Michael Jackson Who Is It
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Nella mia stanza,nel mio cuore (completa)

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Messaggio Da marina56 Mar Ott 11, 2011 9:00 am


Capitolo 1
Come una furia, entrò in camera sua, scaraventò la borsa sul pavimento e si accasciò sulla moquette, in lacrime.

“Adesso basta…” pensava mentre singhiozzava, lasciando che il trucco colasse senza nessuna pietà sul suo viso.
Mentre si metteva le mani tra i capelli, sentì il tintinnio dei suoi bracciali ai polsi.
Se li era messi apposta, per sembrare più carina, più femminile, più alla moda, più curata.
Se li tolse con gesti rabbiosi e li tirò contro il muro; una smorfia irosa le sconvolgeva i lineamenti solitamente dolci.
Appoggiò la schiena alla porta, sfinita, e iniziò a calmarsi: le lacrime continuavano a scorrere, come per inerzia, e le sporcavano le guance, il naso, le labbra di nero.


Si era truccata, ci aveva messo più di mezz’ora ed era rimasta così contenta davanti allo specchio…
E poi le sembrava quasi di poter volare mentre camminava e lasciava che le maniche della sua camicia di seta si muovessero a seconda del vento.
I tacchi le facevano male, ma non le importava, avrebbe anche potuto correrci la maratona di New York.
Non lo vedeva da un mese, era così eccitata che alla stazione avrebbe ribaltato tutti i treni di tutte le corsie per rivederlo quanto prima.
E quando era sceso, era imbronciato, come al solito.
Chissà di che cosa si sarebbe lamentato quella volta con lei.
Gli aveva sorriso da lontano e gli era corsa incontro, gettandogli le braccia al collo. Avrebbe voluto essere un ragno per avere otto zampe e abbracciarlo meglio.
E lui l’aveva stretta a sé con un braccio solo, circondandole tutta la vita. Con l’altro teneva il proprio borsone.

“Com’è andata? Il viaggio?” gli aveva chiesto entusiasta.
“Male, non ho dormito neanche un po’…” aveva borbottato lui in risposta.
“Dormirai a casa mia! Lo sai che tra una settimana ho il saggio di danza?”
Quel saggio che aveva preparato con più entusiasmo del solito, perché stavolta qualche idea nelle coreografie ce l’aveva messa anche lei.
“Ma quando, domenica?”
“Sì!”
“Ah… io parto sabato sera, lo sai che domenica mi trovo con i ragazzi…”

L’aveva guardato un po’ delusa.
Si trovava coi ragazzi, sì.
Quelli del surf.
Quello sport che lui stava cercando di imparare da un mese e mezzo.
E nonostante tutti gli sforzi, sulla tavola non ci sapeva stare per più di un minuto, perché poi cadeva in acqua al minimo accenno di onda.

Una volta era andata a vederlo in spiaggia, mentre si allenava con gli istruttori, e aveva cercato di non ridere mentre lo vedeva capitombolare in acqua, se lo ricordava bene, perché lui, ogni singola volta, sembrava accorgersi dei suoi sorrisi sotto i baffi, e la fulminava con lo sguardo.
E mentre il vento si alzava e lei continuava a guardare e a rabbrividire, una voce a lei familiare commentava con diplomazia: “Potrebbe anche smettere di buttare via tempo e soldi in uno sport per il quale non ha talento”.
Diana annuiva impercettibilmente mentre quella voce la consolava, l’abbracciava attraverso la brezza e l’aiutava a non alzarsi e dire “Dario, vado a casa, ne ho abbastanza!”.


Andarono a casa sua per lasciare il suo borsone sul letto degli ospiti, poi lui volle uscire subito…
“Andiamo!” le disse, aprendo la porta.
“Ma…” provò a ribattere lei.
“Dài, devo vedere un attimo una cosa, a quel negozio di computer che ho visto venendo qui!”
Non aveva opposto resistenza, nonostante non le sembrasse giusto che non volesse stare da solo con lei, dopo un mese di lontananza.


Appena sentirono la porta chiudersi, tutti in casa si misero subito a spettegolare.

“Secondo me, quello una settimana qui non ce la passa…” disse una bionda platinata, mandandosi indietro con la mano un ciuffo ribelle.
“Quello chi?” chiese un uomo con gli occhiali da sole.
“Dario, Steveland, parla di Dario…” gli rispose con pazienza un uomo vestito di bianco.
“Ci scommetto anche il mio culo che quel coso se ne va entro ventiquattr’ore!” commentò convinto un altro, capelli lunghi e una faccia imbronciata.
“Chiudi quella bocca larga, Steven! Piuttosto, volete una canna, ragazzi?” chiese un ragazzo con i capelli mossi e in disordine, dall’aria addormentata.
“Robert, ti dispiace non sviare sull’argomento?” ribatté seccato un ometto basso coi baffi.
“Ragazzi, chiediamo all’oracolo, lui sicuramente sa come andrà a finire per quella povera ragazza…” s’intromise una donna dai lunghi capelli neri, che poi chiamò: “Peter Pan! Ti giri, insomma?!”
Un ragazzo si girò a guardarla con un sorriso e chiese: “Dimmi, Patricia, che c’è stavolta?”
“C’è che siamo tutti curiosi, insomma… l’hai vista Diana, hai visto com’è ridotta?”
“Sì…” rispose il ragazzo, rattristandosi di colpo. Accanto a lui, l’uomo con gli occhiali da sole chiese un po’ incerto: “Ne sai qualcosa? Intendo dire… bè… come finirà? Siamo preoccupati!”
Il ragazzo incrociò le braccia con fare pensieroso, poi rispose: “Non posso ancora dirvi nulla di certo, ragazzi… però… posso parlarci e convincerla…”
“Sì… parlaci, Michael, ti prego… non posso sopportare di vederla ancora così, gli occhi le scoloriranno se continuerà a piangere!” esclamò un uomo seduto dietro di lui, sistemandosi i pantaloni di pelle.
“Sono così incazzata con quell’essere che potrei abbatterlo con un urlo!” esclamò adirata un’altra donna dal caschetto liscio e rosso.


Da diversi minuti ormai giravano in quel negozio di accessori per PC, e lui non aveva comprato niente. Borbottava tra sé e sé, lamentandosi dell’aumento dei prezzi dei prodotti.
Diana aveva trovato qualcosa che le potesse minimamente interessare: l’avevano attirata i colori dei piccoli mouse su uno dei tanti scaffali. Ma dopo un po’ si era stancata di memorizzarne tutti i colori, i codici a barre e i prezzi, così era andata verso Dario e gli aveva chiesto: “Hai trovato niente?”
“No, questo negozio fa schifo!” aveva risposto lui, di fronte al negoziante.
La ragazza, dopo essere arrossita, aveva tirato via il fidanzato per un braccio e aveva bisbigliato: “Andiamo via…”.
Una volta fuori, si erano messi a girare il centro; i loro riflessi si trattenevano poco sulle vetrine, perché Dario non si fermava mai davanti a nessun negozio, e si trascinava dietro anche Diana, che invece avrebbe voluto almeno dare qualche occhiata veloce.
E intanto i suoi occhi verde scuro cercavano di nascondere il disagio, qualche lacrima, ma soprattutto una rabbia sconosciuta perfino a lei.


Dopo tre ore di camminate a vuoto e un mal di piedi tremendo, Diana si era seduta su una panchina del parco, cercando di sorridere ancora.

Non ce la faceva più.
Lui era così lontano, nonostante l’avesse tenuta tutto il tempo per mano.
E poi avevano un problema in sospeso.
O meglio, una decina.
Una ventina.
Un centinaio di piccoli problemi.
Piccoli mattoncini che erano andati a formare un muro tra di loro.
E Dario non aveva mai voluto demolire quel muro. Credeva che fosse fatto di polvere, che col tempo sarebbe svanito.
No, era fatto di veri e propri mattoni in terra cotta. Non era facile spazzarli via con un soffio.

“Dario” aveva detto con calma “Ti va di parlare?”
“Parlare di cosa?”

Perché doveva essere sempre così? Perché tutte le volte doveva far finta di non capire?

“Di noi, Dario, di noi…” aveva risposto lei, sospirando.
“Senti, non ricominciamo…” aveva tagliato corto lui.
“No, Dario! Senti, è da quando stiamo lontani per via dei tuoi studi che va tutto male!”
“Adesso sarebbe colpa mia?!”
“Non ho detto questo! Dico solo che dovresti venirmi di più incontro! Non ci credo che in un mese non ti sei mosso di casa per studiare!”

Ecco. Aveva parlato. Parlato come si deve. Finalmente si stava arrabbiando.

“Tu non hai idea di cosa faccio quando sono a casa, quindi vedi di stare zitta!” l’aveva minacciata lui di rimando, spaventandola. Ma aveva resistito.
“No, non lo so cosa fai! Perché d’altronde tu non ti fai sentire se non ti chiamo io! E poi che conversazioni!! La telefonata più lunga è durata cinque minuti!”
“Sei veramente una fissata, mi asfissi!”
“No, sei tu che mi fai venire l’ansia!”

Un’altra frase forte.

A Dario erano tremate le mani.

Capitolo 2


Nella casa, il ragazzo da tutti soprannominato “l’oracolo” aveva cominciato a stare male. Era pallido e avevano dovuto metterlo a letto.

“Porca di quella puttana! Ma cos’hai?!” gli aveva chiesto un vecchio, stringendogli la mano fredda.
“Sta male… Diana, Diana sta male…” aveva risposto in un rantolo il ragazzo, che intanto sudava e sudava…
“Dev’essere quell’inetto che le sta dicendo o facendo qualcosa…” intervenne una bionda longilinea dai capelli cortissimi.
“Gordon, vieni con me!” ordinò all’istante il vecchio che teneva la mano all’oracolo, fiondandosi fuori dalla casa.
Il diretto interessato sospirò e disse, mentre lo seguiva: “Tutte le volte finiamo nei casini… Keith, non siamo più ragazzini, non vorrei dovertelo ricordare tutte le sante volte!”
“Uomini!” esclamò rassegnata una donna bionda con i pattini a rotelle “Dovrei seriamente pensare di tagliare qualcuno dei loro piccoli cazzetti mosci un giorno…”
“Maddie, sii gentile, và a prendere un altro cuscino per Michael…” le chiese gentilmente un’altra donna bionda come lei, ma molto meno appariscente.



“Perché non mi chiami più?”
“Ancora insisti! Ti ho detto che non ne voglio parlare!”
“E invece ne parliamo adesso! Perché non ne posso più!!!”

Ormai avevano alzato la voce e diverse persone si erano girate a guardarli con aria perplessa.
Neanche Diana ormai cercava di trattenersi.

“Se continui così, me ne vado!”

Per un attimo, era rimasta senza fiato.

“Ah, adesso ci stai zitta, eh? Finalmente!”

Si era rimessa a sedere, con le lacrime agli occhi.

E così l’aveva anche ricattata.

Aveva strinto i pugni.

E la solita vocina, quella bellissima vocina, le aveva detto: “Diana, NO!” con tono disperato.

Aveva ragione.

Faceva male, ma doveva dire no.

“No, non ci sto zitta!” aveva esclamato, rialzandosi in piedi.
“Smetti di fare la rompicoglioni!” l’aveva insultata Dario.
“Io rompo i coglioni quanto mi pare! Ne ho abbastanza!!!”

Ed uno schiaffo era partito.
Deciso, preciso, forte.
Era caduta sull’erba.
La guancia aveva pulsato a lungo.
Ma lei non aveva neanche fatto in tempo a dire “AHI!”.

Un vecchietto si era avvicinato, con passo corto ma assai frettoloso. Era estremamente rugoso e arrabbiato. E brandiva un bastone.

“Razza di cafone! Cosa fa, cosa fa?!?!” aveva cominciato a urlare, lasciando Diana sbalordita, lì sull’erba.
Anche Dario era rimasto stupito, ma si era subito ripreso per ribattere: “Si faccia i cazzi suoi lei!!”
“Ah, pure volgare! Non provarci con me, ragazzetto! Sei grande e grosso, ma se anche un gran coglione, hai capito?! Non si toccano le ragazze, razza di stronzo! Signorina, come sta?”
Diana era rimasta con una mano sulla guancia e a bocca aperta: da dov’era spuntata fuori quella sagoma di uomo?

“E’ la mia ragazza e ci faccio quel che mi pare, si tolga di mezzo!” aveva urlato Dario, ma il vecchietto gli aveva tirato una bastonata in uno stinco ed era andato verso Diana per farla alzare.
“Vigile, vigile, carabiniere, poliziotto, sbirro, come cazzo si chiama!!!” aveva poi sbraitato, agitando per aria la sua “arma”, che stranamente non sembrava fungere anche da sostegno.
Subito era arrivato un carabiniere che stava girando in quel momento nei dintorni: un signore distinto, biondo e con due occhi di un azzurro molto chiaro, in quel momento assai duri.
Diana era convinta di aver già visto quegli occhi da qualche parte.

“Che cos’è questa confusione, insomma, siamo in pubblico!” li aveva ammoniti, ma il vecchietto aveva subito ribadito: “Questo ammasso di merda ha tirato uno schiaffo a questa signorina!”
“Lei non dica queste cose! E lei, favorisca i documenti, forza!” aveva tuonato il gendarme con un’autorità e una freddezza da fare invidia a Hitler.
Inveendo contro l’anziano soccorritore della sua ragazza, Dario aveva dato la carta d’identità al carabiniere, che aveva dato una veloce occhiata per poi annunciare: “E’ scaduta!”
“Come sarebbe a dire?!” aveva esclamato il ragazzo, spiazzato.
“Criminale!” l’aveva offeso il vecchietto, tenendo sottobraccio Diana, che si era messa una mano davanti alla bocca, un po’ per la sorpresa, un po’ perché stava iniziando a voler ridere di gusto.
“Sì sì, è scaduta, e pure da qualche mese! Senta, lei ora viene con me a rispondere a qualche domanda in centrale…”
“Questo è abuso di potere!!!”
“No, sei tu che sei un gatto attaccato ai coglioni, obbedisci, ragazzino!!!”

Il carabiniere non aveva detto nulla: si era impossessato con fermezza il braccio di Dario e lo aveva trascinato verso la sua macchina, mentre il vecchietto era rimasto con Diana.

“Tutto a posto, signorina?” le aveva chiesto.
“Credo di sì…” aveva risposto lei, cercando di sorridergli.

Quell’uomo non aveva una bella faccia, era davvero degno di tutte le sue parolacce. Ma con lei si era comportato da vero signore.

“Quel bastardo non le avrà fatto sputare qualche dente, spero!”
“No, no, non si preoccupi… sto bene…” aveva ribadito la ragazza, un po’ incerta.
“Meglio così… mi perdoni, ma io stavo andando a prendere il bus, quindi adesso devo lasciarla! Lei vada a casa e si piazzi un po’ di ghiaccio su quella guancia rossa!”

Diana, per sdebitarsi, si era proposta di accompagnare il signore alla fermata del bus più vicina tenendolo sottobraccio, per far sì che non si affaticasse troppo, ma lui aveva insistito per andarci da solo, con un sorriso da tartaruga, e l’aveva lasciata raccomandandole più volte di andare a denunciare “quello schifoso”.

E così aveva fatto, seppur con un immenso sforzo e tanta vergogna addosso, mista all’amarezza.
Poi era tornata a casa, frastornata. Ma soprattutto delusa.

Ecco cosa era successo, dopo tutto quel tempo in cui erano stati lontani, in tutti i sensi.

Un bacio solo, dato velocemente e senza passione.
Una litigata.
Uno schiaffo.
E un mattone che si aggiungeva a quell’orrendo muro che li divideva.
Stavolta era un mattone davvero grande e pesante.
Aveva voglia di piangere: si sentiva come uno scalatore ubriaco aggrappato a una corda che stava per spezzarsi, sopra un orrido buco nero di cui non riusciva a vedere il fondo.



“Dovevi proprio chiamarlo con tutti quegli epiteti?” aveva chiesto con sarcasmo Gordon, togliendosi il cappello da carabiniere.“Oh, stà zitto, gli avrei spezzato volentieri qualche costola se avessi avuto con me la mia Les Pauls!”
“Volete stare zitti, insomma!” si era intromesso l’uomo baffuto “Si sta riprendendo…”.
“Ehi, Mike… Mike, per l’amor del cielo, svegliati, ragazzo mio…” aveva implorato una donna nera e in carne, sull’orlo delle lacrime.

Il ragazzo fortunatamente si era risvegliato. Era ancora debole e sudato, ma stava meglio.

“Razza d’invertebrato! Ci farai prendere un colpo a tutti quanti!” lo aveva rimproverato scherzoso l’uomo capellone e dalla bocca larga.
“Che battuta del cazzo, Steven!” lo aveva ripreso un ragazzo dai capelli lunghi e mossi, lanciandogli uno sguardo fulminante.
“Vuole dire qualcosa…” aveva detto la donna bionda e premurosa che si era presa cura di lui insieme alle altre.
Il ragazzo si era alzato lentamente a sedere e aveva detto a bassa voce: “Credo che stia tornando a casa…”
“Dannazione! Dobbiamo muoverci! Tutti al loro posto!” aveva ordinato agitata la ragazza dai capelli platinati.

Tutti le avevano obbedito, eccetto Gordon e Keith, che si erano messi ad aiutare “l’oracolo” ad alzarsi.

“Ci avete messo lo zampino voi?” aveva chiesto con un sorriso il ragazzo.
“Puoi dirlo forte! Gordon è stato forte! Dopo ti spiego…” aveva risposto Keith con un ghigno soddisfatto.
“E lui è stato sboccato come al solito…” aveva ribattuto Gordon sospirando.



Era rientrata in casa. Avevano fatto appena in tempo a nascondersi, poco prima che lei entrasse.


Prese un fazzoletto dal comodino per pulire il viso da quello scempio liquido e nero che lei stessa aveva causato, e stette con la testa bassa, lo sguardo fisso e vuoto sulla moquette.

Cazzo se faceva male.

Si rannicchiò su se stessa, cercando di calmare la testa, il cuore, il tremolio del suo corpo.
E la solita vocina rassicurante tornò a parlarle…

“Fai la cosa giusta…” la incitò dolcemente.

Diana stavolta la sentiva davvero vicina, non era più solo un sussurro.

Alzò lo sguardo, il suo viso venne lievemente illuminato dalla luce arancione che filtrava attraverso la sua persiana abbassata per metà; osservò la sua stanza, piena di poster, vecchi giocattoli, cari ricordi… tutti un po’ in penombra a causa della poca luce, il che donava loro un senso di antichità.
Poi girò la testa verso il suo letto e il suo sguardo fu catturato dal suo paio di All Star verdi; le aveva lasciate lì per mettersi i tacchi.

Accanto a loro c’erano altre scarpe.

Diana aggrottò le sopracciglia e guardò meglio, senza muoversi.
Non erano scarpe sue. Erano mocassini neri.
Lei non portava i mocassini.
Sopra questi ultimi, qualcosa che forse poteva assomigliare ad un paio di calzini.
Ma Diana non aveva mai visto dei calzini pieni di paillettes.
Non addosso alla gente “normale”, almeno.

Alzò lo sguardo…

Un paio di gambe.

Due mani sopra le ginocchia.

Un paio di pantaloni neri, a sigaretta.

Un cappello copriva un viso.

Un viso da cui si stava sentendo osservata.

Ma non era sicura di sapere chi era, lo vedeva in controluce.

O meglio, sapeva chi era, ma non voleva crederci, semplicemente.
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Nella mia stanza,nel mio cuore (completa) Empty Re: Nella mia stanza,nel mio cuore (completa)

Messaggio Da marina56 Mar Ott 11, 2011 9:01 am

Capitolo 3

La figura si alzò e fece due o tre passi prima di accucciarsi davanti a lei.

Diana lo guardò stupefatta, il viso macchiato e le lacrime seccate sulle guance.

Quando fu all’altezza del suo volto, allungò piano le braccia per togliergli quel cappello.

E inspirò rumorosamente, con il cuore che le batteva a mille.

Ma sorrideva, col cappello tra le mani.

Si voltò un attimo, dando uno sguardo al poster sulla sua porta.

Era bianco.

C’era solo la solita scritta in alto, rossa e graffiante: “Michael Jackson- BAD”.

Ma non c’era il soggetto.

Tornò a guardare il ragazzo, gli ridiede il cappello e si stropicciò gli occhi per essere sicura che lui fosse davanti a lei.

Era stupita, meravigliata, e nel contempo… se lo aspettava.

Ci aveva sempre sperato.

E forse lo aveva sempre saputo.

“Come stai, Diana?” le chiese Michael, poggiando una mano sul suo ginocchio.
“Male, Michael, male…” rispose in un sussurro la ragazza, guardandolo. Il sole la colpiva negli occhi e glieli rendeva più chiari, pieni di pagliuzze dorate.
Il ragazzo si sedette accanto a lei, appoggiato alla porta, e appoggiò la testa sulla sua spalla, dicendo: “Devi fare la cosa giusta… non può trattarti così…”
Diana sospirò, lasciando cadere altre lacrime in silenzio, e disse: “E’ che fa male…”
“Lo so che fa male…” iniziò a ribattere Michael, prima che un’altra voce lo sovrastasse esclamando: “Tesoro, ti assicuro che non c’è nessuno che lo sappia meglio di lui, quanto fa male!”

Diana volse lo sguardo davanti a sé e sorrise: Gloria Gaynor la stava guardando seria con le braccia incrociate sul petto.

“Non puoi neanche minimamente immaginare quanto ho pregato perché smettesse di soffrire come un cane, mentre quell’infame e tu stavate litigando!” aggiunse, avvicinandosi a Michael per accarezzargli la testa.
“Cosa?” chiese la ragazza sorpresa, alzandosi.
“Hai sentito bene, gioia!” affermò Cindy Lauper, seduta a gambe incrociate sul suo letto , proprio sotto il proprio manifesto, in cui però era ritratta solo una finestra semiaperta, in quel momento. “Qui tutti sapevano tutto!” ribadì la cantante.
“Tutti… tutti chi?” chiese Diana, ancora più confusa.
“Ve l’avevo detto che sarebbe stato meglio non apparire in questo modo, ma voi non mi date mai retta, siete così imprudenti a volte…” protestò debolmente una voce di donna accanto a lei.
“Linda, non fare la guastafeste, non vedi che si sta divertendo?”
“Ma Paul, guardala! È pallida!”

La ragazza accese la luce per vedere meglio.

CLICK.

Nella stanza c’erano almeno una ventina di persone.

E per ultimi avevano parlato Paul e Linda McCartney. Lei stava giusto guardando male lui a causa del piccolo battibecco in corso.

Diana lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, senza parole.

“Eddai, stupido affare del cazzo, accenditi!” borbottò Bob Dylan, impegnato ad accendersi uno spinello in un angolo. Quando si voltò, salutò con un cenno della testa Diana e disse: “Dici che siamo troppi?”
“Non fumarle in faccia, Bob! E tu, signorina, bevi, ti farà bene…” disse Madonna, arrivandole alle spalle sui pattini; Diana prese il bicchiere di acqua e zucchero che la bionda le aveva allungato e bevve, guardandosi intorno come se fosse ipnotizzata.
David Bowie le mise un braccio intorno alle spalle e le disse, guardandola negli occhi: “Credo che tu abbia bisogno di qualche spiegazione, cara…”
“Sì… lo penso anch’io…” ribadì lei, ferma col bicchiere in mano, quasi ipnotizzata da quello sguardo magico.
“Bene, ma non si ragiona a stomaco vuoto! E’ ora di cena, andiamo, preparo io!” s’intromise Freddie Mercury in tutta la sua bassezza, pizzicando la guancia di Diana quando le passò davanti per raggiungere la cucina.

Quando raggiunse la stanza, spalancò la bocca davanti a una scena che aveva davvero dell’incredibile: Jo delle Scarlet, Steven Tyler e Patti Smith stavano selezionando, tagliuzzando e lanciando fuori dalla finestra i vestiti presi dal borsone di Dario.
“Ma…!” balbettò, prima di mettersi le mani tra i capelli.
“Cazzo! Steven, Steven, fermati!” esclamò Jo, calciando lontano la borsa, con disappunto di Patti.
La ragazza corse alla finestra e guardò giù: quasi tutta la borsa era stata svuotata, dal momento che almeno una cinquantina di vestiti giacevano nell’atrio del suo condominio, sotto la sua finestra al terzo piano.
Si girò a guardare i tre “colpevoli” ed esclamò: “Ma voi…!”
“Bè, tanto prima o poi l’avresti fatto tu al posto nostro… abbiamo voluto anticiparti!” si giustificò subito Patti, usando le forbici per spuntarsi la frangia.
Diana si appoggiò al tavolo e iniziò a ridere, lasciando che Annie Lenox l’abbracciasse mentre annunciava: “E’ ufficiale: è tra noi”.

“John, cucino io il risotto!”
“Farrokh, tu non sai cucinare un risotto…”
“Togliti dai fornelli, mi deconcentri!”
“Farrokh, ascolta, si sta…”
“Ho detto che lo so fare!!!... cos’è questo sfrigolio?”
“Il risotto!!!”

Diana s’intromise rapidamente tra John Lennon e Freddie Mercury per impedire che il riso strabordasse del tutto sui fornelli con la sua salsa.

“Ho capito, stasera grande cena a base di sandwich…” commentò Sting, alzando gli occhi al cielo.
“Sono perfettamente d’accordo, vecchio mio” lo appoggiò Paul McCartney.
“Andiamo, Luisa, o qui mangeremo alle tre di notte!” disse Gloria, seguita ai fornelli da Madonna.


Mezz’ora dopo, stavano tutti mangiando pane e Nutella; la finestra era rimasta aperta a causa del fumo che aveva invaso tutta la stanza, dopo che in quattro si erano avventati sui fornelli, come se dovessero dichiarare loro guerra.

“Non ho capito bene…” disse Diana, rivolta a David “Voi state male quando io sto male?”
“Esattamente, cara…” rispose lui, con un sorriso e un gesto plateale della mano “Vedi che hai capito?”
“Sì, ma… perché?”
“Ma, Miss Diana, è così ovvio… noi siamo parte di lei! Lei è cresciuta con noi, con le nostre immagini, le nostre canzoni… siamo tra i suoi pensieri più frequenti!” disse Stevie Wonder, cercando con la mano il barattolo di Nutella, che Linda gli porse prontamente.
“Siamo sempre stati con te, ti abbiamo sempre seguito, abbiamo visto le tue esperienze…” aggiunse Annie, reggendosi la testa con una mano.
“Tutte… ma proprio tutte?” chiese Diana, arrossendo violentemente.
“Sì, zuccherino, non fare altre domande!” la avvertì Michael Hutchence con un sorriso malizioso.
“Già, non fare altre domande, o potrebbe morire facendosi un’altra sega!” lo apostrofò acidamente Keith Richards, subito messo a tacere da un’occhiataccia di Madonna.
“Stavamo dicendo” continuò David Bowie, battendo una mano sul tavolo “che ci abbiamo messo un po’ per deciderci… non è cosa comune, del resto, apparire davanti alle persone così, senza avvertire, soprattutto senza far sì che il diretto interessato si metta a sbraitare per poi fare la figura dell’allocco, visto che solo chi ci ama ci può vedere! Ma poi abbiamo finalmente fatto una scelta e… ora siamo qui, come vedi!”
“Non potevamo stare indifferenti davanti allo schifo che Dario ti sta facendo passare!” replicò Joe, scuotendo la testa rossa.
“Ma…” chiese ancora Diana, guardando prima Keith, poi Sting “Allora quando ero con lui nel parco… siete stati voi a…?”
“Giusto, piccola, proprio noi!” le rispose il chitarrista dei Rolling Stones con un sorriso trionfante.
“E probabilmente siamo stati anche troppo buoni… ma l’importante è che adesso sia a casa con una multa salata e una denuncia!” aggiunse Sting prima di pulirsi la bocca sporca di cioccolato con un tovagliolo.

Diana rise, poggiando i gomiti sul tavolo, e disse mentre scuoteva la testa: “Non ci posso credere…”
“Datti un pizzicotto!” le suggerì scherzosamente Cindy, mordendo una fetta di pane strapiena di cioccolato.
“Ma voi… voi state qui solo per stanotte?” chiese la ragazza con l’ansia nella voce, intuendo la risposta.
“Bè, vedi, non possiamo permetterci una trasgressione del genere troppo spesso…” le rispose Patti con uno sguardo dispiaciuto “Siamo venuti in tuo soccorso per esasperazione: tu stavi male, noi anche, perciò abbiamo deciso di aiutarti… ma non possiamo prenderla come un’abitudine…”
“Piccola, questi sono sogni a cui non ci si può affezionare troppo, perché altrimenti perdono il loro valore…” le disse Hutchence, accarezzandole una guancia.
Diana restò in silenzio, triste come poche volte, e diede un minuscolo morso alla sua fetta di pane e Nutella.

“Miss Diana?” la chiamò Stevie, confuso “Non la sento… perché non parla?”
“E’ che… non voglio che ve ne andiate… però so che…” rispose lei, interrompendosi per un nodo in gola improvviso e prepotente.

Michael e Linda la abbracciarono con calore e con delle facce tremendamente avvilite, tra i sospiri tristi di tutti.
“Quando vuoi, però, ci saremo!” si affrettò a dire Freddie, alzandosi in piedi “Accendi lo stereo e noi siamo lì…”
“Ha ragione Farrokh, Diana…” si unì John, sorridendole dolcemente insieme a Madonna.
“Considera il lato positivo di tutto questo: adesso quel demente se ne sta al fresco e sai cosa fare, no? Facile!” le disse Bob, finendo di fumarsi una sigaretta.
“E ti ricorderai di come glielo abbiamo messo nel culo io e Gordon!” aggiunse Keith, sghignazzando insieme a Sting.
“Siamo solo personaggi della tua mente che favoleggia su di noi, tesoro, ma in questo modo saremo sempre tuoi, in un certo senso…” la consolò David, mentre Steven le scompigliava i capelli con fare paterno.

“Ragazzi… non per fare la rompiscatole, ma comincia a essere tardi…” li avvertì con tono serio Cindy.
“Oh, così presto?” si lamentò Joe.
“Oh, bè…” sospirò Stevie “Tanto vale tornare al nostro ruolo allora.. chi mi guida, per cortesia?”
“Vieni, Stevie, ti aiuto io!” si offrì Paul, prendendolo sottobraccio con gentilezza.


Si ritrovò ad essere abbracciata da tutti quanti, con un calore indescrivibile, quel calore che da tempo le mancava, un calore che Dario non era mai stato in grado di darle.


“Ti autorizzo a fondere il mio ultimo disco quando sei triste, ok, dolcezza? Non voglio mai più vederti così sciupata!” le disse amorevolmente Annie, staccandosi dal suo abbraccio.


“E stai senza ragazzi per un po’… noi donne stiamo bene anche con noi stesse!” le consigliò Madonna.


“Miss Diana…” la chiamò garbatamente Stevie, tirandola piano per una manica; lei si voltò, prendendogli la mano, e lui disse: “Quando troverà l’uomo giusto per lei e se lo sposerà, posso fare parte della sua colonna sonora al matrimonio?”
“Più che volentieri, Mister Wonder… ci sarà spazio per tutti voi…” rispose lei, commossa, mentre si lasciava abbracciare da quell’omone dalle mani grandi e cicciottelle.


"E io posso infilarmi nel letto durante la prima notte di nozze?” chiese maliziosamente Hutchence, circondandole la vita con un braccio, ma subito fu apostrofato da Steven, che disse: “Romantico come al solito! Diana, tanto sano sesso e tanto amore, ecco le regole d’oro! Non dimenticarlo!” per poi abbracciarla con una risata.


“E tanta musica. È quello il tuo motore, Diana… ricordatelo sempre, te lo dice una vecchia signora… oh, santo cielo, non guardarmi così…” aggiunse Gloria con le lacrime agli occhi, le stesse che aveva Diana.


“E quando devi prendere a calci in culo qualche pezzo di merda, bè… prendi esempio da noi…” le disse Keith con un sorriso, spalleggiato da Sting.


Abbracciò anche Freddie, che la strinse forte a sé prima di dirle, con voce rotta dall’emozione: “Lo show deve andare avanti, anche per te… quindi, mi raccomando… niente lacrime… altrimenti il trucco cola… e diventerai un mostro in scena… ci rivedremo presto…”.


“Diana… quando non ce la fai più… chiama pure me o Paul… magari non arriveremo subito, però in qualche modo ti aiuteremo…” le disse Linda con un sorriso dolce e tante carezze sul suo volto ormai bagnato dalle lacrime, sue e di tutte quelle bellissime persone.


“Ti auguro… tanti sogni, piccola fata… e che diventino la tua realtà, quella che amerai…” le disse David Bowie, solennemente e col sorriso sulle labbra, mentre Diana gli stringeva forte le mani.


“Diana…” la chiamò Bob “Tu fumi?”
“No, Bob…” gli rispose lei, sorridendo.
“Oh bè, fa lo stesso…” ribatté lui, tirando fuori dalla tasca un lungo spinello e porgendoglielo “Questo è un presente, da parte mia. So che forse non lo userai mai, ma… bè, è più efficace delle mie parole. E poi, chissà, magari durante un trip ci vediamo e facciamo due chiacchiere…”.
Lo ringraziò ridendo e gli gettò le braccia al collo, ricevendo in cambio una specie di grugnito e una timida stretta intorno alla vita.


“Ragazza mia, niente scherzi d’ora in poi, ok? Occhi aperti, unghie affilate e mente aperta!” le ordinò Patti puntandole un indice sul naso con fare affettuoso.
“E anche qualche calcio nelle parti basse, quando serve…” suggerì con un sorriso Joe.
“Ma soprattutto, divertiti di più… siamo nate per questo!” concluse Cindy, dandole una pacca sul sedere.


“E quando non avrai nessuno con cui parlare… raggiungimi, ok?” la rassicurò John prima di baciarla sulla fronte, poco prima che Paul le dicesse: “Ricordati che siamo i tuoi più vecchi amici!”

… Già…

… I suoi più vecchi e sinceri amici…



Li vide defilarsi lentamente nella sua stanza, ancora una volta nel buio, e restò sola.
Solo allora si accorse che Michael non l’aveva salutata!
Guardò rattristata la tavola ancora apparecchiata e sporca di briciole e Nutella, e si accasciò sulla sedia.
“Michael...” pensò, iniziando a piangere in silenzio e a sentire il freddo che arrivava alle sue spalle, dalla finestra aperta.


D’un tratto, un tepore familiare le circondò le spalle.
Si ritrovò avvolta in una giacca di palle nera.
Le bastò girare la testa alla sua sinistra per scorgere Michael accanto a lei, sotto la luce della luna.

“Michael…” ripeté, stavolta a voce alta, asciugandosi una lacrima.
“Come stai, Diana?” le chiese lui, asciugandogliene un’altra.

La stessa domanda.

Una risposta diversa.

“Bene. Sono felice.”

Michael sorrise.

Quel sorriso glielo aveva visto più volte, guardando e riguardando il video di “Black or white”.

“Devi andare via anche tu?” chiese Diana, stringendosi nella giacca per avere più calore.
Il ragazzo annuì con un sorriso triste.
“Allora…” disse la ragazza “Voglio sapere una cosa… perché sei stato male oggi? Perché sei quasi svenuto? Gloria e Linda mi hanno detto tutto…”
Michael le prese una mano in silenzio e le chiese: “Diana, ti ricordi quando ci siamo visti la prima volta?”
La ragazza annuì… e come poteva aver dimenticato?


Aveva appena otto anni e aveva visto per la prima volta “Black or white”.
Quel pomeriggio, la mamma l’aveva messa a letto per il riposino pomeridiano e lei aveva sognato quello che allora aveva definito nella sua testolina “un principe ballerino”.
Lui era sceso appositamente per lei dalla Statua della Libertà e le aveva promesso che sarebbe stato un suo grande amico, per sempre.

E lei, così bambina, così innamorata, aveva annuito con le guance in fiamme e gli occhi che le brillavano.

Lui era stato il primo per lei.

Un sogno aveva significato tutto il suo mondo, tutto il suo affetto.

Dopo, ci aveva messo secoli per innamorarsi di nuovo, per accettare la realtà.

Lo sognava sempre, e lui ogni volta era sempre più bello e la portava ovunque lei desiderasse: in cima al mondo a bordo di una nuvola, sotto il mare a cavallo dei delfini, tra le fronde di alberi altissimi insieme alle scimmie…
Poi era cresciuta, aveva conosciuto i primi ragazzini, aveva visto altri video musicali, comprato altri dischi… e non lo aveva più incontrato in sogno.
Ma lo aveva sempre conservato in un piccolo cassetto della sua testa, gelosamente e con costante affetto.


“Non ho dimenticato quella promessa, sai?” le disse serio.
“Ah, no?” chiese Diana, un po’ incredula, un po’ scettica, un po’ emozionata.
“Ho visto come conservi i nostri ricordi, Diana. E ho sempre cercato di starti vicino. Ecco perché tra tutti sono stato io quello che ha sofferto di più…”
Sorrise rincuorata: era felice di non dovergli spiegazioni imbarazzanti, lui aveva sempre capito, saputo, intuito. E aveva accettato di essere il suo sogno più grande.

“Vorresti dire che… ci sei sempre stato anche tu?” chiese la ragazza, tirando su col naso.
Michael annuì, dicendo: “Non ho perso un momento”.
“E quando…” chiese ancora lei “… Quando sentivo quella voce nella mia testa… eri tu?”
“Sì. Sempre io”.
Diana si mise una mano davanti alla bocca, stringendo con l’altra quella di Michael. A entrambi stava venendo da piangere.

“Michael, te ne devi proprio andare?” chiese con voce rotta da quel maledetto nodo in gola.
“Diana, io devo andarmene se voglio rimanere quello di sempre dentro di te!”
“Ma io ho bisogno che tu sia qui!” protestò lei con un singhiozzo.

Michael la tirò a sé e la strinse forte, e fu allora che entrambi si lasciarono andare a un pianto doloroso.

“Non mi perderò neanche un momento della tua vita, se me lo permetterai…” le disse lui, accarezzandole la testa.
Diana annuì con convinzione, singhiozzando, e si sforzò per dire: “Anche se ora te ne vai, non sparire mai!! Mai, hai capito?!”
“Ci sarò sempre, amica mia, sempre…” ribadì Michael, lasciando che le sue lacrime finissero tra i capelli scuri di lei.

Non ebbero la forza di dirsi altro.

Non ce n’era bisogno.

Piansero a lungo.

E piano piano, lei si addormentò sopra la sua spalla, stringendolo e godendo del calore che si stavano scambiando…
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Messaggio Da marina56 Mar Ott 11, 2011 9:02 am

Capitolo 4


Si svegliò tardi, molto tardi.
Aprì gli occhi e subito li richiuse, infastidita dalla luce del sole alto.
Aveva lasciato la persiana abbassata per metà, ecco il perché di quel risveglio fin troppo luminoso.

Si guardò intorno confusa.
I poster erano tutti al loro posto.
Tutti i soggetti anche.

Si alzò e, trascinando i pedi fino alla porta della sua stanza, vi sbirciò dietro.
Il poster a grandezza naturale di Michael Jackson era dove era sempre stato.
E Michael era immobile, munito di giacca di pelle e sguardo serio, come al solito.

“Che sogno…” sospirò con un sorriso.

Di colpo, una scampanellata inconfondibile.

“Arrivo… arrivo, mamma, cavolo, eccomi!” esclamò camminando stancamente verso la porta di casa sua, stropicciandosi con forza gli occhi.
Aprì il portone e subito sua madre le disse: “Buongiorno! Ma bene, è mezzogiorno passato e ti trovo ancora in pigiama!”
“Mamma, è domenica…” si giustificò Diana prima di sbadigliare, spostandosi per lasciarla entrare.
“Sì, ma quando si hanno una casa e 22 anni, non si poltrisce così! Sono venuta a prenderti i panni, hai qualcosa da lavare?”
“Sì, è tutto nel bagno, ora vado a vedere… Porca di quella miseria, io vorrei sapere quando me la riparano, questa maledetta lavatrice…”.
Mentre stava andando in bagno per raggruppare i propri panni sporchi, la mamma si diresse verso la cucina e cacciò un urlo tremendo che la fece sobbalzare.

“DIANA! SUBITO QUI!” le ordinò, categorica come Mussolini.

La ragazza si affrettò a raggiungere quel gendarme che aveva come madre e quando vide le condizioni della sua cucina, spalancò gli occhi, facendosi venire la pelle d’oca.

“Spiegami cos’è tutta questa Nutella lasciata in giro! Guarda in che condizioni è il tavolo!!! E tutte le briciole sul pavimento, guarda che macello!!!”

La ragazza neanche sentiva i rimproveri isterici della madre.
“Era tutto vero” continuava a ripetersi, sentendo il cuore accelerare i battiti.

Si passò le mani tra i capelli con un sorriso gioioso sulla faccia.

“Si può sapere cos’hai da ridere con tutto questo bordello davanti?!” l’apostrofò la madre.
“Niente, mamma, niente…” le rispose Diana, andando a piedi nudi verso il tavolo e toccando quelle macchie di Nutella come se fossero oro.
“E che cos’è questo?!” gracchiò ancora una volta la signora.

La figlia si voltò spazientita verso di lei, che era alla finestra, e la vide con uno spinello in mano.

“Bob!” esclamò la ragazza, al colmo della felicità.
“Chi?!” chiese sua madre, tenendo tra le dita quella canna con un’ espressione disgustata.
“No, mamma, lascia perdere, dammi qua, questo non è mio!” le disse subito Diana, strappandole la sigaretta dalle mani.
“Ah, guarda che se fumi me ne accorgo, non sono mica nata ieri!” borbottò la donna, andando a prendere la scopa nello sgabuzzino.

Diana continuò a fissare incantata la sua cucina, così meravigliosamente in disordine.
Adorava sentire le briciole di pane pungerle leggermente i piedi.
Il suo sguardo fu poi catturato da qualcosa che era attaccato al frigo.

Un foglietto, attaccato con lo scotch.
Lo staccò delicatamente e notò che era macchiato di cioccolata.

In our darkest hour
In my deepest despair
Will you still care?
Will you be there?
In my trials
And my tribulations
Through our doubts
And frustrations
In my violence
In my turbulence
Through my fear
And my confessions
In my anguish and my pain
Through my joy and my sorrow
In the promise of another tomorrow
I’ll never let you part
For you’re always in my heart.

Michael

Diana si appoggiò contro il frigo, con il foglio sul cuore, sentendolo mentre batteva a più non posso, quasi volesse esplodere.

“Ci sarò sempre” si sentì dire da una vocina convinta, che le infondeva sicurezza.
Sospirò, ricacciando le lacrime indietro, giù per la gola, e corse a nascondere il foglio e lo spinello in camera sua.


“Diana, voglio spiegazioni anche su un’altra cosa…” le disse con tono severo sua madre, sulla soglia della porta.
“Cosa, mà?” domandò la ragazza con aria trasognata.
“Ieri ho chiamato la madre di Dario. Piangeva. Mi ha detto che le dispiace tantissimo avere un figlio così idiota da prenderti a schiaffi per poi finire dai carabinieri… cos’è successo, perché non me lo hai detto subito?”

Diana si fece seria.

Già, Dario.

I suoi vestiti sparsi per l’atrio del condominio.
Chissà quanti curiosi avrebbero indagato, inventato indiscrezioni.
Senza immaginare neanche lontanamente la realtà.

Sorrise e disse: “Hai ragione, mà… Ieri ho lasciato Dario. Non ne potevo più. Mi ha tirato uno schiaffo mentre litigavamo e… dei signori lo hanno fatto smettere... Poi, sono tornata a casa per piangere e alcuni miei amici sono venuti subito a consolarmi. E mi hanno consigliato di denunciarlo per quello schiaffo, sai?”.
“E l’hai querelato subito?” chiese la mamma.
“Sì, certo”.
La donna addolcì la sua espressione e abbracciò la figlia, dicendole: “La mia bambina… hai fatto la cosa giusta. Non avevo idea di quanto fosse stronzo quel ragazzo… perdonami se non me ne sono mai accorta… non ho potuto aiutarti…”
“Non preoccuparti, mà… ce l’ho fatta da sola. E poi i miei amici sono stati così carini con me, sai? Abbiamo festeggiato fino a tardi…”
“Addirittura festeggiato?” chiese piacevolmente stupita la signora, accarezzando i capelli di Diana, che rispose con un sorriso: “Sì, era proprio il caso… adesso sto proprio bene… mi sento meno sola…”
“Non fatico a crederti, tesoro mio… e poi come fai a sentirti sola con tutti questi occhi stampati che ti guardano dalla mattina alla sera in camera tua?” domandò ironica la signora, staccandosi dall’abbraccio della figlia.

Diana non disse niente.

Semplicemente si guardò intorno e sorrise di cuore.

Poi sentì il sole riscaldarle i piedi nudi attraverso la finestra.

E quel calore le arrivò fino ai capelli, scaldandole ogni angolo dell’anima.

Erano i suoi raggi di sole.

Ognuno di loro la illuminava, la scaldava, la guidava.

Avrebbero continuato a farlo per tutta la vita.
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