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David Zard: "Accuse pedofilia false e costruite"

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Messaggio Da Michaelforever Lun Ott 17, 2011 3:50 pm

Michaelforever Inviato: 17 Apr 2011 09:47 pm

David Zard: "Accuse pedofilia false e costruite"

Ha paragonato Michael Jackson a Mozart, ricordando che ha venduto legalmente 800 milioni di dischi. Per David Zard, il produttore che ha curato la prima mondiale del primo tour da solista del grande re del pop, le accuse di pedofilia non hanno senso di esistere. Con lui abbiamo ripercorso dei momenti “intimi” del noto cantante, che Zard ha avuto la fortuna di conoscere bene.

Come vi siete incontrati la prima volta?
«Alla vigilia del primo concerto di Roma, nel 1988. Mi fece chiamare, concluse le prove, per sapere se era vero che allo stadio Flaminio non si poteva usare il laser perché ubicato in piena città, o per via degli aerei. Qualcuno, trattandolo come un bambino, gli disse che non c’erano i permessi. In realtà io li avevo già ottenuti, era tutto a posto. Allora lui fece chiamare il suo direttore di produzione e disse: ‘You do what you want, but I want my laser’. Trattava il laser come se fosse un giocattolo. Mi resi conto che sembrava un bambino di dieci anni, in realtà ne aveva trenta».

Quando l’ha visto per l’ultima volta?
«Al concerto di Milano, allo stadio di San Siro, nel 1997. Io non mi ero potuto occupare del suo tour, agli inizi degli anni Novanta avevo deciso di non seguire più i cantanti stranieri, ero occupato quasi a tempo pieno con Claudio Baglioni, non potevo fare mille cose tutte insieme. Michael mi mandò a chiamare, mi volle incontrare, e mi disse che lo stadio di Milano non era ‘tutto esaurito’ perché non avevo organizzato io il concerto. Si sarà anche vista la differenza della promozione dell’evento, ma in realtà era già scoppiato lo scandalo pedofilia ed era in atto un profondo distacco del pubblico».

A proposito, lei cosa ne pensa delle accuse di pedofila?
«Tutte false e costruite, lo hanno anche confessato gli stessi accusatori. Lui era un bambino, perché gli fu strappata l’infanzia per il troppo lavoro. Il massimo che può aver combinato è quello che fanno anche i bambini: aver misurato la lunghezza del pisellino, l’uno con l’altro. Se lo avrà fatto sarà stato in modo innocente, segno di grande ingenuità fanciullesca».

E gli oltre 100 inediti di cui tanto si parla?
«Indubbiamente sono canzoni che lui non si sentiva ancora di aver cantato bene, dei provini, rimasti in attesa. Michael era molto esigente con se stesso e su tutto. Probabilmente non si sarà sentito di averli cantati al massimo della sua bravura e capacità, oppure non ci saranno stati gli arrangiamenti che lui voleva. Presto metteranno sul mercato queste canzoni, per batter cassa. In molti guadagneranno, a partire dalla Sony che al momento ha problemi».

La Sony è in crisi?
«Tutte le case discografiche sono in crisi, per via della distribuzione delle canzoni. La Sony ha venduto oltre 20 milioni di dischi dopo la sua morte, in tutto il mondo. Michal Jackson probabilmente è l’unico artista per il quale la gente vuole l’oggetto, non si accontenta di scaricare le sue canzoni da internet, ma desidera collezionare album, cd e dvd originali».

Cosa pensa delle accuse sul fatto che il padre lo avrebbe reso sterile, picchiandolo?
«Il terzo figlio, quello più piccolo, ha la faccina proprio come Michael Jackson, lo dicono in tanti. Piuttosto posso pensare che il padre gli possa avere fatto fare un’operazione o qualche intervento tipo voce bianca, per fargli restare quella tonalità. Quanto al duro lavoro di Michael, le posso raccontare un fatto. Negli anni Settanta stavo per portare in Europa e in Italia i Jackson Five. Sul loro contratto c’era scritto che potevano esibirsi fino a tre concerti al giorno in tre posti differenti. Mi sembrò una follia, per il troppo lavoro, esagerato. Chiamai la loro agente, di una nota agenzia di artisti neri, che mi rispose, ‘non ti dimenticare che fino a 50 anni fa eravamo schiavi’. Questo era il metro di lettura della loro attività frenetica».

Lei ha seguito anche la permanenza a Roma di Michael Jackson. Dove lo avete portato?
«Nell’88 lo portati in giro al centro con la mia collaboratrice italo-britannica. Riuscimmo a convincere la sicurezza che camuffandolo non avrebbe corso rischi. Il suo staff temeva l’esuberanza degli italiani».

Riuscì a girare senza essere riconosciuto?
«Sì. Gli uomini della sicurezza erano a distanza, mentre lui girava come un normale cittadino. Gli facemmo indossare un baschetto, al posto del suo classico cappello, sotto il quale furono raccolti i capelli. E indossò un paio di occhiali. Aveva una giacca normale, era vestito molto sobrio. Amava Roma e la sua storia millenaria, se avesse potuto ci sarebbe anche rimasto ad abitare».

Fonte: Libero-news.it
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