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Il potere incompreso della musica di Michael Jackson - di Joe Vogel

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Messaggio Da szwaby82 Gio Feb 09, 2012 7:38 am

La sua influenza oggi prova che lui è uno dei più grandi creatori di tutti i tempi, ma l'arte di Jackson, come quella di molti artisti neri, non ha ancora trovato il pieno rispetto che merita.



Più di due anni e mezzo dopo la sua prematura scomparsa, Michael Jackson continua a intrattenere. Il popolare Michael Jackson Immortal World Tour del Cirque du Soleil sta attualmente attraversando in lungo e in largo il Nord America, mentre un recente episodio di Glee a tema Jackson ha fatto guadagnare allo show un aumento del 16 per cento dell'audience e gli ha fatto ottenere le vendite musicali più alte della stagione. Anche lo show del Super Bowl di Madonna evocava di nuovo una tendenza iniziata da Jackson.

Ma c'è un'altra parte fondamentale dell'eredità di Jackson che merita attenzione: il suo ruolo pionieristico come artista afro-americano che lavora in un settore ancora afflitto da segregazione, rappresentazioni stereotipate, o poca rappresentanza.

Jackson non si è mai fatto nessuna remora riguardo le sue aspirazioni. Voleva essere il migliore. Quando il suo album di grande successo "Off the Wall" (nel 1981 l'album best-seller per un artista nero) è stato disprezzato ai Grammy Awards, ha solo alimentato volontà di Jackson di creare qualcosa di meglio. Il suo album successivo, "Thriller", è diventato l'album più venduto da un artista di qualsiasi razza nella storia dell'industria musicale. Ha anche vinto un record di sette Grammy Awards, ha infranto le barriere del colore alla radio e in TV, e ha ridefinito le possibilità della musica popolare su scala globale.

Eppure tra i critici (soprattutto bianchi) lo scetticismo e il sospetto sono solo cresciuti. "Non sarà perdonato tanto rapidamente per aver ribaltato tante cose", aveva predetto James Baldwin nel 1985, "perché ha dannatamente raggiunto il massimo, e l'uomo che ha sbancato il casinò di Monte Carlo non è comparabile a Michael."

Baldwin si è dimostrato profetico. Oltre a una marea di azioni per metterlo in ridicolo riguardo la sua intelligenza, la razza, la sessualità, l'aspetto e il comportamento, anche il suo successo e l'ambizione sono stati utilizzati dai critici come prova che gli mancava serietà artistica. Le recensioni spesso descrivevano il suo lavoro come "calcolato", "vacuo" e "superficiale". Istituzioni della critica rock come Dave Marsh e Greil Marcus notoriamente accantonavano Jackson come il primo grande fenomeno di musica popolare il cui impatto è stato più commerciale che culturale. Elvis Presley, i Beatles e Bruce Springsteen, sostenevano, hanno sfidato e rimodellato la società. Jackson semplicemente vendeva dischi e intratteneva.

Non ci dovrebbe volere un grande sforzo per sentire le sfumature razziali in una simile affermazione. Storicamente questo accantonare gli artisti neri (e gli stili neri) come in qualche modo privi di sostanza, profondità e importanza è vecchio quanto l'America. Era la menzogna che rappresentavano i menestrelli (sta parlando dei menestrelli afroamericani di inizio XIX secolo che recitavano su palcoscenici più o meno improvvisati e che, paradossalmente, nel rendersi grotteschi e ridicoli, solo in tal modo venivano accettati dalla società bianca, ndt). Era una critica comune degli spirituals (in relazione agli inni tradizionali), del jazz negli anni '20 e '30, del R & B negli anni '50 e '60, del funk e disco negli anni '70, e dell'hip-hop negli anni '80 e '90 (e ancora oggi). I guardiani culturali non solo non riconoscevano inizialmente la legittimità di questi nuovi stili e forme musicali, ma avevano anche la tendenza a trascurare o ridurre le conquiste degli uomini e donne afro-americani che hanno aperto loro la strada. Il Re del Jazz, per i critici bianchi, non era Louis Armstrong, era Paul Whiteman, il Re dello Swing non era Duke Ellington, era Benny Goodman, i Re del Rock non erano Chuck Berry o Little Richard, era Elvis Presley.

Tenuto conto di questa storia di incoronazione bianca, è opportuno prendere in considerazione il perché facessero riferimento a Michael Jackson come il Re del Pop. Certamente i suoi successi meritavano tale titolo. Eppure, fino alla sua morte nel 2009, molti giornalisti insistevano nel fare riferimento a lui come "l'autoproclamatosi Re del Pop". Infatti, nel 2003, Rolling Stone si spinse fino a riassegnare ridicolmente il titolo a Justin Timberlake. (Per continuare con questo modello storico, proprio l'anno scorso la rivista ha messo a punto una formula che ha incoronato Eminem, su Run DMC, Public Enemy, Tupac, Jay-Z o Kanye West, come il re dell'Hip Hop).

Jackson era ben consapevole di questa storia e costantemente vi opponeva resistenza. Nel 1979 "Rolling Stone" declinò una storia di copertina sul cantante, dicendo che non pensava che Jackson meritasse di stare in copertina. "Mi è stato detto più e più volte che i neri sulle copertine delle riviste non fanno vendere copie," disse un esasperato Jackson ai suoi confidenti. "Aspettate. Un giorno quelle riviste verranno a mendicare per un'intervista".

Jackson, naturalmente, aveva ragione (il direttore di Rolling Stone Jann Wenner in realtà inviò una lettera di auto-disapprovazione riconoscendo la negligenza nel 1984). E nel corso degli anni '80, almeno, l'immagine di Jackson sembrava onnipresente. Tuttavia, nel lungo periodo, la preoccupazione iniziale di Jackson sembra legittima. Come mostrato nel resoconto pubblicato di seguito, le sue apparizioni sulla copertina di "Rolling Stone", la pubblicazione di musica più visibile degli Stati Uniti, sono molte meno rispetto a quelle di artisti bianchi:

John Lennon: 30

Mick Jagger: 29

Paul McCartney: 26

Bob Dylan: 22

Bono: 22

Bruce Springsteen: 22

Madonna: 20

Britney Spears: 13

Michael Jackson: 8 (due sono apparse dopo la sua morte, una comprendeva anche Paul McCartney)

È davvero possibile che Michael Jackson, probabilmente l'artista più influente del 20° secolo, abbia meritato meno di metà delle copertine di Bono, Bruce Springsteen e Madonna?

Naturalmente questo disprezzo non si limitava alle copertine delle riviste. Si estendeva in tutti i regni dei media stampati. In un discorso del 2002 ad Harlem, Jackson non solo ha protestato contro gli affronti personali, ma ha anche espresso chiaramente come lui si inserisse in una stirpe di artisti afro-americani che lottano per il rispetto:

Tutte le forme di musica popolare dal jazz all'hip-hop, al bebop, al soul [provengono dall'innovazione nera]. Se si parla di balli diversi dal catwalk, a jitterbug, al charleston, alla break dance - tutte queste sono forme di danza nere... Cosa sarebbe [la vita] senza una canzone, senza una danza, e la gioia e le risate, e la musica. Queste cose sono molto importanti, ma se andate nella libreria dietro l'angolo, non vedrete una persona nera sulla copertina. Vedrete Elvis Presley, vedrete i Rolling Stones ... Ma noi siamo i veri pionieri che hanno dato vita a queste [forme]".

Mentre vi era certamente un po' di retorica nela sua dichiarazione "non una persona di colore sulla copertina", il suo punto più ampio della rappresentazione gravemente sproporzionata nella stampa era senza dubbio accurato. I libri su Elvis Presley sono più numerosi di quelli su Chuck Berry, Aretha Franklin, James Brown, Ray Charles, Marvin Gaye, Stevie Wonder e Michael Jackson messi insieme.

Quando ho iniziato il mio libro , "Man in the Music: la vita creativa e il lavoro di Michael Jackson" nel 2005 non c'era un libro serio focalizzato sulla produzione creativa di Jackson. Infatti, alla locale Barnes & Noble sono riuscito a trovare solo due libri su di lui, punto. Entrambi trattavano degli scandali e delle polemiche della sua vita personale.

Sembrava che l'unico modo per Michael Jackson di ottenere una copertura fosse essere presentato come un mostro, una curiosità, uno spettacolo. Anche le recensioni dei suoi album post- Thriller erano focalizzate sul sensazionalismo ed erano prevalentemente condiscendenti, quando non apertamente ostili.

Naturalmente, questa scarsa copertura non riguardava solo la razza. I pregiudizi erano spesso più sottili, velati e codificati. Erano avvolti insieme con la sua diversità in generale e fusi con il "Wacko Jacko" costruito dai media. Inoltre, come Baldwin astutamente osservava, c'erano apprensioni non del tutto estranee alla sua ricchezza e fama, preoccupazioni per le sue eccentricità e la sua sessualità, confusione per i suoi cambiamenti di aspetto, disprezzo per il suo comportamento infantile, e paure riguardo al suo potere.

Ma la morale della favola è questa: in qualche modo, nel bel mezzo del circo che lo circondava, Jackson è riuscito a lasciare dietro di sé uno dei cataloghi più impressionanti della storia del musica. Raramente un artista è stato così abile a comunicare la vitalità e la vulnerabilità della condizione umana: l'euforia, il desiderio, la disperazione e la trascendenza. Infatti, nel caso di Jackson, lui ha letteralmente incarnato la musica. Essa si carica attraverso di lui come una corrente elettrica. Lui ha fatto da mediatore attraverso ogni mezzo a sua disposizione, la sua voce, il suo corpo, le sue danze, film, parole, tecnologia e prestazioni. Il suo lavoro era multi-media in un modo mai sperimentato prima.

Per questo motivo la tendenza di molti critici di giudicare il suo lavoro contro standard musicali euro-americani circoscritti, spesso bianchi, è un errore. Jackson non si adatta mai perfettamente nelle categorie e ha sfidato molte delle aspettative degli entusiasti rock/ alternative. Era profondamente radicato nella tradizione afro-americana, che è cruciale per comprendere il suo lavoro. Ma il tratto distintivo della sua arte è la fusione, la capacità di cucire insieme diversi stili, generi e mezzi per creare qualcosa di completamente nuovo.

Se la critica semplicemente mette i testi di Jackson su un foglio di carta accanto a quelli di Bob Dylan, allora, probabilmente Jackson si troverà svantaggiato. Non che i testi di Jackson non siano sostanziali (solo sull'album HIStory affronta il razzismo, il materialismo, la fama, la corruzione, la distorsione dei media, la distruzione ecologica, l'abuso, e l'alienazione). Ma la sua grandezza sta nella sua capacità di aumentare l'intensità delle sue parole vocalmente, visivamente, fisicamente e acusticamente, in modo che il tutto sia più grande della somma delle sue parti.

Ascoltate, per esempio, le sue vocalizzazioni non verbali - le grida, le esclamazioni, i grugniti, i rantoli e il dialetto improvvisato in cui Jackson comunica al di là delle restrizioni del linguaggio. Ascoltate il suo beat-box e lo scat, come allunga o accentua le parole, la sua abilità nello staccato alla James Brown, il modo in cui la sua voce passa da roca a melliflua a sublime, le chiamate e risposte appassionate, il modo in cui si innalza naturalmente con i cori gospel e le chitarre elettriche.

Ascoltate i suoi ritmi virtuosistici e le sue ricche armonie, la sincope sfumata e le tipiche linee di basso, i livelli di dettaglio e l'archivio di suoni insoliti. Andate oltre i soliti classici e ascoltate canzoni come "Stranger in Moscow"," I Can't Help It", "Liberian Girl"," Who Is It " e "In the Back". Notate la gamma di temi, lo spettro di stati d'animo e struttura, la varietà sorprendente (e sintesi) di stili. Solo nell'album "Dangerous" Jackson passa dal New Jack Swing alla musica classica, dall'hip hop al gospel, dal R & B all'industrial, dal funk al rock. Era musica senza confini o barriere, e risuonava in tutto il mondo.

Tuttavia è stato solo alla morte di Jackson nel 2009 che lui finalmente ha cominciato a generare più rispetto e apprezzamento da parte dell'intellighenzia. E' una delle strane abitudini dell'umanità apprezzare veramente il genio una volta che se n'è andato. Eppure, nonostante il rinnovato interesse, il rifiuto facile e la disparità nella copertura da parte della stampa rimane grave.

Come un concorrente alla pari con il leggendario Mohammed Ali, Michael Jackson non sarebbe soddisfatto. Il suo obiettivo era quello di dimostrare che un artista nero potrebbe fare tutto ciò che può fare un artista bianco (e anche di più). Voleva andare oltre ogni confine, guadagnare ogni riconoscimento, infrangere ogni record, e raggiungere l'immortalità artistica ("Questo è il modo per sfuggire alla morte" disse "lego la mia anima al mio lavoro"). Il punto della sua ambizione non era il denaro e la fama, era il rispetto.

Come ha coraggiosamente proclamato nel 1991 nella sua hit, "Black or White", "ho dovuto dire loro che non sono secondo a nessuno".


Fonte: www.theatlantic.com/entertainment/archive/2012/02/the-misunderstood-power-of-michael-jacksons-music...
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