Kenny Ortega ricorda il re del pop
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Kenny Ortega ricorda il re del pop
Michaelforever Inviato: 21 Lug 2011 01:34 pm
Jackson mi disse: "Vorrei stare
sul palco ma non ho più le forze"
Lui non si sente il più grande coreografo del mondo ma il più fortunato di certo sì. Kenny Ortega, l’alunno prediletto di Gene Kelly, s’illumina in modo particolare quando parla del suo di pupillo, Michael Jackson. Lo ha seguito tutta una vita, bastava un fischio della star per fargli abbandonare qualsiasi altro progetto hollywoodiano e aveva fatto grandi progetti per il suo rientro. Kenny Ortega, ospite d’onore all’Ischia Film and Music Global Fest, su Jackson apre un capitolo a parte nella serie dei ricordi più cari tra i quali inserisce anche la direzione dell’ultimo docu-film, This Is It , distribuito postumo a seguito della misteriosa scomparsa del re del pop.
«Michael era un genio assoluto, un miracolo della musicalità e del movimento, aveva una comprensione della performance così sofisticata da porlo su un livello superiore, un grande del nostro tempo impossibile da paragonarsi. E non saprei dire se è un limite o una virtù, in quel corpo albergava anche una grande umanità. Pochi lo dicono ma lui era profondamente buono, timido e insicuro. Una caratteristica che lo portava anche emotivamente ad entrare in simbiosi con il pubblico. Vedere tutto questo come suo collaboratore creativo è stato incredibile. Quando decise di tornare sulle scene era preoccupato ma determinato. Io stavo facendo altro, lui mi chiamò e con quel suo fare delicato mi chiese di seguirlo. Lo feci, come al solito, piantando in asso tutto il resto. Ci conoscevamo e lavoravamo insieme da Dangerous , uscito nel 1991. Lo raggiunsi in casa, gli occhi scintillavano ma era smunto, sembrava gracilissimo. Da visionario quale era si mise a raccontare quello che voleva per la sua rentrée, ci teneva a dirmi che lo spettacolo doveva portare gioia. Ma poi si rabbuiò, non era più certo che sarebbe riuscito a fare ciò che voleva. Mi ha detto all’improvviso: “Vedo tutti i dettagli ma non mi sento pronto”».
Ortega, Jackson sentiva la fine? «Forse. Ma io preferisco ricordarlo grande uomo d’affari». Ed è a questo punto che s’inseriscono nella conversazione altri due pezzi da novanta della musica: quel Neil Portnow, presidente dei Grammy e della National Academy of Recording Arts e quel Mike Stoller leggendario pianista autore di Stand by me e dei successi di Elvis Presley. «Michael non sbagliava un affare. Pensi che acquistava sempre i diritti delle canzoni che interpretava. Conosceva la musica come nessun altro e quando viaggiavamo insieme, e noi tre di viaggi con lui ne abbiamo fatti parecchi, era capace di cantarti per tutto il viaggio le canzoni di Aretha Franklin, tutte a memoria le sapeva». E quel modo eccezionale di muoversi, Ortega, glielo ha insegnato lei? «No. Lo stile afroamericano rivisitato lui lo portò al successo e fu una sua assoluta trovata». E Stoller prosegue il pensiero: «Senza Presley la nostra epoca sarebbe stata diversa. Senza Jackson la musica senza barriere e senza colore non sarebbe esistita».
Ortega però, tra un Jackson e l’altro, ha fatto ballare anche Barbara Streisand, «Intelligente e molto divertente», Bette Midler «Umorismo ed energia», Diana Ross, «Classe e fascino sexy», ha lanciato Zac Efron e Vanessa Hudgens. Perché il leggendario coreografo di film culto come Dirty Dancing ha un particolare talento per lo scoutismo. «Zac è un raffinato esempio di talento naturale. Quando l’ho incontrato era un ragazzino innocente eppure già molto saggio. Aveva 16 anni e ci teneva moltissimo a fare e a dare il meglio».
Da buon creativo, «oltre al movimento tecnico guardo l’atteggiamento nei confronti della danza, il delicato equilibrio tra tecnica e passione. Perciò non demonizzo i talent. Non ci sono più soldi per sostenere il nostro settore e questi show sono rimasti l’unica vetrina. E’ triste ma bisogna riconoscere che l’assenza di sostegno ci ha spinto a sostenere le scuole televisiva. Certo, dovrebbero indagare di più il processo che poi porta al risultato finale. Ma resiste un forte senso d’emulazione che fa bene». Così come lo diverte, da regista, coinvolgere gli adolescenti di tutto il mondo, per esempio in High School Musical , The Cheetah Girls 2 . «Bisogna considerare che a cambiare la mia vita fu West Side Story e non mi sono mai ricreduto. Ora mi hanno chiesto di fare un musical per la televisione italiana. L’idea non mi dispiace affatto. Ma lo vorrei fare con i ragazzi delle scuole».
http://www3.lastampa.it/spettacoli/sezioni/articolo/lstp/412124/
Jackson mi disse: "Vorrei stare
sul palco ma non ho più le forze"
Lui non si sente il più grande coreografo del mondo ma il più fortunato di certo sì. Kenny Ortega, l’alunno prediletto di Gene Kelly, s’illumina in modo particolare quando parla del suo di pupillo, Michael Jackson. Lo ha seguito tutta una vita, bastava un fischio della star per fargli abbandonare qualsiasi altro progetto hollywoodiano e aveva fatto grandi progetti per il suo rientro. Kenny Ortega, ospite d’onore all’Ischia Film and Music Global Fest, su Jackson apre un capitolo a parte nella serie dei ricordi più cari tra i quali inserisce anche la direzione dell’ultimo docu-film, This Is It , distribuito postumo a seguito della misteriosa scomparsa del re del pop.
«Michael era un genio assoluto, un miracolo della musicalità e del movimento, aveva una comprensione della performance così sofisticata da porlo su un livello superiore, un grande del nostro tempo impossibile da paragonarsi. E non saprei dire se è un limite o una virtù, in quel corpo albergava anche una grande umanità. Pochi lo dicono ma lui era profondamente buono, timido e insicuro. Una caratteristica che lo portava anche emotivamente ad entrare in simbiosi con il pubblico. Vedere tutto questo come suo collaboratore creativo è stato incredibile. Quando decise di tornare sulle scene era preoccupato ma determinato. Io stavo facendo altro, lui mi chiamò e con quel suo fare delicato mi chiese di seguirlo. Lo feci, come al solito, piantando in asso tutto il resto. Ci conoscevamo e lavoravamo insieme da Dangerous , uscito nel 1991. Lo raggiunsi in casa, gli occhi scintillavano ma era smunto, sembrava gracilissimo. Da visionario quale era si mise a raccontare quello che voleva per la sua rentrée, ci teneva a dirmi che lo spettacolo doveva portare gioia. Ma poi si rabbuiò, non era più certo che sarebbe riuscito a fare ciò che voleva. Mi ha detto all’improvviso: “Vedo tutti i dettagli ma non mi sento pronto”».
Ortega, Jackson sentiva la fine? «Forse. Ma io preferisco ricordarlo grande uomo d’affari». Ed è a questo punto che s’inseriscono nella conversazione altri due pezzi da novanta della musica: quel Neil Portnow, presidente dei Grammy e della National Academy of Recording Arts e quel Mike Stoller leggendario pianista autore di Stand by me e dei successi di Elvis Presley. «Michael non sbagliava un affare. Pensi che acquistava sempre i diritti delle canzoni che interpretava. Conosceva la musica come nessun altro e quando viaggiavamo insieme, e noi tre di viaggi con lui ne abbiamo fatti parecchi, era capace di cantarti per tutto il viaggio le canzoni di Aretha Franklin, tutte a memoria le sapeva». E quel modo eccezionale di muoversi, Ortega, glielo ha insegnato lei? «No. Lo stile afroamericano rivisitato lui lo portò al successo e fu una sua assoluta trovata». E Stoller prosegue il pensiero: «Senza Presley la nostra epoca sarebbe stata diversa. Senza Jackson la musica senza barriere e senza colore non sarebbe esistita».
Ortega però, tra un Jackson e l’altro, ha fatto ballare anche Barbara Streisand, «Intelligente e molto divertente», Bette Midler «Umorismo ed energia», Diana Ross, «Classe e fascino sexy», ha lanciato Zac Efron e Vanessa Hudgens. Perché il leggendario coreografo di film culto come Dirty Dancing ha un particolare talento per lo scoutismo. «Zac è un raffinato esempio di talento naturale. Quando l’ho incontrato era un ragazzino innocente eppure già molto saggio. Aveva 16 anni e ci teneva moltissimo a fare e a dare il meglio».
Da buon creativo, «oltre al movimento tecnico guardo l’atteggiamento nei confronti della danza, il delicato equilibrio tra tecnica e passione. Perciò non demonizzo i talent. Non ci sono più soldi per sostenere il nostro settore e questi show sono rimasti l’unica vetrina. E’ triste ma bisogna riconoscere che l’assenza di sostegno ci ha spinto a sostenere le scuole televisiva. Certo, dovrebbero indagare di più il processo che poi porta al risultato finale. Ma resiste un forte senso d’emulazione che fa bene». Così come lo diverte, da regista, coinvolgere gli adolescenti di tutto il mondo, per esempio in High School Musical , The Cheetah Girls 2 . «Bisogna considerare che a cambiare la mia vita fu West Side Story e non mi sono mai ricreduto. Ora mi hanno chiesto di fare un musical per la televisione italiana. L’idea non mi dispiace affatto. Ma lo vorrei fare con i ragazzi delle scuole».
http://www3.lastampa.it/spettacoli/sezioni/articolo/lstp/412124/
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