era proprio quella di una "grande nuvola a forma di fungo". Sfortunatamente però, il particolare conclusivo che avrebbe definitivamente bollato come veritiera la teoria nucleare non corrisponde: da quando, circa cinquant'anni orsono, sono stati misurati per la prima volta i livelli di radioattività non sono mai andati incontro a mutamenti o variazioni di alcun genere.
Investigazioni successive hanno dimostrato che Kulik si sbagliava nel ritenere i crateri provocati dall'impatto al suolo dei grossi blocchi in cui il meteorite si era frantumato al contatto con la superficie. Non erano stati frammenti rocciosi a crearli, bensì enormi blocchi di ghiaccio che si erano aperti la strada nel terreno e che durante l'estate si erano poi sciolti. L'immensa fatica compiuta dalla spedizione Kulik per svuotare alcune di queste cavità era stata per davvero un'impresa ciclopica quanto del tutto inutile. Sfortunatamente, nessuna fra le molte spedizioni sovietiche - ma anche americane - ha gettato un minimo di luce sulla causa che ha provocato questo immane sconvolgimento. I fautori degli UFO non hanno dubbi nel sostenere che l'oggetto misterioso era in realtà un'astronave aliena, sospinta da energia atomica, sfuggita al controllo dei suoi piloti al momento dell'ingresso nella nostra atmosfera. Qualcuno si è spinto anche oltre, affermando che la vera meta dell'astronave era il lago Baikal dove potersi rifornire di acqua per il raffreddamento dei reattori nucleari; solo che questi si erano surriscaldati troppo e prima di raggiungere le acque del lago erano esplosi.
Ovviamente, gli scienziati respingono ipotesi come queste che ritengono frutto di una fantasia troppo spigliata. Ma quella che segue non è certo da meno. Secondo i professori A. A. Jackson e M.P. Ryan della Università del Texas, la causa della deflagrazione sarebbe stato un piccolo buco nero, una sorta di potente vortice spaziale che scaturisce dal collasso totale delle particelle interne all'atomo. Questo buco nero in miniatura avrebbe trapassato tutta la Terra per uscire dall'estremità opposta. L'ipotesi deve aver impressionato non poco i Russi, se è vero che tra le molte ricerche ne avviarono anche una per verificare se in quel fatidico 1908 erano stati registrati dalla stampa strani fenomeni in territori dall'altra parte del mondo. Non essendo emerso nulla, la spiegazione sul mistero di Tunguska proposta da Jackson e Ryan sembra non reggere.
Altri ricercatori statunitensi chiamano in causa l'antimateria, uno speciale tipo di materia composta da particelle caratterizzate da cariche elettriche contrarie e opposte a quelle che contraddistinguono la materia normale, quella che conosciamo. Al contatto con la materia, l'antimateria esplode e genera un processo di annichilimento, lasciandosi dietro soltanto tracce di radiazioni atomiche. Un'ipotesi interessante, ma solo a livello teorico, dal momento che, al pari della precedente, non esiste una sola, seppur piccola, prova che la corrobori.
Lievemente più accettabile - per quanto, anch'essa, improbabile - risulta invece la teoria di uno studioso inglese, Frank Whipple secondo la quale la Terra si scontrò con una cometa. Ancora oggi gli astronomi non sanno come si formano le comete. Le due principali obiezioni alla ipotesi della cometa sono che non avrebbe potuto scatenare una esplosione nucleare e gli astronomi avrebbero potuto scorgere il suo approssimarsi al pianeta con largo anticipo. I sostenitori di questa visione affermano che una cometa che puntasse dritta verso la Terra in perfetto allineamento col Sole difficilmente sarebbe osservabile e la sua esplosione potrebbe generare effetti simili a quelli determinati dalle tempeste solari, con un'alta produzione di radioattività. Nessuno degli oltre centoventi osservatori astronomici consultati dagli scienziati russi ha però segnalato di avere nei propri archivi qualche registrazione a proposito dell'avvicinarsi di una cometa che potrebbe identificarsi con la "cosa" di Tunguska.
Più recentemente, si è osservato che l'esatto giorno in cui si è verificata la catastrofe era il 30 di giugno. Ogni anno, come gli astronomi ben sanno, proprio in questo giorno l'orbita terrestre viene interessata dall'incrocio con la scia di una cometa detta Beta Taurids, fenomeno che da origine a uno spettacolo di pirotecnica celeste, un vero e proprio "show di meteoriti". Se una di queste, particolarmente grande, superata la barriera d'attrito causata dall'ingresso nell'atmosfera, si fosse schiantata sulla superficie del nostro pianeta, la sua parte esterna miscelandosi con quella interna ghiacciata si sarebbe sciolta istantaneamente per solidificarsi subito dopo in grossi blocchi di durissimo ghiaccio. Se fosse andata per davvero così, ebbene il buon Kulik, dopo tutto, non avrebbe poi tanto sbagliato, anche se, non lo dobbiamo dimenticare, non gli riuscì in alcun modo di mettere insieme neppure uno straccio di prova. A quasi un secolo dall'evento, sembra impossibile che su ciò che accadde a Tunguska continui a persistere un enigma, e che quella immane esplosione sia ancora oggi relegata nel dizionario dei misteri irrisolti.
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Re: thriller e co.
JOHN TITOR
Qualche anno fa su Internet, e precisamente Il 2 novembre 2000, qualcuno, usando l’appellativo di “Timetravel_0” ed in seguito il nome di John Titor, inizia a scrivere messaggi in vari forum di Internet dedicati ai viaggi nel tempo e dichiara di essere un viaggiatore nel tempo proveniente dal 2036. Egli dichiara di essere un soldato e di lavorare per un progetto governativo: pur essendoci ben altri sette viaggiatori temporali, per questa missione è stato scelto proprio lui, per il legame di parentela che lo lega al nonno, ingegnere dell'IBM: è stato infatti inviato nel 1975 per incontrare e recuperare dal nonno un computer trasportabile IBM 5100, che a suo dire contiene
importanti funzioni che gli permettono di svolgere un'operazione vitale per il mondo del 2036 e cioè di effettuare conversioni fra i vecchi sistemi IBM e UNIX e permettere così all'epoca di Titor (2036 circa) di sopravvivere al collasso dei sistemi UNIX previsto per l’anno 2038.
Le nascoste proprietà della macchina risiederebbero, per Titor, nella capacità di tradurre i linguaggi UNIX, APL e BASIC tra loro. Dopo aver recuperato il computer, Titor sta facendo sosta nell'anno 2000 (anno appunto in cui inizia a lasciare messaggi in internet) per far visita alla propria famiglia e a se stesso da bambino e per vedere di persona gli effetti del Millenium Bug.
Nei suoi molti messaggi, Titor dichiara di non voler convincere nessuno dell'autenticità della propria storia ma risponde in modo esauriente alle domande nei forum e fornisce dettagli tecnici e anche alcune immagini della sua "macchina del tempo": un modello C204, che verrà fabbricato nel 2034, pesante circa 250 chili. Le discussioni che sostenne, le risposte alle domande che gli furono poste, fecero cambiare idea a molti, i quali finirono per credere a quanto l’uomo affermava.
Il 24 marzo 2001, John Titor annuncia il proprio ritorno nel 2036 e da allora non si è più fatto sentire.
Ovviamente, tra le domande più ricorrenti formulate a Titor durante le sue conversazioni, ci sono quelle riguardanti fatti od avvenimenti recenti che, ovviamente, un uomo del futuro non può non conoscere: chi vincerà il campionato di calcio, quante sono state le vittime dell’incidente aereo di ieri, quale sarà l’andamento della borsa per i prossimi mesi, ecc. Titor, però, ha sempre evitato di rispondere a domande come queste, giustificandosi affermando di non ricordarsi con questa frase “nessuno di voi è in grado di ricordare che tempo abbia fatto il 26 aprile 1974, come nessuno di voi ricorderebbe quante persone precisamente siano morte, per esempio, nella tal strage, ecc.”. Al contrario, Titor rispose molto volentieri alle domande riguardanti il futuro del mondo. Ed il futuro che prospetta non è affatto dei più rosei, e si concluderà in una guerra nucleare globale molto breve ma devastante nel 2015.
In America, il presidente del 2005 (che Titor non indica nel nome), cercherà di essere il nuovo Lincoln, cercando di tenere uniti gli stati, ma le loro polizie negheranno alcuni punti della Carta dei Diritti. Nel 2009 si insedierà un nuovo presidente, che, però, non cercherà di fare nulla per rimediare alla situazione di crisi. Nel resto del mondo, andranno acutizzandosi i problemi in Medio Oriente, soprattutto a causa dell’instabilità occidentale: Israele sarà attaccato dai paesi islamici (il riferimento è da intendere nel senso di attacchi kamikaze); a sua volta, Israele, supportato militarmente dai paesi occidentali, risponderà all’offensiva. La guerra, dice Titor, sarà condotta utilizzando armi nucleari e di distruzione di massa. In Estremo Oriente, invece, la Cina, sfruttando l’instabilità politica mondiale, “annetterà forzatamente” Corea, Taiwan e Giappone. La situazione collasserà definitivamente nel 2015, quando la Russia, per “rimettere in ordine le cose”, bombarderà Europa (in risposta allo schierarsi di un massiccio esercito europeo in Germania), Australia, Cina e Stati Uniti: sarà questa la Terza Guerra Mondiale, che causerà 3 miliardi di morti. Titor non dice precisamente quando il bombardamento avrà inizio, tuttavia si lascia sfuggire la data del 12 marzo 2015, ore 3.45, ora di Washington.
Le radiazioni e alcuni effetti degli impulsi elettromagnetici generati dalle armi nucleari renderanno inutilizzabili taluni macchinari: per questo, nel 2036 ci sarà ancora chi userà macchine da scrivere, biciclette e vecchie stufe a legna. Il lavoro manuale sarà molto praticato, essendo venute meno le grandi distribuzioni e la possibilità di commerciare al di fuori della propria realtà territoriale. La maggior parte dei territori colpiti dalle bombe sarà radioattiva, per cui sarà necessario, per esempio, depurare l’acqua prima di berla. A tutti sarà richiesto un addestramento militare ed una buona conoscenza delle armi da fuoco: questo per l’autodifesa e la sopravvivenza.
Diverranno più rapidi i trasporti, soprattutto via binario, migliorerà la tecnologia applicata alla medicina, l’AIDS sarà sconfitta, gli studi sul cancro avanzeranno ma si diffonderà maggiormente la Sindrome della Mucca Pazza e la manipolazione genetica e riprenderanno i viaggi spaziali. Sarà permessa la manipolazione spermatica e delle cellule-uovo, poiché sarà molto difficile procreare.
La storia di John Titor, l’uomo del futuro, come spesso accade per argomenti come questi, affascina molto sia perché fa un certo effetto parlare con qualcuno proveniente dal futuro di cose ancora da venire, sia perché le implicazioni scientifiche hanno un sapore fantascientifico e fanno sognare. Comunque sia, che quest’uomo sia un folle od un reale viaggiatore temporale, i suoi interventi hanno spaccato in due gruppi tutti coloro che si sono imbattuti nei suoi scritti, “credenti” e “non credenti”: vediamo il perché.
- L'analisi dei messaggi di Titor produce risultati ambigui. Le immagini della sua "macchina del tempo" sono pessime e il "manuale" sembra veramente dilettantesco (specialmente se si considera che è stampato nel 2030 e passa), eppure Titor ha dimostrato una notevole padronanza della terminologia della fisica avanzata e dell'informatica.
- Titor ha previsto erroneamente che vi sarebbe stata una guerra civile in USA dal 2004 al 2015 e che l'edizione finale delle Olimpiadi sarebbe stata nel 2004 (mentre le Olimpiadi Invernali del 2006 si sono tenute); ma si è coperto le spalle "spiegando" che esistono molti mondi paralleli al nostro e che in ciascuno di questi mondi gli eventi sono leggermente differenti; lui proverrebbe in realtà da uno di questi mondi e avrebbe raccontato la cronologia di quel mondo, che può essere divergente rispetto alla nostra.
Tuttavia, a favore di Titor giocano alcuni elementi assai rilevanti:
- Un aspetto interessante della sua storia però, è appunto la questione dell'IBM 5100: infatti le funzioni non documentate descritte da John Titor esistono realmente ed erano effettivamente segrete all'epoca della commercializzazione di questo modello di computer. IBM tenne segreta quest'emulazione perché temeva che la concorrenza ne approfittasse, dato che permetteva ai programmatori di accedere alle funzioni dei mastodontici computer IBM degli anni Sessanta.
- John Titor, abbiamo visto, ha descritto, in maniera piuttosto dettagliata, le scoperte che saranno compiute dal CERN e le applicazioni che da queste deriveranno. Alla fine del 2001, dunque a circa un anno di distanza dalle affermazioni di Titor, come lui stesso ha preannunciato il CERN ha confermato ufficialmente la possibilità di creare artificialmente mini buchi neri;
- tra le sue “profezie”, Titor ha parlato dell’Iraq, affermando come Saddam Hussein non possedesse alcuna arma di distruzione di massa e di come, nonostante questo, una guerra venisse scatenata con lo scopo ufficiale di rimuovere tali armi;
- Titor ha presentato una notevole conoscenza di alcuni importanti campi della fisica, esponendo con parecchia proprietà e sicurezza argomenti assai complessi: se quest’uomo fosse un impostore, gli andrebbero comunque fatti i complimenti per la sua preparazione.
Qualche anno fa su Internet, e precisamente Il 2 novembre 2000, qualcuno, usando l’appellativo di “Timetravel_0” ed in seguito il nome di John Titor, inizia a scrivere messaggi in vari forum di Internet dedicati ai viaggi nel tempo e dichiara di essere un viaggiatore nel tempo proveniente dal 2036. Egli dichiara di essere un soldato e di lavorare per un progetto governativo: pur essendoci ben altri sette viaggiatori temporali, per questa missione è stato scelto proprio lui, per il legame di parentela che lo lega al nonno, ingegnere dell'IBM: è stato infatti inviato nel 1975 per incontrare e recuperare dal nonno un computer trasportabile IBM 5100, che a suo dire contiene
importanti funzioni che gli permettono di svolgere un'operazione vitale per il mondo del 2036 e cioè di effettuare conversioni fra i vecchi sistemi IBM e UNIX e permettere così all'epoca di Titor (2036 circa) di sopravvivere al collasso dei sistemi UNIX previsto per l’anno 2038.
Le nascoste proprietà della macchina risiederebbero, per Titor, nella capacità di tradurre i linguaggi UNIX, APL e BASIC tra loro. Dopo aver recuperato il computer, Titor sta facendo sosta nell'anno 2000 (anno appunto in cui inizia a lasciare messaggi in internet) per far visita alla propria famiglia e a se stesso da bambino e per vedere di persona gli effetti del Millenium Bug.
Nei suoi molti messaggi, Titor dichiara di non voler convincere nessuno dell'autenticità della propria storia ma risponde in modo esauriente alle domande nei forum e fornisce dettagli tecnici e anche alcune immagini della sua "macchina del tempo": un modello C204, che verrà fabbricato nel 2034, pesante circa 250 chili. Le discussioni che sostenne, le risposte alle domande che gli furono poste, fecero cambiare idea a molti, i quali finirono per credere a quanto l’uomo affermava.
Il 24 marzo 2001, John Titor annuncia il proprio ritorno nel 2036 e da allora non si è più fatto sentire.
Ovviamente, tra le domande più ricorrenti formulate a Titor durante le sue conversazioni, ci sono quelle riguardanti fatti od avvenimenti recenti che, ovviamente, un uomo del futuro non può non conoscere: chi vincerà il campionato di calcio, quante sono state le vittime dell’incidente aereo di ieri, quale sarà l’andamento della borsa per i prossimi mesi, ecc. Titor, però, ha sempre evitato di rispondere a domande come queste, giustificandosi affermando di non ricordarsi con questa frase “nessuno di voi è in grado di ricordare che tempo abbia fatto il 26 aprile 1974, come nessuno di voi ricorderebbe quante persone precisamente siano morte, per esempio, nella tal strage, ecc.”. Al contrario, Titor rispose molto volentieri alle domande riguardanti il futuro del mondo. Ed il futuro che prospetta non è affatto dei più rosei, e si concluderà in una guerra nucleare globale molto breve ma devastante nel 2015.
In America, il presidente del 2005 (che Titor non indica nel nome), cercherà di essere il nuovo Lincoln, cercando di tenere uniti gli stati, ma le loro polizie negheranno alcuni punti della Carta dei Diritti. Nel 2009 si insedierà un nuovo presidente, che, però, non cercherà di fare nulla per rimediare alla situazione di crisi. Nel resto del mondo, andranno acutizzandosi i problemi in Medio Oriente, soprattutto a causa dell’instabilità occidentale: Israele sarà attaccato dai paesi islamici (il riferimento è da intendere nel senso di attacchi kamikaze); a sua volta, Israele, supportato militarmente dai paesi occidentali, risponderà all’offensiva. La guerra, dice Titor, sarà condotta utilizzando armi nucleari e di distruzione di massa. In Estremo Oriente, invece, la Cina, sfruttando l’instabilità politica mondiale, “annetterà forzatamente” Corea, Taiwan e Giappone. La situazione collasserà definitivamente nel 2015, quando la Russia, per “rimettere in ordine le cose”, bombarderà Europa (in risposta allo schierarsi di un massiccio esercito europeo in Germania), Australia, Cina e Stati Uniti: sarà questa la Terza Guerra Mondiale, che causerà 3 miliardi di morti. Titor non dice precisamente quando il bombardamento avrà inizio, tuttavia si lascia sfuggire la data del 12 marzo 2015, ore 3.45, ora di Washington.
Le radiazioni e alcuni effetti degli impulsi elettromagnetici generati dalle armi nucleari renderanno inutilizzabili taluni macchinari: per questo, nel 2036 ci sarà ancora chi userà macchine da scrivere, biciclette e vecchie stufe a legna. Il lavoro manuale sarà molto praticato, essendo venute meno le grandi distribuzioni e la possibilità di commerciare al di fuori della propria realtà territoriale. La maggior parte dei territori colpiti dalle bombe sarà radioattiva, per cui sarà necessario, per esempio, depurare l’acqua prima di berla. A tutti sarà richiesto un addestramento militare ed una buona conoscenza delle armi da fuoco: questo per l’autodifesa e la sopravvivenza.
Diverranno più rapidi i trasporti, soprattutto via binario, migliorerà la tecnologia applicata alla medicina, l’AIDS sarà sconfitta, gli studi sul cancro avanzeranno ma si diffonderà maggiormente la Sindrome della Mucca Pazza e la manipolazione genetica e riprenderanno i viaggi spaziali. Sarà permessa la manipolazione spermatica e delle cellule-uovo, poiché sarà molto difficile procreare.
La storia di John Titor, l’uomo del futuro, come spesso accade per argomenti come questi, affascina molto sia perché fa un certo effetto parlare con qualcuno proveniente dal futuro di cose ancora da venire, sia perché le implicazioni scientifiche hanno un sapore fantascientifico e fanno sognare. Comunque sia, che quest’uomo sia un folle od un reale viaggiatore temporale, i suoi interventi hanno spaccato in due gruppi tutti coloro che si sono imbattuti nei suoi scritti, “credenti” e “non credenti”: vediamo il perché.
- L'analisi dei messaggi di Titor produce risultati ambigui. Le immagini della sua "macchina del tempo" sono pessime e il "manuale" sembra veramente dilettantesco (specialmente se si considera che è stampato nel 2030 e passa), eppure Titor ha dimostrato una notevole padronanza della terminologia della fisica avanzata e dell'informatica.
- Titor ha previsto erroneamente che vi sarebbe stata una guerra civile in USA dal 2004 al 2015 e che l'edizione finale delle Olimpiadi sarebbe stata nel 2004 (mentre le Olimpiadi Invernali del 2006 si sono tenute); ma si è coperto le spalle "spiegando" che esistono molti mondi paralleli al nostro e che in ciascuno di questi mondi gli eventi sono leggermente differenti; lui proverrebbe in realtà da uno di questi mondi e avrebbe raccontato la cronologia di quel mondo, che può essere divergente rispetto alla nostra.
Tuttavia, a favore di Titor giocano alcuni elementi assai rilevanti:
- Un aspetto interessante della sua storia però, è appunto la questione dell'IBM 5100: infatti le funzioni non documentate descritte da John Titor esistono realmente ed erano effettivamente segrete all'epoca della commercializzazione di questo modello di computer. IBM tenne segreta quest'emulazione perché temeva che la concorrenza ne approfittasse, dato che permetteva ai programmatori di accedere alle funzioni dei mastodontici computer IBM degli anni Sessanta.
- John Titor, abbiamo visto, ha descritto, in maniera piuttosto dettagliata, le scoperte che saranno compiute dal CERN e le applicazioni che da queste deriveranno. Alla fine del 2001, dunque a circa un anno di distanza dalle affermazioni di Titor, come lui stesso ha preannunciato il CERN ha confermato ufficialmente la possibilità di creare artificialmente mini buchi neri;
- tra le sue “profezie”, Titor ha parlato dell’Iraq, affermando come Saddam Hussein non possedesse alcuna arma di distruzione di massa e di come, nonostante questo, una guerra venisse scatenata con lo scopo ufficiale di rimuovere tali armi;
- Titor ha presentato una notevole conoscenza di alcuni importanti campi della fisica, esponendo con parecchia proprietà e sicurezza argomenti assai complessi: se quest’uomo fosse un impostore, gli andrebbero comunque fatti i complimenti per la sua preparazione.
4evermichael- Moderator
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Re: thriller e co.
Rituali e simboli magici
Molte associazioni segrete moderne, come la massoneria o l'ordine dei druidi, basano la propria filosofia su simboli e rituali, dietro ai quali celano la propria conoscenza esoterica. Chi si affida al potere dei simboli, ritiene che essi possano comunicare una determinata realtà ed esprimano una verità profonda, celata anche nelle favole, nei miti, nelle parabole gnostiche, nelle immagini, nei rituali e nei messaggi onirici. Tutte le associazioni segrete esoteriche credono alla verità contenuta in simboli e rituali. Per i membri di queste associazioni, la verità non è racchiusa in precetti definiti, ma nella ricerca stessa.
La costante ricerca della verità è attuata dai massoni e da altre associazioni segrete sotto forma di viaggi ricorrenti, i cosiddetti "viaggi mistici".
La serietà dei simboli magici
I simboli, che possono essere costituiti da una frase, da una parola o anche da un gesto, sono molto legati ai rituali.
Capi d'abbigliamento, determinati colori oppure oggetti, assumono un significato diverso all'interno di ciascuna associazione segreta: la loro connotazione cambia a seconda del sistema a cui appartengono, perciò l'interpretazione di un triangolo o di un sole da parte di un massone, di un rosacrociano e di una strega moderna, non necessariamente coincide. Utilizzare simboli e riti, però, non significa semplicemente conoscere le "regole del gioco": il loro potere è un tema molto "serio" nell'ambito della magia, poiché consente di ottenere effetti reali e concreti.
La magia dei rituali
Il rituale è una pratica sacra, interamente comprensibile solo da chi la interiorizza e la fa propria, e difficilmente può essere eseguito dai non-iniziati. In altre parole: non basta conoscere perfettamente gli orari per far partire un treno. Il rituale viene sempre celebrato in maniera seria e solenne e la sua reiterazione più o meno frequente, ma sempre identica, determina il potere della magia in esso contenuta. Spesso un rituale consiste nella lettura di un testo lungo o di una poesia, seguita da diverse invocazioni di spiriti elementari (silfi, salamandre, gnomi e ondine) e da una complessa conclusione (perorazione). L'invocazione degli spiriti elementari può durare, come nel "rituale bornless spiriti" (invocazione dell'Ingenerato), anche 70-80 minuti.
Il rituale "bornless spirit"
La conclusione del rituale prediletto da Aleister Crowley, il "bornless spirit", consiste in una lunghissima invocazione, detta anche perorazione: "Io sono Lui! L’Ingenerato che vede con i piedi. Forza e fuoco immortale! Io sono Lui, la verità! Io sono Colui che odia, che porta il male nel mondo! Io sono Colui che tuona e lampeggia! Io sono Colui che sputa fuoco dalla bocca! Io sono Colui che ha creato e rivelato la luce! Io sono Lui, la grazia del mondo! Il cuore avvolto nel serpente, è questo il mio nome". Con questo rituale il mago invoca il dio dell'antico Egitto Osiride, che si unisce a lui trasmettendogli i suoi poteri. Esiste infatti una teoria secondo la quale i maghi, tramite i rituali, possono unirsi a ogni essere vivente (appartenente a qualsiasi luogo e a qualsiasi epoca) diventando una cosa sola. L’estasi e l'illumuiazione sono il fine ultimo di questa pratica.
Il pericoloso rito del Chod
Il rito tibetano del Chod, praticato da Alexandra David-Neel (1868-1969), dimostra quanto possano essere pericolosi alcuni rituali descritti nella letteratura magica. Durante un soggiorno di 14 anni in Tibet, l'impavida ricercatrice si occupò dell'arte occulta locale. Chi pratica il rituale del Chod si "separa" (nel vero senso della parola) dalle false concezioni che aveva di sé, evocando tutti gli spiriti maligni e dando loro in pasto il proprio corpo. Il rito lamaistico Chod si pratica in stato meditativo, immaginando il proprio corpo grasso e brutto, come il gancio da cui pendono (e dipendono) tutti i desideri più incontrollabili. La visione continua con una dea della saggezza, che appare allo yogi e lo decapita, per poi ridurre a pezzi il resto del corpo. Il tutto viene riversato poi nella scatola cranica, posta sul fuoco come fosse una pentola. L’incredibile luce astrale emanata dalla vittima, attira gli spiriti più disparati (secondo le concezioni dello spiritismo, gli spiriti vengono sempre attratti dalla luce dell'anima). Il rituale del Chod richiede enorme autodisciplina e un carattere forte. Viene praticato per lo più nei cimiteri e nei luoghi di sepoltura e rientra nella categoria di quelle pratiche magiche che, se esercitate in maniera sbagliata, possono ingenerare notevoli disturbi psichici.
Molte associazioni segrete moderne, come la massoneria o l'ordine dei druidi, basano la propria filosofia su simboli e rituali, dietro ai quali celano la propria conoscenza esoterica. Chi si affida al potere dei simboli, ritiene che essi possano comunicare una determinata realtà ed esprimano una verità profonda, celata anche nelle favole, nei miti, nelle parabole gnostiche, nelle immagini, nei rituali e nei messaggi onirici. Tutte le associazioni segrete esoteriche credono alla verità contenuta in simboli e rituali. Per i membri di queste associazioni, la verità non è racchiusa in precetti definiti, ma nella ricerca stessa.
La costante ricerca della verità è attuata dai massoni e da altre associazioni segrete sotto forma di viaggi ricorrenti, i cosiddetti "viaggi mistici".
La serietà dei simboli magici
I simboli, che possono essere costituiti da una frase, da una parola o anche da un gesto, sono molto legati ai rituali.
Capi d'abbigliamento, determinati colori oppure oggetti, assumono un significato diverso all'interno di ciascuna associazione segreta: la loro connotazione cambia a seconda del sistema a cui appartengono, perciò l'interpretazione di un triangolo o di un sole da parte di un massone, di un rosacrociano e di una strega moderna, non necessariamente coincide. Utilizzare simboli e riti, però, non significa semplicemente conoscere le "regole del gioco": il loro potere è un tema molto "serio" nell'ambito della magia, poiché consente di ottenere effetti reali e concreti.
La magia dei rituali
Il rituale è una pratica sacra, interamente comprensibile solo da chi la interiorizza e la fa propria, e difficilmente può essere eseguito dai non-iniziati. In altre parole: non basta conoscere perfettamente gli orari per far partire un treno. Il rituale viene sempre celebrato in maniera seria e solenne e la sua reiterazione più o meno frequente, ma sempre identica, determina il potere della magia in esso contenuta. Spesso un rituale consiste nella lettura di un testo lungo o di una poesia, seguita da diverse invocazioni di spiriti elementari (silfi, salamandre, gnomi e ondine) e da una complessa conclusione (perorazione). L'invocazione degli spiriti elementari può durare, come nel "rituale bornless spiriti" (invocazione dell'Ingenerato), anche 70-80 minuti.
Il rituale "bornless spirit"
La conclusione del rituale prediletto da Aleister Crowley, il "bornless spirit", consiste in una lunghissima invocazione, detta anche perorazione: "Io sono Lui! L’Ingenerato che vede con i piedi. Forza e fuoco immortale! Io sono Lui, la verità! Io sono Colui che odia, che porta il male nel mondo! Io sono Colui che tuona e lampeggia! Io sono Colui che sputa fuoco dalla bocca! Io sono Colui che ha creato e rivelato la luce! Io sono Lui, la grazia del mondo! Il cuore avvolto nel serpente, è questo il mio nome". Con questo rituale il mago invoca il dio dell'antico Egitto Osiride, che si unisce a lui trasmettendogli i suoi poteri. Esiste infatti una teoria secondo la quale i maghi, tramite i rituali, possono unirsi a ogni essere vivente (appartenente a qualsiasi luogo e a qualsiasi epoca) diventando una cosa sola. L’estasi e l'illumuiazione sono il fine ultimo di questa pratica.
Il pericoloso rito del Chod
Il rito tibetano del Chod, praticato da Alexandra David-Neel (1868-1969), dimostra quanto possano essere pericolosi alcuni rituali descritti nella letteratura magica. Durante un soggiorno di 14 anni in Tibet, l'impavida ricercatrice si occupò dell'arte occulta locale. Chi pratica il rituale del Chod si "separa" (nel vero senso della parola) dalle false concezioni che aveva di sé, evocando tutti gli spiriti maligni e dando loro in pasto il proprio corpo. Il rito lamaistico Chod si pratica in stato meditativo, immaginando il proprio corpo grasso e brutto, come il gancio da cui pendono (e dipendono) tutti i desideri più incontrollabili. La visione continua con una dea della saggezza, che appare allo yogi e lo decapita, per poi ridurre a pezzi il resto del corpo. Il tutto viene riversato poi nella scatola cranica, posta sul fuoco come fosse una pentola. L’incredibile luce astrale emanata dalla vittima, attira gli spiriti più disparati (secondo le concezioni dello spiritismo, gli spiriti vengono sempre attratti dalla luce dell'anima). Il rituale del Chod richiede enorme autodisciplina e un carattere forte. Viene praticato per lo più nei cimiteri e nei luoghi di sepoltura e rientra nella categoria di quelle pratiche magiche che, se esercitate in maniera sbagliata, possono ingenerare notevoli disturbi psichici.
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Re: thriller e co.
GIOVANNA D'ARCO
Giovanna d'Arco ha fatto ritorno dall'aldilà?
Il 30 maggio del 1431 Giovanna d'Arco veniva messa al rogo dagli Inglesi con l'accusa di eresia. Lei stessa si considerava un messaggero celeste, inviato dal cielo per aiutare i Francesi a sconfiggere il nemico inglese (alleato dei Borgognoni che alla fine la catturarono). All'età di tredici anni Giovanna aveva incominciato a sentire delle voci, poi riconosciute come quelle dei santi Gabriele, Michele, Margherita e Caterina.
Quando la notizia che la città di Orléans era assediata dagli Inglesi era giunta a Domremy, il piccolo villaggio della Lorena dove viveva, Giovanna aveva sentito le solite voci esortarla ad
andare a togliere l'assedio, trasformandosi in un condottiero.
La sua carriera militare fu breve, ma a dir poco sfolgorante: in un solo anno riportò numerose vittorie e poté assistere all'incoronazione di Carlo VII a Reims. Poi era stata catturata dai Borgognoni al soldo degli Inglesi e venduta per diecimila franchi, processata, riconosciuta come strega e condannata a essere bruciata viva.
Fin qui la storia ufficiale; in realtà quella meno nota non sembra fermarsi qui. Scrive Anatole France: «Orbene, neppure un mese dopo che Parigi era tornata a Carlo, in Lorena era comparsa una certa pulzella. Aveva venticinque anni e il suo nome era Claude. Un giorno si era presentata ai reggenti di Metz dicendo di essere Giovanna». Questo accadeva nel maggio del 1436, esattamente cinque anni dopo l'atroce fine di Giovanna.
La prima cosa che viene in mente è immaginare un impostore che si spaccia per la vera pulzella; ma alcuni importanti elementi inducono a pensarla in modo diverso. I due fratelli più giovani di Giovanna d'Arco, Petit-Jean e Pierre, erano sotto le armi quando era accaduto il fatto e non avevano alcun dubbio che la giovane arsa viva a Rouen fosse la sorella. Così, quando avevano saputo che a Metz era apparsa una giovane che diceva di essere Giovanna e che chiedeva di incontrarli, vi si erano precipitati; fra l'altro Petit-Jean era vicino, essendo prevosto di Vaucouleurs. Una cronaca racconta che i due ragazzi giunsero al villaggio di La-Grange-aux-Ormes mentre si stava svolgendo un torneo. Fra i tanti cavalieri, quello che aveva dato dimostrazione di essere il più abile, era in realtà quella ragazza che li aveva fatti chiamare e che diceva di essere Giovanna. Certi di un inganno, i due si erano predisposti a sfidarla in duello. Però quando Petit-Jean le aveva domandato chi era, la presunta millantatrice aveva sollevato la visiera dell'elmo e, mostrato il volto, aveva concesso loro di riconoscerla: era proprio la sorella Giovanna.
E in effetti Giovanna era accompagnata da molte persone che già l'avevano conosciuta nel formidabile anno in cui si era opposta agli Inglesi. Fra questa gente c'era Nicole Lowe, ciambellano del re. Era evidente che se si fosse trattato di un inganno sarebbe stato assurdo presentarsi in un posto dove tutti l'avrebbero riconosciuta. (Giovanni di Metz era stato, tra l'altro, uno dei suoi più ferventi estimatori). Il giorno dopo i fratelli l'avevano presa con loro e si erano ritirati a Vaucouleurs, dove avevano trascorso una settimana insieme. La ragazza era stata riconosciuta con piacere da tutti coloro che solo sette anni prima l'avevano vista recarsi dal maggiorente del luogo Robert de Baudricourt per chiedergli di aiutarla a incontrare il delfino, l'erede al trono. Poi aveva trascorso tre settimane in una piccola città di nome Marville, quindi aveva compiuto un pellegrinaggio alla Vergine Nera di Notre Dame de Lance, fra Laon e Reims. Quindi era andata a vivere ospite di Elisabetta, duchessa di Lussemburgo, ad Arlon. Nel frattempo il fratello Petit-Jean si era fatto ricevere dal re per annunciargli che Giovanna era viva. La reazione del sovrano non ci è nota, si sa soltanto che diede ordine al suo tesoriere di consegnare al giovane cento franchi. Una nota nei registri dei pagamenti segnala che il 9 agosto 1436 il consiglio aveva autorizzato il pagamento di un corriere che aveva consegnato alcune lettere inviate da "Giovanna la pulzella".
Il ricordo di questi avvenimenti si trova nel testo fondamentale sulla biografia di Giovanna d'Arco dal titolo Processo e riabilitazione di Giovanna d'Arco, opera in cinque volumi a firma di Jules Quicherat, edita nel 1841, dove sono riprodotti documenti originali. In uno si afferma che il 24 giugno 1437 i miracolosi poteri di Giovanna erano tornati. All'epoca, la ragazza era divenuta la protetta del conte Ulrico di Wuttemberg, che l'aveva condotta con sé a Colonia. Qui Giovanna era rimasta coinvolta in una violenta diatriba scoppiata fra due prelati rivali, uno favorevole al capitolo l'altro al papa. Ulrico era schierato con un certo Udalrico e Giovanna era della stessa opinione. Ma la scelta non era stata la migliore. Il Concilio di Basilea, infatti, aveva riconosciuto in Udalrico un usurpatore e la reggenza della diocesi era stata assegnata dal papa al suo avversario. A questo punto l'inquisitore generale di Colonia aveva voluto interessarsi in merito alla misteriosa ospite del conte (non dimentichiamoci che siamo in piena epoca di "caccia alle streghe") e si era fortemente scandalizzato nel sentir dire che la ragazza era dedita a pratiche magiche, che non si vergognava a danzare con gli uomini e che mangiava e beveva liberamente, più di quanto le fosse necessario. (L'accusa di magia sembra sia stata preconfezionata, raccattando e mettendo insieme i pezzi di una tovaglietta e i frammenti di uno specchio che Giovanna un giorno aveva frantumato scagliandolo contro un muro). L'inquisitore l'aveva allora convocata presso di lui, ma Giovanna si era rifiutata di presentarsi. Quando gli inviati si erano recati dal duca per prelevarla, il signorotto l'aveva nascosta e poi l'aveva fatta allontanare dalla città. L'inquisitore l'aveva scomunicata in contumacia. Tornata ad Arlon, alla corte della duchessa di Lussemburgo, Giovanna aveva conosciuto un gentiluomo, un certo Robert des Armoires, che aveva deciso di sposare, certamente fra la grande delusione dei suoi seguaci. (Era ben noto infatti che la Giovanna di un tempo aveva fatto voto di castità, giurando solennemente sotto un "albero magico" che si trovava nei pressi della sua Domremy). Così si era spostata a Metz, dove Robert possedeva una casa e nei successivi tre anni aveva messo al mondo due figli. Due anni dopo, nell'estate del 1439, si sa che la "signora des Armoires” aveva fatto visita a Orléans, dove i maggiorenti l'avevano accolta con grandi onori e nel corso del banchetto ufficiale le avevano donato 210 livres in segno di gratitudine per tutto ciò che aveva fatto in difesa della loro città ai tempi dell'assedio. Cosa ben singolare, si trattava delle stesse persone che soltanto poco tempo prima avevano pagato tributi alla chiesa locale per celebrare messe commemorative in onore della vergine guerriera. Evidentemente, avevano mutato avviso e avevano accettato la "nuova" Giovanna come autentica. Sia di fatto che, combinazione, la celebrazione delle messe cessò nel 1439. Ma dopo due settimane, stando a una cronaca del tempo, Giovanna aveva lasciato Orléans di gran camera per portarsi a Tours, da dove aveva inviato una missiva al re per il tramite di un maggiorente di Touraine, Guillaume Bellier, che dieci anni prima aveva ospitato la pulzella. Subito dopo Giovanna era andata a Poitou dove sembra prendesse il comando di un luogo chiamato Mans, una donazione probabilmente assegnatale dal re che lei stessa aveva fortemente desiderato venisse incoronato. Poi lo stesso sovrano aveva assegnato il comando a un ex comandante di Giovanna, Gilles de Rais. Un personaggio singolare. Sin da quando aveva combattuto fianco a fianco con Giovanna sotto le mura di Parigi, Gilles aveva incominciato a interessarsi di magia nera - forse nella speranza di poter riassestare delle finanze mai ben stabili a causa dei suoi sperperi - ed era tristemente noto come sadico trucidatore di bambini. Nell'anno successivo, il 1440, Gilles era stato processato e condannato a essere impiccato e bruciato vivo. Nel frattempo - dando per scontato che nel passaggio di consegne per il comando di Mans, Gilles abbia incontrato la signora des Armoires - egli aveva senz'altro dato segno di riconoscere nella "nuova" Giovanna, la stessa donna con cui aveva combattuto e che aveva servito in armi. Era stato lui stesso a porre i suoi uomini sotto il comando della pulzella. Finalmente, nel 1440 Giovanna era andata a Parigi dal re. Per la prima volta aveva ricevuto un parere negativo: il sovrano non era per nulla convinto e l'aveva bollata come un impostore. Una dichiarazione importante, soprattutto se si tiene conto che era stata rilasciata dopo un lungo colloquio. Prima però il re l'aveva sottoposta al medesimo trucco che già aveva messo in atto undici anni prima al tempo del loro incontro iniziale; si era messo da parte e al suo posto sul trono aveva fatto sedere uno dei suoi cortigiani che doveva fingere di essere il re. Ma, di nuovo, come già era successo la prima volta, Giovanna non era caduta nel tranello e andatagli incontro spedita gli si era inginocchiata davanti riconoscendolo subito. Al che, il re aveva esclamato: «Cara la mia pulzella! Siate di nuovo la benvenuta nel nome di Dio». Suona pertanto strano che, subito dopo, lo stesso sovrano la indicasse come un impostore, con tutte le conseguenze che ne derivarono. Infatti, stando a quanto riferisce il «Giornale dei Borghesi di Parigi», la "nuova" Giovanna venne arrestata, processata ed esibita in pubblico come mistificatrice. Messa alla gogna, venne obbligata a riconoscere davanti al popolo di essere un impostore. La sua vera storia, quella che il giornale raccontava, era questa. Nel 1433 la ragazza si era recata in pellegrinaggio a Roma per ottenere il perdono per aver percosso la madre. Spacciandosi per un uomo, era stata ingaggiata come soldato nelle truppe pontificie del santo padre Eugenio. Da qui probabilmente le era nata in testa l'idea di spacciarsi per Giovanna rediviva. Ma questa storia puzza di bruciato e non sembra credibile. Prima di tutto quando Giovanna era tornata a Metz era stata riconosciuta e accettata da tutti come la vera pulzella. In una petizione datata 1443 il fratello Pierre si riferisce in modo esplicito a lei chiamandola "Giovanna, la pulzella, mia sorella”, mentre il cugino, Enrico di Voulton ricorda che sia Petit-Jean che Pierre che la pulzella erano soliti durante le festività presentarsi ai parenti nel villaggio di Sermaise, ben accolti da tutti. Quattordici anni dopo si era anche fatta viva a Saumur e anche qui era stata ufficialmente ricevuta e accolta come la pulzella. Dopo di che era scomparsa dalla vita pubblica, semplicemente perché si era ritirata a vivere a Metz con il marito e la famiglia. Che farcene, dunque, della storia secondo la quale il re l'avrebbe sconfessata, obbligandola a riconoscersi pubblicamente come un impostore? Prima di tutto, l'unica fonte che tramanda questo particolare è il «Giornale dei Borghesi di Parigi». La cosa già di per sé è strana, perché non si capisce come mai se il fatto suscitò tanto clamore altre fonti non ne facessero menzione. Per di più, i "borghesi" erano sempre stati contrari all'operato di Giovanna e non avevano fatto nulla per evitarne la fine. Anatole France afferma invece che quando il popolo di Parigi aveva appreso la notizia del suo ritorno si era schierato a favore della pulzella, manifestando grande giubilo per il suo nuovo ingresso nella capitale. Gli accademici però le erano contrari ed erano stati fra i primi a condividere le accuse di stregoneria che avevano qualche anno prima portato al rogo la prima Giovanna. La sentenza di morte avrebbe potuto essere revocata soltanto da un atto di magnanimità del pontefice, ma questi non aveva mosso un dito, anche se il movimento popolare che ne richiedeva la riabilitazione era stato fortissimo. Dunque, per magistrati, notabili, prelati e accademici, l'inatteso ritorno della pulzella era un evento, diciamo così, alquanto imbarazzante. D'altro canto, anche per quella frangia di prelati e uomini di Chiesa che all'epoca si erano battuti per salvarla (riuscirono a farla riabilitare nel 1452 e finalmente canonizzare nel 1922), pur esultando nel constatare che quella che era stata la loro eroina era sana e salva, in buona salute, il suo ritorno non era del tutto gradito, in quanto ostacolava la loro campagna di patriottismo. E anche il re, nel dichiararla un impostore, doveva essersi trovato stritolato da chissà quante pressioni politiche e religiose. Se l'avesse riconosciuta, il suo placet sarebbe stato definitivo e ufficiale e tutta la Francia avrebbe dovuto accettarla. Troppo rischioso. Al contrario, riconoscerla falsa avrebbe ben presto sedato ogni polemica e tutto, da lì a poco, sarebbe rientrato. Dopo, la donna avrebbe potuto tornarsene a casa e sparire dalla vita pubblica, vale a dire ciò che precisamente avvenne. Anche Anatole France si dichiara convinto che la signora des Armoires era un impostore. Tuttavia c'è da osservare che la sua biografia di Giovanna è costantemente permeata dai toni della sua proverbiale ironia e lascia intendere che la ragazza altro non era che una deludente, rozza campagnola. D'altra parte, l'ipotesi che la "nuova" Giovanna fosse un impostore è alla fine la soluzione più semplice dell'enigma, anche se ci lascia al cospetto di un interrogativo decisivo: come mai, allora, la gente l'aveva riconosciuta e accettata come genuina? Come mai la signora des Armoires era stata considerata senza esitazione sin da subito la vera pulzella? Se riferendoci ai fratelli il ritorno della gloriosa sorella avrebbe potuto favorirli e quindi, al limite, furono loro stessi a sostenere l'eventuale inganno, che dire degli altri parenti, dei conoscenti e degli amici che non ebbero mai dubbi sulla identità della "nuova" Giovanna, riconosciuta come l'eroina della guerra contro gli Inglesi? Da quel che sappiamo, però, la signora des Armoires non spiegò mai a nessuno come fosse riuscita a scampare alla morte sul rogo, ma forse non lo sapeva affatto. L'unica cosa che sapeva dire era che ad un tratto era stata sostituita da un'altra vittima che era morta in sua vece, forse un'altra "strega". Immaginare come lo scambio possa essere avvenuto non è neppure troppo difficile. Si sa che Giovanna possedeva eccezionali doti di convincimento nei confronti del prossimo e che decine di personaggi importanti, a partire da Robert di Baudricourt per arrivare fino al delfino di Francia, conoscendola e ascoltandola avevano fatto in fretta a mutare opinione, rinunciando a crederla una pazza visionaria per accettare l'idea che ricevesse veramente dal cielo le voci che ne ispiravano la parola. Sappiamo che anche nel corso del processo Giovanna continuava a ripetere di avvertire la voce di santa Caterina che le consigliava che cosa fare e dire. Nell'ambito del processo erano presenti alcuni suoi sostenitori e amici, e suo difensore era un prete di nome Loyseleur. Quando Giovanna si era lamentata per l'irriguardoso comportamento delle due guardie che l'avevano in consegna, il conte di Warwick le aveva immediatamente fatte sostituire con altre due, facendoci intuire in quale reverente riguardo era tenuta quella specialissima prigioniera. Pertanto, non avremmo da stupirci se per salvarla fosse stato ordito un geniale complotto, nel quale, a dirla tutta, non è da escludere partecipassero anche gli stessi Inglesi accusatori. Quando sulla piazza di Rouen, era stata innalzata la pira ardente del rogo, la folla che era corsa ad assistere all'esecuzione era tenuta a debita distanza da un cordone di oltre ottocento armigeri inglesi, cosa che avrebbe potuto tranquillamente impedire a chiunque di riconoscerla. Nel corso del processo per la riabilitazione tenutosi nel 1456 quasi tutte le testimonianze furono di seconda mano, salvo quelle di tre comandanti che avevano prestato servizio ai suoi ordini, certi Ladvenu, Massieu e Isambard, forse proprio tra i protagonisti del suo salvataggio in extremis, se non addirittura gli ideatori del complotto. La stessa procedura di riabilitazione venne condotta in modo più formale che sostanziale. Partì nel 1450 su iniziativa della madre di Giovanna, spalleggiata dal figlio Pierre, uno dei fratelli più giovani di Giovanna. Non è dato sapere se la madre accettò la signora des Armoires come l'autentica Giovanna, ma è evidente che anche lei si adattò all'accettazione generale dal momento che non si ha notizia che abbia denunciato la cosa come un falso. C'è comunque da sottolineare che sia lei che il figlio inoltrarono la richiesta di riabilitazione per la Giovanna che era stata mandata al rogo e uccisa nel 1431 nella piazza di Rouen. A ben osservare però, il movente che li mosse non era tanto affettivo, quanto più prosaicamente economico. In vita Giovanna era diventata una donna ricca, viste le continue regalie del re, ma ogni suo bene era stato congelato all'atto della scomunica papale. E così, che la famiglia credesse oppure no, che la signora des Armoires fosse la rediviva Giovanna poco importava; ciò che più contava era riuscire a riabilitarla per potere mettere mano sulla sua eredità, anche se questo significava ammettere che era morta. Concludendo, possiamo osservare che se la signora des Armoires era veramente Giovanna d'Arco tornata in vita, la situazione è veramente ironica. Nel corso della prima carriera di veggente e guerriera, la vergine pulzella si era rivelata una presenza scomoda e sconvolgente; ora che era ritornata era accaduta la stessa cosa, perché la sua improvvisa ricomparsa sulla scena sconvolgeva quei nuovi equilibri che erano andati a configurarsi dopo la sua morte. Come a dire che anche essere santi è una bella fatica.
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Giovanna d'Arco ha fatto ritorno dall'aldilà?
Il 30 maggio del 1431 Giovanna d'Arco veniva messa al rogo dagli Inglesi con l'accusa di eresia. Lei stessa si considerava un messaggero celeste, inviato dal cielo per aiutare i Francesi a sconfiggere il nemico inglese (alleato dei Borgognoni che alla fine la catturarono). All'età di tredici anni Giovanna aveva incominciato a sentire delle voci, poi riconosciute come quelle dei santi Gabriele, Michele, Margherita e Caterina.
Quando la notizia che la città di Orléans era assediata dagli Inglesi era giunta a Domremy, il piccolo villaggio della Lorena dove viveva, Giovanna aveva sentito le solite voci esortarla ad
andare a togliere l'assedio, trasformandosi in un condottiero.
La sua carriera militare fu breve, ma a dir poco sfolgorante: in un solo anno riportò numerose vittorie e poté assistere all'incoronazione di Carlo VII a Reims. Poi era stata catturata dai Borgognoni al soldo degli Inglesi e venduta per diecimila franchi, processata, riconosciuta come strega e condannata a essere bruciata viva.
Fin qui la storia ufficiale; in realtà quella meno nota non sembra fermarsi qui. Scrive Anatole France: «Orbene, neppure un mese dopo che Parigi era tornata a Carlo, in Lorena era comparsa una certa pulzella. Aveva venticinque anni e il suo nome era Claude. Un giorno si era presentata ai reggenti di Metz dicendo di essere Giovanna». Questo accadeva nel maggio del 1436, esattamente cinque anni dopo l'atroce fine di Giovanna.
La prima cosa che viene in mente è immaginare un impostore che si spaccia per la vera pulzella; ma alcuni importanti elementi inducono a pensarla in modo diverso. I due fratelli più giovani di Giovanna d'Arco, Petit-Jean e Pierre, erano sotto le armi quando era accaduto il fatto e non avevano alcun dubbio che la giovane arsa viva a Rouen fosse la sorella. Così, quando avevano saputo che a Metz era apparsa una giovane che diceva di essere Giovanna e che chiedeva di incontrarli, vi si erano precipitati; fra l'altro Petit-Jean era vicino, essendo prevosto di Vaucouleurs. Una cronaca racconta che i due ragazzi giunsero al villaggio di La-Grange-aux-Ormes mentre si stava svolgendo un torneo. Fra i tanti cavalieri, quello che aveva dato dimostrazione di essere il più abile, era in realtà quella ragazza che li aveva fatti chiamare e che diceva di essere Giovanna. Certi di un inganno, i due si erano predisposti a sfidarla in duello. Però quando Petit-Jean le aveva domandato chi era, la presunta millantatrice aveva sollevato la visiera dell'elmo e, mostrato il volto, aveva concesso loro di riconoscerla: era proprio la sorella Giovanna.
E in effetti Giovanna era accompagnata da molte persone che già l'avevano conosciuta nel formidabile anno in cui si era opposta agli Inglesi. Fra questa gente c'era Nicole Lowe, ciambellano del re. Era evidente che se si fosse trattato di un inganno sarebbe stato assurdo presentarsi in un posto dove tutti l'avrebbero riconosciuta. (Giovanni di Metz era stato, tra l'altro, uno dei suoi più ferventi estimatori). Il giorno dopo i fratelli l'avevano presa con loro e si erano ritirati a Vaucouleurs, dove avevano trascorso una settimana insieme. La ragazza era stata riconosciuta con piacere da tutti coloro che solo sette anni prima l'avevano vista recarsi dal maggiorente del luogo Robert de Baudricourt per chiedergli di aiutarla a incontrare il delfino, l'erede al trono. Poi aveva trascorso tre settimane in una piccola città di nome Marville, quindi aveva compiuto un pellegrinaggio alla Vergine Nera di Notre Dame de Lance, fra Laon e Reims. Quindi era andata a vivere ospite di Elisabetta, duchessa di Lussemburgo, ad Arlon. Nel frattempo il fratello Petit-Jean si era fatto ricevere dal re per annunciargli che Giovanna era viva. La reazione del sovrano non ci è nota, si sa soltanto che diede ordine al suo tesoriere di consegnare al giovane cento franchi. Una nota nei registri dei pagamenti segnala che il 9 agosto 1436 il consiglio aveva autorizzato il pagamento di un corriere che aveva consegnato alcune lettere inviate da "Giovanna la pulzella".
Il ricordo di questi avvenimenti si trova nel testo fondamentale sulla biografia di Giovanna d'Arco dal titolo Processo e riabilitazione di Giovanna d'Arco, opera in cinque volumi a firma di Jules Quicherat, edita nel 1841, dove sono riprodotti documenti originali. In uno si afferma che il 24 giugno 1437 i miracolosi poteri di Giovanna erano tornati. All'epoca, la ragazza era divenuta la protetta del conte Ulrico di Wuttemberg, che l'aveva condotta con sé a Colonia. Qui Giovanna era rimasta coinvolta in una violenta diatriba scoppiata fra due prelati rivali, uno favorevole al capitolo l'altro al papa. Ulrico era schierato con un certo Udalrico e Giovanna era della stessa opinione. Ma la scelta non era stata la migliore. Il Concilio di Basilea, infatti, aveva riconosciuto in Udalrico un usurpatore e la reggenza della diocesi era stata assegnata dal papa al suo avversario. A questo punto l'inquisitore generale di Colonia aveva voluto interessarsi in merito alla misteriosa ospite del conte (non dimentichiamoci che siamo in piena epoca di "caccia alle streghe") e si era fortemente scandalizzato nel sentir dire che la ragazza era dedita a pratiche magiche, che non si vergognava a danzare con gli uomini e che mangiava e beveva liberamente, più di quanto le fosse necessario. (L'accusa di magia sembra sia stata preconfezionata, raccattando e mettendo insieme i pezzi di una tovaglietta e i frammenti di uno specchio che Giovanna un giorno aveva frantumato scagliandolo contro un muro). L'inquisitore l'aveva allora convocata presso di lui, ma Giovanna si era rifiutata di presentarsi. Quando gli inviati si erano recati dal duca per prelevarla, il signorotto l'aveva nascosta e poi l'aveva fatta allontanare dalla città. L'inquisitore l'aveva scomunicata in contumacia. Tornata ad Arlon, alla corte della duchessa di Lussemburgo, Giovanna aveva conosciuto un gentiluomo, un certo Robert des Armoires, che aveva deciso di sposare, certamente fra la grande delusione dei suoi seguaci. (Era ben noto infatti che la Giovanna di un tempo aveva fatto voto di castità, giurando solennemente sotto un "albero magico" che si trovava nei pressi della sua Domremy). Così si era spostata a Metz, dove Robert possedeva una casa e nei successivi tre anni aveva messo al mondo due figli. Due anni dopo, nell'estate del 1439, si sa che la "signora des Armoires” aveva fatto visita a Orléans, dove i maggiorenti l'avevano accolta con grandi onori e nel corso del banchetto ufficiale le avevano donato 210 livres in segno di gratitudine per tutto ciò che aveva fatto in difesa della loro città ai tempi dell'assedio. Cosa ben singolare, si trattava delle stesse persone che soltanto poco tempo prima avevano pagato tributi alla chiesa locale per celebrare messe commemorative in onore della vergine guerriera. Evidentemente, avevano mutato avviso e avevano accettato la "nuova" Giovanna come autentica. Sia di fatto che, combinazione, la celebrazione delle messe cessò nel 1439. Ma dopo due settimane, stando a una cronaca del tempo, Giovanna aveva lasciato Orléans di gran camera per portarsi a Tours, da dove aveva inviato una missiva al re per il tramite di un maggiorente di Touraine, Guillaume Bellier, che dieci anni prima aveva ospitato la pulzella. Subito dopo Giovanna era andata a Poitou dove sembra prendesse il comando di un luogo chiamato Mans, una donazione probabilmente assegnatale dal re che lei stessa aveva fortemente desiderato venisse incoronato. Poi lo stesso sovrano aveva assegnato il comando a un ex comandante di Giovanna, Gilles de Rais. Un personaggio singolare. Sin da quando aveva combattuto fianco a fianco con Giovanna sotto le mura di Parigi, Gilles aveva incominciato a interessarsi di magia nera - forse nella speranza di poter riassestare delle finanze mai ben stabili a causa dei suoi sperperi - ed era tristemente noto come sadico trucidatore di bambini. Nell'anno successivo, il 1440, Gilles era stato processato e condannato a essere impiccato e bruciato vivo. Nel frattempo - dando per scontato che nel passaggio di consegne per il comando di Mans, Gilles abbia incontrato la signora des Armoires - egli aveva senz'altro dato segno di riconoscere nella "nuova" Giovanna, la stessa donna con cui aveva combattuto e che aveva servito in armi. Era stato lui stesso a porre i suoi uomini sotto il comando della pulzella. Finalmente, nel 1440 Giovanna era andata a Parigi dal re. Per la prima volta aveva ricevuto un parere negativo: il sovrano non era per nulla convinto e l'aveva bollata come un impostore. Una dichiarazione importante, soprattutto se si tiene conto che era stata rilasciata dopo un lungo colloquio. Prima però il re l'aveva sottoposta al medesimo trucco che già aveva messo in atto undici anni prima al tempo del loro incontro iniziale; si era messo da parte e al suo posto sul trono aveva fatto sedere uno dei suoi cortigiani che doveva fingere di essere il re. Ma, di nuovo, come già era successo la prima volta, Giovanna non era caduta nel tranello e andatagli incontro spedita gli si era inginocchiata davanti riconoscendolo subito. Al che, il re aveva esclamato: «Cara la mia pulzella! Siate di nuovo la benvenuta nel nome di Dio». Suona pertanto strano che, subito dopo, lo stesso sovrano la indicasse come un impostore, con tutte le conseguenze che ne derivarono. Infatti, stando a quanto riferisce il «Giornale dei Borghesi di Parigi», la "nuova" Giovanna venne arrestata, processata ed esibita in pubblico come mistificatrice. Messa alla gogna, venne obbligata a riconoscere davanti al popolo di essere un impostore. La sua vera storia, quella che il giornale raccontava, era questa. Nel 1433 la ragazza si era recata in pellegrinaggio a Roma per ottenere il perdono per aver percosso la madre. Spacciandosi per un uomo, era stata ingaggiata come soldato nelle truppe pontificie del santo padre Eugenio. Da qui probabilmente le era nata in testa l'idea di spacciarsi per Giovanna rediviva. Ma questa storia puzza di bruciato e non sembra credibile. Prima di tutto quando Giovanna era tornata a Metz era stata riconosciuta e accettata da tutti come la vera pulzella. In una petizione datata 1443 il fratello Pierre si riferisce in modo esplicito a lei chiamandola "Giovanna, la pulzella, mia sorella”, mentre il cugino, Enrico di Voulton ricorda che sia Petit-Jean che Pierre che la pulzella erano soliti durante le festività presentarsi ai parenti nel villaggio di Sermaise, ben accolti da tutti. Quattordici anni dopo si era anche fatta viva a Saumur e anche qui era stata ufficialmente ricevuta e accolta come la pulzella. Dopo di che era scomparsa dalla vita pubblica, semplicemente perché si era ritirata a vivere a Metz con il marito e la famiglia. Che farcene, dunque, della storia secondo la quale il re l'avrebbe sconfessata, obbligandola a riconoscersi pubblicamente come un impostore? Prima di tutto, l'unica fonte che tramanda questo particolare è il «Giornale dei Borghesi di Parigi». La cosa già di per sé è strana, perché non si capisce come mai se il fatto suscitò tanto clamore altre fonti non ne facessero menzione. Per di più, i "borghesi" erano sempre stati contrari all'operato di Giovanna e non avevano fatto nulla per evitarne la fine. Anatole France afferma invece che quando il popolo di Parigi aveva appreso la notizia del suo ritorno si era schierato a favore della pulzella, manifestando grande giubilo per il suo nuovo ingresso nella capitale. Gli accademici però le erano contrari ed erano stati fra i primi a condividere le accuse di stregoneria che avevano qualche anno prima portato al rogo la prima Giovanna. La sentenza di morte avrebbe potuto essere revocata soltanto da un atto di magnanimità del pontefice, ma questi non aveva mosso un dito, anche se il movimento popolare che ne richiedeva la riabilitazione era stato fortissimo. Dunque, per magistrati, notabili, prelati e accademici, l'inatteso ritorno della pulzella era un evento, diciamo così, alquanto imbarazzante. D'altro canto, anche per quella frangia di prelati e uomini di Chiesa che all'epoca si erano battuti per salvarla (riuscirono a farla riabilitare nel 1452 e finalmente canonizzare nel 1922), pur esultando nel constatare che quella che era stata la loro eroina era sana e salva, in buona salute, il suo ritorno non era del tutto gradito, in quanto ostacolava la loro campagna di patriottismo. E anche il re, nel dichiararla un impostore, doveva essersi trovato stritolato da chissà quante pressioni politiche e religiose. Se l'avesse riconosciuta, il suo placet sarebbe stato definitivo e ufficiale e tutta la Francia avrebbe dovuto accettarla. Troppo rischioso. Al contrario, riconoscerla falsa avrebbe ben presto sedato ogni polemica e tutto, da lì a poco, sarebbe rientrato. Dopo, la donna avrebbe potuto tornarsene a casa e sparire dalla vita pubblica, vale a dire ciò che precisamente avvenne. Anche Anatole France si dichiara convinto che la signora des Armoires era un impostore. Tuttavia c'è da osservare che la sua biografia di Giovanna è costantemente permeata dai toni della sua proverbiale ironia e lascia intendere che la ragazza altro non era che una deludente, rozza campagnola. D'altra parte, l'ipotesi che la "nuova" Giovanna fosse un impostore è alla fine la soluzione più semplice dell'enigma, anche se ci lascia al cospetto di un interrogativo decisivo: come mai, allora, la gente l'aveva riconosciuta e accettata come genuina? Come mai la signora des Armoires era stata considerata senza esitazione sin da subito la vera pulzella? Se riferendoci ai fratelli il ritorno della gloriosa sorella avrebbe potuto favorirli e quindi, al limite, furono loro stessi a sostenere l'eventuale inganno, che dire degli altri parenti, dei conoscenti e degli amici che non ebbero mai dubbi sulla identità della "nuova" Giovanna, riconosciuta come l'eroina della guerra contro gli Inglesi? Da quel che sappiamo, però, la signora des Armoires non spiegò mai a nessuno come fosse riuscita a scampare alla morte sul rogo, ma forse non lo sapeva affatto. L'unica cosa che sapeva dire era che ad un tratto era stata sostituita da un'altra vittima che era morta in sua vece, forse un'altra "strega". Immaginare come lo scambio possa essere avvenuto non è neppure troppo difficile. Si sa che Giovanna possedeva eccezionali doti di convincimento nei confronti del prossimo e che decine di personaggi importanti, a partire da Robert di Baudricourt per arrivare fino al delfino di Francia, conoscendola e ascoltandola avevano fatto in fretta a mutare opinione, rinunciando a crederla una pazza visionaria per accettare l'idea che ricevesse veramente dal cielo le voci che ne ispiravano la parola. Sappiamo che anche nel corso del processo Giovanna continuava a ripetere di avvertire la voce di santa Caterina che le consigliava che cosa fare e dire. Nell'ambito del processo erano presenti alcuni suoi sostenitori e amici, e suo difensore era un prete di nome Loyseleur. Quando Giovanna si era lamentata per l'irriguardoso comportamento delle due guardie che l'avevano in consegna, il conte di Warwick le aveva immediatamente fatte sostituire con altre due, facendoci intuire in quale reverente riguardo era tenuta quella specialissima prigioniera. Pertanto, non avremmo da stupirci se per salvarla fosse stato ordito un geniale complotto, nel quale, a dirla tutta, non è da escludere partecipassero anche gli stessi Inglesi accusatori. Quando sulla piazza di Rouen, era stata innalzata la pira ardente del rogo, la folla che era corsa ad assistere all'esecuzione era tenuta a debita distanza da un cordone di oltre ottocento armigeri inglesi, cosa che avrebbe potuto tranquillamente impedire a chiunque di riconoscerla. Nel corso del processo per la riabilitazione tenutosi nel 1456 quasi tutte le testimonianze furono di seconda mano, salvo quelle di tre comandanti che avevano prestato servizio ai suoi ordini, certi Ladvenu, Massieu e Isambard, forse proprio tra i protagonisti del suo salvataggio in extremis, se non addirittura gli ideatori del complotto. La stessa procedura di riabilitazione venne condotta in modo più formale che sostanziale. Partì nel 1450 su iniziativa della madre di Giovanna, spalleggiata dal figlio Pierre, uno dei fratelli più giovani di Giovanna. Non è dato sapere se la madre accettò la signora des Armoires come l'autentica Giovanna, ma è evidente che anche lei si adattò all'accettazione generale dal momento che non si ha notizia che abbia denunciato la cosa come un falso. C'è comunque da sottolineare che sia lei che il figlio inoltrarono la richiesta di riabilitazione per la Giovanna che era stata mandata al rogo e uccisa nel 1431 nella piazza di Rouen. A ben osservare però, il movente che li mosse non era tanto affettivo, quanto più prosaicamente economico. In vita Giovanna era diventata una donna ricca, viste le continue regalie del re, ma ogni suo bene era stato congelato all'atto della scomunica papale. E così, che la famiglia credesse oppure no, che la signora des Armoires fosse la rediviva Giovanna poco importava; ciò che più contava era riuscire a riabilitarla per potere mettere mano sulla sua eredità, anche se questo significava ammettere che era morta. Concludendo, possiamo osservare che se la signora des Armoires era veramente Giovanna d'Arco tornata in vita, la situazione è veramente ironica. Nel corso della prima carriera di veggente e guerriera, la vergine pulzella si era rivelata una presenza scomoda e sconvolgente; ora che era ritornata era accaduta la stessa cosa, perché la sua improvvisa ricomparsa sulla scena sconvolgeva quei nuovi equilibri che erano andati a configurarsi dopo la sua morte. Come a dire che anche essere santi è una bella fatica.
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OLTRE LA REINCARNAZIONE
Chi immagina che la filosofia yoga insegni che dinanzi all'anima c'è un'infinita catena di rinascite terrene o una serie di reincarnazioni, non è riuscito a cogliere il vero spirito dell'insegnamento. Se si ricorda che la terra non è che una degli innumerevoli mondi preparatori, chiuso fra un principio e una fine, la follia di simile dottrina appare evidente. La terra è solo una delle molte scuole che da un tempo all'altro sono state formate nel cosmos e che nella migliore delle ipotesi sono soltanto dimore di basso grado. L'anima dell'uomo esisterà anni dopo che questa terra e milioni di altri mondi saranno scomparsi nell'etere da cui emersero. Dare alla vita terrena così alta importanza nell'ordine cosmico è contrario all'insegnamento della saggezza. Inoltre è anche erroneo l'insegnamento che nell'attuale fase di esistenza l'anima non progredisca oltre l'incarnazione terrena. Anche se la maggioranza dell'umanità dovrà sottostare a molte incarnazioni terrene prima di trovare la Libertà, è ugualmente vero tuttavia che, quando l'anima raggiunge lo stadio di sviluppo spirituale in cui i legami della vita terrena non la stringono più, diviene impossibile costringerla nel giro dell'incarnazione terrestre anche per un solo momento. Vi sono molte anime ora sul piano astrale in via di superare gli ultimi stadi di liberazione dai legami terreni. E vi sono molte anime ora nella vita terrena che non ritorneranno mai più sulla terra, ma che dopo il loro prossimo soggiorno sul piano astrale saliranno ai piani più alti dell'esistenza, lasciando per sempre dietro di sé la terra e tutte le cose terrene. Inoltre, vi sono oggi sulla Via della Libertà, migliaia di anime che avranno soltanto un'altra vita terrena da sopportare e questa passerà in uno stato di sublime comprensione e visione. Attualmente ci avviciniamo alla fine di un cielo in cui un grandissimo numero di anime si preparano al volo verso l'alto e molte che leggeranno queste righe sono probabilmente all'avanguardia del movimento. Sarebbe folle per la scienza umana tentare di descrivere la natura dell'esistenza sulle più alte sfere, anche di un solo grado più alte della terra. Nessuna parola potrebbe esprimerne il significato; nessun concetto mentale può contenerne l'idea. Anzi, la maggioranza dell'umanità non ha neppure la struttura mentale per pensare la natura di tale vita. La mente umana media non può neppure cominciare a riflettere circa i piani medi dell'astrale ed il concetto del superiore astrale è molto al di sopra di essa. Quale potrà dunque essere la sua posizione rispetto al pensiero del regno dell'essere di fronte al quale perfino i piani più alti astrali difficilmente si riescono a comparate con i più grandi palazzi del mondo? Basti sapere che esiste un'infinita scala di esistenza, composta da un regno dopo l'altro, sempre più alto, e che l'anima è destinata a passare sempre più in alto verso l'Infinito. È possibile sfuggire al giro della reincarnazione terrena quando l'anima apprende la verità circa la sua natura e le sue relazioni con il tutto. Quando comprende l'illusoria natura dell'Universo dei fenomeni e si rende conto che il mondo spirituale è l'unico reale, allora i legami della vita materiale si allentano e l'anima inizia la lotta contro le sue limitazioni. Questa liberazione è il grande fine della filosofia yoga. Questa è la ragion d'essere, il fine, dello yoga. Alcuni lo raggiungono con fedele lavoro, altri con l'amore della divinità e del divino frammento nei loro simili; altri, con l'uso dell'intelletto e con la conquista della saggezza; altri ancora sviluppando le facoltà di intuizione, ma tutte queste strade conducono allo stesso fine. Quando la natura delle cose terrene è compresa, esse perdono ogni presa sull'anima umana. Il desiderio muore e l'anima è liberata e raggiunge la libertà spirituale. Sciolta dall'attrazione della terra, l'anima vola alta e sfiora le supreme regioni dell'essere. Le filosofie dell'Oriente sono nutrite di quest’idea. Essa appare sotto vari aspetti. All'occultista iniziato, appare come tutti gli insegnamenti religiosi del mondo abbiano il loro lato esoterico. E lo spirito dell'insegnamento esoterico è sempre la Liberazione. Ora, i nostri occhi cadono su un libro, una piccola storia d'Oriente, narrata da uno scrittore occidentale, il quale ha colto ed espresso bene lo spirito d'Oriente. Udite le sue parole, e notate come aderiscono allo spirito dell’ insegnamento: "Il fine del saggio, secondo l'antica dottrina indù, è divenire padrone assoluto di se stesso, rendersi completamente superiore, o piuttosto indifferente, all'attaccamento a tutti i fasti mondani. Il comune mortale è un prigioniero, incatenato, attaccato ai fini del senso e della delusione. Chiunque tenda all'emancipazione deve innanzitutto, con una lunga e strenua serie di pene e di austerità, tagliare questi legami, fino a quando, anche se egli vi rimane in mezzo, si allontaneranno da lui come l'acqua dalla fonte; egli vive, secondo la classica formula, come una ruota che continua a girare anche quando l'impulso originario è cessato o come un ramo che oscilla dopo che l'uccello è volato. Egli è sveglio, laddove gli altri restano accecati dall'illusione; egli è liberato, rispetto a chi è legato". Questo scrittore, tuttavia sbaglia parlando della lunga e strenua serie di pene e di austerità necessaria per tagliare i legami. Le più eminenti autorità sono dubbiose sulle pratiche ascetiche e non le incoraggiano. La vera pratica è conquistare la saggezza e aprire il cuore al flusso della Divina Saggezza che arriva nella forma di Intuizione. Basta comprendere la reale natura delle cose materiali per perdere ogni desiderio di esse; la conoscenza quindi è la grande Liberatrice. È vero che l'amore altruistico farà cadere i veli dagli occhi dello spirito, ed è anche vero che le opere pie e il dovere compiuto senza speranza di premio renderanno limpido lo sguardo, ma il più grande yoga è la Via della Saggezza. A chi desidera riposo, raccomandiamo un attento studio della filosofia yoga, o di ogni altra grande forma di questa saggezza, e di seguire attentamente la vita dello spirito che è comune a tutte le religioni rettamente intese. Pensiamo che la guida migliore sia il piccolo manuale “La luce sul sentiero” che è basato su assiomi occulti ben noti anche nell'antica Atlantide. In questo prezioso manuale si trovano le Regole scritte sulle Mura dell'Aula del Sapere, le Regole della Porta d'Oro. I seguenti assiomi danno la chiave e le regole appropriate da seguire, ovviamente se rettamente interpretati:
1. Uccidi ogni ambizione;
2. Uccidi il desiderio di vivere;
3. Uccidi il desiderio del benessere;
4. Uccidi ogni senso di isolamento;
5. Uccidi ogni desiderio di sensazioni;
6. Uccidi l'ansia di ingrandirti;
7. Desidera solo ciò che è dentro di te;
8. Desidera solo ciò che è al di sopra di te stesso;
9. Desidera solo l'irraggiungibile;
10. Desidera ardentemente la potenza;
11. Desidera ferventemente la pace;
12. Desidera soprattutto il possesso;
13. Cerca la strada;
14. Cerca la strada ritirandoti in te stesso;
15. Cerca la strada avanzando baldamente fuori di te;
16. Tieniti in disparte nella battaglia, e se combatti, non essere tu il guerriero;
17. Cerca il guerriero e fa' che combatta per te;
18. Prendi da lui ordini per la battaglia e obbediscigli;
19. Ascolta il canto della vita;
20 Conserva nella memoria la melodia che odi;
21. Impara da essa la lezione dell'armonia;
22. Guarda intensamente la vita che ti circonda;
23. Impara a guardare intelligentemente nel cuore degli uomini;
24. Guarda intensamente nel tuo cuore;
25. Chiedi alla terra, all'aria, all'acqua i segreti che racchiudono per te;
26. Chiedi ai Santi della terra i segreti che per te custodiscono;
27. Chiedi all'Assoluto, all'UNO, il suo segreto finale che Egli custodisce per te;
28. Tieniti stretto a tutto ciò che non ha sostanza né esistenza;
29. Ascolta soltanto la voce senza suono;
30. Guarda solo ciò che è invisibile ai sensi interni ed esterni".
Questi assiomi hanno sette diversi e distinti significati, sovrapposti l'uno all'altro, e che sono rivelati solo dalla liberazione degli occhi dello spirito durante il suo sviluppo. Beato chi ne comprende i primi sette, poiché egli è sulla Via. Il commentatore di questi assiomi da il seguente prezioso avviso a quelli che cercano la Via della Liberazione e della Pace: "Cerca nel cuore la fonte del male e inaridiscila. Essa prospera nel cuore del discepolo devoto come dell'uomo sensuale. Solo il forte può ucciderla. Il debole deve attendere che cresca, fruttifichi e muoia. È una pianta che vive e prospera attraverso i secoli. Fiorisce quando l'uomo ha accumulato in sé innumerevoli esistenze. Chi vorrà entrare nella Via della Potenza, dovrà sradicarla. E allora il cuore sanguinerà e tutta la vita dell'uomo sembrerà dissolversi nel nulla. Questo supplizio va sopportato: può verificarsi al primo gradino come all'ultimo della pericolosa scala che conduce al sentiero della vita. Ma ricordati che va sopportato e raccogli l'energia dell'anima per la prova. Non vivere nel presente o nel futuro, ma nell'eternità. Qui questa gigantesca gramigna non può fiorire, questa macchia sull'esistenza è cancellata dalla stessa atmosfera del pensiero eterno. Guarda che il fiore sbocci nel silenzio dopo la tempesta; non prima. Esso crescerà, sboccerà, metterà foglie e rami e formerà gemme, mentre la tempesta continua e la battaglia dura. Ma non finché lo spirito è tormentato. E nel profondo silenzio scompare, non fino a quando è tenuto dal divino frammento che lo ha creato come soggetto di un grave esperimento e di una grave esperienza, non fino a quando l'intera Natura abbia ceduto e sia divenuta soggetta a un più alto te stesso, il fiore si aprirà. Allora subentrerà la calma come nei Tropici dopo le grandi piogge, quando la Natura lavora così leggermente che non la si vede agire. Questa calma sarà la prova che la Via è stata trovata. Chiamala come vuoi. E’ una voce che parla dove non c'è nessuno che parla; è un messaggero che giunge, un messaggero senza forma materiale o il fiore dell'anima che si è aperto. Non può essere descritto da alcuna metafora. Ma può essere sentito, cercato, desiderato anche nel cuore della tempesta. Il silenzio potrà durare un attimo o mille anni, ma finirà. E di nuovo porterai la tua forza con te. Di nuovo la battaglia dovrà essere combattuta e vinta. Solo per un attimo la Natura si arresta".
Chi immagina che la filosofia yoga insegni che dinanzi all'anima c'è un'infinita catena di rinascite terrene o una serie di reincarnazioni, non è riuscito a cogliere il vero spirito dell'insegnamento. Se si ricorda che la terra non è che una degli innumerevoli mondi preparatori, chiuso fra un principio e una fine, la follia di simile dottrina appare evidente. La terra è solo una delle molte scuole che da un tempo all'altro sono state formate nel cosmos e che nella migliore delle ipotesi sono soltanto dimore di basso grado. L'anima dell'uomo esisterà anni dopo che questa terra e milioni di altri mondi saranno scomparsi nell'etere da cui emersero. Dare alla vita terrena così alta importanza nell'ordine cosmico è contrario all'insegnamento della saggezza. Inoltre è anche erroneo l'insegnamento che nell'attuale fase di esistenza l'anima non progredisca oltre l'incarnazione terrena. Anche se la maggioranza dell'umanità dovrà sottostare a molte incarnazioni terrene prima di trovare la Libertà, è ugualmente vero tuttavia che, quando l'anima raggiunge lo stadio di sviluppo spirituale in cui i legami della vita terrena non la stringono più, diviene impossibile costringerla nel giro dell'incarnazione terrestre anche per un solo momento. Vi sono molte anime ora sul piano astrale in via di superare gli ultimi stadi di liberazione dai legami terreni. E vi sono molte anime ora nella vita terrena che non ritorneranno mai più sulla terra, ma che dopo il loro prossimo soggiorno sul piano astrale saliranno ai piani più alti dell'esistenza, lasciando per sempre dietro di sé la terra e tutte le cose terrene. Inoltre, vi sono oggi sulla Via della Libertà, migliaia di anime che avranno soltanto un'altra vita terrena da sopportare e questa passerà in uno stato di sublime comprensione e visione. Attualmente ci avviciniamo alla fine di un cielo in cui un grandissimo numero di anime si preparano al volo verso l'alto e molte che leggeranno queste righe sono probabilmente all'avanguardia del movimento. Sarebbe folle per la scienza umana tentare di descrivere la natura dell'esistenza sulle più alte sfere, anche di un solo grado più alte della terra. Nessuna parola potrebbe esprimerne il significato; nessun concetto mentale può contenerne l'idea. Anzi, la maggioranza dell'umanità non ha neppure la struttura mentale per pensare la natura di tale vita. La mente umana media non può neppure cominciare a riflettere circa i piani medi dell'astrale ed il concetto del superiore astrale è molto al di sopra di essa. Quale potrà dunque essere la sua posizione rispetto al pensiero del regno dell'essere di fronte al quale perfino i piani più alti astrali difficilmente si riescono a comparate con i più grandi palazzi del mondo? Basti sapere che esiste un'infinita scala di esistenza, composta da un regno dopo l'altro, sempre più alto, e che l'anima è destinata a passare sempre più in alto verso l'Infinito. È possibile sfuggire al giro della reincarnazione terrena quando l'anima apprende la verità circa la sua natura e le sue relazioni con il tutto. Quando comprende l'illusoria natura dell'Universo dei fenomeni e si rende conto che il mondo spirituale è l'unico reale, allora i legami della vita materiale si allentano e l'anima inizia la lotta contro le sue limitazioni. Questa liberazione è il grande fine della filosofia yoga. Questa è la ragion d'essere, il fine, dello yoga. Alcuni lo raggiungono con fedele lavoro, altri con l'amore della divinità e del divino frammento nei loro simili; altri, con l'uso dell'intelletto e con la conquista della saggezza; altri ancora sviluppando le facoltà di intuizione, ma tutte queste strade conducono allo stesso fine. Quando la natura delle cose terrene è compresa, esse perdono ogni presa sull'anima umana. Il desiderio muore e l'anima è liberata e raggiunge la libertà spirituale. Sciolta dall'attrazione della terra, l'anima vola alta e sfiora le supreme regioni dell'essere. Le filosofie dell'Oriente sono nutrite di quest’idea. Essa appare sotto vari aspetti. All'occultista iniziato, appare come tutti gli insegnamenti religiosi del mondo abbiano il loro lato esoterico. E lo spirito dell'insegnamento esoterico è sempre la Liberazione. Ora, i nostri occhi cadono su un libro, una piccola storia d'Oriente, narrata da uno scrittore occidentale, il quale ha colto ed espresso bene lo spirito d'Oriente. Udite le sue parole, e notate come aderiscono allo spirito dell’ insegnamento: "Il fine del saggio, secondo l'antica dottrina indù, è divenire padrone assoluto di se stesso, rendersi completamente superiore, o piuttosto indifferente, all'attaccamento a tutti i fasti mondani. Il comune mortale è un prigioniero, incatenato, attaccato ai fini del senso e della delusione. Chiunque tenda all'emancipazione deve innanzitutto, con una lunga e strenua serie di pene e di austerità, tagliare questi legami, fino a quando, anche se egli vi rimane in mezzo, si allontaneranno da lui come l'acqua dalla fonte; egli vive, secondo la classica formula, come una ruota che continua a girare anche quando l'impulso originario è cessato o come un ramo che oscilla dopo che l'uccello è volato. Egli è sveglio, laddove gli altri restano accecati dall'illusione; egli è liberato, rispetto a chi è legato". Questo scrittore, tuttavia sbaglia parlando della lunga e strenua serie di pene e di austerità necessaria per tagliare i legami. Le più eminenti autorità sono dubbiose sulle pratiche ascetiche e non le incoraggiano. La vera pratica è conquistare la saggezza e aprire il cuore al flusso della Divina Saggezza che arriva nella forma di Intuizione. Basta comprendere la reale natura delle cose materiali per perdere ogni desiderio di esse; la conoscenza quindi è la grande Liberatrice. È vero che l'amore altruistico farà cadere i veli dagli occhi dello spirito, ed è anche vero che le opere pie e il dovere compiuto senza speranza di premio renderanno limpido lo sguardo, ma il più grande yoga è la Via della Saggezza. A chi desidera riposo, raccomandiamo un attento studio della filosofia yoga, o di ogni altra grande forma di questa saggezza, e di seguire attentamente la vita dello spirito che è comune a tutte le religioni rettamente intese. Pensiamo che la guida migliore sia il piccolo manuale “La luce sul sentiero” che è basato su assiomi occulti ben noti anche nell'antica Atlantide. In questo prezioso manuale si trovano le Regole scritte sulle Mura dell'Aula del Sapere, le Regole della Porta d'Oro. I seguenti assiomi danno la chiave e le regole appropriate da seguire, ovviamente se rettamente interpretati:
1. Uccidi ogni ambizione;
2. Uccidi il desiderio di vivere;
3. Uccidi il desiderio del benessere;
4. Uccidi ogni senso di isolamento;
5. Uccidi ogni desiderio di sensazioni;
6. Uccidi l'ansia di ingrandirti;
7. Desidera solo ciò che è dentro di te;
8. Desidera solo ciò che è al di sopra di te stesso;
9. Desidera solo l'irraggiungibile;
10. Desidera ardentemente la potenza;
11. Desidera ferventemente la pace;
12. Desidera soprattutto il possesso;
13. Cerca la strada;
14. Cerca la strada ritirandoti in te stesso;
15. Cerca la strada avanzando baldamente fuori di te;
16. Tieniti in disparte nella battaglia, e se combatti, non essere tu il guerriero;
17. Cerca il guerriero e fa' che combatta per te;
18. Prendi da lui ordini per la battaglia e obbediscigli;
19. Ascolta il canto della vita;
20 Conserva nella memoria la melodia che odi;
21. Impara da essa la lezione dell'armonia;
22. Guarda intensamente la vita che ti circonda;
23. Impara a guardare intelligentemente nel cuore degli uomini;
24. Guarda intensamente nel tuo cuore;
25. Chiedi alla terra, all'aria, all'acqua i segreti che racchiudono per te;
26. Chiedi ai Santi della terra i segreti che per te custodiscono;
27. Chiedi all'Assoluto, all'UNO, il suo segreto finale che Egli custodisce per te;
28. Tieniti stretto a tutto ciò che non ha sostanza né esistenza;
29. Ascolta soltanto la voce senza suono;
30. Guarda solo ciò che è invisibile ai sensi interni ed esterni".
Questi assiomi hanno sette diversi e distinti significati, sovrapposti l'uno all'altro, e che sono rivelati solo dalla liberazione degli occhi dello spirito durante il suo sviluppo. Beato chi ne comprende i primi sette, poiché egli è sulla Via. Il commentatore di questi assiomi da il seguente prezioso avviso a quelli che cercano la Via della Liberazione e della Pace: "Cerca nel cuore la fonte del male e inaridiscila. Essa prospera nel cuore del discepolo devoto come dell'uomo sensuale. Solo il forte può ucciderla. Il debole deve attendere che cresca, fruttifichi e muoia. È una pianta che vive e prospera attraverso i secoli. Fiorisce quando l'uomo ha accumulato in sé innumerevoli esistenze. Chi vorrà entrare nella Via della Potenza, dovrà sradicarla. E allora il cuore sanguinerà e tutta la vita dell'uomo sembrerà dissolversi nel nulla. Questo supplizio va sopportato: può verificarsi al primo gradino come all'ultimo della pericolosa scala che conduce al sentiero della vita. Ma ricordati che va sopportato e raccogli l'energia dell'anima per la prova. Non vivere nel presente o nel futuro, ma nell'eternità. Qui questa gigantesca gramigna non può fiorire, questa macchia sull'esistenza è cancellata dalla stessa atmosfera del pensiero eterno. Guarda che il fiore sbocci nel silenzio dopo la tempesta; non prima. Esso crescerà, sboccerà, metterà foglie e rami e formerà gemme, mentre la tempesta continua e la battaglia dura. Ma non finché lo spirito è tormentato. E nel profondo silenzio scompare, non fino a quando è tenuto dal divino frammento che lo ha creato come soggetto di un grave esperimento e di una grave esperienza, non fino a quando l'intera Natura abbia ceduto e sia divenuta soggetta a un più alto te stesso, il fiore si aprirà. Allora subentrerà la calma come nei Tropici dopo le grandi piogge, quando la Natura lavora così leggermente che non la si vede agire. Questa calma sarà la prova che la Via è stata trovata. Chiamala come vuoi. E’ una voce che parla dove non c'è nessuno che parla; è un messaggero che giunge, un messaggero senza forma materiale o il fiore dell'anima che si è aperto. Non può essere descritto da alcuna metafora. Ma può essere sentito, cercato, desiderato anche nel cuore della tempesta. Il silenzio potrà durare un attimo o mille anni, ma finirà. E di nuovo porterai la tua forza con te. Di nuovo la battaglia dovrà essere combattuta e vinta. Solo per un attimo la Natura si arresta".
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Re: thriller e co.
I CAVALIERI DEI TEMPLARI
Pauperes Commilitones Christi Templique Salomonis", ovvero "poveri compagni di Cristo e del Tempio di Salomone". Sono i Cavalieri Templari, uno dei primi ordini militari cristiani nonché uno dei più famosi, misteriosi e odiati. Nato intorno al 1118-1120, appena pochi anni dopo la prima crociata del 1096, il nome di quest'ordine è da sempre collegato al Graal, al tesoro del Tempio di re Salomone, alla massoneria e alle figure di Maria Maddalena e di Gesù.
Difendere la Terra Santa
Ufficializzato con la Bolla Pontificia il 29 marzo 1139, aveva lo scopo di difendere il Regno di Gerusalemme dai musulmani
appena sconfitti e di assicurare la protezione dei pellegrini che sempre più numerosi vi affluivano da tutta Europa.
Negli anni, l'Ordine Templare divenne ininterrottamente più ricco e potente, quindi pericoloso sia per la Chiesa che per il Re di Francia. Per questo, a seguito di una vera e propria persecuzione che portò allo sterminio di quasi tutti gli appartenenti, l'Ordine si dissolse definitivamente tra il 1312 e il 1314. Purtroppo, a causa della scarsità di documenti che li riguardano, è praticamente impossibile ricostruire esattamente la storia dei primi anni dell'Ordine. La tradizione parla di nove cavalieri, ma si pensa che tale numero abbia soprattutto un significato allegorico. I Templari, reclutati soprattutto tra i giovani nobili, erano organizzati come un vero e proprio ordine monastico, secondo le regole di San Bernardo di Chiaravalle, fondatore dei monaci cistercensi. Dovevano fare voto di castità, obbedienza e povertà, donando tutte le loro proprietà all'Ordine stesso.
Una potenza troppo scomoda
Al momento della massima diffusione avevano sedi in tutta Europa: il territorio, diviso in sette grandi provincie, era "controllato" dalle cosiddette Precettorie, dalle Mansioni e, nelle grandi capitali, dalle Case. Una così capillare diffusione fu possibile grazie al favore di papa Innocenzo II, che concesse ai Templari una pressoché totale indipendenza dal potere temporale, nonché l'esonero dal pagamento delle tasse. Inoltre, potevano riscuotere le decime. In pratica, dovevano rendere conto solo al Papa in persona. Con le ricchezze accumulate costruirono numerose fortificazioni in tutta la Terra Santa, divenendo ben presto l'esercito meglio addestrato e disciplinato dell'epoca. Poiché detenevano forti somme in denaro contante in quasi tutte le loro sedi, dal 1135 cominciarono i prestiti ai pellegrini spagnoli in viaggio verso Gerusalemme. Da quel momento l'Ordine divenne economicamente sempre più forte, arrivando a prestare somme più che ingenti a vari stati occidentali, soprattutto alla Francia, di cui ben presto gestirono perfino l'intera "Cassa di Stato". Ma proprio perché tanto potenti, sia sul piano militare che su quello economico, i Templari finirono con l'attirare su di loro le antipatie e le invidie di molti sovrani, primo tra tutti il re di Francia Filippo IV il Bello, desideroso di azzerare i propri debiti e, approfittando dell'occasione, impossessarsi dell'intero tesoro templare. Inoltre, in tal modo, avrebbe diminuito il potere della Chiesa.
Una tragica fine
Il 14 settembre 1307, in gran segreto, Filippo IV inviò contemporaneamente a tutte le Prefetture l'ordine di convocare i Cavalieri con la scusa di accertamenti fiscali. La mossa riuscì perfettamente ma, invece di un ufficiale contabile, i Templari trovarono un ordine di arresto e la confisca dei loro beni. Tra le accuse, tutte particolarmente infamanti, vi era anche quella di adorare una misteriosa divinità pagana, il Bafometto. Torturati senza pietà, pur di non soffrire, gli accusati finirono con l'ammettere le proprie inesistenti colpe. Di fronte alle ammissioni di eresia, al papa Clemente V non rimase altro che estendere l'ordine di arresto nei confronti dei Templari a tutti i territori della cristianità. Inoltre, anche grazie alla debolezza del Papa, il re di Francia intentò una serie di processi tendenti a dimostrare le colpe degli appartenenti all'Ordine del Tempio.
Nella leggenda
L'Ordine fu ufficialmente soppresso con la “Bolla Vox in excelso” del 3 aprile 1312 e i suoi beni trasferiti ai Cavalieri Ospitalieri. Jacques de Molay, l'ultimo Gran Maestro dell'Ordine Templare, che inizialmente aveva confessato le accuse, infine ritrattò. Venne quindi arso sul rogo assieme a Geoffroy de Charnay il 18 marzo 1314 davanti alla cattedrale di Parigi, sull'isola della Senna detta "dei giudei". Filippo il Bello non riuscì comunque nell'intento di sterminare i Cavalieri Templari: molti membri si rifugiarono in Scozia e in Portogallo, dove il nome dell'Ordine fu cambiato in "Ordine di Cristo". Ma, soprattutto, sembra non riuscì a mettere le mani sul famoso tesoro dei Templari, composto da enormi ricchezze e da documenti segreti. Dal 1314, anno del rogo in cui morì Jacques de Molay, l'Ordine dei Cavalieri Templari entra nella leggenda e nel mistero. In quel tempo la Scozia era in guerra con il Papa. I Templari, perseguitati dalla Chiesa, trovarono in quelle terre un rifugio sicuro. La flotta templare, salpata da un porto della Francia per sfuggire alla cattura, scomparve misteriosamente. Per i Francesi sarebbe stata intercettata e distrutta ma, secondo altri, si sarebbe rifugiata in Scozia e i Templari si sarebbero stabiliti nella famosa località di Rosslyn.
Dov'è il tesoro dei Templari?
Nella Bibbia è scritto che in tempo di guerra il monte Moriah era utilizzato come nascondiglio di tesori e documenti importanti. In un opera ebraica, la Mishnah, si dice che la "Tenda del Convegno" era custodita nelle "cripte del Tempio" e, secondo la tradizione ebraica, altri oggetti leggendari come l'Arca dell'Alleanza, l'Altare dell'Incenso, il Bastone di Aronne, l'urna con la Manna e le Tavole della Legge erano state nascoste in un vano segreto posto sul lato occidentale del Tempio, vicino al Sancta Sanctorum. Le leggende sui Cavalieri dell'Ordine, che si susseguono attraverso i secoli, pongono agli studiosi non poche domande. Essendo stati i custodi del Tempio, a Gerusalemme, hanno forse trovato almeno una parte del Tesoro di re Salomone? Che fondamento hanno le storie che parlano di un documento secondo il quale Maria Maddalena, o addirittura lo stesso Gesù, sarebbero arrivati nella Francia del Sud, dando origine a una discendenza divenuta poi la famiglia reale dei Merovingi? Sono forse questi i documenti ritrovati a Rennes le Chateau dall'abate Francois-Bérenger Saunière e che lo nanno arricchito?
Un segreto mortale
I Templari sono stati veramente sterminati per la brama di potere e ricchezza di Filippo IV il Bello, oppure perché erano venuti a conoscenza di un segreto che avrebbe potuto minare la Chiesa e le monarchie europee? E ancora: il volto impresso sulla Sacra Sindone, è quello di Gesù oppure, come vuole una recente teoria, è quello di Jacques de Molay, l'ultimo Gran Maestro dell'Ordine? Queste sono solo alcune delle strane leggende fiorite sui Cavalieri Templari. Ma quali certezze ci sono? Torniamo in Scozia, a Rosslyn. È ormai accertato che il navigatore veneziano Antonio Zeno, salpato dalle coste scozzesi con 12 navi alla fine del 1300, un secolo prima del viaggio di Cristoforo Colombo, abbia raggiunto le terre che oggi vengono chiamate "Nuova Scozia", una regione a nord ovest dell'attuale Canada. Quì Zeno stabilì un presidio a New Poss, a poco più di 30 chilometri da Oak Island, isola nota per il famoso "Money Pit". È possibile che nelle 12 navi salpate dalla Scozia ci fosse anche il tesoro dei Templari, che questi cercassero un luogo sicuro per nasconderlo e che, soprattutto, l'abbiano trovato?
Pauperes Commilitones Christi Templique Salomonis", ovvero "poveri compagni di Cristo e del Tempio di Salomone". Sono i Cavalieri Templari, uno dei primi ordini militari cristiani nonché uno dei più famosi, misteriosi e odiati. Nato intorno al 1118-1120, appena pochi anni dopo la prima crociata del 1096, il nome di quest'ordine è da sempre collegato al Graal, al tesoro del Tempio di re Salomone, alla massoneria e alle figure di Maria Maddalena e di Gesù.
Difendere la Terra Santa
Ufficializzato con la Bolla Pontificia il 29 marzo 1139, aveva lo scopo di difendere il Regno di Gerusalemme dai musulmani
appena sconfitti e di assicurare la protezione dei pellegrini che sempre più numerosi vi affluivano da tutta Europa.
Negli anni, l'Ordine Templare divenne ininterrottamente più ricco e potente, quindi pericoloso sia per la Chiesa che per il Re di Francia. Per questo, a seguito di una vera e propria persecuzione che portò allo sterminio di quasi tutti gli appartenenti, l'Ordine si dissolse definitivamente tra il 1312 e il 1314. Purtroppo, a causa della scarsità di documenti che li riguardano, è praticamente impossibile ricostruire esattamente la storia dei primi anni dell'Ordine. La tradizione parla di nove cavalieri, ma si pensa che tale numero abbia soprattutto un significato allegorico. I Templari, reclutati soprattutto tra i giovani nobili, erano organizzati come un vero e proprio ordine monastico, secondo le regole di San Bernardo di Chiaravalle, fondatore dei monaci cistercensi. Dovevano fare voto di castità, obbedienza e povertà, donando tutte le loro proprietà all'Ordine stesso.
Una potenza troppo scomoda
Al momento della massima diffusione avevano sedi in tutta Europa: il territorio, diviso in sette grandi provincie, era "controllato" dalle cosiddette Precettorie, dalle Mansioni e, nelle grandi capitali, dalle Case. Una così capillare diffusione fu possibile grazie al favore di papa Innocenzo II, che concesse ai Templari una pressoché totale indipendenza dal potere temporale, nonché l'esonero dal pagamento delle tasse. Inoltre, potevano riscuotere le decime. In pratica, dovevano rendere conto solo al Papa in persona. Con le ricchezze accumulate costruirono numerose fortificazioni in tutta la Terra Santa, divenendo ben presto l'esercito meglio addestrato e disciplinato dell'epoca. Poiché detenevano forti somme in denaro contante in quasi tutte le loro sedi, dal 1135 cominciarono i prestiti ai pellegrini spagnoli in viaggio verso Gerusalemme. Da quel momento l'Ordine divenne economicamente sempre più forte, arrivando a prestare somme più che ingenti a vari stati occidentali, soprattutto alla Francia, di cui ben presto gestirono perfino l'intera "Cassa di Stato". Ma proprio perché tanto potenti, sia sul piano militare che su quello economico, i Templari finirono con l'attirare su di loro le antipatie e le invidie di molti sovrani, primo tra tutti il re di Francia Filippo IV il Bello, desideroso di azzerare i propri debiti e, approfittando dell'occasione, impossessarsi dell'intero tesoro templare. Inoltre, in tal modo, avrebbe diminuito il potere della Chiesa.
Una tragica fine
Il 14 settembre 1307, in gran segreto, Filippo IV inviò contemporaneamente a tutte le Prefetture l'ordine di convocare i Cavalieri con la scusa di accertamenti fiscali. La mossa riuscì perfettamente ma, invece di un ufficiale contabile, i Templari trovarono un ordine di arresto e la confisca dei loro beni. Tra le accuse, tutte particolarmente infamanti, vi era anche quella di adorare una misteriosa divinità pagana, il Bafometto. Torturati senza pietà, pur di non soffrire, gli accusati finirono con l'ammettere le proprie inesistenti colpe. Di fronte alle ammissioni di eresia, al papa Clemente V non rimase altro che estendere l'ordine di arresto nei confronti dei Templari a tutti i territori della cristianità. Inoltre, anche grazie alla debolezza del Papa, il re di Francia intentò una serie di processi tendenti a dimostrare le colpe degli appartenenti all'Ordine del Tempio.
Nella leggenda
L'Ordine fu ufficialmente soppresso con la “Bolla Vox in excelso” del 3 aprile 1312 e i suoi beni trasferiti ai Cavalieri Ospitalieri. Jacques de Molay, l'ultimo Gran Maestro dell'Ordine Templare, che inizialmente aveva confessato le accuse, infine ritrattò. Venne quindi arso sul rogo assieme a Geoffroy de Charnay il 18 marzo 1314 davanti alla cattedrale di Parigi, sull'isola della Senna detta "dei giudei". Filippo il Bello non riuscì comunque nell'intento di sterminare i Cavalieri Templari: molti membri si rifugiarono in Scozia e in Portogallo, dove il nome dell'Ordine fu cambiato in "Ordine di Cristo". Ma, soprattutto, sembra non riuscì a mettere le mani sul famoso tesoro dei Templari, composto da enormi ricchezze e da documenti segreti. Dal 1314, anno del rogo in cui morì Jacques de Molay, l'Ordine dei Cavalieri Templari entra nella leggenda e nel mistero. In quel tempo la Scozia era in guerra con il Papa. I Templari, perseguitati dalla Chiesa, trovarono in quelle terre un rifugio sicuro. La flotta templare, salpata da un porto della Francia per sfuggire alla cattura, scomparve misteriosamente. Per i Francesi sarebbe stata intercettata e distrutta ma, secondo altri, si sarebbe rifugiata in Scozia e i Templari si sarebbero stabiliti nella famosa località di Rosslyn.
Dov'è il tesoro dei Templari?
Nella Bibbia è scritto che in tempo di guerra il monte Moriah era utilizzato come nascondiglio di tesori e documenti importanti. In un opera ebraica, la Mishnah, si dice che la "Tenda del Convegno" era custodita nelle "cripte del Tempio" e, secondo la tradizione ebraica, altri oggetti leggendari come l'Arca dell'Alleanza, l'Altare dell'Incenso, il Bastone di Aronne, l'urna con la Manna e le Tavole della Legge erano state nascoste in un vano segreto posto sul lato occidentale del Tempio, vicino al Sancta Sanctorum. Le leggende sui Cavalieri dell'Ordine, che si susseguono attraverso i secoli, pongono agli studiosi non poche domande. Essendo stati i custodi del Tempio, a Gerusalemme, hanno forse trovato almeno una parte del Tesoro di re Salomone? Che fondamento hanno le storie che parlano di un documento secondo il quale Maria Maddalena, o addirittura lo stesso Gesù, sarebbero arrivati nella Francia del Sud, dando origine a una discendenza divenuta poi la famiglia reale dei Merovingi? Sono forse questi i documenti ritrovati a Rennes le Chateau dall'abate Francois-Bérenger Saunière e che lo nanno arricchito?
Un segreto mortale
I Templari sono stati veramente sterminati per la brama di potere e ricchezza di Filippo IV il Bello, oppure perché erano venuti a conoscenza di un segreto che avrebbe potuto minare la Chiesa e le monarchie europee? E ancora: il volto impresso sulla Sacra Sindone, è quello di Gesù oppure, come vuole una recente teoria, è quello di Jacques de Molay, l'ultimo Gran Maestro dell'Ordine? Queste sono solo alcune delle strane leggende fiorite sui Cavalieri Templari. Ma quali certezze ci sono? Torniamo in Scozia, a Rosslyn. È ormai accertato che il navigatore veneziano Antonio Zeno, salpato dalle coste scozzesi con 12 navi alla fine del 1300, un secolo prima del viaggio di Cristoforo Colombo, abbia raggiunto le terre che oggi vengono chiamate "Nuova Scozia", una regione a nord ovest dell'attuale Canada. Quì Zeno stabilì un presidio a New Poss, a poco più di 30 chilometri da Oak Island, isola nota per il famoso "Money Pit". È possibile che nelle 12 navi salpate dalla Scozia ci fosse anche il tesoro dei Templari, che questi cercassero un luogo sicuro per nasconderlo e che, soprattutto, l'abbiano trovato?
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Re: thriller e co.
Il Malocchio
Maledizioni speciali
Le maledizioni nascono dal desiderio di risvegliare i demoni affinchè puniscano una o più persone. Spesso prevedono l'impiego di particolari oggetti e di cerimonie rituali; nell'antichità, per esempio, gli incantesimi erano scritti solitamente su tavole "maledette" che venivano lasciate di nascosto nelle vicinanze del soggetto a cui erano rivolte. Il profeta Geremia trascrisse su un foglio di pergamena la cattiva sorte di Babilonia; incaricò il suo servitore Seraià di portarlo a Babilonia, leggerne il testo ad alta voce, legare il foglio a una pietra e gettarla nel fiume Eufrate.
Babilonia sarebbe affondata proprio come la pietra, per non riemergere mai più. I popoli germanici, invece, incidevano le maledizioni scrivendole con le rune su lastre di osso quadrate. La maggior parte delle maledizioni viene tuttavia pronunciata ad alta voce. Nell'antica Irlanda esistevano addirittura le "donne delle maledizioni", che eseguivano incantesimi per conto di terzi. Venivano pagate profumatamente per i loro servigi, poiché riuscivano sempre a sconvolgere le malcapitate vittime dei loro sortilegi. Esistono diverse varianti di maledizione, i cui effetti sono prevalentemente di natura psicologica, ma tra queste il "malocchio" è senza dubbio la più particolare. Si tratta infatti di una pratica sui generis, perché l'incantesimo non viene pronunciato e non necessita di alcun rituale. Tuttavia è una forma ampiamente usata di magia malefica, le cui forze oscure possono danneggiare non solo gli esseri umani, ma anche animali e piante.
Il potere degli occhi
Si dice che gli occhi abbiano la capacità di trasmettere all'esterno le forze nascoste nel corpo. Per questo motivo viene sempre attribuito loro un potere eccezionale. Gli accenni al famigerato malocchio sono disseminati nella mitologia di diversi popoli antichi: si narra, per esempio, che alcune donne dell’ Illiria riuscissero a uccidere con il loro sguardo rabbioso, così come il gigante Balor delle leggende celtiche, che si narra fosse capace di trasformare il suo unico occhio in un'arma letale. L’antica mitologia iraniana ritraeva la diabolica Agash come il malocchio personificato, e nella mitologia greca Medusa tramutava in pietra chiunque incontrasse il suo sguardo. Il leggendario basilisco, nato da un uovo di gallina covato da una tartaruga, rappresenta un fenomeno eccezionale, perché sono molto rari gli animali dallo sguardo letale. Il potere degli occhi viene infatti attribuito prevalentemente agli esseri umani, soprattutto se sospettati di stregoneria: un'accusa rivolta più spesso alle donne che agli uomini. Si dice infine che alcuni esercitino il malocchio anche involontariamente, semplicemente posando lo sguardo su un'altra persona.
Misure difensive
Perle, nastri rossi e collane in corallo garantiscono la protezione contro la magia malefica del malocchio. Nel Medioevo era usanza praticare un'incisione con il coltello sulla fronte delle pericolose "mangiatrici di occhi", cioè le streghe sospettate di praticare il malocchio. Per scongiurarlo, nell'area mediterranea si ricorre a un gesto della mano ritenuto molto efficace, popolarmente noto come "fare le corna".
Maledizioni speciali
Le maledizioni nascono dal desiderio di risvegliare i demoni affinchè puniscano una o più persone. Spesso prevedono l'impiego di particolari oggetti e di cerimonie rituali; nell'antichità, per esempio, gli incantesimi erano scritti solitamente su tavole "maledette" che venivano lasciate di nascosto nelle vicinanze del soggetto a cui erano rivolte. Il profeta Geremia trascrisse su un foglio di pergamena la cattiva sorte di Babilonia; incaricò il suo servitore Seraià di portarlo a Babilonia, leggerne il testo ad alta voce, legare il foglio a una pietra e gettarla nel fiume Eufrate.
Babilonia sarebbe affondata proprio come la pietra, per non riemergere mai più. I popoli germanici, invece, incidevano le maledizioni scrivendole con le rune su lastre di osso quadrate. La maggior parte delle maledizioni viene tuttavia pronunciata ad alta voce. Nell'antica Irlanda esistevano addirittura le "donne delle maledizioni", che eseguivano incantesimi per conto di terzi. Venivano pagate profumatamente per i loro servigi, poiché riuscivano sempre a sconvolgere le malcapitate vittime dei loro sortilegi. Esistono diverse varianti di maledizione, i cui effetti sono prevalentemente di natura psicologica, ma tra queste il "malocchio" è senza dubbio la più particolare. Si tratta infatti di una pratica sui generis, perché l'incantesimo non viene pronunciato e non necessita di alcun rituale. Tuttavia è una forma ampiamente usata di magia malefica, le cui forze oscure possono danneggiare non solo gli esseri umani, ma anche animali e piante.
Il potere degli occhi
Si dice che gli occhi abbiano la capacità di trasmettere all'esterno le forze nascoste nel corpo. Per questo motivo viene sempre attribuito loro un potere eccezionale. Gli accenni al famigerato malocchio sono disseminati nella mitologia di diversi popoli antichi: si narra, per esempio, che alcune donne dell’ Illiria riuscissero a uccidere con il loro sguardo rabbioso, così come il gigante Balor delle leggende celtiche, che si narra fosse capace di trasformare il suo unico occhio in un'arma letale. L’antica mitologia iraniana ritraeva la diabolica Agash come il malocchio personificato, e nella mitologia greca Medusa tramutava in pietra chiunque incontrasse il suo sguardo. Il leggendario basilisco, nato da un uovo di gallina covato da una tartaruga, rappresenta un fenomeno eccezionale, perché sono molto rari gli animali dallo sguardo letale. Il potere degli occhi viene infatti attribuito prevalentemente agli esseri umani, soprattutto se sospettati di stregoneria: un'accusa rivolta più spesso alle donne che agli uomini. Si dice infine che alcuni esercitino il malocchio anche involontariamente, semplicemente posando lo sguardo su un'altra persona.
Misure difensive
Perle, nastri rossi e collane in corallo garantiscono la protezione contro la magia malefica del malocchio. Nel Medioevo era usanza praticare un'incisione con il coltello sulla fronte delle pericolose "mangiatrici di occhi", cioè le streghe sospettate di praticare il malocchio. Per scongiurarlo, nell'area mediterranea si ricorre a un gesto della mano ritenuto molto efficace, popolarmente noto come "fare le corna".
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Re: thriller e co.
IL LETARGO DELL'ANIMA
In relazione al letargo dell'anima, ci permettiamo di citare quanto brevemente dicemmo sullo stesso soggetto in precedenza:
"Il processo di transizione a uno stato di riposo, la profondità e il regolare sviluppo di questo, possono essere disturbati dalle persone che sono rimaste nella vita terrena. Un'anima che ha qualche cosa in mente da comunicare o che è afflitta dal dolore dei superstiti (specialmente se ne ode i lamenti e i richiami) tenterà di combattere lo stato torpido cui sta cedendo e compirà disperati sforzi per ritornare. Allo stesso modo degli appelli dei superstiti ne disturberanno il riposo, una volta incominciato, e condurranno l'anima dormiente a risvegliarsi e tentare di rispondere, o almeno produrranno un risveglio parziale, ritardandone l'ulteriore sviluppo. Queste anime semisveglie si rivelano spesso nei circoli spiritistici. Il nostro egoistico dolore, le nostre domande, sono frequente causa di grande pena e di tristezza ai nostri cari che sono passati sull'altra sponda, salvo che essi non fossero già a conoscenza del vero stato delle cose, rifiutando quindi di essere richiamati anche da coloro che amano. Si conoscono casi di anime che hanno lottato per anni contro il letargo per essere vicine ai loro cari sulla terra, senza altro risultato che un'inutile pena, un'inutile tristezza sia per chi si era dipartito sia per chi era rimasto sulla terra. Noi dovremmo evitare di ritardare con egoistiche esigenze il progresso di coloro i quali sono passati sull'altra sponda: lasciamo che riposino e dormano in attesa dell'ora della loro trasformazione. Agendo altrimenti, li faremo morire più volte di successive morti. Chi ama veramente e comprende, se ne astiene perché l'amore e la comprensione comandano che si lasci l'anima dipartirsi in pace e prendere il meritato riposo, per raggiungere poi il suo pieno sviluppo. Questo periodo di letargo dell'anima, è simile all'esistenza della creatura nel grembo materno: dorme per poter risvegliarsi in vita e in forze. C'è un'altra fase di questo particolare stadio del progresso dell'anima cui bisogna qui riferirsi: "Solo l'anima di chi è morto di morte naturale cade subito (se non disturbata) in letargo”. Quelli che muoiono in un sinistro o sono uccisi, in altri termini quelli che muoiono di morte violenta, improvvisa, rimangono per un certo tempo svegli e in pieno possesso delle loro facoltà mentali. Spesso non si rendono conto di essere morti né di che cosa è avvenuto. Spesso conservano (per breve tempo) coscienza della vita sulla terra, e possono vedere e udire, mediante i sensi astrali, quanto accade intorno a loro. Non possono figurarsi di aver abbandonato il corpo e spesso sono dolorosamente perplessi. Essi sarebbero più che infelici, nei pochi giorni precedenti il debito sopravvenire del sonno, se non vi fossero i soccorsi astrali, anime beate dei più alti stati di esistenza le quali, riunendosi attorno ad essi, li informano gentilmente della loro vera condizione e hanno parole di conforto e di consiglio, assistendoli fin quando non cadano in letargo come un bambino stanco si addormenta. Questi soccorritori non mancano mai al loro dovere e nessuno che sia improvvisamente morto, buono o cattivo che possa essere, viene trascurato perché essi sanno che tutti sono figli di Dio e loro fratelli e sorelle spirituali. Si sa di uomini dotati di alto e sviluppato potere spirituale i quali hanno temporaneamente lasciato il corpo fisico (dimorando nel corpo astrale) per dare aiuto e consiglio in occasione di grandi catastrofi (come nell'inondazione di Johnstown e nel disastro del Titanic) o dopo una grande battaglia, quando c'è necessità di consiglio e di assistenza immediati. L'anima delle persone che muoiono nel modo che abbiamo detto, cade naturalmente in letargo gradualmente, come nel caso di chi muore di morte naturale. Un altro fenomeno che va ricordato è quello meraviglioso della rievocazione di tutto il passato dell'anima, quel gran panorama che si svolge dinanzi alla visione mentale dell'anima prima che cada in letargo. I maestri ci dicono che ciò occupa solo una frazione infinitesimale di tempo, un attimo di cui si può parlare quasi come di un punto nel tempo. Tuttavia, in quell'istante l'anima vede il panorama della precorsa vita terrestre. Sfilano, una scena dopo l'altra e dall'infanzia alla vecchiaia, gli incidenti più insignificanti come i più grandi, riprodotti nei minimi particolari. I piani subcoscienti della memoria svelano i loro segreti fino in fondo, nulla ritengono né riservano. Inoltre l'anima, con l'affinato acume spirituale, è in grado di comprendere il significato, la causa e le conseguenze di ogni evento della sua vita. Può quindi analizzarlo e giudicare se stessa e i propri atti, come un giudice onnisciente e imparziale. Il risultato di questo processo è che gli atti della vita passata rimangono concentrati e impressi nell'anima, per divenire semente che produrrà migliori frutti nell'avvenire. Queste sementi servono a creare il futuro carattere dell'individuo nella vita successiva, per quanto lo consentiranno le sue nuove caratteristiche e i nuovi desideri. A chi obiettasse che è impossibile che la mente abbracci gli eventi di tutta una vita nello spazio di un attimo, risponderemmo che la psicologia insegna che ciò è possibile anche nell'ordinaria vita terrena. Sono infatti registrati molti casi di persone che, addormentatesi, hanno sognato di fatti avvenuti in parecchi anni. Nei sogni ordinari l'elemento tempo è praticamente ridotto a una piccola unità, e nello stato di cui parliamo la concentrazione mentale è intensificata a tal punto che un solo istante di tempo comprende la durata della più lunga vita. L'anima porta con sé nel letargo un ricordo concentrato dell'intera vita nel quale sono inclusi i semi dei suoi desideri, delle sue ambizioni, delle sue simpatie e antipatie, delle attrazioni e repulsioni. Queste idee seminali cominciano presto a germogliare e a produrre fiori e frutti. E si manifestano non solo nelle future incarnazioni, ma anche nella vita dell'anima sul piano astrale. La provvida Natura infatti, non esige che l'anima sperimenti e superi tutte le sue tendenze nelle future incarnazioni, ma dispone che molti di questi forti impulsi si manifestino e si esauriscano sul piano astrale, in modo che l'anima possa lasciarli dietro di sé quando sarà rinata a nuova vita terrena. Il letargo dell'anima è necessario in vista di questa gioia. Durante il letargo l'anima viene preparata all'ingresso nella vita astrale e dalla propria manifestazione che descriveremo in seguito. Il letargo è necessario all'anima in questo stadio del suo progresso, come il sonno al nascituro nel grembo della madre. Abbiamo udito molte persone superficiali che, apprendendo queste nozioni, hanno manifestato timore del letargo dell'anima, dicendo che temevano "il sonno in un luogo ignoto, fra tante cose e creature sconosciute". Ma l'obiezione appare infantile all'occultista colto, perché egli sa che non c'è luogo in Natura dove un'entità sia così sollecitamente e completamente salvaguardata come le anime dormienti sul gran piano astrale. Così sicure e al riparo da invasioni o intrusioni, da pericoli o influenze dannose, sono esse, che solo la completa rivoluzione delle più sacre leggi della Natura potrebbe colpirle. La loro dimora, bisogna ricordarlo, non è un luogo ma uno stato, una condizione tale che nessuna influenza maligna o dannosa può mai raggiungerle e neppure avvicinarle. Così tutti noi, sulla terra, fossimo altrettanto protetti! Sembra quasi che tutte le forze della Natura si siano alleate per custodirle e proteggerle. Dice una massima indù:
"Neppure gli dèi sui loro eccelsi troni hanno alcun potere o dominio sulle anime dormienti".
A chi, nel proprio modo di pensare circa l'altra sponda, risente a tal punto l'influenza degli insegnamenti della comune teologia da trovare strana e straordinaria questa concezione del letargo dell'anima, rispondiamo che una breve riflessione mostrerà come alla radice delle concezioni popolari, anche della più comune teologia, si possono trovare molte velate allusioni a questa beata condizione di riposo, di cui l'anima ha assoluto bisogno dopo una vita combattuta e prima di iniziarne un'altra. "Gli è concesso il sonno del giusto", "Qui riposa lo stanco viandante", "Egli è partito verso il gran riposo", queste e molte altre espressioni e citazioni cercano di esprimere l'idea, connaturata alla mente umana, di un periodo di riposo che all'anima stanca sarà concesso. L'idea di riposo dopo le lotte e le tempeste della vita è così naturale e istintiva che si può dire rappresenti la più forte inclinazione e convinzione dell'animo umano in relazione all'idea della morte. Essa è ferma come il convincimento di una vita futura oltre il sepolcro. La spiegazione dell'idea può essere però trovata solo negli stadi avanzati dell'insegnamento occultistico. L'anima che sa dell'esistenza e della natura di questo periodo di letargo, si sentirà soddisfatta nell'immaginario. Guarderà questo stadio della sua esistenza futura come un balsamo benedetto e proverà per esso lo stesso sentimento che troviamo espresso nell'antica canzone: "Calmo e sereno riposo nella culla arcana". Riposo, sereno riposo, nel profondo seno del grande oceano della vita; riposo, calma, pace, sicurezza e protezione. Questa è la condizione del letargo dell'anima sul piano astrale.
In relazione al letargo dell'anima, ci permettiamo di citare quanto brevemente dicemmo sullo stesso soggetto in precedenza:
"Il processo di transizione a uno stato di riposo, la profondità e il regolare sviluppo di questo, possono essere disturbati dalle persone che sono rimaste nella vita terrena. Un'anima che ha qualche cosa in mente da comunicare o che è afflitta dal dolore dei superstiti (specialmente se ne ode i lamenti e i richiami) tenterà di combattere lo stato torpido cui sta cedendo e compirà disperati sforzi per ritornare. Allo stesso modo degli appelli dei superstiti ne disturberanno il riposo, una volta incominciato, e condurranno l'anima dormiente a risvegliarsi e tentare di rispondere, o almeno produrranno un risveglio parziale, ritardandone l'ulteriore sviluppo. Queste anime semisveglie si rivelano spesso nei circoli spiritistici. Il nostro egoistico dolore, le nostre domande, sono frequente causa di grande pena e di tristezza ai nostri cari che sono passati sull'altra sponda, salvo che essi non fossero già a conoscenza del vero stato delle cose, rifiutando quindi di essere richiamati anche da coloro che amano. Si conoscono casi di anime che hanno lottato per anni contro il letargo per essere vicine ai loro cari sulla terra, senza altro risultato che un'inutile pena, un'inutile tristezza sia per chi si era dipartito sia per chi era rimasto sulla terra. Noi dovremmo evitare di ritardare con egoistiche esigenze il progresso di coloro i quali sono passati sull'altra sponda: lasciamo che riposino e dormano in attesa dell'ora della loro trasformazione. Agendo altrimenti, li faremo morire più volte di successive morti. Chi ama veramente e comprende, se ne astiene perché l'amore e la comprensione comandano che si lasci l'anima dipartirsi in pace e prendere il meritato riposo, per raggiungere poi il suo pieno sviluppo. Questo periodo di letargo dell'anima, è simile all'esistenza della creatura nel grembo materno: dorme per poter risvegliarsi in vita e in forze. C'è un'altra fase di questo particolare stadio del progresso dell'anima cui bisogna qui riferirsi: "Solo l'anima di chi è morto di morte naturale cade subito (se non disturbata) in letargo”. Quelli che muoiono in un sinistro o sono uccisi, in altri termini quelli che muoiono di morte violenta, improvvisa, rimangono per un certo tempo svegli e in pieno possesso delle loro facoltà mentali. Spesso non si rendono conto di essere morti né di che cosa è avvenuto. Spesso conservano (per breve tempo) coscienza della vita sulla terra, e possono vedere e udire, mediante i sensi astrali, quanto accade intorno a loro. Non possono figurarsi di aver abbandonato il corpo e spesso sono dolorosamente perplessi. Essi sarebbero più che infelici, nei pochi giorni precedenti il debito sopravvenire del sonno, se non vi fossero i soccorsi astrali, anime beate dei più alti stati di esistenza le quali, riunendosi attorno ad essi, li informano gentilmente della loro vera condizione e hanno parole di conforto e di consiglio, assistendoli fin quando non cadano in letargo come un bambino stanco si addormenta. Questi soccorritori non mancano mai al loro dovere e nessuno che sia improvvisamente morto, buono o cattivo che possa essere, viene trascurato perché essi sanno che tutti sono figli di Dio e loro fratelli e sorelle spirituali. Si sa di uomini dotati di alto e sviluppato potere spirituale i quali hanno temporaneamente lasciato il corpo fisico (dimorando nel corpo astrale) per dare aiuto e consiglio in occasione di grandi catastrofi (come nell'inondazione di Johnstown e nel disastro del Titanic) o dopo una grande battaglia, quando c'è necessità di consiglio e di assistenza immediati. L'anima delle persone che muoiono nel modo che abbiamo detto, cade naturalmente in letargo gradualmente, come nel caso di chi muore di morte naturale. Un altro fenomeno che va ricordato è quello meraviglioso della rievocazione di tutto il passato dell'anima, quel gran panorama che si svolge dinanzi alla visione mentale dell'anima prima che cada in letargo. I maestri ci dicono che ciò occupa solo una frazione infinitesimale di tempo, un attimo di cui si può parlare quasi come di un punto nel tempo. Tuttavia, in quell'istante l'anima vede il panorama della precorsa vita terrestre. Sfilano, una scena dopo l'altra e dall'infanzia alla vecchiaia, gli incidenti più insignificanti come i più grandi, riprodotti nei minimi particolari. I piani subcoscienti della memoria svelano i loro segreti fino in fondo, nulla ritengono né riservano. Inoltre l'anima, con l'affinato acume spirituale, è in grado di comprendere il significato, la causa e le conseguenze di ogni evento della sua vita. Può quindi analizzarlo e giudicare se stessa e i propri atti, come un giudice onnisciente e imparziale. Il risultato di questo processo è che gli atti della vita passata rimangono concentrati e impressi nell'anima, per divenire semente che produrrà migliori frutti nell'avvenire. Queste sementi servono a creare il futuro carattere dell'individuo nella vita successiva, per quanto lo consentiranno le sue nuove caratteristiche e i nuovi desideri. A chi obiettasse che è impossibile che la mente abbracci gli eventi di tutta una vita nello spazio di un attimo, risponderemmo che la psicologia insegna che ciò è possibile anche nell'ordinaria vita terrena. Sono infatti registrati molti casi di persone che, addormentatesi, hanno sognato di fatti avvenuti in parecchi anni. Nei sogni ordinari l'elemento tempo è praticamente ridotto a una piccola unità, e nello stato di cui parliamo la concentrazione mentale è intensificata a tal punto che un solo istante di tempo comprende la durata della più lunga vita. L'anima porta con sé nel letargo un ricordo concentrato dell'intera vita nel quale sono inclusi i semi dei suoi desideri, delle sue ambizioni, delle sue simpatie e antipatie, delle attrazioni e repulsioni. Queste idee seminali cominciano presto a germogliare e a produrre fiori e frutti. E si manifestano non solo nelle future incarnazioni, ma anche nella vita dell'anima sul piano astrale. La provvida Natura infatti, non esige che l'anima sperimenti e superi tutte le sue tendenze nelle future incarnazioni, ma dispone che molti di questi forti impulsi si manifestino e si esauriscano sul piano astrale, in modo che l'anima possa lasciarli dietro di sé quando sarà rinata a nuova vita terrena. Il letargo dell'anima è necessario in vista di questa gioia. Durante il letargo l'anima viene preparata all'ingresso nella vita astrale e dalla propria manifestazione che descriveremo in seguito. Il letargo è necessario all'anima in questo stadio del suo progresso, come il sonno al nascituro nel grembo della madre. Abbiamo udito molte persone superficiali che, apprendendo queste nozioni, hanno manifestato timore del letargo dell'anima, dicendo che temevano "il sonno in un luogo ignoto, fra tante cose e creature sconosciute". Ma l'obiezione appare infantile all'occultista colto, perché egli sa che non c'è luogo in Natura dove un'entità sia così sollecitamente e completamente salvaguardata come le anime dormienti sul gran piano astrale. Così sicure e al riparo da invasioni o intrusioni, da pericoli o influenze dannose, sono esse, che solo la completa rivoluzione delle più sacre leggi della Natura potrebbe colpirle. La loro dimora, bisogna ricordarlo, non è un luogo ma uno stato, una condizione tale che nessuna influenza maligna o dannosa può mai raggiungerle e neppure avvicinarle. Così tutti noi, sulla terra, fossimo altrettanto protetti! Sembra quasi che tutte le forze della Natura si siano alleate per custodirle e proteggerle. Dice una massima indù:
"Neppure gli dèi sui loro eccelsi troni hanno alcun potere o dominio sulle anime dormienti".
A chi, nel proprio modo di pensare circa l'altra sponda, risente a tal punto l'influenza degli insegnamenti della comune teologia da trovare strana e straordinaria questa concezione del letargo dell'anima, rispondiamo che una breve riflessione mostrerà come alla radice delle concezioni popolari, anche della più comune teologia, si possono trovare molte velate allusioni a questa beata condizione di riposo, di cui l'anima ha assoluto bisogno dopo una vita combattuta e prima di iniziarne un'altra. "Gli è concesso il sonno del giusto", "Qui riposa lo stanco viandante", "Egli è partito verso il gran riposo", queste e molte altre espressioni e citazioni cercano di esprimere l'idea, connaturata alla mente umana, di un periodo di riposo che all'anima stanca sarà concesso. L'idea di riposo dopo le lotte e le tempeste della vita è così naturale e istintiva che si può dire rappresenti la più forte inclinazione e convinzione dell'animo umano in relazione all'idea della morte. Essa è ferma come il convincimento di una vita futura oltre il sepolcro. La spiegazione dell'idea può essere però trovata solo negli stadi avanzati dell'insegnamento occultistico. L'anima che sa dell'esistenza e della natura di questo periodo di letargo, si sentirà soddisfatta nell'immaginario. Guarderà questo stadio della sua esistenza futura come un balsamo benedetto e proverà per esso lo stesso sentimento che troviamo espresso nell'antica canzone: "Calmo e sereno riposo nella culla arcana". Riposo, sereno riposo, nel profondo seno del grande oceano della vita; riposo, calma, pace, sicurezza e protezione. Questa è la condizione del letargo dell'anima sul piano astrale.
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Re: thriller e co.
IL SANTO GRAAL
E’ una delle parole che più attraggono l'attenzione dei lettori di ogni età: in secoli di storia il Graal sembra non aver perso nulla della sua antica potenza. Anzi. Oggi come non mai è al centro di romanzi, saggi di ogni tipo, film e fumetti. Ma cos'è veramente il Graal? Le sue tracce storiche, come le teorie, si perdono nel tempo e nella fantasia. Il termine "graal" inizialmente, in francese antico, deriva probabilmente dal latino medievale “gradalis” e significa calice, vaso, scodella o anche catino. Secondo la tradizione, il Graal è la coppa che Gesù Cristo ha usato nell'ultima cena, la stessa che ha poi raccolto il suo sangue dopo la crocifissione.
Proprio il contatto con il sangue di Gesù, gli avrebbe trasmesso dei grandi poteri così come sarebbe accaduto alla lancia di Longino ed alla Sacra Sindone.
La prima volta
Come però sia nato il vero mito del Graal, questo ancora non si sa. Per certo conosciamo solo l'occasione nella quale il termine è stato usato. Era il 1190, infatti, quando morì lo scrittore francese Chrétien de Troyes. Il suo romanzo incompiuto, il “Perceval, ou le conte du Graal”, citava per la prima volta il Graal. Il giovane Perceval, dopo essere diventato cavaliere alla corte di re Artù, raggiunge il castello del Re Pescatore, dove accanto alla tavola imbandita, vede sfilare dei ragazzi con degli oggetti misteriosi: una lancia insanguinata, due candelabri e il Graal, descritto come una coppa d'oro purissimo incastonata con meravigliose pietre preziose, al cui ingresso si diffonde un gran chiarore. Sarà in seguito un'ostia contenuta nel Graal a tenere in vita il Pescatore ferito, e ad essere il suo unico sostentamento.
Una coppa o una pietra?
È nato così il mito immortale del Graal, anche se è certo che non sia stato Chrétien de Troyes ad inventarlo. Dopo di lui comunque, anche altri hanno scritto della mitica coppa, cambiando però talvolta la sua natura. All'inizio del XIII secolo, il poeta tedesco Wolfram von Eschenbach scrive “Parzival”, un romanzo cortese come quello di Chrétien ma con una sostanziale differenza: il Graal invece di una coppa è una pietra magica, ed è «fonte di ogni bene in terra». Questa trasformazione ha fatto pensare ad un influenza della cultura orientale piuttosto che di quella celtica del precedente romanzo. Inoltre, la nuova natura di pietra assunta dal Graal ha portato a collegamenti ideali sia con la pietra filosofale cara agli alchimisti che con la pietra che, secondo una leggenda, ornava la corona di Lucifero e cadde con lui dal cielo.
Da Giuseppe di Arimatea a re Artù
Dobbiamo a Robert de Boron, invece, il “Joseph d'Arimathie. Le Roman de l'Estone don Graal” composto intorno al 1202. Il Graal compare ora come la coppa usata da Gesù nell'ultima cena. Giuseppe di Arimatea, un mercante suo discepolo, desiderando avere qualcosa appartenuta a Gesù, da conservare come una reliquia, si sarebbe fatto dare la coppa dove aveva bevuto il Messia dal padrone della casa dove si era consumata l'ultima cena. I Vangeli di Matteo, Marco e Luca, ci raccontano che durante l'ultima cena Gesù prese il pane, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli insieme al vino del suo calice, dando inizio così al sacramento dell'Eucarestia. Il giorno seguente, di venerdì, Gesù fu crocifisso. Deposto dalla croce, Giuseppe di Arimatea lo avvolse nel lenzuolo che oggi è la Sacre Sindone, e lo portò in una tomba nuova, che lui stesso aveva fatto costruire. Secondo la leggenda del Graal, durante la preparazione e il lavaggio del corpo prima della sepoltura, Giuseppe vide uscire delle gocce di sangue dal costato di Gesù, proprio dalla ferita che il centurione Longino aveva fatto con la sua lancia, e le raccolse nella coppa servita pochi giorni prima per la consacrazione dell'ultima cena. In seguito Giuseppe di Arimatea partì dalla Palestina in direzione della Britannia per fondare la prima chiesa cristiana, portandosi dietro quello che oggi chiamiamo il Santo Graal.
Versioni discordanti
La storia del Graal, però, non è uguale per tutti. Secondo una parte della tradizione, la mitica coppa restò per alcuni secoli in Inghilterra, fino a quando, nel VI secolo, si decise di trasferirla a Roma. Il sacerdote incaricato di portarla, però, vista l'invasione dei Longobardi, si fermò all'Isola Comacina. Una chiesa costruita in onore del Santo Graal ricorderebbe proprio l'aiuto dato dalla reliquia alla resistenza dell'isola. Da lì il Graal sarebbe stato portato in Val Codera, in uno dei misteriosi luoghi che vengono citati come un suo possibile nascondiglio. Un'altra visione della storia, che unisce tradizione celtica e cristiana, riporta che Gesù, che sarebcr stato in passato con Giuseppe d'Arimetea in Cornovaglia, avesse ricevuto da Merlino un druido converto al cristianesimo, una coppa rituale, la stessa che avrebbe portato con sé per l'ultima cena. Dopo la sua morte, Giuseppe sarebbe tornato in Inghilterra proprio per restituirla, accresciuta dal potere dato dal sangue di Cristo. Il Graal sarebre stato quindi consegnato al Re Pescatore, parente sia di Giuseppe che di Parsifal. Quando, tempo dopo, sulla Britannia si abbattè la "wasteland", una maledizione sia spirituale che materiale, causata da una ferita inflitta al Re Pescatore con la lancia di Longino, del Graal si perse ogni traccia. E’ a questo punto che Merlino invita Artù a ritrovarlo ad ogni costo, perché la sua grazia liberi la Britannia dall'incubo. Parsifal, l'unico cavaliere della Tavola Rotonda degno di trovare il Graal, inizia la sua ricerca, arrivando più volte vicino alla meta, fino a quando non riesce a prendere quello che viene definito "il piatto nel quale Gesù mangiò l'agnello con i discepoli il giorno di Pasqua".
La nascita del mito nei paesi nordici
Prima di diventare un mito cristiano, quello del Graal è stato, anche se in forme diverse, un mito celtico. In Europa si raccontava di vasi, caldaie e coppe dal grande potere, come il Calderone dei Dagda, la "coppa della vita" della civiltà celtica. Il Calderone di Gundestrup può esserne un esempio. La storia del Re Pescatore, di re Artù e ricerca del Graal da parte dei dodici cavalieri della Tavola Rotonda, è il risultato della fusione delle due tradizioni quindi, cristiana e celtica, ed i cavalieri che, come Lancillotto, falliscono la loro missione scontano la propria impurità. Dall'Inghilterra il mito si allarga all'Europa, fino ad arrivare ai nostri giorni. Ma nel frattempo dov'è il Graal? Secondo una fonte sarebbe stato portato nel 540 in Medio Oriente dove sarebbe rimasto nascosto per secoli, fino all'arrivo dei crociati. Quando nei primi anni del Mille i cavalieri cristiani arrivarono in Terra Santa, sentirono per certo parlare del misterioso oggetto dai grandi poteri, ormai patrimonio della tradizione esoterica locale. Furono loro, con molta probabilità, a diffondere di nuovo il mito in Europa una volta tornati in patria. Se poi da quei luoghi lontani hanno riportato solo il racconto o anche il vero Santo Graal, questo non è dato saperlo.
Un forte valore simbolico
In ogni caso, non sarebbe corretto identificare la coppa misteriosa solo con la preziosa reliquia dell'ultima cena. Il Graal, infatti, ha anche un forte valore simbolico ed esoterico. Per gli alchimisti sarebbe uno strumento di conoscenza e di evoluzione spirituale. Secondo Julius Evola, ad esempio, il Graal sarebbe al centro di un rito iniziatico pagano al quale, nel medioevo, la Chiesa si sarebbe opposta. Per René-Guenon il Graal sarebbe giunto nella cristianità provenendo dalla tradizione iniziatica dei druidi e rappresenterebbe il centro del monde esoterico, simbolo della religione primordiale proveniente dal mondo sotterraneo di Agarthi. Più "modernamente", Adolf Hitler lo considerava uno strumento per conquistare il mondo mentre per il grande psicanalista Cari Jung sarebbe in realtà un archetipo dell'inconscio.
Cercando il Graal
Ma dove si troverebbe veramente il Graal? Fa veramente parte del misterioso tesoro dei Cavalieri Templari? Secondo il racconto di un pellegrino inglese del VII secolo, sarebbe custodito in Terra Santa, in una cappella vicino Gerusalemme. Un'altra fonte parla invece del Graal come del piatto dell'ultima cena conservato oggi nella Cattedrale di San Lorenzo a Genova. Si tratta del Sacro Catino, una coppa esagonale in vetro verde che la tradizione vuole sia stata intagliata in uno smeraldo. I genovesi la portarono in patria come trofeo dopo aver conquistato la città di Cesarea, in Palestina, nel 1102. Portata a Parigi da Napoleone Bonaparte, fu riportata in Italia con degli evidenti danni. Restando in Italia, il Graal potrebbe essere custodito a Bari, dove è riportato su un bassorilievo della cattedrale, e a Torino, indicato con gli occhi da una statua della Chiesa della Gran Madre. Il Graal è stato identificato anche nel Santo Calice, una coppa di agata montata su una base medievale in oro, perle e pietre preziose, che si trova nella cattedrale di Valencia. Secondo la leggenda sarebbe stato portato a Roma da San Pietro e da lì il diacono Lorenzo l'avrebbe portata nella città spagnola. Un'altra versione della storia chiama in causa i cavalieri Teutonici, nati nel 1190, che avrebbero affidato il Graal, ricevuto a loro volta dai mistici Sufi, all'imperatore Federico II perché lo salvasse durante le crociate. Questo spiegherebbe l'edificazione dell'enigmatico edificio di Castel del Monte fatto costruire dall'Imperatore, la cui vera funzione resta ancora oggi misteriosa.
In Europa e oltre oceano
Un altro nascondiglio del Graal potrebbe essere il Castello di Gisors, in Francia, dove l'avrebbero portato i Templari, custodi della preziosa reliquia dalla fine del XII secolo, da quando l'avrebbero ricevuto dalla "setta degli assassini", gli adoratori di Bafometto, che per alcuni non era altro che il Graal. Sempre in Francia, ci sono altri due posti nei quali si parla del Graal: il Castello di Montsegur, ulama preziosa roccaforte dei Catari, e la chiesetta di Rennes le Chateau, famosa per le vicende che hanno avuto come protagonista l'abate Saunière. Tornando in Gran Bretagna, come nascondiglio segreto del Graal si ipotizza la cappella di Rosslyn, in Scozia, stranamente piena di riferimenti templari pur essendo stata edificata dopo lo scioglimento dell'ordine. Più a sud, invece, a Glastonbury, nel Somerset, in quella che viene indicata come la leggendaria Avalon e dove nel 1191, durante la terza crociata, sono state scoperte le tombe della regina Ginevra e di re Artù, si trova il Chalice Well, il pozzo nel quale, secondo la tradizione, Giuseppe di Arimatea avrebbe gettato il Graal. Una leggenda alimentata anche dallo strano sapore metallico dell'acqua del posto. Il mito del Graal ha varcato anche l'oceano, arrivando a Oak Island negli Stati Uniti, dove sarebbe nascosto sul fondo di un pozzo canadese, un vero mistero che ha appassionato ricercatori da tutto il mondo ma che ancora non sembra voler svelare i suoi segreti. Proprio come il vero Santo Graal.
"Sang Real".. Santo Graal
Per la maggior parte degli appassionati il Graal è da ricercare nei luoghi più disparati della Terra. Non solo. Per molti non sarebbe ancora chiaro neanche il suo vero aspetto. Si va infatti dalla coppa e da un catino, ad una pietra caduta dal cielo, dall'Arca dell'Alleanza ad un misterioso libro scritto da Gesù, dalla Sacra Sindone di Torino alla pietra centrale della corona di Lucifero. Tre scrittori popolari inglesi, Henry Lincoln, Richard Leigh e Michael Baigent nel loro “The Holi Blood and the Holy Grail” del 1982, hanno ipotizzato un'ulteriore versione. Secondo loro, infatti, i Graal non sarebbe un oggetto materiale, ma la linea di sangue dei discendenti di Gesù Cristo. In sintesi, affermano che Gesù avrebbe lasciato la Palestina con Maria Maddalena e che da lei avrebbe avuto dei figli, dai quali avrebbe poi avuto origine, in Francia, la dinastia reale dei Merovingi. Il Graal, quindi, sarebbe stata la stessa Maddalena, vero "contenitore" del sangue di Cristo. Un "sang real", sangue reale, che continuerebbe a scorrere anche oggi nelle vene dei misteriosi discendenti di Gesù, sotto protezione del fantomatico Priorato di Sion. Una teoria, questa, che oltre a numerose critiche ha dato vita anche al romanzo di Dan Brown, il codice da Vinci, successo letterario senza precedenti.
E’ una delle parole che più attraggono l'attenzione dei lettori di ogni età: in secoli di storia il Graal sembra non aver perso nulla della sua antica potenza. Anzi. Oggi come non mai è al centro di romanzi, saggi di ogni tipo, film e fumetti. Ma cos'è veramente il Graal? Le sue tracce storiche, come le teorie, si perdono nel tempo e nella fantasia. Il termine "graal" inizialmente, in francese antico, deriva probabilmente dal latino medievale “gradalis” e significa calice, vaso, scodella o anche catino. Secondo la tradizione, il Graal è la coppa che Gesù Cristo ha usato nell'ultima cena, la stessa che ha poi raccolto il suo sangue dopo la crocifissione.
Proprio il contatto con il sangue di Gesù, gli avrebbe trasmesso dei grandi poteri così come sarebbe accaduto alla lancia di Longino ed alla Sacra Sindone.
La prima volta
Come però sia nato il vero mito del Graal, questo ancora non si sa. Per certo conosciamo solo l'occasione nella quale il termine è stato usato. Era il 1190, infatti, quando morì lo scrittore francese Chrétien de Troyes. Il suo romanzo incompiuto, il “Perceval, ou le conte du Graal”, citava per la prima volta il Graal. Il giovane Perceval, dopo essere diventato cavaliere alla corte di re Artù, raggiunge il castello del Re Pescatore, dove accanto alla tavola imbandita, vede sfilare dei ragazzi con degli oggetti misteriosi: una lancia insanguinata, due candelabri e il Graal, descritto come una coppa d'oro purissimo incastonata con meravigliose pietre preziose, al cui ingresso si diffonde un gran chiarore. Sarà in seguito un'ostia contenuta nel Graal a tenere in vita il Pescatore ferito, e ad essere il suo unico sostentamento.
Una coppa o una pietra?
È nato così il mito immortale del Graal, anche se è certo che non sia stato Chrétien de Troyes ad inventarlo. Dopo di lui comunque, anche altri hanno scritto della mitica coppa, cambiando però talvolta la sua natura. All'inizio del XIII secolo, il poeta tedesco Wolfram von Eschenbach scrive “Parzival”, un romanzo cortese come quello di Chrétien ma con una sostanziale differenza: il Graal invece di una coppa è una pietra magica, ed è «fonte di ogni bene in terra». Questa trasformazione ha fatto pensare ad un influenza della cultura orientale piuttosto che di quella celtica del precedente romanzo. Inoltre, la nuova natura di pietra assunta dal Graal ha portato a collegamenti ideali sia con la pietra filosofale cara agli alchimisti che con la pietra che, secondo una leggenda, ornava la corona di Lucifero e cadde con lui dal cielo.
Da Giuseppe di Arimatea a re Artù
Dobbiamo a Robert de Boron, invece, il “Joseph d'Arimathie. Le Roman de l'Estone don Graal” composto intorno al 1202. Il Graal compare ora come la coppa usata da Gesù nell'ultima cena. Giuseppe di Arimatea, un mercante suo discepolo, desiderando avere qualcosa appartenuta a Gesù, da conservare come una reliquia, si sarebbe fatto dare la coppa dove aveva bevuto il Messia dal padrone della casa dove si era consumata l'ultima cena. I Vangeli di Matteo, Marco e Luca, ci raccontano che durante l'ultima cena Gesù prese il pane, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli insieme al vino del suo calice, dando inizio così al sacramento dell'Eucarestia. Il giorno seguente, di venerdì, Gesù fu crocifisso. Deposto dalla croce, Giuseppe di Arimatea lo avvolse nel lenzuolo che oggi è la Sacre Sindone, e lo portò in una tomba nuova, che lui stesso aveva fatto costruire. Secondo la leggenda del Graal, durante la preparazione e il lavaggio del corpo prima della sepoltura, Giuseppe vide uscire delle gocce di sangue dal costato di Gesù, proprio dalla ferita che il centurione Longino aveva fatto con la sua lancia, e le raccolse nella coppa servita pochi giorni prima per la consacrazione dell'ultima cena. In seguito Giuseppe di Arimatea partì dalla Palestina in direzione della Britannia per fondare la prima chiesa cristiana, portandosi dietro quello che oggi chiamiamo il Santo Graal.
Versioni discordanti
La storia del Graal, però, non è uguale per tutti. Secondo una parte della tradizione, la mitica coppa restò per alcuni secoli in Inghilterra, fino a quando, nel VI secolo, si decise di trasferirla a Roma. Il sacerdote incaricato di portarla, però, vista l'invasione dei Longobardi, si fermò all'Isola Comacina. Una chiesa costruita in onore del Santo Graal ricorderebbe proprio l'aiuto dato dalla reliquia alla resistenza dell'isola. Da lì il Graal sarebbe stato portato in Val Codera, in uno dei misteriosi luoghi che vengono citati come un suo possibile nascondiglio. Un'altra visione della storia, che unisce tradizione celtica e cristiana, riporta che Gesù, che sarebcr stato in passato con Giuseppe d'Arimetea in Cornovaglia, avesse ricevuto da Merlino un druido converto al cristianesimo, una coppa rituale, la stessa che avrebbe portato con sé per l'ultima cena. Dopo la sua morte, Giuseppe sarebbe tornato in Inghilterra proprio per restituirla, accresciuta dal potere dato dal sangue di Cristo. Il Graal sarebre stato quindi consegnato al Re Pescatore, parente sia di Giuseppe che di Parsifal. Quando, tempo dopo, sulla Britannia si abbattè la "wasteland", una maledizione sia spirituale che materiale, causata da una ferita inflitta al Re Pescatore con la lancia di Longino, del Graal si perse ogni traccia. E’ a questo punto che Merlino invita Artù a ritrovarlo ad ogni costo, perché la sua grazia liberi la Britannia dall'incubo. Parsifal, l'unico cavaliere della Tavola Rotonda degno di trovare il Graal, inizia la sua ricerca, arrivando più volte vicino alla meta, fino a quando non riesce a prendere quello che viene definito "il piatto nel quale Gesù mangiò l'agnello con i discepoli il giorno di Pasqua".
La nascita del mito nei paesi nordici
Prima di diventare un mito cristiano, quello del Graal è stato, anche se in forme diverse, un mito celtico. In Europa si raccontava di vasi, caldaie e coppe dal grande potere, come il Calderone dei Dagda, la "coppa della vita" della civiltà celtica. Il Calderone di Gundestrup può esserne un esempio. La storia del Re Pescatore, di re Artù e ricerca del Graal da parte dei dodici cavalieri della Tavola Rotonda, è il risultato della fusione delle due tradizioni quindi, cristiana e celtica, ed i cavalieri che, come Lancillotto, falliscono la loro missione scontano la propria impurità. Dall'Inghilterra il mito si allarga all'Europa, fino ad arrivare ai nostri giorni. Ma nel frattempo dov'è il Graal? Secondo una fonte sarebbe stato portato nel 540 in Medio Oriente dove sarebbe rimasto nascosto per secoli, fino all'arrivo dei crociati. Quando nei primi anni del Mille i cavalieri cristiani arrivarono in Terra Santa, sentirono per certo parlare del misterioso oggetto dai grandi poteri, ormai patrimonio della tradizione esoterica locale. Furono loro, con molta probabilità, a diffondere di nuovo il mito in Europa una volta tornati in patria. Se poi da quei luoghi lontani hanno riportato solo il racconto o anche il vero Santo Graal, questo non è dato saperlo.
Un forte valore simbolico
In ogni caso, non sarebbe corretto identificare la coppa misteriosa solo con la preziosa reliquia dell'ultima cena. Il Graal, infatti, ha anche un forte valore simbolico ed esoterico. Per gli alchimisti sarebbe uno strumento di conoscenza e di evoluzione spirituale. Secondo Julius Evola, ad esempio, il Graal sarebbe al centro di un rito iniziatico pagano al quale, nel medioevo, la Chiesa si sarebbe opposta. Per René-Guenon il Graal sarebbe giunto nella cristianità provenendo dalla tradizione iniziatica dei druidi e rappresenterebbe il centro del monde esoterico, simbolo della religione primordiale proveniente dal mondo sotterraneo di Agarthi. Più "modernamente", Adolf Hitler lo considerava uno strumento per conquistare il mondo mentre per il grande psicanalista Cari Jung sarebbe in realtà un archetipo dell'inconscio.
Cercando il Graal
Ma dove si troverebbe veramente il Graal? Fa veramente parte del misterioso tesoro dei Cavalieri Templari? Secondo il racconto di un pellegrino inglese del VII secolo, sarebbe custodito in Terra Santa, in una cappella vicino Gerusalemme. Un'altra fonte parla invece del Graal come del piatto dell'ultima cena conservato oggi nella Cattedrale di San Lorenzo a Genova. Si tratta del Sacro Catino, una coppa esagonale in vetro verde che la tradizione vuole sia stata intagliata in uno smeraldo. I genovesi la portarono in patria come trofeo dopo aver conquistato la città di Cesarea, in Palestina, nel 1102. Portata a Parigi da Napoleone Bonaparte, fu riportata in Italia con degli evidenti danni. Restando in Italia, il Graal potrebbe essere custodito a Bari, dove è riportato su un bassorilievo della cattedrale, e a Torino, indicato con gli occhi da una statua della Chiesa della Gran Madre. Il Graal è stato identificato anche nel Santo Calice, una coppa di agata montata su una base medievale in oro, perle e pietre preziose, che si trova nella cattedrale di Valencia. Secondo la leggenda sarebbe stato portato a Roma da San Pietro e da lì il diacono Lorenzo l'avrebbe portata nella città spagnola. Un'altra versione della storia chiama in causa i cavalieri Teutonici, nati nel 1190, che avrebbero affidato il Graal, ricevuto a loro volta dai mistici Sufi, all'imperatore Federico II perché lo salvasse durante le crociate. Questo spiegherebbe l'edificazione dell'enigmatico edificio di Castel del Monte fatto costruire dall'Imperatore, la cui vera funzione resta ancora oggi misteriosa.
In Europa e oltre oceano
Un altro nascondiglio del Graal potrebbe essere il Castello di Gisors, in Francia, dove l'avrebbero portato i Templari, custodi della preziosa reliquia dalla fine del XII secolo, da quando l'avrebbero ricevuto dalla "setta degli assassini", gli adoratori di Bafometto, che per alcuni non era altro che il Graal. Sempre in Francia, ci sono altri due posti nei quali si parla del Graal: il Castello di Montsegur, ulama preziosa roccaforte dei Catari, e la chiesetta di Rennes le Chateau, famosa per le vicende che hanno avuto come protagonista l'abate Saunière. Tornando in Gran Bretagna, come nascondiglio segreto del Graal si ipotizza la cappella di Rosslyn, in Scozia, stranamente piena di riferimenti templari pur essendo stata edificata dopo lo scioglimento dell'ordine. Più a sud, invece, a Glastonbury, nel Somerset, in quella che viene indicata come la leggendaria Avalon e dove nel 1191, durante la terza crociata, sono state scoperte le tombe della regina Ginevra e di re Artù, si trova il Chalice Well, il pozzo nel quale, secondo la tradizione, Giuseppe di Arimatea avrebbe gettato il Graal. Una leggenda alimentata anche dallo strano sapore metallico dell'acqua del posto. Il mito del Graal ha varcato anche l'oceano, arrivando a Oak Island negli Stati Uniti, dove sarebbe nascosto sul fondo di un pozzo canadese, un vero mistero che ha appassionato ricercatori da tutto il mondo ma che ancora non sembra voler svelare i suoi segreti. Proprio come il vero Santo Graal.
"Sang Real".. Santo Graal
Per la maggior parte degli appassionati il Graal è da ricercare nei luoghi più disparati della Terra. Non solo. Per molti non sarebbe ancora chiaro neanche il suo vero aspetto. Si va infatti dalla coppa e da un catino, ad una pietra caduta dal cielo, dall'Arca dell'Alleanza ad un misterioso libro scritto da Gesù, dalla Sacra Sindone di Torino alla pietra centrale della corona di Lucifero. Tre scrittori popolari inglesi, Henry Lincoln, Richard Leigh e Michael Baigent nel loro “The Holi Blood and the Holy Grail” del 1982, hanno ipotizzato un'ulteriore versione. Secondo loro, infatti, i Graal non sarebbe un oggetto materiale, ma la linea di sangue dei discendenti di Gesù Cristo. In sintesi, affermano che Gesù avrebbe lasciato la Palestina con Maria Maddalena e che da lei avrebbe avuto dei figli, dai quali avrebbe poi avuto origine, in Francia, la dinastia reale dei Merovingi. Il Graal, quindi, sarebbe stata la stessa Maddalena, vero "contenitore" del sangue di Cristo. Un "sang real", sangue reale, che continuerebbe a scorrere anche oggi nelle vene dei misteriosi discendenti di Gesù, sotto protezione del fantomatico Priorato di Sion. Una teoria, questa, che oltre a numerose critiche ha dato vita anche al romanzo di Dan Brown, il codice da Vinci, successo letterario senza precedenti.
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