La Locandiera
Pagina 1 di 1
La Locandiera
La Locandiera
di Carlo Goldoni
PERSONAGGI
Il Cavaliere di Ripafratta
Il Marchese di Forlipopoli
Il Conte d'Albafiorita
Mirandolina, locandiera
Ortensia comica
Dejanira comica
Fabrizio, cameriere di locanda
Servitore, del Cavaliere
Servitore, del Conte
La scena si rappresenta in Firenze, nella locanda di Mirandolina.
L'autore a chi legge
Fra tutte le Commedie da me sinora composte, starei per dire essere questa la più morale, la
più utile, la più istruttiva. Sembrerà ciò essere un paradosso a chi soltanto vorrà fermarsi a
considerare il carattere della Locandiera, e dirà anzi non aver io dipinto altrove una donna più
lusinghiera, più pericolosa di questa. Ma chi rifletterà al carattere e agli avvenimenti del Cavaliere,
troverà un esempio vivissimo della presunzione avvilita, ed una scuola che insegna a fuggire i
pericoli, per non soccombere alle cadute.
Mirandolina fa altrui vedere come s'innamorano gli uomini. Principia a entrar in grazia del
disprezzator delle donne, secondandolo nel modo suo di pensare, lodandolo in quelle cose che lo
compiacciono, ed eccitandolo perfino a biasimare le donne istesse. Superata con ciò l'avversione
che aveva il Cavaliere per essa, principia a usargli delle attenzioni, gli fa delle finezze studiate,
mostrandosi lontana dal volerlo obbligare alla gratitudine. Lo visita, lo serve in tavola, gli parla con
umiltà e con rispetto, e in lui vedendo scemare la ruvidezza, in lei s'aumenta l'ardire. Dice delle
tronche parole, avanza degli sguardi, e senza ch'ei se ne avveda, gli dà delle ferite mortali. Il
pover'uomo conosce il pericolo, e lo vorrebbe fuggire, ma la femmina accorta con due lagrimette
l'arresta, e con uno svenimento l'atterra, lo precipita, l'avvilisce. Pare impossibile, che in poche ore
un uomo possa innamorarsi a tal segno: un uomo, aggiungasi, disprezzator delle donne, che mai ha
seco loro trattato; ma appunto per questo più facilmente egli cade, perché sprezzandole senza
conoscerle, e non sapendo quali sieno le arti loro, e dove fondino la speranza de' loro trionfi, ha
creduto che bastar gli dovesse a difendersi la sua avversione, ed ha offerto il petto ignudo ai colpi
dell'inimico.
Io medesimo diffidava quasi a principio di vederlo innamorato ragionevolmente sul fine
della Commedia, e pure, condotto dalla natura, di passo in passo, come nella Commedia si vede, mi
è riuscito di darlo vinto alla fine dell'Atto secondo.
Io non sapeva quasi cosa mi fare nel terzo, ma venutomi in mente, che sogliono coteste
lusinghiere donne, quando vedono ne' loro lacci gli amanti, aspramente trattarli, ho voluto dar un
esempio di questa barbara crudeltà, di questo ingiurioso disprezzo con cui si burlano dei miserabili
che hanno vinti, per mettere in orrore la schiavitù che si procurano gli sciagurati, e rendere odioso il
carattere delle incantatrici Sirene. La Scena dello stirare allora quando la Locandiera si burla del
Cavaliere che languisce, non muove gli animi a sdegno contro colei, che dopo averlo innamorato
l'insulta? Oh bello specchio agli occhi della gioventù! Dio volesse che io medesimo cotale specchio
avessi avuto per tempo, che non avrei veduto ridere del mio pianto qualche barbara Locandiera. Oh
di quante Scene mi hanno provveduto le mie vicende medesime!... Ma non è il luogo questo né di
vantarmi delle mie follie, né di pentirmi delle mie debolezze. Bastami che alcun mi sia grato della
lezione che gli offerisco. Le donne che oneste sono, giubileranno anch'esse che si smentiscano
codeste simulatrici, che disonorano il loro sesso, ed esse femmine lusinghiere arrossiranno in
guardarmi, e non importa che mi dicano nell'incontrarmi: che tu sia maledetto!
Deggio avvisarvi, Lettor carissimo, di una picciola mutazione, che alla presente Commedia
ho fatto. Fabrizio, il cameriere della Locanda, parlava in veneziano, quando si recitò la prima volta;
l'ho fatto allora per comodo del personaggio, solito a favellar da Brighella; ove l'ho convertito in
toscano, sendo disdicevole cosa introdurre senza necessità in una Commedia un linguaggio
straniero. Ciò ho voluto avvertire, perché non so come la stamperà il Bettinelli; può essere ch'ei si
serva di questo mio originale, e Dio lo voglia, perché almeno sarà a dover penneggiato. Ma lo
scrupolo ch'ei si è fatto di stampare le cose mie come io le ho abbozzate, lo farà trascurare anche
questa comodità.
di Carlo Goldoni
PERSONAGGI
Il Cavaliere di Ripafratta
Il Marchese di Forlipopoli
Il Conte d'Albafiorita
Mirandolina, locandiera
Ortensia comica
Dejanira comica
Fabrizio, cameriere di locanda
Servitore, del Cavaliere
Servitore, del Conte
La scena si rappresenta in Firenze, nella locanda di Mirandolina.
L'autore a chi legge
Fra tutte le Commedie da me sinora composte, starei per dire essere questa la più morale, la
più utile, la più istruttiva. Sembrerà ciò essere un paradosso a chi soltanto vorrà fermarsi a
considerare il carattere della Locandiera, e dirà anzi non aver io dipinto altrove una donna più
lusinghiera, più pericolosa di questa. Ma chi rifletterà al carattere e agli avvenimenti del Cavaliere,
troverà un esempio vivissimo della presunzione avvilita, ed una scuola che insegna a fuggire i
pericoli, per non soccombere alle cadute.
Mirandolina fa altrui vedere come s'innamorano gli uomini. Principia a entrar in grazia del
disprezzator delle donne, secondandolo nel modo suo di pensare, lodandolo in quelle cose che lo
compiacciono, ed eccitandolo perfino a biasimare le donne istesse. Superata con ciò l'avversione
che aveva il Cavaliere per essa, principia a usargli delle attenzioni, gli fa delle finezze studiate,
mostrandosi lontana dal volerlo obbligare alla gratitudine. Lo visita, lo serve in tavola, gli parla con
umiltà e con rispetto, e in lui vedendo scemare la ruvidezza, in lei s'aumenta l'ardire. Dice delle
tronche parole, avanza degli sguardi, e senza ch'ei se ne avveda, gli dà delle ferite mortali. Il
pover'uomo conosce il pericolo, e lo vorrebbe fuggire, ma la femmina accorta con due lagrimette
l'arresta, e con uno svenimento l'atterra, lo precipita, l'avvilisce. Pare impossibile, che in poche ore
un uomo possa innamorarsi a tal segno: un uomo, aggiungasi, disprezzator delle donne, che mai ha
seco loro trattato; ma appunto per questo più facilmente egli cade, perché sprezzandole senza
conoscerle, e non sapendo quali sieno le arti loro, e dove fondino la speranza de' loro trionfi, ha
creduto che bastar gli dovesse a difendersi la sua avversione, ed ha offerto il petto ignudo ai colpi
dell'inimico.
Io medesimo diffidava quasi a principio di vederlo innamorato ragionevolmente sul fine
della Commedia, e pure, condotto dalla natura, di passo in passo, come nella Commedia si vede, mi
è riuscito di darlo vinto alla fine dell'Atto secondo.
Io non sapeva quasi cosa mi fare nel terzo, ma venutomi in mente, che sogliono coteste
lusinghiere donne, quando vedono ne' loro lacci gli amanti, aspramente trattarli, ho voluto dar un
esempio di questa barbara crudeltà, di questo ingiurioso disprezzo con cui si burlano dei miserabili
che hanno vinti, per mettere in orrore la schiavitù che si procurano gli sciagurati, e rendere odioso il
carattere delle incantatrici Sirene. La Scena dello stirare allora quando la Locandiera si burla del
Cavaliere che languisce, non muove gli animi a sdegno contro colei, che dopo averlo innamorato
l'insulta? Oh bello specchio agli occhi della gioventù! Dio volesse che io medesimo cotale specchio
avessi avuto per tempo, che non avrei veduto ridere del mio pianto qualche barbara Locandiera. Oh
di quante Scene mi hanno provveduto le mie vicende medesime!... Ma non è il luogo questo né di
vantarmi delle mie follie, né di pentirmi delle mie debolezze. Bastami che alcun mi sia grato della
lezione che gli offerisco. Le donne che oneste sono, giubileranno anch'esse che si smentiscano
codeste simulatrici, che disonorano il loro sesso, ed esse femmine lusinghiere arrossiranno in
guardarmi, e non importa che mi dicano nell'incontrarmi: che tu sia maledetto!
Deggio avvisarvi, Lettor carissimo, di una picciola mutazione, che alla presente Commedia
ho fatto. Fabrizio, il cameriere della Locanda, parlava in veneziano, quando si recitò la prima volta;
l'ho fatto allora per comodo del personaggio, solito a favellar da Brighella; ove l'ho convertito in
toscano, sendo disdicevole cosa introdurre senza necessità in una Commedia un linguaggio
straniero. Ciò ho voluto avvertire, perché non so come la stamperà il Bettinelli; può essere ch'ei si
serva di questo mio originale, e Dio lo voglia, perché almeno sarà a dover penneggiato. Ma lo
scrupolo ch'ei si è fatto di stampare le cose mie come io le ho abbozzate, lo farà trascurare anche
questa comodità.
marina56- Moderator
- Messaggi : 3678
Data d'iscrizione : 10.10.11
Località : Torino
Re: La Locandiera
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Sala di locanda.
Il Marchese di Forlipopoli ed il Conte d'Albafiorita
MARCHESE: Fra voi e me vi è qualche differenza.
CONTE: Sulla locanda tanto vale il vostro denaro, quanto vale il mio.
MARCHESE: Ma se la locandiera usa a me delle distinzioni, mi si convengono più che a voi.
CONTE: Per qual ragione?
MARCHESE: Io sono il Marchese di Forlipopoli.
CONTE: Ed io sono il Conte d'Albafiorita.
MARCHESE: Sì, Conte! Contea comprata.
CONTE: Io ho comprata la contea, quando voi avete venduto il marchesato.
MARCHESE: Oh basta: son chi sono, e mi si deve portar rispetto.
CONTE: Chi ve lo perde il rispetto? Voi siete quello, che con troppa libertà parlando...
MARCHESE: Io sono in questa locanda, perché amo la locandiera. Tutti lo sanno, e tutti devono
rispettare una giovane che piace a me.
CONTE: Oh, questa è bella! Voi mi vorreste impedire ch'io amassi Mirandolina? Perché credete
ch'io sia in Firenze? Perché credete ch'io sia in questa locanda?
MARCHESE: Oh bene. Voi non farete niente.
CONTE: Io no, e voi sì?
MARCHESE: Io sì, e voi no. Io son chi sono. Mirandolina ha bisogno della mia protezione.
CONTE: Mirandolina ha bisogno di denari, e non di protezione.
MARCHESE: Denari?... non ne mancano.
CONTE: Io spendo uno zecchino il giorno, signor Marchese, e la regalo continuamente.
MARCHESE: Ed io quel che fo non lo dico.
CONTE: Voi non lo dite, ma già si sa.
MARCHESE: Non si sa tutto.
CONTE: Sì! caro signor Marchese, si sa. I camerieri lo dicono. Tre paoletti il giorno.
MARCHESE: A proposito di camerieri; vi è quel cameriere che ha nome Fabrizio, mi piace poco.
Parmi che la locandiera lo guardi assai di buon occhio.
CONTE: Può essere che lo voglia sposare. Non sarebbe cosa mal fatta. Sono sei mesi che è morto il
di lei padre. Sola una giovane alla testa di una locanda si troverà imbrogliata. Per me, se si
marita, le ho promesso trecento scudi.
MARCHESE: Se si mariterà, io sono il suo protettore, e farò io... E so io quello che farò.
CONTE: Venite qui: facciamola da buoni amici. Diamole trecento scudi per uno.
MARCHESE: Quel ch'io faccio, lo faccio segretamente, e non me ne vanto. Son chi sono. Chi è di
là? (Chiama.)
CONTE: (Spiantato! Povero e superbo!). (Da sé.)
SCENA SECONDA
Fabrizio e detti.
FABRIZIO: Mi comandi, signore. (Al Marchese.)
MARCHESE: Signore? Chi ti ha insegnato la creanza?
FABRIZIO: La perdoni.
CONTE: Ditemi: come sta la padroncina? (A Fabrizio.)
FABRIZIO: Sta bene, illustrissimo.
MARCHESE: È alzata dal letto?
FABRIZIO: Illustrissimo sì.
MARCHESE: Asino.
FABRIZIO: Perché, illustrissimo signore?
MARCHESE: Che cos'è questo illustrissimo?
FABRIZIO: È il titolo che ho dato anche a quell'altro Cavaliere.
MARCHESE: Tra lui e me vi è qualche differenza.
CONTE: Sentite? (A Fabrizio.)
FABRIZIO: (Dice la verita. Ci è differenza: me ne accorgo nei conti). (Piano al Conte.)
MARCHESE: Di' alla padrona che venga da me, che le ho da parlare.
FABRIZIO: Eccellenza sì. Ho fallato questa volta?
MARCHESE: Va bene. Sono tre mesi che lo sai; ma sei un impertinente.
FABRIZIO: Come comanda, Eccellenza.
CONTE: Vuoi vedere la differenza che passa fra il Marchese e me?
MARCHESE: Che vorreste dire?
CONTE: Tieni. Ti dono uno zecchino. Fa che anch'egli te ne doni un altro.
FABRIZIO: Grazie, illustrissimo. (Al Conte.) Eccellenza... (Al Marchese.)
MARCHESE: Non getto il mio, come i pazzi. Vattene.
FABRIZIO: Illustrissimo signore, il cielo la benedica. (Al Conte.) Eccellenza. (Rifinito. Fuor del
suo paese non vogliono esser titoli per farsi stimare, vogliono esser quattrini). (Da sé, parte.)
SCENA TERZA
Il Marchese ed il Conte.
MARCHESE: Voi credete di soverchiarmi con i regali, ma non farete niente. Il mio grado val più di
tutte le vostre monete.
CONTE: Io non apprezzo quel che vale, ma quello che si può spendere.
MARCHESE: Spendete pure a rotta di collo. Mirandolina non fa stima di voi.
CONTE: Con tutta la vostra gran nobiltà, credete voi di essere da lei stimato? Vogliono esser
denari.
MARCHESE: Che denari? Vuol esser protezione. Esser buono in un incontro di far un piacere.
CONTE: Sì, esser buono in un incontro di prestar cento doppie.
MARCHESE: Farsi portar rispetto bisogna.
CONTE: Quando non mancano denari, tutti rispettano
MARCHESE: Voi non sapete quel che vi dite.
CONTE: L'intendo meglio di voi.
SCENA QUARTA
II Cavaliere di Ripafratta dalla sua camera, e detti.
CAVALIERE: Amici, che cos'è questo romore? Vi è qualche dissensione fra di voi altri?
CONTE: Si disputava sopra un bellissimo punto.
MARCHESE: II Conte disputa meco sul merito della nobiltà. (Ironico.) 9
CONTE: Io non levo il merito alla nobiltà: ma sostengo, che per cavarsi dei capricci, vogliono esser
denari.
CAVALIERE: Veramente, Marchese mio...
MARCHESE: Orsù, parliamo d'altro.
CAVALIERE: Perché siete venuti a simil contesa?
CONTE: Per un motivo il più ridicolo della terra.
MARCHESE: Sì, bravo! il Conte mette tutto in ridicolo.
CONTE: Il signor Marchese ama la nostra locandiera. Io l'amo ancor più di lui. Egli pretende
corrispondenza, come un tributo alla sua nobiltà. Io la spero, come una ricompensa alle mie
attenzioni. Pare a voi che la questione non sia ridicola?
MARCHESE: Bisogna sapere con quanto impegno io la proteggo.
CONTE: Egli la protegge, ed io spendo. (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: In verità non si può contendere per ragione alcuna che io meriti meno. Una donna vi
altera? vi scompone? Una donna? che cosa mai mi convien sentire? Una donna? Io
certamente non vi è pericolo che per le donne abbia che dir con nessuno. Non le ho mai
amate, non le ho mai stimate, e ho sempre creduto che sia la donna per l'uomo una infermità
insopportabile.
MARCHESE: In quanto a questo poi, Mirandolina ha un merito estraordinario.
CONTE: Sin qua il signor Marchese ha ragione. La nostra padroncina della locanda è veramente
amabile.
MARCHESE: Quando l'amo io, potete credere che in lei vi sia qualche cosa di grande.
CAVALIERE: In verità mi fate ridere. Che mai può avere di stravagante costei, che non sia comune
all'altre donne?
MARCHESE: Ha un tratto nobile, che incatena.
CONTE: È bella, parla bene, veste con pulizia, è di un ottimo gusto.
CAVALIERE: Tutte cose che non vagliono un fico. Sono tre giorni ch'io sono in questa locanda, e
non mi ha fatto specie veruna.
CONTE: Guardatela, e forse ci troverete del buono.
CAVALIERE: Eh, pazzia! L'ho veduta benissimo. È una donna come l'altre.
MARCHESE: Non è come l'altre, ha qualche cosa di più. Io che ho praticate le prime dame, non ho
trovato una donna che sappia unire, come questa, la gentilezza e il decoro.
CONTE: Cospetto di bacco! Io son sempre stato solito trattar donne: ne conosco li difetti ed il loro
debole. Pure con costei, non ostante il mio lungo corteggio e le tante spese per essa fatte,
non ho potuto toccarle un dito.
CAVALIERE: Arte, arte sopraffina. Poveri gonzi! Le credete, eh? A me non la farebbe. Donne?
Alla larga tutte quante elle sono.
CONTE: Non siete mai stato innamorato?
CAVALIERE: Mai, né mai lo sarò. Hanno fatto il diavolo per darmi moglie, né mai l'ho voluta.
MARCHESE: Ma siete unico della vostra casa: non volete pensare alla successione?
CAVALIERE: Ci ho pensato più volte ma quando considero che per aver figliuoli mi converrebbe
soffrire una donna, mi passa subito la volontà.
CONTE: Che volete voi fare delle vostre ricchezze?
CAVALIERE: Godermi quel poco che ho con i miei amici.
MARCHESE: Bravo, Cavaliere, bravo; ci goderemo.
CONTE: E alle donne non volete dar nulla?
CAVALIERE: Niente affatto. A me non ne mangiano sicuramente.
CONTE: Ecco la nostra padrona. Guardatela, se non è adorabile.
CAVALIERE: Oh la bella cosa! Per me stimo più di lei quattro volte un bravo cane da caccia.
MARCHESE: Se non la stimate voi, la stimo io.
CAVALIERE: Ve la lascio, se fosse più bella di Venere.
SCENA PRIMA
Sala di locanda.
Il Marchese di Forlipopoli ed il Conte d'Albafiorita
MARCHESE: Fra voi e me vi è qualche differenza.
CONTE: Sulla locanda tanto vale il vostro denaro, quanto vale il mio.
MARCHESE: Ma se la locandiera usa a me delle distinzioni, mi si convengono più che a voi.
CONTE: Per qual ragione?
MARCHESE: Io sono il Marchese di Forlipopoli.
CONTE: Ed io sono il Conte d'Albafiorita.
MARCHESE: Sì, Conte! Contea comprata.
CONTE: Io ho comprata la contea, quando voi avete venduto il marchesato.
MARCHESE: Oh basta: son chi sono, e mi si deve portar rispetto.
CONTE: Chi ve lo perde il rispetto? Voi siete quello, che con troppa libertà parlando...
MARCHESE: Io sono in questa locanda, perché amo la locandiera. Tutti lo sanno, e tutti devono
rispettare una giovane che piace a me.
CONTE: Oh, questa è bella! Voi mi vorreste impedire ch'io amassi Mirandolina? Perché credete
ch'io sia in Firenze? Perché credete ch'io sia in questa locanda?
MARCHESE: Oh bene. Voi non farete niente.
CONTE: Io no, e voi sì?
MARCHESE: Io sì, e voi no. Io son chi sono. Mirandolina ha bisogno della mia protezione.
CONTE: Mirandolina ha bisogno di denari, e non di protezione.
MARCHESE: Denari?... non ne mancano.
CONTE: Io spendo uno zecchino il giorno, signor Marchese, e la regalo continuamente.
MARCHESE: Ed io quel che fo non lo dico.
CONTE: Voi non lo dite, ma già si sa.
MARCHESE: Non si sa tutto.
CONTE: Sì! caro signor Marchese, si sa. I camerieri lo dicono. Tre paoletti il giorno.
MARCHESE: A proposito di camerieri; vi è quel cameriere che ha nome Fabrizio, mi piace poco.
Parmi che la locandiera lo guardi assai di buon occhio.
CONTE: Può essere che lo voglia sposare. Non sarebbe cosa mal fatta. Sono sei mesi che è morto il
di lei padre. Sola una giovane alla testa di una locanda si troverà imbrogliata. Per me, se si
marita, le ho promesso trecento scudi.
MARCHESE: Se si mariterà, io sono il suo protettore, e farò io... E so io quello che farò.
CONTE: Venite qui: facciamola da buoni amici. Diamole trecento scudi per uno.
MARCHESE: Quel ch'io faccio, lo faccio segretamente, e non me ne vanto. Son chi sono. Chi è di
là? (Chiama.)
CONTE: (Spiantato! Povero e superbo!). (Da sé.)
SCENA SECONDA
Fabrizio e detti.
FABRIZIO: Mi comandi, signore. (Al Marchese.)
MARCHESE: Signore? Chi ti ha insegnato la creanza?
FABRIZIO: La perdoni.
CONTE: Ditemi: come sta la padroncina? (A Fabrizio.)
FABRIZIO: Sta bene, illustrissimo.
MARCHESE: È alzata dal letto?
FABRIZIO: Illustrissimo sì.
MARCHESE: Asino.
FABRIZIO: Perché, illustrissimo signore?
MARCHESE: Che cos'è questo illustrissimo?
FABRIZIO: È il titolo che ho dato anche a quell'altro Cavaliere.
MARCHESE: Tra lui e me vi è qualche differenza.
CONTE: Sentite? (A Fabrizio.)
FABRIZIO: (Dice la verita. Ci è differenza: me ne accorgo nei conti). (Piano al Conte.)
MARCHESE: Di' alla padrona che venga da me, che le ho da parlare.
FABRIZIO: Eccellenza sì. Ho fallato questa volta?
MARCHESE: Va bene. Sono tre mesi che lo sai; ma sei un impertinente.
FABRIZIO: Come comanda, Eccellenza.
CONTE: Vuoi vedere la differenza che passa fra il Marchese e me?
MARCHESE: Che vorreste dire?
CONTE: Tieni. Ti dono uno zecchino. Fa che anch'egli te ne doni un altro.
FABRIZIO: Grazie, illustrissimo. (Al Conte.) Eccellenza... (Al Marchese.)
MARCHESE: Non getto il mio, come i pazzi. Vattene.
FABRIZIO: Illustrissimo signore, il cielo la benedica. (Al Conte.) Eccellenza. (Rifinito. Fuor del
suo paese non vogliono esser titoli per farsi stimare, vogliono esser quattrini). (Da sé, parte.)
SCENA TERZA
Il Marchese ed il Conte.
MARCHESE: Voi credete di soverchiarmi con i regali, ma non farete niente. Il mio grado val più di
tutte le vostre monete.
CONTE: Io non apprezzo quel che vale, ma quello che si può spendere.
MARCHESE: Spendete pure a rotta di collo. Mirandolina non fa stima di voi.
CONTE: Con tutta la vostra gran nobiltà, credete voi di essere da lei stimato? Vogliono esser
denari.
MARCHESE: Che denari? Vuol esser protezione. Esser buono in un incontro di far un piacere.
CONTE: Sì, esser buono in un incontro di prestar cento doppie.
MARCHESE: Farsi portar rispetto bisogna.
CONTE: Quando non mancano denari, tutti rispettano
MARCHESE: Voi non sapete quel che vi dite.
CONTE: L'intendo meglio di voi.
SCENA QUARTA
II Cavaliere di Ripafratta dalla sua camera, e detti.
CAVALIERE: Amici, che cos'è questo romore? Vi è qualche dissensione fra di voi altri?
CONTE: Si disputava sopra un bellissimo punto.
MARCHESE: II Conte disputa meco sul merito della nobiltà. (Ironico.) 9
CONTE: Io non levo il merito alla nobiltà: ma sostengo, che per cavarsi dei capricci, vogliono esser
denari.
CAVALIERE: Veramente, Marchese mio...
MARCHESE: Orsù, parliamo d'altro.
CAVALIERE: Perché siete venuti a simil contesa?
CONTE: Per un motivo il più ridicolo della terra.
MARCHESE: Sì, bravo! il Conte mette tutto in ridicolo.
CONTE: Il signor Marchese ama la nostra locandiera. Io l'amo ancor più di lui. Egli pretende
corrispondenza, come un tributo alla sua nobiltà. Io la spero, come una ricompensa alle mie
attenzioni. Pare a voi che la questione non sia ridicola?
MARCHESE: Bisogna sapere con quanto impegno io la proteggo.
CONTE: Egli la protegge, ed io spendo. (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: In verità non si può contendere per ragione alcuna che io meriti meno. Una donna vi
altera? vi scompone? Una donna? che cosa mai mi convien sentire? Una donna? Io
certamente non vi è pericolo che per le donne abbia che dir con nessuno. Non le ho mai
amate, non le ho mai stimate, e ho sempre creduto che sia la donna per l'uomo una infermità
insopportabile.
MARCHESE: In quanto a questo poi, Mirandolina ha un merito estraordinario.
CONTE: Sin qua il signor Marchese ha ragione. La nostra padroncina della locanda è veramente
amabile.
MARCHESE: Quando l'amo io, potete credere che in lei vi sia qualche cosa di grande.
CAVALIERE: In verità mi fate ridere. Che mai può avere di stravagante costei, che non sia comune
all'altre donne?
MARCHESE: Ha un tratto nobile, che incatena.
CONTE: È bella, parla bene, veste con pulizia, è di un ottimo gusto.
CAVALIERE: Tutte cose che non vagliono un fico. Sono tre giorni ch'io sono in questa locanda, e
non mi ha fatto specie veruna.
CONTE: Guardatela, e forse ci troverete del buono.
CAVALIERE: Eh, pazzia! L'ho veduta benissimo. È una donna come l'altre.
MARCHESE: Non è come l'altre, ha qualche cosa di più. Io che ho praticate le prime dame, non ho
trovato una donna che sappia unire, come questa, la gentilezza e il decoro.
CONTE: Cospetto di bacco! Io son sempre stato solito trattar donne: ne conosco li difetti ed il loro
debole. Pure con costei, non ostante il mio lungo corteggio e le tante spese per essa fatte,
non ho potuto toccarle un dito.
CAVALIERE: Arte, arte sopraffina. Poveri gonzi! Le credete, eh? A me non la farebbe. Donne?
Alla larga tutte quante elle sono.
CONTE: Non siete mai stato innamorato?
CAVALIERE: Mai, né mai lo sarò. Hanno fatto il diavolo per darmi moglie, né mai l'ho voluta.
MARCHESE: Ma siete unico della vostra casa: non volete pensare alla successione?
CAVALIERE: Ci ho pensato più volte ma quando considero che per aver figliuoli mi converrebbe
soffrire una donna, mi passa subito la volontà.
CONTE: Che volete voi fare delle vostre ricchezze?
CAVALIERE: Godermi quel poco che ho con i miei amici.
MARCHESE: Bravo, Cavaliere, bravo; ci goderemo.
CONTE: E alle donne non volete dar nulla?
CAVALIERE: Niente affatto. A me non ne mangiano sicuramente.
CONTE: Ecco la nostra padrona. Guardatela, se non è adorabile.
CAVALIERE: Oh la bella cosa! Per me stimo più di lei quattro volte un bravo cane da caccia.
MARCHESE: Se non la stimate voi, la stimo io.
CAVALIERE: Ve la lascio, se fosse più bella di Venere.
marina56- Moderator
- Messaggi : 3678
Data d'iscrizione : 10.10.11
Località : Torino
Re: La Locandiera
SCENA QUINTA
Mirandolina e detti.
MIRANDOLINA: M'inchino a questi cavalieri. Chi mi domanda di lor signori?
MARCHESE: Io vi domando, ma non qui.
MIRANDOLINA: Dove mi vuole, Eccellenza?
MARCHESE: Nella mia camera.
MIRANDOLINA: Nella sua camera? Se ha bisogno di qualche cosa verra il cameriere a servirla.
MARCHESE: (Che dite di quel contegno?). (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: (Quello che voi chiamate contegno, io lo chiamerei temerità, impertinenza). (Al
Marchese.)
CONTE: Cara Mirandolina, io vi parlerò in pubblico, non vi darò l'incomodo di venire nella mia
camera. Osservate questi orecchini. Vi piacciono?
MIRANDOLINA: Belli.
CONTE: Sono diamanti, sapete?
MIRANDOLINA: Oh, li Conosco. Me ne intendo anch'io dei diamanti.
CONTE: E sono al vostro comando.
CAVALIERE: (Caro amico, voi li buttate via). (Piano al Conte.)
MIRANDOLINA: Perché mi vuol ella donare quegli orecchini?
MARCHESE: Veramente sarebbe un gran regalo! Ella ne ha de' più belli al doppio.
CONTE: Questi sono legati alla moda. Vi prego riceverli per amor mio.
CAVALIERE: (Oh che pazzo!). (Da sé.)
MIRANDOLINA: No, davvero, signore...
CONTE: Se non li prendete, mi disgustate.
MIRANDOLINA: Non so che dire... mi preme tenermi amici gli avventori della mia locanda. Per
non disgustare il signor Conte, li prenderò.
CAVALIERE: (Oh che forca!). (Da sé.)
CONTE: (Che dite di quella prontezza di spirito?). (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: (Bella prontezza! Ve li mangia, e non vi ringrazia nemmeno). (Al Conte.)
MARCHESE: Veramente, signor Conte, vi siete acquistato gran merito. Regalare una donna in
pubblico, per vanità! Mirandolina, vi ho da parlare a quattr'occhi, fra voi e me: son
Cavaliere.
MIRANDOLINA: (Che arsura! Non gliene cascano). (Da sé.) Se altro non mi comandano, io me
n'anderò.
CAVALIERE: Ehi! padrona. La biancheria che mi avete dato, non mi gusta. Se non ne avete di
meglio, mi provvederò.( Con disprezzo.)
MIRANDOLINA: Signore, ve ne sarà di meglio. Sarà servita, ma mi pare che la potrebbe chiedere
con un poco di gentilezza.
CAVALIERE: Dove spendo il mio denaro, non ho bisogno di far complimenti.
CONTE: Compatitelo. Egli è nemico capitale delle donne. (A Mirandolina.)
CAVALIERE: Eh, che non ho bisogno d'essere da lei compatito.
MIRANDOLINA: Povere donne! che cosa le hanno fatto? Perché così crudele con noi, signor
Cavaliere?
CAVALIERE: Basta così. Con me non vi prendete maggior confidenza. Cambiatemi la biancheria.
La manderò a prender pel servitore. Amici, vi sono schiavo. (Parte.)
SCENA SESTA
Il Marchese, il Conte e Mirandolina.
MIRANDOLINA: Che uomo salvatico! Non ho veduto il compagno.
CONTE: Cara Mirandolina, tutti non conoscono il vostro merito.
MIRANDOLINA: In verità, son cosi stomacata del suo mal procedere, che or ora lo licenzio a
dirittura.
MARCHESE: Sì; e se non vuol andarsene, ditelo a me, che lo farò partire immediatamente. Fate
pur uso della mia protezione.
CONTE: E per il denaro che aveste a perdere, io supplirò e pagherò tutto. (Sentite, mandate via
anche il Marchese, che pagherò io). (Piano a Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Grazie, signori miei, grazie. Ho tanto spirito che basta, per dire ad un forestiere
ch'io non lo voglio, e circa all'utile, la mia locanda non ha mai camere in ozio.
SCENA SETTIMA
Fabrizio e detti.
FABRIZIO: Illustrissimo, c'è uno che la domanda. (Al Conte.)
CONTE: Sai chi sia?
FABRIZIO: Credo ch'egli sia un legatore di gioje. (Mirandolina, giudizio; qui non istate bene).
(Piano a Mirandolina, e parte.)
CONTE: Oh sì, mi ha da mostrare un gioiello. Mirandolina, quegli orecchini, voglio che li
accompagniamo.
MIRANDOLINA: Eh no, signor Conte...
CONTE: Voi meritate molto, ed io i denari non li stimo niente. Vado a vedere questo gioiello.
Addio, Mirandolina; signor Marchese, la riverisco! (Parte.)
SCENA OTTAVA
Il Marchese e Mirandolina.
MARCHESE: (Maledetto Conte! Con questi suoi denari mi ammazza). (Da sé.)
MIRANDOLINA: In verità il signor Conte s'incomoda troppo.
MARCHESE: Costoro hanno quattro soldi, e li spendono per vanità, per albagia. Io li conosco, so il
viver del mondo.
MIRANDOLINA: Eh, il viver del mondo lo so ancor io.
MARCHESE: Pensano che le donne della vostra sorta si vincano con i regali.
MIRANDOLINA: I regali non fanno male allo stomaco.
MARCHESE: Io crederei di farvi un'ingiuria, cercando di obbligarvi con i donativi.
MIRANDOLINA: Oh, certamente il signor Marchese non mi ha ingiuriato mai.
MARCHESE: E tali ingiurie non ve le farò.
MIRANDOLINA: Lo credo sicurissimamente.
MARCHESE: Ma dove posso, comandatemi.
MIRANDOLINA: Bisognerebbe ch'io sapessi, in che cosa può Vostra Eccellenza.
MARCHESE: In tutto. Provatemi.
MIRANDOLINA: Ma verbigrazia, in che?
MARCHESE: Per bacco! Avete un merito che sorprende.
MIRANDOLINA: Troppe grazie, Eccellenza.
MARCHESE: Ah! direi quasi uno sproposito. Maledirei quasi la mia Eccellenza.
MIRANDOLINA: Perché, signore?
MARCHESE: Qualche volta mi auguro di essere nello stato del Conte.
MIRANDOLINA: Per ragione forse de' suoi denari?
MARCHESE: Eh! Che denari! Non li stimo un fico. Se fossi un Conte ridicolo come lui...
MIRANDOLINA: Che cosa farebbe?
MARCHESE: Cospetto del diavolo... vi sposerei. (Parte.)
SCENA NONA
MIRANDOLINA (sola): Uh, che mai ha detto! L'eccellentissimo signor Marchese Arsura mi
sposerebbe? Eppure, se mi volesse sposare, vi sarebbe una piccola difficoltà. Io non lo
vorrei. Mi piace l'arrosto, e del fumo non so che farne. Se avessi sposati tutti quelli che
hanno detto volermi, oh, avrei pure tanti mariti! Quanti arrivano a questa locanda, tutti di me
s'innamorano, tutti mi fanno i cascamorti; e tanti e tanti mi esibiscono di sposarmi a dirittura.
E questo signor Cavaliere, rustico come un orso, mi tratta sì bruscamente? Questi è il primo
forestiere capitato alla mia locanda, il quale non abbia avuto piacere di trattare con me. Non
dico che tutti in un salto s'abbiano a innamorare: ma disprezzarmi così? è una cosa che mi
muove la bile terribilmente. É nemico delle donne? Non le può vedere? Povero pazzo! Non
avrà ancora trovato quella che sappia fare. Ma la troverà. La troverà. E chi sa che non l'abbia
trovata? Con questi per l'appunto mi ci metto di picca. Quei che mi corrono dietro, presto
presto mi annoiano. La nobiltà non fa per me. La ricchezza la stimo e non la stimo. Tutto il
mio piacere consiste in vedermi servita, vagheggiata, adorata. Questa è la mia debolezza, e
questa è la debolezza di quasi tutte le donne. A maritarmi non ci penso nemmeno; non ho
bisogno di nessuno; vivo onestamente, e godo la mia libertà. Tratto con tutti, ma non
m'innamoro mai di nessuno. Voglio burlarmi di tante caricature di amanti spasimati; e
voglio usar tutta l'arte per vincere, abbattere e conquassare quei cuori barbari e duri che son
nemici di noi, che siamo la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre natura.
Mirandolina e detti.
MIRANDOLINA: M'inchino a questi cavalieri. Chi mi domanda di lor signori?
MARCHESE: Io vi domando, ma non qui.
MIRANDOLINA: Dove mi vuole, Eccellenza?
MARCHESE: Nella mia camera.
MIRANDOLINA: Nella sua camera? Se ha bisogno di qualche cosa verra il cameriere a servirla.
MARCHESE: (Che dite di quel contegno?). (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: (Quello che voi chiamate contegno, io lo chiamerei temerità, impertinenza). (Al
Marchese.)
CONTE: Cara Mirandolina, io vi parlerò in pubblico, non vi darò l'incomodo di venire nella mia
camera. Osservate questi orecchini. Vi piacciono?
MIRANDOLINA: Belli.
CONTE: Sono diamanti, sapete?
MIRANDOLINA: Oh, li Conosco. Me ne intendo anch'io dei diamanti.
CONTE: E sono al vostro comando.
CAVALIERE: (Caro amico, voi li buttate via). (Piano al Conte.)
MIRANDOLINA: Perché mi vuol ella donare quegli orecchini?
MARCHESE: Veramente sarebbe un gran regalo! Ella ne ha de' più belli al doppio.
CONTE: Questi sono legati alla moda. Vi prego riceverli per amor mio.
CAVALIERE: (Oh che pazzo!). (Da sé.)
MIRANDOLINA: No, davvero, signore...
CONTE: Se non li prendete, mi disgustate.
MIRANDOLINA: Non so che dire... mi preme tenermi amici gli avventori della mia locanda. Per
non disgustare il signor Conte, li prenderò.
CAVALIERE: (Oh che forca!). (Da sé.)
CONTE: (Che dite di quella prontezza di spirito?). (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: (Bella prontezza! Ve li mangia, e non vi ringrazia nemmeno). (Al Conte.)
MARCHESE: Veramente, signor Conte, vi siete acquistato gran merito. Regalare una donna in
pubblico, per vanità! Mirandolina, vi ho da parlare a quattr'occhi, fra voi e me: son
Cavaliere.
MIRANDOLINA: (Che arsura! Non gliene cascano). (Da sé.) Se altro non mi comandano, io me
n'anderò.
CAVALIERE: Ehi! padrona. La biancheria che mi avete dato, non mi gusta. Se non ne avete di
meglio, mi provvederò.( Con disprezzo.)
MIRANDOLINA: Signore, ve ne sarà di meglio. Sarà servita, ma mi pare che la potrebbe chiedere
con un poco di gentilezza.
CAVALIERE: Dove spendo il mio denaro, non ho bisogno di far complimenti.
CONTE: Compatitelo. Egli è nemico capitale delle donne. (A Mirandolina.)
CAVALIERE: Eh, che non ho bisogno d'essere da lei compatito.
MIRANDOLINA: Povere donne! che cosa le hanno fatto? Perché così crudele con noi, signor
Cavaliere?
CAVALIERE: Basta così. Con me non vi prendete maggior confidenza. Cambiatemi la biancheria.
La manderò a prender pel servitore. Amici, vi sono schiavo. (Parte.)
SCENA SESTA
Il Marchese, il Conte e Mirandolina.
MIRANDOLINA: Che uomo salvatico! Non ho veduto il compagno.
CONTE: Cara Mirandolina, tutti non conoscono il vostro merito.
MIRANDOLINA: In verità, son cosi stomacata del suo mal procedere, che or ora lo licenzio a
dirittura.
MARCHESE: Sì; e se non vuol andarsene, ditelo a me, che lo farò partire immediatamente. Fate
pur uso della mia protezione.
CONTE: E per il denaro che aveste a perdere, io supplirò e pagherò tutto. (Sentite, mandate via
anche il Marchese, che pagherò io). (Piano a Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Grazie, signori miei, grazie. Ho tanto spirito che basta, per dire ad un forestiere
ch'io non lo voglio, e circa all'utile, la mia locanda non ha mai camere in ozio.
SCENA SETTIMA
Fabrizio e detti.
FABRIZIO: Illustrissimo, c'è uno che la domanda. (Al Conte.)
CONTE: Sai chi sia?
FABRIZIO: Credo ch'egli sia un legatore di gioje. (Mirandolina, giudizio; qui non istate bene).
(Piano a Mirandolina, e parte.)
CONTE: Oh sì, mi ha da mostrare un gioiello. Mirandolina, quegli orecchini, voglio che li
accompagniamo.
MIRANDOLINA: Eh no, signor Conte...
CONTE: Voi meritate molto, ed io i denari non li stimo niente. Vado a vedere questo gioiello.
Addio, Mirandolina; signor Marchese, la riverisco! (Parte.)
SCENA OTTAVA
Il Marchese e Mirandolina.
MARCHESE: (Maledetto Conte! Con questi suoi denari mi ammazza). (Da sé.)
MIRANDOLINA: In verità il signor Conte s'incomoda troppo.
MARCHESE: Costoro hanno quattro soldi, e li spendono per vanità, per albagia. Io li conosco, so il
viver del mondo.
MIRANDOLINA: Eh, il viver del mondo lo so ancor io.
MARCHESE: Pensano che le donne della vostra sorta si vincano con i regali.
MIRANDOLINA: I regali non fanno male allo stomaco.
MARCHESE: Io crederei di farvi un'ingiuria, cercando di obbligarvi con i donativi.
MIRANDOLINA: Oh, certamente il signor Marchese non mi ha ingiuriato mai.
MARCHESE: E tali ingiurie non ve le farò.
MIRANDOLINA: Lo credo sicurissimamente.
MARCHESE: Ma dove posso, comandatemi.
MIRANDOLINA: Bisognerebbe ch'io sapessi, in che cosa può Vostra Eccellenza.
MARCHESE: In tutto. Provatemi.
MIRANDOLINA: Ma verbigrazia, in che?
MARCHESE: Per bacco! Avete un merito che sorprende.
MIRANDOLINA: Troppe grazie, Eccellenza.
MARCHESE: Ah! direi quasi uno sproposito. Maledirei quasi la mia Eccellenza.
MIRANDOLINA: Perché, signore?
MARCHESE: Qualche volta mi auguro di essere nello stato del Conte.
MIRANDOLINA: Per ragione forse de' suoi denari?
MARCHESE: Eh! Che denari! Non li stimo un fico. Se fossi un Conte ridicolo come lui...
MIRANDOLINA: Che cosa farebbe?
MARCHESE: Cospetto del diavolo... vi sposerei. (Parte.)
SCENA NONA
MIRANDOLINA (sola): Uh, che mai ha detto! L'eccellentissimo signor Marchese Arsura mi
sposerebbe? Eppure, se mi volesse sposare, vi sarebbe una piccola difficoltà. Io non lo
vorrei. Mi piace l'arrosto, e del fumo non so che farne. Se avessi sposati tutti quelli che
hanno detto volermi, oh, avrei pure tanti mariti! Quanti arrivano a questa locanda, tutti di me
s'innamorano, tutti mi fanno i cascamorti; e tanti e tanti mi esibiscono di sposarmi a dirittura.
E questo signor Cavaliere, rustico come un orso, mi tratta sì bruscamente? Questi è il primo
forestiere capitato alla mia locanda, il quale non abbia avuto piacere di trattare con me. Non
dico che tutti in un salto s'abbiano a innamorare: ma disprezzarmi così? è una cosa che mi
muove la bile terribilmente. É nemico delle donne? Non le può vedere? Povero pazzo! Non
avrà ancora trovato quella che sappia fare. Ma la troverà. La troverà. E chi sa che non l'abbia
trovata? Con questi per l'appunto mi ci metto di picca. Quei che mi corrono dietro, presto
presto mi annoiano. La nobiltà non fa per me. La ricchezza la stimo e non la stimo. Tutto il
mio piacere consiste in vedermi servita, vagheggiata, adorata. Questa è la mia debolezza, e
questa è la debolezza di quasi tutte le donne. A maritarmi non ci penso nemmeno; non ho
bisogno di nessuno; vivo onestamente, e godo la mia libertà. Tratto con tutti, ma non
m'innamoro mai di nessuno. Voglio burlarmi di tante caricature di amanti spasimati; e
voglio usar tutta l'arte per vincere, abbattere e conquassare quei cuori barbari e duri che son
nemici di noi, che siamo la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre natura.
marina56- Moderator
- Messaggi : 3678
Data d'iscrizione : 10.10.11
Località : Torino
Re: La Locandiera
SCENA DECIMA
Fabrizio e detta.
FABRIZIO: Ehi, padrona.
MIRANDOLINA: Che cosa c'è?
FABRIZIO: Quel forestiere che è alloggiato nella camera di mezzo, grida della biancheria; dice che
è ordinaria, e che non la vuole.
MIRANDOLINA: Lo so, lo so. Lo ha detto anche a me, e lo voglio servire.
FABRIZIO: Benissimo. Venitemi dunque a metter fuori la roba, che gliela possa portare.
MIRANDOLINA: Andate, andate, gliela porterò io.
FABRIZIO: Voi gliela volete portare?
MIRANDOLINA: Sì, io.
FABRIZIO: Bisogna che vi prema molto questo forestiere.
MIRANDOLINA: Tutti mi premono. Badate a voi.
FABRIZIO: (Già me n'avvedo. Non faremo niente. Ella mi lusinga; ma non faremo niente). (Da sé.)
MIRANDOLINA: (Povero sciocco! Ha delle pretensioni. Voglio tenerlo in isperanza, perché mi
serva con fedelta). (Da sé.)
FABRIZIO: Si è sempre costumato, che i forestieri li serva io.
MIRANDOLINA: Voi con i forestieri siete un poco troppo ruvido.
FABRIZIO: E voi siete un poco troppo gentile.
MIRANDOLINA: So quel quel che fo, non ho bisogno di correttori.
FABRIZIO: Bene, bene. Provvedetevi di cameriere.
MIRANDOLINA: Perché, signor Fabrizio? è disgustato di me?
FABRIZIO: Vi ricordate voi che cosa ha detto a noi due vostro padre, prima ch'egli morisse?
MIRANDOLINA: Sì; quando mi vorrò maritare, mi ricorderò di quel che ha detto mio padre.
FABRIZIO: Ma io son delicato di pelle, certe cose non le posso soffrire.
MIRANDOLINA: Ma che credi tu ch'io mi sia? Una frasca? Una civetta? Una pazza? Mi
maraviglio di te. Che voglio fare io dei forestieri che vanno e vengono? Se il tratto bene, lo
fo per mio interesse, per tener in credito la mia locanda. De' regali non ne ho bisogno. Per
far all'amore? Uno mi basta: e questo non mi manca; e so chi merita, e so quello che mi
conviene. E quando vorrò maritarmi... mi ricorderò di mio padre. E chi mi averà servito
bene, non potrà lagnarsi di me. Son grata. Conosco il merito... Ma io non son conosciuta.
Basta, Fabrizio, intendetemi, se potete. (Parte.)
FABRIZIO: Chi può intenderla, è bravo davvero. Ora pare che la mi voglia, ora che la non mi
voglia. Dice che non è una frasca, ma vuol far a suo modo. Non so che dire. Staremo a
vedere. Ella mi piace, le voglio bene, accomoderei con essa i miei interessi per tutto il tempo
di vita mia. Ah! bisognerà chiuder un occhio, e lasciar correre qualche cosa. Finalmente i
forestieri vanno e vengono. Io resto sempre. Il meglio sarà sempre per me. (Parte.)
SCENA UNDICESIMA
Camera del Cavaliere.
Il Cavaliere ed un Servitore.
SERVITORE: Illustrissimo, hanno portato questa lettera.
CAVALIERE: Portami la cioccolata.
(Il Servitore parte.)
(Il Cavaliere apre la lettera.)
Siena, primo Gennaio 1753. (Chi scrive?) Orazio Taccagni. Amico carissimo. La tenera
amicizia che a voi mi lega, mi rende sollecito ad avvisarvi essere necessario il vostro
ritorno in patria. È morto il Conte Manna... (Povero Cavaliere! Me ne dispiace). Ha
lasciato la sua unica figlia nubile erede di centocinquanta mila scudi. Tutti gli amici vostri
vorrebbero che toccasse a voi una tal fortuna, e vanno maneggiando... Non s'affatichino
per me, che non voglio saper nulla. Lo sanno pure ch'io non voglio donne per i piedi. E
questo mio caro amico, che lo sa più d'ogni altro, mi secca peggio di tutti. (Straccia la
lettera.) Che importa a me di centocinquanta mila scudi? Finché son solo, mi basta meno.
Se fossi accompagnato, non mi basterebbe assai più. Moglie a me! Piuttosto una febbre
quartana.
SCENA DODICESIMA
II Marchese e detto.
MARCHESE: Amico, vi contentate ch'io venga a stare un poco con voi?
CAVALIERE: Mi fate onore.
MARCHESE: Almeno fra me e voi possiamo trattarci con confidenza; ma quel somaro del Conte
non è degno di stare in conversazione con noi.
CAVALIERE: Caro Marchese, compatitemi; rispettate gli altri, se volete essere rispettato voi pure.
MARCHESE: Sapete il mio naturale. Io fo le cortesie a tutti, ma colui non lo posso soffrire.
CAVALIERE: Non lo potete soffrire, perché vi è rivale in amore! Vergogna! Un cavaliere della
vostra sorta innamorarsi d'una locandiera! Un uomo savio, come siete voi, correr dietro a
una donna!
MARCHESE: Cavaliere mio, costei mi ha stregato.
CAVALIERE: Oh! pazzie! debolezze! Che stregamenti! Che vuol dire che le donne non mi
stregheranno? Le loro fattucchierie consistono nei loro vezzi, nelle loro lusinghe, e chi ne sta
lontano, come fo io, non ci è pericolo che si lasci ammaliare.
MARCHESE: Basta! ci penso e non ci penso: quel che mi dà fastidio e che m'inquieta, è il mio
fattor di campagna.
CAVALIERE: Vi ha fatto qualche porcheria?
MARCHESE: Mi ha mancato di parola.
SCENA TREDICESIMA
Il Servitore con una cioccolata e detti.
CAVALIERE: Oh mi dispiace... Fanne subito un'altra. (Al Servitore.)
SERVITORE: In casa per oggi non ce n'è altra, illustrissimo.
CAVALIERE: Bisogna che ne provveda. Se vi degnate di questa...( Al Marchese.)
MARCHESE (prende la cioccolata, e si mette a berla senza complimenti, seguitando poi a
discorrere e bere, come segue): Questo mio fattore, come io vi diceva... (Beve.)
CAVALIERE: (Ed io resterò senza). (Da sé.)
MARCHESE: Mi aveva promesso mandarmi con l'ordinario... (Beve.) venti zecchini... (Beve.)
CAVALIERE: (Ora viene con una seconda stoccata). (Da sé.)
MARCHESE: E non me li ha mandati... (Beve.)
CAVALIERE: Li manderà un'altra volta.
MARCHESE: Il punto sta... il punto sta... (Finisce di bere.) Tenete. (Dà la chicchera al Servitore.)
Il punto sta che sono in un grande impegno, e non so come fare.
CAVALIERE: Otto giorni più, otto giorni meno...
MARCHESE: Ma voi che siete Cavaliere, sapete quel che vuol dire il mantener la parola. Sono in
impegno; e... corpo di bacco! Darei della pugna in cielo.
CAVALIERE: Mi dispiace di vedervi scontento. (Se sapessi come uscirne con riputazione!) (Da
sé.)
MARCHESE: Voi avreste difficoltà per otto giorni di farmi il piacere?
CAVALIERE: Caro Marchese, se potessi, vi servirei di cuore; se ne avessi, ve li avrei esibiti a
dirittura. Ne aspetto, e non ne ho.
MARCHESE: Non mi darete ad intendere d'esser senza denari.
CAVALIERE: Osservate. Ecco tutta la mia ricchezza. Non arrivano a due zecchini. (Mostra uno
zecchino e varie monete.)
MARCHESE: Quello è uno zecchino d'oro.
CAVALIERE: Sì; l'ultimo, non ne ho più.
MARCHESE: Prestatemi quello, che vedrò intanto...
CAVALIERE: Ma io poi...
MARCHESE: Di che avete paura? Ve lo renderò.
CAVALIERE: Non so che dire; servitevi. (Gli dà lo zecchino.)
MARCHESE: Ho un affare di premura... amico: obbligato per ora: ci rivedremo a pranzo. (Prende
lo zecchino, e parte.)
SCENA QUATTORDICESIMA
CAVALIERE (solo): Bravo! Il signor Marchese mi voleva frecciare venti zecchini, e poi si è
contentato di uno. Finalmente uno zecchino non mi preme di perderlo, e se non me lo rende,
non mi verrà più a seccare. Mi dispiace più, che mi ha bevuto la mia cioccolata. Che
indiscretezza! E poi: Son chi sono. Son Cavaliere. Oh garbatissimo Cavaliere!
SCENA QUINDICESIMA
Mirandolina colla biancheria, e detto.
MIRANDOLINA: Permette, illustrissimo? (Entrando con qualche soggezione.)
CAVALIERE: Che cosa volete? (Con asprezza.)
MIRANDOLINA: Ecco qui della biancheria migliore. (S'avanza un poco.)
CAVALIERE: Bene. Mettetela lì. (Accenna il tavolino.)
MIRANDOLINA: La supplico almeno degnarsi vedere se è di suo genio.
CAVALIERE: Che roba è?
MIRANDOLINA: Le lenzuola son di rensa. (S'avanza ancor più.)
CAVALIERE: Rensa?
MIRANDOLINA: Sì signore, di dieci paoli al braccio. Osservi.
CAVALIERE: Non pretendevo tanto. Bastavami qualche cosa meglio di quel che mi avete dato.
MIRANDOLINA: Questa biancheria l'ho fatta per personaggi di merito: per quelli che la sanno
conoscere; e in verità, illustrissimo, la do per esser lei, ad un altro non la darei.
CAVALIERE: Per esser lei! Solito complimento.
MIRANDOLINA: Osservi il servizio di tavola.
CAVALIERE: Oh! Queste tele di Fiandra, quando si lavano, perdono assai. Non vi è bisogno che le
insudiciate per me.
MIRANDOLINA: Per un Cavaliere della sua qualità, non guardo a queste piccole cose. Di queste
salviette ne ho parecchie, e le serberò per V.S. illustrissima.
CAVALIERE: (Non si può però negare, che costei non sia una donna obbligante). (Da sé.)
MIRANDOLINA: (Veramente ha una faccia burbera da non piacergli le donne). (Da sé.)
CAVALIERE: Date la mia biancheria al mio cameriere, o ponetela lì, in qualche luogo. Non vi è
bisogno che v'incomodiate per questo.
MIRANDOLINA: Oh, io non m'incomodo mai, quando servo Cavaliere di sì alto merito.
CAVALIERE: Bene, bene, non occorr'altro. (Costei vorrebbe adularmi. Donne! Tutte così). (Da
sé.)
MIRANDOLINA: La metterò nell'arcova.
CAVALIERE: Sì, dove volete. (Con serietà.)
MIRANDOLINA: (Oh! vi è del duro. Ho paura di non far niente). (Da sé, va a riporre la
biancheria.)
CAVALIERE: (I gonzi sentono queste belle parole, credono a chi le dice, e cascano). (Da sè.)
MIRANDOLINA: A pranzo, che cosa comanda? (Ritornando senza la biancheria.)
CAVALIERE: Mangerò quello che vi sarà.
MIRANDOLINA: Vorrei pur sapere il suo genio. Se le piace una cosa più dell'altra, lo dica con
libertà.
CAVALIERE: Se vorrò qualche cosa, lo dirò al cameriere.
MIRANDOLINA: Ma in queste cose gli uomini non hanno l'attenzione e la pazienza che abbiamo
noi donne. Se le piacesse qualche intingoletto, qualche salsetta, favorisca di dirlo a me.
CAVALIERE: Vi ringrazio: ma né anche per questo verso vi riuscirà di far con me quello che avete
fatto col Conte e col Marchese.
Fabrizio e detta.
FABRIZIO: Ehi, padrona.
MIRANDOLINA: Che cosa c'è?
FABRIZIO: Quel forestiere che è alloggiato nella camera di mezzo, grida della biancheria; dice che
è ordinaria, e che non la vuole.
MIRANDOLINA: Lo so, lo so. Lo ha detto anche a me, e lo voglio servire.
FABRIZIO: Benissimo. Venitemi dunque a metter fuori la roba, che gliela possa portare.
MIRANDOLINA: Andate, andate, gliela porterò io.
FABRIZIO: Voi gliela volete portare?
MIRANDOLINA: Sì, io.
FABRIZIO: Bisogna che vi prema molto questo forestiere.
MIRANDOLINA: Tutti mi premono. Badate a voi.
FABRIZIO: (Già me n'avvedo. Non faremo niente. Ella mi lusinga; ma non faremo niente). (Da sé.)
MIRANDOLINA: (Povero sciocco! Ha delle pretensioni. Voglio tenerlo in isperanza, perché mi
serva con fedelta). (Da sé.)
FABRIZIO: Si è sempre costumato, che i forestieri li serva io.
MIRANDOLINA: Voi con i forestieri siete un poco troppo ruvido.
FABRIZIO: E voi siete un poco troppo gentile.
MIRANDOLINA: So quel quel che fo, non ho bisogno di correttori.
FABRIZIO: Bene, bene. Provvedetevi di cameriere.
MIRANDOLINA: Perché, signor Fabrizio? è disgustato di me?
FABRIZIO: Vi ricordate voi che cosa ha detto a noi due vostro padre, prima ch'egli morisse?
MIRANDOLINA: Sì; quando mi vorrò maritare, mi ricorderò di quel che ha detto mio padre.
FABRIZIO: Ma io son delicato di pelle, certe cose non le posso soffrire.
MIRANDOLINA: Ma che credi tu ch'io mi sia? Una frasca? Una civetta? Una pazza? Mi
maraviglio di te. Che voglio fare io dei forestieri che vanno e vengono? Se il tratto bene, lo
fo per mio interesse, per tener in credito la mia locanda. De' regali non ne ho bisogno. Per
far all'amore? Uno mi basta: e questo non mi manca; e so chi merita, e so quello che mi
conviene. E quando vorrò maritarmi... mi ricorderò di mio padre. E chi mi averà servito
bene, non potrà lagnarsi di me. Son grata. Conosco il merito... Ma io non son conosciuta.
Basta, Fabrizio, intendetemi, se potete. (Parte.)
FABRIZIO: Chi può intenderla, è bravo davvero. Ora pare che la mi voglia, ora che la non mi
voglia. Dice che non è una frasca, ma vuol far a suo modo. Non so che dire. Staremo a
vedere. Ella mi piace, le voglio bene, accomoderei con essa i miei interessi per tutto il tempo
di vita mia. Ah! bisognerà chiuder un occhio, e lasciar correre qualche cosa. Finalmente i
forestieri vanno e vengono. Io resto sempre. Il meglio sarà sempre per me. (Parte.)
SCENA UNDICESIMA
Camera del Cavaliere.
Il Cavaliere ed un Servitore.
SERVITORE: Illustrissimo, hanno portato questa lettera.
CAVALIERE: Portami la cioccolata.
(Il Servitore parte.)
(Il Cavaliere apre la lettera.)
Siena, primo Gennaio 1753. (Chi scrive?) Orazio Taccagni. Amico carissimo. La tenera
amicizia che a voi mi lega, mi rende sollecito ad avvisarvi essere necessario il vostro
ritorno in patria. È morto il Conte Manna... (Povero Cavaliere! Me ne dispiace). Ha
lasciato la sua unica figlia nubile erede di centocinquanta mila scudi. Tutti gli amici vostri
vorrebbero che toccasse a voi una tal fortuna, e vanno maneggiando... Non s'affatichino
per me, che non voglio saper nulla. Lo sanno pure ch'io non voglio donne per i piedi. E
questo mio caro amico, che lo sa più d'ogni altro, mi secca peggio di tutti. (Straccia la
lettera.) Che importa a me di centocinquanta mila scudi? Finché son solo, mi basta meno.
Se fossi accompagnato, non mi basterebbe assai più. Moglie a me! Piuttosto una febbre
quartana.
SCENA DODICESIMA
II Marchese e detto.
MARCHESE: Amico, vi contentate ch'io venga a stare un poco con voi?
CAVALIERE: Mi fate onore.
MARCHESE: Almeno fra me e voi possiamo trattarci con confidenza; ma quel somaro del Conte
non è degno di stare in conversazione con noi.
CAVALIERE: Caro Marchese, compatitemi; rispettate gli altri, se volete essere rispettato voi pure.
MARCHESE: Sapete il mio naturale. Io fo le cortesie a tutti, ma colui non lo posso soffrire.
CAVALIERE: Non lo potete soffrire, perché vi è rivale in amore! Vergogna! Un cavaliere della
vostra sorta innamorarsi d'una locandiera! Un uomo savio, come siete voi, correr dietro a
una donna!
MARCHESE: Cavaliere mio, costei mi ha stregato.
CAVALIERE: Oh! pazzie! debolezze! Che stregamenti! Che vuol dire che le donne non mi
stregheranno? Le loro fattucchierie consistono nei loro vezzi, nelle loro lusinghe, e chi ne sta
lontano, come fo io, non ci è pericolo che si lasci ammaliare.
MARCHESE: Basta! ci penso e non ci penso: quel che mi dà fastidio e che m'inquieta, è il mio
fattor di campagna.
CAVALIERE: Vi ha fatto qualche porcheria?
MARCHESE: Mi ha mancato di parola.
SCENA TREDICESIMA
Il Servitore con una cioccolata e detti.
CAVALIERE: Oh mi dispiace... Fanne subito un'altra. (Al Servitore.)
SERVITORE: In casa per oggi non ce n'è altra, illustrissimo.
CAVALIERE: Bisogna che ne provveda. Se vi degnate di questa...( Al Marchese.)
MARCHESE (prende la cioccolata, e si mette a berla senza complimenti, seguitando poi a
discorrere e bere, come segue): Questo mio fattore, come io vi diceva... (Beve.)
CAVALIERE: (Ed io resterò senza). (Da sé.)
MARCHESE: Mi aveva promesso mandarmi con l'ordinario... (Beve.) venti zecchini... (Beve.)
CAVALIERE: (Ora viene con una seconda stoccata). (Da sé.)
MARCHESE: E non me li ha mandati... (Beve.)
CAVALIERE: Li manderà un'altra volta.
MARCHESE: Il punto sta... il punto sta... (Finisce di bere.) Tenete. (Dà la chicchera al Servitore.)
Il punto sta che sono in un grande impegno, e non so come fare.
CAVALIERE: Otto giorni più, otto giorni meno...
MARCHESE: Ma voi che siete Cavaliere, sapete quel che vuol dire il mantener la parola. Sono in
impegno; e... corpo di bacco! Darei della pugna in cielo.
CAVALIERE: Mi dispiace di vedervi scontento. (Se sapessi come uscirne con riputazione!) (Da
sé.)
MARCHESE: Voi avreste difficoltà per otto giorni di farmi il piacere?
CAVALIERE: Caro Marchese, se potessi, vi servirei di cuore; se ne avessi, ve li avrei esibiti a
dirittura. Ne aspetto, e non ne ho.
MARCHESE: Non mi darete ad intendere d'esser senza denari.
CAVALIERE: Osservate. Ecco tutta la mia ricchezza. Non arrivano a due zecchini. (Mostra uno
zecchino e varie monete.)
MARCHESE: Quello è uno zecchino d'oro.
CAVALIERE: Sì; l'ultimo, non ne ho più.
MARCHESE: Prestatemi quello, che vedrò intanto...
CAVALIERE: Ma io poi...
MARCHESE: Di che avete paura? Ve lo renderò.
CAVALIERE: Non so che dire; servitevi. (Gli dà lo zecchino.)
MARCHESE: Ho un affare di premura... amico: obbligato per ora: ci rivedremo a pranzo. (Prende
lo zecchino, e parte.)
SCENA QUATTORDICESIMA
CAVALIERE (solo): Bravo! Il signor Marchese mi voleva frecciare venti zecchini, e poi si è
contentato di uno. Finalmente uno zecchino non mi preme di perderlo, e se non me lo rende,
non mi verrà più a seccare. Mi dispiace più, che mi ha bevuto la mia cioccolata. Che
indiscretezza! E poi: Son chi sono. Son Cavaliere. Oh garbatissimo Cavaliere!
SCENA QUINDICESIMA
Mirandolina colla biancheria, e detto.
MIRANDOLINA: Permette, illustrissimo? (Entrando con qualche soggezione.)
CAVALIERE: Che cosa volete? (Con asprezza.)
MIRANDOLINA: Ecco qui della biancheria migliore. (S'avanza un poco.)
CAVALIERE: Bene. Mettetela lì. (Accenna il tavolino.)
MIRANDOLINA: La supplico almeno degnarsi vedere se è di suo genio.
CAVALIERE: Che roba è?
MIRANDOLINA: Le lenzuola son di rensa. (S'avanza ancor più.)
CAVALIERE: Rensa?
MIRANDOLINA: Sì signore, di dieci paoli al braccio. Osservi.
CAVALIERE: Non pretendevo tanto. Bastavami qualche cosa meglio di quel che mi avete dato.
MIRANDOLINA: Questa biancheria l'ho fatta per personaggi di merito: per quelli che la sanno
conoscere; e in verità, illustrissimo, la do per esser lei, ad un altro non la darei.
CAVALIERE: Per esser lei! Solito complimento.
MIRANDOLINA: Osservi il servizio di tavola.
CAVALIERE: Oh! Queste tele di Fiandra, quando si lavano, perdono assai. Non vi è bisogno che le
insudiciate per me.
MIRANDOLINA: Per un Cavaliere della sua qualità, non guardo a queste piccole cose. Di queste
salviette ne ho parecchie, e le serberò per V.S. illustrissima.
CAVALIERE: (Non si può però negare, che costei non sia una donna obbligante). (Da sé.)
MIRANDOLINA: (Veramente ha una faccia burbera da non piacergli le donne). (Da sé.)
CAVALIERE: Date la mia biancheria al mio cameriere, o ponetela lì, in qualche luogo. Non vi è
bisogno che v'incomodiate per questo.
MIRANDOLINA: Oh, io non m'incomodo mai, quando servo Cavaliere di sì alto merito.
CAVALIERE: Bene, bene, non occorr'altro. (Costei vorrebbe adularmi. Donne! Tutte così). (Da
sé.)
MIRANDOLINA: La metterò nell'arcova.
CAVALIERE: Sì, dove volete. (Con serietà.)
MIRANDOLINA: (Oh! vi è del duro. Ho paura di non far niente). (Da sé, va a riporre la
biancheria.)
CAVALIERE: (I gonzi sentono queste belle parole, credono a chi le dice, e cascano). (Da sè.)
MIRANDOLINA: A pranzo, che cosa comanda? (Ritornando senza la biancheria.)
CAVALIERE: Mangerò quello che vi sarà.
MIRANDOLINA: Vorrei pur sapere il suo genio. Se le piace una cosa più dell'altra, lo dica con
libertà.
CAVALIERE: Se vorrò qualche cosa, lo dirò al cameriere.
MIRANDOLINA: Ma in queste cose gli uomini non hanno l'attenzione e la pazienza che abbiamo
noi donne. Se le piacesse qualche intingoletto, qualche salsetta, favorisca di dirlo a me.
CAVALIERE: Vi ringrazio: ma né anche per questo verso vi riuscirà di far con me quello che avete
fatto col Conte e col Marchese.
marina56- Moderator
- Messaggi : 3678
Data d'iscrizione : 10.10.11
Località : Torino
Pagina 1 di 1
Permessi in questa sezione del forum:
Non puoi rispondere agli argomenti in questo forum.